simposio lettori copertina

simposio lettori copertina

lunedì 29 gennaio 2018

RECENSIONE: FRANCESCO PLASTINA - IL MALE DEL MONDO


Sinossi:

Roy è un giovane psicologo laureatosi a pieni voti alla Berkeley, in California, con un passato doloroso alle spalle. L'improvvisa morte della madre lo

porta a far ritorno a Baltimora, sua città natale. In questa occasione, Roy incontra di nuovo Sammy, una cara amica d'infanzia che ha da poco perso la

sorella, Tamara, uccisa brutalmente dal marito. Lo psicologo, colpito dalla notizia dell'uxoricidio e intenzionato a ricucire il rapporto con Sammy, decide

di fermarsi a Baltimora più del dovuto, venendo a conoscenza di alcuni retroscena nella vita delle due ragazze tutt'altro che trascurabili. Consigliato

a distanza dal professor Dorey, e grazie a un insolito dono che ha sempre rifuggito, Roy si troverà a indagare sulle cause della scomparsa di Tamara, fino

a scoprire l'identità del vero colpevole.

 

Commento:

Beh, direi che la quarta di copertina sintetizza bene, almeno a grandi linee, la storia. Tuttavia questo non è solo un giallo e Roy non è solo un giovane psicologo: Roy era un ragazzo – ed oggi è un uomo – con un dono: visualizzare il dolore degli altri. A causa di questa sua somatizzazione della sofferenza altrui, Roy ha  sempre cercato di fuggire dal dolore lasciandosi dietro altro dolore. E’ quello che è accaduto con la sua più cara amica Sammy: Roy è partito per la California senza nemmeno dirglielo ed ora, a distanza di anni, tornato nella grigia e malinconica Baltimora, deve affrontare le conseguenze della sua “fuga” e risolvere la situazione. E’ così che, suo malgrado, si ritrova coinvolto in una vicenda spinosa nella quale la sua amica Sammy è, a quanto sembra, una vittima: sua sorella è stata assassinata dal marito e lei lotta per l’affidamento del nipotino. Ma è davvero tutto così chiaro? Con l’intento di aiutare l’amica, Roy si ritrova a fare i conti con una sofferenza radicata e diffusa, con il dolore derivante dalla perdita e dall’abbandono, che miete vittime inconsapevoli anche a distanza di tanto tempo.

Ed oltre a risolvere l’enigma, Roy apprende la lezione più importante: imparare dal dolore, non fuggire dai problemi, sfruttare il suo dono per capire meglio gli altri.

Una storia avvincente, dai risvolti imprevedibili: così come Roy ha il dono di sentire su di sé il dolore degli altri, Francesco Plastina ha la capacità di farci sentire le sensazioni del protagonista, la sua angoscia, la negatività dell’oceano blu spento di Baltimora contrapposta al senso di rinascita della California; l’incertezza dei suoi sentimenti, l’opacità della sua visione influenzata dai risvolti personali. Questa capacità descrittiva compensa ampiamente anche le piccole imprecisioni di una scrittura ancora un po’ acerba e mi porta a consigliare questo libro per la profonda empatia che suscita con il protagonista. Storia sorprendente, lettura consigliata.

 

Opera recensita: “Il male del mondo” di Francesco Plastina

Editore: Scatole parlanti, 2017

Genere: giallo

Ambientazione: Baltimora, Stati Uniti

Pagine: 156

Prezzo: 13,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

domenica 28 gennaio 2018

RECENSIONE: KENT HARUF - LE NOSTRE ANIME DI NOTTE


Sinossi:

La storia dolce e coraggiosa di un uomo e una donna che, in età avanzata, si innamorano e riescono a condividere vita, sogni e speranze. Nella cornice

familiare di Holt, Colorado, dove sono ambientati tutti i romanzi di Haruf, Addie Moore rende una visita inaspettata a un vicino di casa, Louis Waters.

Suo marito è morto anni prima, come la moglie di Louis, e i due si conoscono a vicenda da decenni. La sua proposta è scandalosa ma diretta: vuoi passare

le notti da me? I due vivono ormai soli, spesso senza parlare con nessuno. I figli sono lontani e gli amici molto distanti. Inizia così questa storia di

amore, coraggio e orgoglio.

