simposio lettori copertina

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mercoledì 28 dicembre 2016

RECENSIONE: JIM THOMPSON - L'ASSASSINO CHE è IN ME


Sinossi:

Lou Ford è il vicesceriffo di una piccola città del Texas. La cosa peggiore che si può dire di lui è che è un po' noioso, un po' troppo lento, a volte

saccente. Ma nessuno immagina il suo male nascosto, la malattia che lo ha quasi rovinato quando era giovane. E quel male è di nuovo sul punto di tornare

in superficie, irrefrenabile e violento. Perché la vita non ha niente da dare agli uomini come Lou, se non brevi momenti di feroce energia sempre raggelati

dall'oceano nero del destino.

 

Lou Ford è il vicesceriffo di Central City, una cittadina del Texas, piena di persone per bene che rispondono “Sì Signore” e “no Signora” a chiunque sia il loro interlocutore. Lou Ford è intelligente, perspicace, un buono, uno che non usa mai la violenza ed è capace di ammorbidire e far parlare qualunque prigioniero senza torcergli un capello… è così che tutti conoscono Lou. Ma dietro questa facciata di bravo ragazzo, Lou nasconde un insospettabile, fredda lucidità ed una capacità di calcolare le conseguenze di ogni azione e di prevedere i pensieri altrui con una precisione allarmante. Ma ciò che Lou nasconde, soprattutto, è una “malattia” che lo porta a risolvere ogni problema, a superare ogni ostacolo umano semplicemente uccidendolo e lo fa con rapidità e precisione degna di un serial killer di professione. Lou non si ferma neppure quando i suoi colleghi cominciano a sospettare di lui, neppure quando è evidente che gli stanno alle calcagna e, quando alla fine arriva la resa dei conti il finale è spettacolare.

“L’assassino che è in me”, probabilmente il libro più noto ed importante di Thompson, è un racconto crudo, veloce e freddo. Il cinismo di Ford denota la volontà del suo ideatore di raccontare le cose come stanno: Thompson non vuole piacere o impressionare, non c’è nulla di roboante o artefatto in ciò che racconta, anzi si avverte chiaro e netto il degrado da cui l’autore viene ed in cui ambienta la storia ed il cinico, disilluso realismo di chi conosce fin troppo bene ciò di cui parla. Un libro ed un protagonista particolare, assolutamente sui generis, uno al quale si fa fatica ad affezionarsi e dal quale, tuttavia, non ci si vuole staccare, curiosi di sapere come andrà a finire.

Mi sento di consigliare questo libro a chi ama i noir veloci e crudi, senza una particolare caratterizzazione dei personaggi o una ricostruzione di ciò che sta intorno alla storia… un noir breve, da prendere così, fatto e finito.

 

Opera recensita: “l’assassino che è in me” di Jim Thompson

Editore: Mondadori (1992)-Fanucci (2002) prima ed. originale 1952

Genere: noir

Ambientazione: Texas, Stati Uniti

Pagine: 224

Prezzo: 7,90 €

Consigliato: sì/no.

 

lunedì 26 dicembre 2016

RECENSIONE: CRISTINA CABONI - IL GIARDINO DEI FIORI SEGRETI


Sinossi:

Londra, Chelsea Flower Show, la più grande mostra di fiori del mondo. Sotto gli archi carichi di rose, Iris Donati è felice: fra le piante si sente a casa.

Una casa vera, quella che non ha mai avuto, perché fin da piccola ha vissuto in giro per il mondo sola con il padre. Mentre si china per osservare meglio

una composizione, Iris rimane paralizzata. Si trova di fronte due occhi uguali ai suoi. Gli stessi capelli castani. Lo stesso viso. La ragazza che ha davanti

è identica a lei. Viola è il suo nome. Anche lei ama i fiori e i suoi bouquet sono fra i più ricercati di Londra. Tutte le certezze di Iris crollano in

un istante. Quella ragazza è la sua sorella gemella. Sono state divise da piccolissime, e per vent’anni nessuna delle due ha mai saputo dell’esistenza

dell’altra. Perché? Ora che sono di nuovo riunite, Iris e Viola devono scoprirlo. Il segreto si nasconde in Italia, a Volterra, dove sono nate. Tra viali

di cipressi e verdi declivi, sorge un’antica dimora circondata da un giardino sconfinato. È qui che i Donati vivono da generazioni. Ed è qui che Giulia

Donati, la loro nonna, le aspetta. Solo lei può spiegare davvero perché sono state separate e aiutarle a trovare il sentiero giusto per compiere il loro

destino. Iris e Viola non lo sanno, ma ogni coppia di gemelle della famiglia, da secoli, ha un compito da svolgere per salvaguardare la sopravvivenza del

giardino. Devono imparare cosa significa prendersene cura, e soprattutto devono capire il suo grande potere: quello di curare l’anima. Ma c’è un mistero

che affonda le radici nel passato della famiglia Donati, e che sta uccidendo il giardino. Solo Iris e Viola possono salvarlo. C’è una rosa nascosta che

può spiegare tutto: perché è attraverso le spine che nasce il cuore più prezioso. Dopo il grande successo di Il sentiero dei profumi e La custode del miele

e delle api, bestseller per settimane nelle classifiche italiane e straniere, Cristina Caboni ci trasporta in una nuova, indimenticabile storia tra i canali

di Amsterdam, i giardini londinesi e le lussureggianti colline toscane. Il giardino dei fiori segreti è la storia di un legame spezzato. Di due ragazze

che ritrovano le loro radici. Perché anche il bocciolo più indifeso può fiorire di petali pieni d’amore.

 

Sono stati scritti tanti libri sui fiori e su chi li coltiva e li ama, ma “il giardino dei fiori segreti” è il migliore fra quelli che ho letto finora perché è in grado di toccare il cuore con delicatezza, come fosse una brezza leggera.

Iris vive ad Amsterdam, ha un lavoro precario in una rivista e di notte pianta aiuole di nascosto in giro per la città. Ha girato il mondo seguendo il lavoro del padre, senza potersi fermare in un luogo per più di un anno: questo l’ha fatta diventare molto tollerante, ma non le ha consentito di avere amicizie stabili.

Viola vive a Londra con la madre, fa la flower designer, è impulsiva, insicura e diffidente.

Iris e Viola sono identiche, due gocce d’acqua: sono gemelle, ma non sanno nulla l’una dell’altra. Sono state separate quand’erano molto piccole e subiscono le scelte pesanti dei loro genitori. Per un caso, un incontro fortuito le due ragazze si conoscono, sono sconvolte dalla loro somiglianza e non riescono a non pensare l’una all’altra, non possono non farsi e fare domande a Francesco e Claudia, i loro genitori che, loro malgrado, sono così costretti a riaprire vecchie ferite. Quando, complice la malattia della nonna paterna, le due ragazze si incontrano, comincia un percorso accidentato fatto di scoperte, rivelazioni, segreti taciuti, ma soprattutto di fiori e giardini da salvare. Iris e Viola, infatti, sono le discendenti dei Donati, un’importante famiglia che da sempre si dedica ai fiori, ai giardini, al soccorso dei viandanti attraverso dei semi di cui prendersi cura. E’ a Volterra, alla Spinosa, che Iris e Viola si conoscono, è lì che devono cercare le radici di una famiglia che non sapevano di avere, è lì che le loro mani serviranno a salvare il giardino, quel famoso giardino un tempo fiorito e rigoglioso ed ora spoglio e morente.

Ma le ragazze non possono fare nulla senza l’aiuto di Giulia, la loro nonna, da sempre rinchiusa in quella tenuta, troppo orgogliosa o troppo spaventata per permettere ad altri di avvicinarsi al suo segreto. Ma cosa succede, davvero, al giardino della Spinosa? E qual è il segreto di Giulia? E chi è la misteriosa Bianca Donati? Cosa le è successo?

Come già ne “il sentiero dei profumi” e ne “la custode del miele e delle api”, Cristina Caboni ci conduce alla scoperta della natura, della sua bellezza e dei suoi mille piccoli segreti e lo fa con la consueta delicatezza e maestria. E’ così che nascono storie fantastiche in grado di trasportarci in un mondo parallelo, al contempo reale e fatato, in cui la forza dei sentimenti e la purezza delle anime possono superare ogni difficoltà. Anche in questo caso la scrittura è leggiadra ed insieme intensa, come un petalo profumato che sorprende per la sua leggerezza ed impressiona per la fragranza che custodisce. E’ con questa delicatezza che ci avviciniamo, quasi in punta di piedi, alle storie di Iris, Viola, Bianca, Francesco e di tutta la famiglia Donati. Storie che ci entrano dentro e che non scorderemo più.

Lettura consigliata, questo è ovvio. Libro letto in una notte e finito troppo in fretta… perché ognittanto si ha proprio bisogno di immergersi in un po’ di dolcezza.

 

Opera recensita: “il giardino dei fiori segreti” di Cristina Caboni

Editore: Garzanti, 2016

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Amsterdam – Londra – Volterra

Pagine: 360

Prezzo: 16,90 €

Consigliato: sì.

 

domenica 25 dicembre 2016

RECENSIONE: STEPHEN KING - IL MIGLIO VERDE


Sinossi:

Nel penitenziario di Cold Mountain, lungo lo stretto corridoio di celle noto come "Il Miglio verde", i detenuti come lo psicopatico "Billy the Kid" Wharton

o il demoniaco Eduard Delacroix aspettano di morire sulla sedia elettrica, sorvegliati a vista dalle guardie. Ma nessuno riesce a decifrare l'enigmatico

sguardo di John Coffey, un nero gigantesco condannato a morte per aver violentato e ucciso due bambine. Coffey è un mostro dalle sembianze umane o un essere

in qualche modo diverso da tutti gli altri?

 

Confinato nella gabbia dorata di una bella casa di riposo, l’ultracentenario Paul Edgecombe scrive le sue memorie relative a quanto accadde nel penitenziario di Cold Mountain nel 1932. Paul era, all’epoca dei fatti, sovrintendente capo del blocco E, il braccio della morte, quello in cui sostano i condannati alla pena capitale, in attesa di sedersi sulla terribile sedia elettrica soprannominata dalla squadra di Paul “Old sparky”, la vecchia scintillante. Paul e i suoi avevano il compito di sorvegliare i detenuti, mantenerli calmi, attendere alle loro richieste ed eseguire materialmente la sentenza di morte.