 

Commento:

Sembrava impossibile, inconsueto, assurdo, e invece… Addie e Louis sono due anziani soli che si incontrano la notte per dividere un letto e parlare. Parlano di tutto, di amenità e di temi importanti, ricordano, rivivono momenti belli e brutti delle loro vite. Prima si conoscevano appena, ora – dal giorno in cui Addie ha proposto a Louis di dividere la solitudine della notte – non possono più fare a meno l’uno dell’altra.

E tra problemi familiari, acciacchi e maldicenze il loro accordo diventa un’amicizia e poi una storia d’amore. Un amore tenero, fatto di piccole cose, di mani strette e confessioni sussurrate; fatto di gite al torrente e tacito sostegno nel momento del bisogno. Ma l’egoismo di un figlio incapace di capire può spezzare una quotidianità conquistata a fatica… ciò che non può spezzare, però, è l’affetto: l’affetto tra un ragazzino e un anziano semisconosciuto che gli ha insegnato a giocare a softball e gli ha donato un amico; l’affetto di un uomo che commise un errore e che oggi non vuole e non può più sbagliare; l’affetto di una donna disposta a mettersi in gioco a settant’anni per vivere al meglio il tempo che le resta.

Un libro breve, delicato, dolce come il soffio della brezza delle notti d’estate; una storia intima, intrisa di coraggio e speranza che dona conforto e voglia di vivere. Consigliato a tutti.

 

Opera recensita: “Le nostre anime di notte” di Kent Haruf

Editore: NN, 2017

Genere: narrativa straniera

Ambientazione: Stati Uniti

Pagine: 171

Prezzo: 17,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8,5

 

sabato 27 gennaio 2018

RECENSIONE: AGOTA KRISTOF - TRILOGIA DELLA CITTA' DI K.


Sinossi:

Quando "Il grande quaderno" apparve in Francia a metà degli anni Ottanta, fu una sorpresa. La sconosciuta autrice ungherese rivela un temperamento raro

in Occidente: duro, capace di guardare alle tragedie con quieta disperazione. In un Paese occupato dalle armate straniere, due gemelli, Lucas e Klaus,

scelgono due destini diversi: Lucas resta in patria, Klaus fugge nel mondo cosiddetto libero. E quando si ritroveranno, dovranno affrontare un Paese di

macerie morali. Storia di formazione, la "Trilogia della città di K" ritrae un'epoca che sembra produrre soltanto la deformazione del mondo e degli uomini,

e ci costringe a interrogarci su responsabilità storiche ancora oscure.

 

Commento:

Di solito, quando termino la lettura di un libro, cerco degli aggettivi che possano riassumerne il contenuto e le mie impressioni. L’aggettivo che, sin dalle prime pagine, ho associato a questo libro è “strano”; quello che si è aggiunto a fine lettura è “delirante”: “Trilogia della città di K.” Racconta la storia di due gemelli, Lucas e Klaus, che devono fare i conti con la guerra e le sue conseguenze. Ma questo non è un libro normale, non segue i consueti canoni della narrazione… non si sa, in questa storia o pluralità di versioni di storia, cosa sia vero e cosa non lo sia. Qual è la verità? Klaus e Lucas si sono separati a nove anni consapevolmente? Hanno subito una separazione forzata a quattro anni? Qual è stato il destino dei loro genitori? Si sono mai ritrovati davvero? Cos’è realtà e cos’è manoscritto? Io, ancora, non saprei dirlo con certezza. Comunque, al di là della trama in sé, questo libro presenta molti spunti di riflessione: la guerra e i cambiamenti che porta nelle vite delle persone, l’istruzione, la sessualità, la moralità… Tutti temi che meriterebbero una lettura ed un’analisi approfondita. Per quanto mi riguarda, leggere questo libro è stata un’esperienza estraniante che, tuttavia, consiglio e certamente ripeterò: non basta una sola lettura per capire a pieno questo libro, la prima serve a farsi un’idea di base, la seconda per stravolgere le poche certezze e la terza, forse, per capirci davvero qualcosa!