Nel 1932 furono ospiti del miglio, tra gli altri, alcuni condannati del tutto particolari e, a loro modo, speciali: Eduard Delacroix, un francese piccolo e arzillo che si affezionò al Signor Gingles, un topolino dalle attitudini insolite e singolari; Billy “the kid” Warton, un giovane attaccabrighe, con nulla da perdere e molte idee balorde in testa; e soprattutto John Coffey, un gigante nero con poteri molto speciali. John è al miglio perché è accusato di aver violentato ed ucciso due bambine, ma ben presto dimostra di saper guarire gli altri, di essere in grado di “aiutarli” come dice lui. In tanti al miglio si chiedono come una stessa persona possa racchiudere in sé tanto bene e tanto male e il primo fra i suoi sostenitori è proprio Paul che comincia ad interessarsi davvero al suo caso. Quello che scoprirà sarà sconvolgente, ma altrettanto duro sarà scoprire che ben poco si può fare per questo gigante buono che tanto ha fatto per gli altri e che sembra covare in sé tutti i mali del mondo.

Il racconto, concepito dapprima come un romanzo a puntate e poi riunito in un unico volume, è narrato in prima persona dall’ormai vecchio Paul che rivive per e con noi la quotidianità del miglio, fra colleghi coraggiosi, amici veri e mele marce che rischiano di rompere i difficili equilibri di un braccio della morte. Paul ci accompagna in un viaggio tra il passato ed il presente che ci mostra tutti i segni, importanti e visibili, che quell’anno al miglio verde con John e gli altri ha lasciato su di lui e sugli altri protagonisti di questa storia straziante e bellissima.

Avevo deciso di leggere questo libro per superare una paura: mi era capitato di vedere la trasposizione cinematografica qualche anno fa e una scena, in particolare, mi aveva spaventata al punto di non voler più sentir nominare il miglio verde. Pochi giorni fa, però, ho avvertito che ero pronta e che era venuto il momento di superare questa paura. Beh, non posso far altro che dirmi “menomale!”: ho scoperto un piccolo gioiello. Sono tante le emozioni racchiuse in questo libro; sono pagine che fanno sorridere e commuovere, rabbrividire ed indignare, ma che non possono assolutamente lasciare indifferenti.

Un libro bellissimo che ho divorato e che vi consiglio senza se e senza ma, anche se non siete appassionati lettori di King. “Il miglio verde”, infatti, è diverso dagli altri libri di questo autore: meno “pesante”, meno particolareggiato, ma molto intenso. Meno spazio alle descrizioni di luoghi e molto di più alle emozioni… consigliatissimo a tutti.

 

Opera recensita: “il miglio verde” di Stephen King

Editore: Sperling & Cupfer, prima ed. 1996

Genere: narrativa americana

Ambientazione: Stati Uniti

Pagine: 576

Prezzo: 11,90 €

Consigliato: assolutamente sì.

Consigli correlati: il film “il miglio verde” di Frank Darabont, buona trasposizione cinematografica.

 

mercoledì 21 dicembre 2016

RECENSIONE: DONATO CARRISI - IL SUGGERITORE


Sinossi:

Premio Bancarella 2009. Questo libro non è solo un thriller scritto da un autore italiano agli esordi, che si confronta con un genere finora appannaggio

dei grandi autori americani, reinventando le regole del gioco. È una storia che esplora la zona grigia fra il bene e il male fino a cogliere l'ultimo segreto,

il minimo sussurro. Qualcosa di sconvolgente è successo, qualcosa che richiede tutta l'abilità degli agenti della Squadra Speciale guidata dal criminologo

Goran Gavila. Il loro è un nemico che sa assumere molte sembianze, che li mette costantemente alla prova in un'indagine in cui ogni male svelato porta

con sé un messaggio. Ma, soprattutto, li costringe ad affacciarsi nel buio che ciascuno si porta dentro. È un gioco di incubi abilmente celati, una continua

sfida. Sarà con l'arrivo di Mila Vasquez, un'investigatrice specializzata nella caccia alle persone scomparse, che gli inganni sembreranno cadere uno dopo

l'altro, grazie anche al legame speciale che comincia a formarsi fra lei e il dottor Gavila. Ma un disegno oscuro è in atto, e ogni volta che la Squadra

sembra riuscire a dare un nome al male, ne scopre un altro ancora più profondo...

 

In un bosco vengono ritrovate, per un caso apparentemente fortuito, sei braccia nascoste nella terra. Sono le braccia sinistre di sei bambine scomparse. La squadra speciale diretta dal criminologo Goran Gavila, specializzata in omicidi seriali, è incaricata di trovare il killer. Quando, però, gli agenti capiscono che la sesta bambina, di cui non si conosce l’identità,  è ancora viva, si rende necessario l’intervento di Mila Vasquez, agente specializzata nella ricerca di persone scomparse. I corpi delle cinque bambine morte vengono ritrovate negli scenari più impensati e più diversi tra loro, ma ogni volta che credono di aver trovato l’assassino gli agenti scoprono che in realtà tutto, anche i ritrovamenti, fa parte di un piano ordito con cura maniacale dal killer che è sempre un passo avanti a loro. Ben presto diventa chiaro che in realtà si tratta di un suggeritore, una persona in grado di indurre, con metodi subdoli, gli altri a compiere le azioni più inaspettate e truci. E’ un uomo che vive nell’ombra e che ordisce la sua trama indisturbato, senza mai esporsi, mandando allo scoperto i suoi “discepoli”. Dovremo arrivare all’ultima pagina per capire quanto grande sia il suo raggio di azione e quanto in comune abbiano le persone coinvolte.

Il ritmo della narrazione non è particolarmente veloce ed i personaggi si caratterizzano pian piano, come in un puzzle, con l’incedere della storia. Se dovessi fare un paragone, avvicinerei questo thriller a quelli di Faletti.

Ora, attenzione: quanto segue attiene esclusivamente alla mia opinione ed esperienza personale. Vi racconto come sono arrivata a leggere questo romanzo. Qualche mese fa mi capitò fra le mani “la ragazza nella nebbia” dello stesso autore; cominciai a leggerlo, ma lo abbandonai dopo poche pagine perché mi sembrava banale e non mi piaceva lo stile di Carrisi. Tuttavia non riuscivo a rassegnarmi ad affermare che quest’autore non mi piacesse senza aver letto almeno un suo libro per intero. Così ho deciso di leggere “il suggeritore”, il suo romanzo d’esordio, sul quale avevo sentito pareri discordanti, dai commenti più entusiastici a quelli di completa bocciatura. Risultato? Né promosso, né bocciato per quanto mi riguarda. Mi spiego meglio: buona l’idea del suggeritore, una figura di cui non avevo letto nulla, ma per il resto questo thriller non brilla per originalità. Per buona parte del libro ho trovato banalità, cose già lette e perciò per nulla innovative; i personaggi e le situazioni mi sembravano prevedibili… in più lo stile di scrittura continua a non piacermi, non saprei spiegare perché. Ad un certo punto, però, la storia subisce uno scossone inaspettato (e per fortuna, direi!) e prende una piega, a mio parere, amara ed angosciante. Non mi aspettavo e forse non volevo questo tipo di colpi di scena, il finale mi ha lasciata spiazzata, amareggiata e perplessa. Non tutto, infatti, quadra alla perfezione ed è per questo che non riesco a promuovere a pieni voti questo thriller: mi ha lasciato qualcosa di inspiegato, di incompiuto. Penso di leggere i successivi romanzi per cercare di tirare le somme e di ritrovare quel senso di completezza che mi manca qui. Ve lo consiglio? Non lo so… sì e no. Non posso dire che mi sia piaciuto, perciò dirò che non mi è dispiaciuto… a molti, però, piace perciò provate a leggerlo e deciderete voi: il gusto è soggettivo. Fate come me: non affidatevi ai commenti altrui, ma fatevi un’idea vostra: magari concorderete con me, ma se invece lo apprezzaste? Non potete perdervi l’occasione di scoprire un buon libro.

 

Opera recensita: “il suggeritore” di Donato Carrisi

Editore: Longanesi, La gaja scienza, 2009

Genere: thriller

Ambientazione: non definita

Pagine: 468

Prezzo: 18,60 €

Consigliato: sì/no.

 

venerdì 16 dicembre 2016

RECENSIONE: PATRICK SüSKIND - IL PROFUMO


Sinossi:

Jean-Baptiste Grenouille, nato il 17 luglio 1783 nel luogo più puzzolente di Francia, il Cimetière des Innocents di Parigi, rifiutato dalla madre fin dal

momento della nascita, rifiutato dalle balie perché non ha l'odore che dovrebbero avere i neonati, anzi perché "non ha nessun odore", rifiutato dagli istituti

religiosi, riesce a sopravvivere a dispetto di tutto e di tutti. E, crescendo, scopre di possedere un dono inestimabile: una prodigiosa capacità di percepire

e distinguere gli odori. Forte di questa facoltà, di quest'unica qualità, Grenouille decide di diventare il più grande profumiere del mondo, e il lettore

lo segue nel suo peregrinare tra botteghe odorose, apprendista stregone che supera in breve ogni maestro passando dalla popolosa e fetida Parigi a Grasse,

città dei profumieri nell'ariosa Provenza. L'ambizione di Grenouille non è quella di arricchirsi, né ha sete di gloria; persegue, invece, un suo folle

sogno: dominare il cuore degli uomini creando un profumo capace di ingenerare l'amore in chiunque lo fiuti, e pur di ottenerlo non si fermerà davanti a

nulla.

 