 

Opera recensita: “Trilogia della città di K.” Di Agota Kristof

Editore: Einaudi, prima ed. 1986, prima ed. italiana 1998

Genere: narrativa straniera

Ambientazione: non definita

Pagine: 384

Prezzo: 12,50 €

Consigliato: sì

Voto personale: 7,5

 

venerdì 26 gennaio 2018

RECENSIONE: HEATER MORRIS - IL TATUATORE DI AUSCHWITZ


Sinossi:

Il cielo di un grigio sconosciuto incombe sulla fila di donne. Da quel momento non saranno più donne, saranno solo una sequenza inanimata di numeri tatuati

sul braccio. Ad Auschwitz, è Lale a essere incaricato di quell’orrendo compito: proprio lui, un ebreo come loro. Giorno dopo giorno Lale lavora a testa

bassa per non vedere un dolore così simile al suo finché una volta alza lo sguardo, per un solo istante: è allora che incrocia due occhi che in quel mondo

senza colori nascondono un intero arcobaleno. Il suo nome è Gita. Un nome che Lale non potrà più dimenticare. Perché Gita diventa la sua luce in quel buio

infinito: racconta poco di lei, come se non essendoci un futuro non avesse senso nemmeno un passato, ma sono le emozioni a parlare per loro. Sono i piccoli

momenti rubati a quella assurda quotidianità ad avvicinarli. Dove sono rinchiusi non c’è posto per l’amore. Dove si combatte per un pezzo di pane e per

salvare la propria vita, l’amore è un sogno ormai dimenticato. Ma non per Lale e Gita, che sono pronti a tutto per nascondere e proteggere quello che hanno.

E quando il destino tenta di separarli, le parole che hanno solo potuto sussurrare restano strozzate in gola. Parole che sognano un domani insieme che

a loro sembra precluso. Dovranno lottare per poterle pronunciare di nuovo. Dovranno conservare la speranza per urlarle finalmente in un abbraccio. Senza

più morte e dolore intorno. Solo due giovani e la loro voglia di stare insieme. Solo due giovani più forti della malvagità del mondo.

 

Commento:

Sul treno che lo allontana da casa sua, da Bratislava, dalla sua famiglia, Lale si aspetta di lavorare per i tedeschi: è questo che chiedeva il comunicato, un figlio maschio per ogni famiglia ebrea e lui, il secondogenito, si è offerto volontario per salvare i suoi. D’altronde Lale sa parlare tante lingue, è giovane, legge, ha una cultura: di sicuro gli daranno un lavoro decoroso. Ma già alla fine del viaggio in quel “carro bestiame” Lale capisce che non sarà così: è giunto ad Aushwitz-Birkenau, al confine tra Germania e Polonia, insieme a tanti, troppi prigionieri come lui e mentre lo obbligano a lasciare i suoi averi personali, fare la doccia, camminare in fila sotto la minaccia di una pallottola, mentre gli tatuano il numero identificativo, le sue illusioni si sgretolano. Sin da subito Lale si dà delle regole: parlare poco, osservare sempre e soprattutto sopravvivere, uscire vivo da lì per raccontare tutto al mondo.

Quando si ammala di tifo, l’altruismo dei compagni di blocco gli salva la vita e, grazie all’aiuto di un francese, comincia a lavorare come tatuatore. E’ mentre sta lavorando, in preda all’orrore per dover profanare i corpi di altri prigionieri come lui, che due occhi fra tanti lo stregano, gli si imprimono nella mente e nel cuore: sono gli occhi di Gita, slovacca come lui, che da quel momento diventerà per Lale l’unica ragione di sopravvivenza. Per via del suo lavoro, Lale gode di una posizione “privilegiata” nel campo, così sfrutta la sua arguzia ed il suo senso pratico per fare qualcosa per gli altri: aiuta qualcuno a trovare un lavoro migliore e meno rischioso, procura cibo e medicinali, dà consigli utili a tutti. Ma in cima ai suoi pensieri c’è sempre Gita e quando sono costretti a separarsi, i due giovani giurano di ritrovarsi per costruire il loro futuro senza più morte e dolore.

Un libro che, con lucidità e realismo, racconta una storia drammatica di sopraffazione, abusi, umiliazioni, ma anche di speranza ed amore. Ciò che più colpisce e che distingue questo da altri racconti è lo stile in cui è scritto: è quasi una cronaca, una voce fuori campo che descrive ciò che accade con precisione ed impersonalità, cosa che contrasta con la profonda intimità delle sofferenze narrate che risultano così più chiare ed acute. L’autrice, che ha conosciuto di persona Lale ormai anziano, racconta questa storia al presente, facendoci entrare nel campo con i prigionieri, permettendoci quasi di vederli camminare davanti a Lale porgendogli il braccio ed il talloncino di carta con il numero identificativo. Ci sembra, leggendo, di visualizzare le vicende come in un film muto eppure non meno cruento e doloroso. Fino alla fine del racconto non sappiamo cosa accadrà a Gita e Lale, se si ritroveranno, se riusciranno a scappare, se sopravviveranno e tutto questo rende la percezione degli accadimenti più forte ed intensa.