Beh, in questo caso la sinossi è molto esaustiva, almeno per avere un quadro generale sul libro. In realtà “il profumo” è un’opera non facilmente incasellabile in un genere letterario preciso: non è un romanzo rosa, ma l’amore c’entra in modo non convenzionale; non è un thriller, ma ci sono degli omicidi, non è un saggio sull’arte profumiera perché dentro c’è una storia tanto folle quanto affascinante… è, insomma, un libro che va letto d’un fiato e preso così com’è, con tutta la sua enigmatica bellezza.
E’ la storia di Jean-Baptiste Grenouille, nato tra i rifiuti di un banco del pesce al mercato di Parigi e lì abbandonato dalla madre che, per questo sarà condannata a morte. Grenouille viene affidato a numerose balie che non lo accettano perché è troppo vorace, ha qualcosa di strano e soprattutto non ha odore. Approda in casa della fredda Madame Gaillard e dopo alcuni anni diventa prima garzone conciatore e poi, con l’astuzia, si fa assumere dal famoso profumiere Giuseppe Baldini. Qui comincia il suo vero percorso: imparare quanto più possibile sull’arte dei profumi, ogni metodo utile per estrarre l’essenza di ogni aroma, del profumo vero di ogni cosa, di ogni essere vivente e non vivente, fino ad ottenere il suo stesso odore. Grenouille, infatti, ha due particolarità: non ha alcun odore personale, ma ha un naso assoluto, egli è in grado di percepire, identificare e memorizzare ogni odore, anche quello più impercettibile, anche a distanza di miglia, anche quello di ogni singolo essere umano. Ottenuto il diploma di garzone che gli consentirà di entrare in ogni laboratorio di profumieri, Grenouille parte da Parigi in direzione di Grasse, città famosa per le tecniche all’avanguardia nella realizzazione dei profumi, ma lungo la strada si accorge di amare l’aria aperta, libera dall’odore degli esseri umani e cerca di allontanarsi sempre più dalle città. Per sette anni vive in una caverna ai piedi di un’alto monte, in una regione totalmente inospitale per l’uomo. Qui sogna di essere un dio, lo sterminatore di tutti gli odori nauseabondi e disgustosi, scopre finalmente di non avere un proprio odore personale e in preda all’odio verso il genere umano ed al delirio, progetta di creare il suo profumo, un profumo in grado di dominare i cuori degli uomini. Così lascia la sua caverna e si reca prima a Montpellier ed infine a Grasse. Qui sente un profumo celestiale, divino, quello di una fanciulla non ancora diventata donna… sarà questo l’elemento fondamentale del suo profumo e Grenouille farà qualunque cosa per catturarlo, per possederlo. Nulla lo fermerà in questo proposito: come ha sempre fatto finora, lavorerà instancabilmente, sottomesso, apparentemente umile e senza pretese, ingannerà chi lo circonda e quando sarà necessario non esiterà ad uccidere. 
Se dovessi sintetizzare l'idea chiave del libro direi "la potenza sconosciuta di un profumo": Grenouille ci mostra che, contrariamente a quel che crediamo, non è la bellezza, non è l'intelligenza, non è la ricchezza che ci colpisce negli altri, ma è il loro odore naturale che non avvertiamo consapevolmente. Giudichiamo gli altri in base al loro profumo e decidiamo se provare odio, repulsione, ammirazione, se trovarli insignificanti oppure se amarli. Originale, mai scontato, un libro stupendo, assolutamente inconsueto e fuori dagli schemi. Una lettura super consigliata perché sorprende ad ogni pagina, fino all’ultimo, inaspettato,  capoverso. E poi diciamocelo: chi di noi non ha custodito dentro di sé, anche solo per un momento,  il desiderio di essere amato ed idolatrato, se non da tutto il mondo, almeno da qualcuno?

 

Opera recensita: “il profumo” di Patrick Süskind

Editore: Longanesi, prima ed. 1985

Genere: narrativa europea

Ambientazione: Francia XVIII secolo

Pagine: 259

Consigliato: sì.

Consigli correlati:

Film: “Profumo – storia di un assassino” del 2006

Canzoni: Du riechst so gut dei Ramstein e Scientless apprentist dei Nirvana.

 

martedì 13 dicembre 2016

RECENSIONE: FEDOR DOSTOEWSKIJ - DELITTO E CASTIGO


Sinossi:

"E' il rendiconto psicologico di un delitto. Un giovane, che è stato espulso dall'Università e vive in condizioni di estrema indigenza, suggestionato,

per leggerezza e instabilità di concezioni, da alcune strane idee non concrete che sono nell'aria, si è improvvisamente risolto a uscire dalla brutta situazione.

Ha deciso di uccidere una vecchia che presta denaro a usura..." (Dostoevskij).

 

Comincerei col dire che questa “recensione” non ha alcuna pretesa di esaustività o completezza: si tratta solo del mio personale e modesto commento ad un’opera fondamentale per la letteratura russa e, oserei dire, mondiale.

“Delitto e castigo” è, come ci spiega lo stesso Dostoewskij, il racconto dettagliato delle vicende accadute al giovane Raskolnikov, ex studente, ridotto all’indigenza dalla mancanza di denaro e di lavoro, oppresso dall’aura protettiva della madre e della sorella e per di più misantropo. Per uscire dalla sua condizione di uomo ordinario e per elevarsi a quella di uomo straordinario, Raskolnikov decide di uccidere una vecchia usuraia che vive delle altrui sventure. Raskolnikov si prefissa di liberare la società da questo “pidocchio” e di donare il suo oro agli altri, così porta a termine con successo il suo piano delittuoso, uccidento fortuitamente anche la sorella della vecchia, sopraggiunta durante l’omicidio. Da questo momento Raskolnikov vive tra il senso di colpa e la strenua e lucida difesa di sé, tra la misantropia e il bisogno di verità e giustizia anche nei rapporti con chi lo circonda. Dopo un lungo travaglio interiore gli eventi e le riflessioni lo inducono a costituirsi per scontare il suo castigo e la sua condanna.

Creando il personaggio di Raskolnikov, Dostoewskij ha voluto rappresentare la condizione (per nulla inconsueta) di un uomo, un giovane, che si dibatte tra il proprio io che vuole emergere ed affermarsi come straordinario e le rigide convenzioni di una società che lo vorrebbe stretto tra studio, lavoro e famiglia condannandolo all’ordinarietà. Con un incedere a tratti lento ed angosciante ed a tratti guizzante e vivo, l’autore ripercorre il travaglio psicologico, umano e concreto di quest’uomo che mai, fin quasi alla fine del romanzo, si ritiene colpevole: egli ha ucciso la vecchia e sua sorella, ma non vuole che quest’azione si definisca delitto giacché egli ha liberato la società da un peso. E infatti riflette che forse ciò che è considerato sbagliato è solo un fattore estetico: se egli avesse ucciso con le bombe forse sarebbe stato giustificato ed in questo si vede la sua critica alla società ed alla giustizia che punisce lui, uomo “superiore” e non chi fa la guerra. Così Raskolnikov è ossessionato da questi pensieri, da queste idee fisse, intrappolato nella condizione che con l’omicidio lui stesso ha creato, ed oscilla costantemente tra delirio e folle lucidità.

Ma in questo lungo romanzo, uno dei maggiori di Dostoewskij, non c’è solo Raskolnikov: sono tanti i personaggi che in vario modo incidono sulla storia e sulle decisioni del giovane. Ci sono la madre e la sorella, ci sono i due diversi ma entrambi abietti pretendenti di quest’ultima, ci sono gli amici (o presunti tali) di Raskolnikov e poi c’è Sonja, personaggio di infinita dolcezza, con la quale Raskolnikov si confiderà e che arriverà ad amare. E poi c’è un ultimo messaggio che l’autore vuole lasciarci: il libro non si chiude con la condanna di Raskolnikov a scontare il castigo, anzi nelle ultime pagine si avverte chiaramente la possibilità di una rinascita, di una riapertura alla vita, di un passaggio dalla colpa all’espiazione.

Per concludere… Questo è un libro importante che mi è piaciuto molto. Personalmente non riesco ad inserirlo nei miei libri preferiti ed ancora, a lettura ultimata, non me ne spiego la ragione. Resta il fatto che “delitto e castigo” fa parte dei capisaldi della letteratura e dovrebbe starsene lì, nella libreria di ognuno di noi, con i segni visibili delle ore impiegate per leggerlo: è un libro che va vissuto, letto e riaperto a distanza di tempo perché ci sarà sempre qualcosa che ci è sfuggito, una riflessione nuova che non avevamo fatto… è sempre così coi grandi libri, o almeno, io la penso così.

Al di là della mia opinione… non lasciatevi intimorire dal numero di pagine e leggetelo se ancora non l’avete fatto.

 

Opera recensita: “delitto e castigo” di Fedor Dostoewskij

Editore: Einaudi, ed. 2005 (prima pubblicazione 1866)

Genere: letteratura russa

Ambientazione: San Pietroburgo

Pagine: 655

Prezzo: 13,50 €

Consigliato: sì.

 

venerdì 9 dicembre 2016

RECENSIONE: ANDRES PASCUAL - IL CANTO DELLE PAROLE PERDUTE


Sinossi:

Nagasaki, agosto 1945. Kazuo, un ragazzo occidentale adottato da una famiglia giapponese, e Junko, figlia di una maestra di ikebana, si sono ripromessi

di incontrarsi su una collina per suggellare il loro amore adolescente con un haiku. Pochi minuti prima dell'appuntamento, la bomba atomica trasforma la

città intera nell'inferno. Tokyo, febbraio 2011. Emilian Zäch, architetto svizzero in crisi, funzionario delle Nazioni Unite e sostenitore dell'energia

nucleare, conosce una gallerista di arte giapponese ossessionata dall'idea di rintracciare il primo amore della nonna. Due storie parallele, destinate

a incrociarsi in un finale che sorprende. Un libro sulla forza dell'amore capace di superare ogni cosa. Una storia di speranza e determinazione, di abbandono

e di coraggio, un romanzo sull'importanza di non dimenticare le tragedie del passato per affrontare le sfide del presente e scrivere il nostro futuro.

 

Siamo in Giappone, a Nagasaki, agosto 1945. Due adolescenti si incontrano ogni giorno su una collina. Lui è Kazuo, olandese di nascita, ma giapponese d’adozione, è in preda ad emozioni contrastanti: un conflitto interiore tra l’amore per i suoi veri genitori morti da tempo ed il rispetto e la devozione dovuti alla famiglia che lo ha adottato e che lo tratta amorevolmente. Lei è Junko, bella come una principessa, figlia di una maestra di Ikebana. I due ragazzi sono innamorati. Lui osserva con un binocolo ciò che accade a valle, nel campo 14, dove i giapponesi tengono rinchiusi alcuni prigionieri occidentali; lei legge misteriosi Haiku che fanno parte di un gioco, di una serie di quattro, l’ultimo dei quali ha un messaggio preciso. Ma mentre si recano all’appuntamento in cui sarà svelato il quarto Haiku e durante il quale entrambi sperano di potersi finalmente baciare, una luce accecante squarcia il cielo ed un vento caldo ed infernale travolge tutto e tutti trasformando Nagasaki in un luogo spettrale di morte e malattia. E’ la bomba atomica lanciata dagli americani sulla città, dopo la quale nulla sarà più come prima. I due ragazzi non riescono ad incontrarsi ma non smettono di cercarsi, nonostante la desolazione, la morte e le mille peripezie che dovranno affrontare per sopravvivere, per sfuggire ai cerchi concentrici delle radiazioni che espandono l’alone di morte sulla città.

. Più di 65 anni dopo, in una galleria di Tokyo, Mei, la nipote di Junko incontra Emilian, un architetto svizzero favorevole all’uso del nucleare come energia alternativa ed è a lui che si rivolge per cercare Kazuo, il grande amore della nonna che sta ormai per morire. Dopo i primi, inevitabili scontri iniziali i due cominciano a seguire gli indizi che portano verso l’uomo avvolto in un alone di mistero, ma le ricerche si rivelano più ardue del previsto. La storia prosegue alternandosi tra presente e passato, acquistando contorni via via più definiti, fino ad un finale inaspettato e dolceamaro.

Beh… che dire? Nonostante non sia stato scritto da un giapponese, questo libro trasuda giappone da ogni riga! L’autore, Andres Pascqual, infatti è spagnolo, ma come afferma lui stesso nella prefazione, ama moltissimo il Paese del sole nascente, senza tempo e senza spazio, senza principio né fine. La storia, presa di per sé, non brilla per originalità, soprattutto nella parte ambientata al presente: mi vengono in mente diversi libri che hanno a che fare con il Giappone e che utilizzano quest’espediente narrativo (penso a “il gusto proibito dello zenzero” o “l’amante giapponese”). Tuttavia, soprattutto nella narrazione delle vicende del passato, è una storia molto intensa e coinvolgente: sembra di vivere quei giorni insieme a Kazuo, sembra quasi di vedere quella città distrutta, di penetrare in quel silenzio assordante che è sgomento, vita e morte insieme. Ho molto apprezzato, inoltre, lo stile delicato e lineare con cui l’autore ha narrato sia lo ieri sia l’oggi, dando l’idea dell’inesorabilità del destino e del fluire del tempo che segue un suo corso inarrestabile. E così, leggendo questo libro, ci si perde in un luogo di pace al di là del tempo, ed anche le più terribili sofferenze sembrano il viatico per una meta ambita, le prove da superare prima del riposo e della pace.

Lettura consigliata, dunque… l’ho davvero apprezzato!

 

Opera recensita: “il canto delle parole perdute” di Andres Pascual

Editore: Corbaccio, 2012

Genere: narrativa internazionale

Ambientazione: Giappone-Svizzera, 1945-2011

Pagine: 391

Prezzo: 16,40 €

Consigliato: sì.

 

domenica 4 dicembre 2016

RECENSIONE: ANNA FUNDER - C'ERA UNA VOLTA LA DDR


Sinossi:

Fonti ufficiose affermano che nella Germania dell'Est gli informatori al servizio della Stasi, la potente polizia segreta, fossero una persona ogni sei

abitanti e nel dopo-1989, all'apertura degli archivi, con grande sorpresa si è scoperto quante famiglie allevassero al proprio interno informatori incaricati

di riferire allo stato i pensieri e le aspirazioni dei propri familiari. In un libro scritto con una suggestiva tonalità narrativa, Anna Funder ci riconduce

in quell'esperienza, ascoltando sia ex funzionari governativi e informatori, sia persone che hanno avuto la vita spezzata da una repressione immotivata.

 

13 agosto 1961. Venne tracciata una linea, venne eretto un muro che divideva la città di Berlino in due parti e la Germania in due Stati tra loro opposti per principi, abitudini, consumi, possibilità.

9 novembre 1989. Quel muro viene abbattuto e si pone fine ad un regime, quello comunista, che per 28 anni ha governato sulla Germania orientale (DDR) professando democrazia. La realtà, però, è ben diversa: per quasi trent’anni i cittadini dell’Est subirono privazioni, umiliazioni, ingiustizie di ogni tipo. In ogni famiglia, in ogni palazzo, per strada, in Chiesa gli informatori della Stasi, la polizia del regime, erano pronti a riferire qualunque cosa su chiunque, dai gusti musicali alle relazioni extraconiugali. Chiunque poteva essere un informatore e chiunque poteva essere il nemico: un sistema, quello della DDR, basato sulla diffidenza che induce ognuno a diffidare di chi gli passa accanto.

Sette anni dopo, la giornalista australiana Anna Funder cerca di capire chi era e come agiva la Stasi, ascoltando le storie di chi ne subì la persecuzione e di chi, invece, faceva parte del sistema lavorandovi attivamente. Questo libro, il cui titolo originale ben più eloquente è “Stasiland”, è il risultato di quella ricerca, un racconto a metà tra il reportage e il romanzo, che mette in luce alcuni aspetti tragici e paradossali della vita in Germania orientale tra il 1960 e il 1990.

Questo libro non ha l’obiettività di un saggio, poiché parte dall’idea preconcetta dell’autrice che il regime della DDR fosse sbagliato e da condannare, idea che si può condividere o non condividere. Tuttavia il libro ha l’innegabile pregio di raccontare, dalla viva voce dei protagonisti, storie di vita quotidiana di chi ha vissuto sulla propria pelle le implicazioni pratiche e gli effetti diretti di quel regime che noi, dall’alto della nostra cultura aposteriori, fatta di teoria e libri di storia, potremmo considerare apprezzabile o disprezzabile a seconda delle inclinazioni personali.

Anna Funder ci racconta la sua esperienza di donna e giornalista occidentale che entra in contatto con vittime della Stasi, persone che hanno visto morire i loro cari senza poter sapere in che modo sono morti, che hanno dovuto fare scelte riguardanti la propria vita sotto la pressione di altri, che si sono viste rifiutare un lavoro per il quale avevano i requisiti solo perché qualcun altro aveva stabilito che erano “DDR negative”… e poi c’è l’altra faccia della medaglia: ci sono loro che nella Stasi ci lavoravano e ci credevano, persone cresciute nell’ideale di un socialismo giusto, che considerano umano ciò che per il pensiero occidentale e moderno sarebbe disumano. Nostalgici, rancorosi, uomini così abituati al potere e tanto poco avvezzi ad essere contraddetti da non dare alcuna importanza alla verità.

Con il pathos di chi è estraneo ad un mondo, ma cerca di capirlo e scoprirne le dinamiche interne, Anna Funder ci fornisce una testimonianza oltremodo interessante di un periodo storico di cui si parla poco, ma che è giusto conoscere. A me questo libro ha trasmesso la curiosità di approfondire ancora, di cercare altre storie, altri spunti di riflessione su questo tema. Inoltre c’è un messaggio che, a mio parere, l’autrice vuole lasciarci: la DDR è nata nel 1949, a distanza di pochi anni dalla Seconda guerra mondiale e dalle barbarie del nazismo. Quello socialista avrebbe dovuto essere un regime diverso, molto lontano dal precedente, ma ha raggiunto una deriva altrettanto estrema e brutale. Ho letto, in questo libro, frasi di nostalgici della DDR che ho sentito pronunciare dagli anziani del mio paese con riferimento al fascismo… E ciò cosa significa? Significa che non importa il colore della bandiera: l’ambizione e l’avidità di potere presente in tutti i regimi totalitari porta ad estremizzazioni drammatiche, alla privazione della libertà, a vedere il nemico ovunque, anche in quel popolo che si dovrebbe proteggere e tutelare.

In definitiva, per quanto mi riguarda, questa è stata una lettura davvero apprezzabile che consiglio a chi voglia iniziare a documentarsi su questo tema.

 

Opera recensita: “C’era una volta la DDR” di Anna Funder

Editore: Feltrinelli, 2005

Genere: romanzo-reportage

Ambientazione: Germania, ex DDR

Pagine: 250

Prezzo: 15,00 €

Consigliato: sì.

 
 

venerdì 2 dicembre 2016

RECENSIONE: SVEVA CASATI MODIGNANI - IL DIAVOLO E LA ROSSUMATA


Sinossi:

in un universo rurale, dove ha inizio il suo apprendistato alla vita. La bambina protagonista di questo libro è Sveva Casati Modignani, la quale affida

per la prima volta a un racconto autobiografico i ricordi della sua infanzia, che si intrecciano con la memoria di cibi e sapori. Sono anni di fame, di

mercato nero e di succedanei. Le donne si ingegnano a cucinare con fantasia i pochi ingredienti di cui dispongono. Nel racconto i ricordi dell'infanzia

spaziano tra ricette golose e le attività solitarie della bambina che osserva silenziosa il mondo degli adulti sempre indaffarati: tra questi una nonna

amorevole e un po' ruvida, che la crede posseduta dal Diavolo, e una mamma che, incapace di esprimere altrimenti il suo amore, cuce per lei abitini raffinati

e cucina cibi gustosi. Il libro include un ricettario, con i piatti della cucina lombarda rivisitati dalle consuetudini di famiglia, tutti singolarmente

commentati dall'autrice che rievoca con rara autenticità una cultura gastronomica radicata nel territorio, in un mondo di tradizioni e sapori dimenticati.

"Il Diavolo e la rossumata" è un racconto personale, intenso, ironico, al quale non mancano tuttavia momenti intimi e a tratti drammatici, in cui Sveva

Casati Modignani svela ai suoi lettori qualcosa di sé.

 

Una lettura scorrevole, veloce e piacevole, adatta a trascorrere qualche ora in allegria. In questo breve racconto Sveva Casati Modignani recupera la sua

infanzia, vissuta durante la guerra, divisa tra la campagna dei nonni e la casa di Milano. E' un'infanzia fatta di ricordi, episodi più o meno divertenti,

alcuni anche esilaranti, tutti inestricabilmente legati al cibo. Così l'autrice ci parla di sé seguendo il filo dei ricordi e dei cibi che hanno allietato

quegli anni difficili.

Ma cibo vuol dire anche rapporti sociali! Così mentre ci parla delle sue giornate alla Cascina Mezzetta o nella casa di Milano, l’autrice ci racconta della sua famiglia, della nonna e della madre che quei cibi succulenti li preparavano con quello che c’era in dispensa, coi prodotti dell’orto e, qualche volta, con ciò che si riusciva a trovare alla borsa nera con tanti sacrifici.

Un libro semplice e divertente, nulla di impegnativo o strappalacrime, consigliato per qualche ora di svago. A me ha fatto tornare in mente i cibi che mangiavo da piccola e che associo

a ricordi felici.

 

Opera recensita: “il diavolo e la rossumata” di Sveva Casati Modignani

Editore: Mondadori, 2013

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Lombardia

Pagine: 169

Consigliato: sì.