Consiglio la lettura di questo libro perché, come affermava Primo Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” e su argomenti come questo, sebbene si sia letto tanto, non bisogna mai credere di saperne abbastanza. Ad esempio, esistono tanti racconti di sopravvissuti ai campi di sterminio, tutti conosciamo l’orribile pratica di imprimere un numero identificativo su un braccio dei prigionieri, ma ci eravamo mai chiesti chi svolgesse quel compito ingrato? O abbiamo mai riflettuto su chi schedasse i prigionieri in arrivo o in partenza dai campi e quali implicazioni questi lavori avessero avuto nella vita e nel futuro di quelle persone? Forse sì, forse no… di certo questo libro ce ne fornisce un assaggio. E allora leggiamole queste storie, non solo in occasione della Giornata della memoria, ma sempre… perché non possiamo permetterci di dimenticare.

 

 

Opera recensita: “Il tatuatore di Auschwitz” di Heather Morris

Editore: Garzanti, 2018

Genere: narrativa straniera – biografia

Ambientazione: Germania-Polonia-Austria-Slovacchia, 1942-1945

Pagine: 208

Prezzo: 17,90 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8,5

 

giovedì 25 gennaio 2018

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - L'UOMO SCOMPARSO (LINCOLN RHYME 05)


Sinossi:

In una scuola di musica di New York una giovane studentessa viene assassinata. L’omicida si è barricato in una classe, chiudendosi a chiave dall’interno.

La polizia circonda l’edificio, ma quando irrompe nell’aula dopo averne sfondato la porta non trova traccia del fantomatico killer. Una sfida difficile

e insidiosa per il criminologo Lincoln Rhyme, coadiuvato come sempre dalla fida assistente Amelia Sachs: trovare il “Negromante”, il criminale illusionista

che li provoca con delitti sempre più efferati e sparizioni sempre più diaboliche. Per scoprire la sua vera identità si inoltreranno nel mondo ambiguo

e inquietante dei maghi e degli artisti della fuga, in una corsa contro il tempo per scongiurare altre morti ed evitare che quello spietato killer trasformista

scompaia, questa volta per sempre…

 

Commento:

Una delle capacità innate e più sorprendenti di Jeffery Deaver è, a mio parere, quella di riuscire a far sembrare credibile anche la storia più assurda. E far trovare credibile ad una mente improntata alla razionalità come la mia una storia di maghi e trucchi da circo… vi assicuro che non è impresa facile. Eppure…

Per descrivere questo quinto volume della saga di Lincoln Rhyme e Amelia Sachs mi vengono in mente vari paragoni: potrei assimilarlo alle scatole cinesi, un primo delitto che ne nasconde e ne genera tanti altri; oppure potrei usare un esempio fatto dallo stesso Deaver in queste pagine, ossia il metodo Suzuki con cui si insegna ai pianisti in erba ad affrontare gli esercizi completando vari livelli di difficoltà; oppure potrei paragonarlo ad un difficilissimo videogioco dove per progredire bisogna affrontare varie “missioni” a livelli crescenti di complessità. Ma, fondamentalmente, questo thriller si basa su un unico concetto: una gigantesca, abbagliante illusione. Il suo protagonista, il killer, il negromante, è un portentoso illusionista che utilizza i più pericolosi trucchi di magia per uccidere le sue vittime e, per farlo, non esita a commettere altri crimini collaterali al suo piano, delle “diversioni” al solo scopo di confondere chi indaga e allontanarlo dall’obiettivo principale: una vendetta programmata e pianificata per anni, un crimine quasi perfetto. Ma Rhyme, a suo modo, è un illusionista altrettanto bravo, altrettanto in grado di entrare nella mente del killer e di non lasciarsi ingannare dai suoi trucchi. E così la caccia si snoda in un susseguirsi di colpi di scena che sembrano davvero non finire mai: nulla, davvero nulla, in questa storia è come appare.

E siamo di fronte, ancora una volta, alla manifestazione della bravura di un grande scrittore: non posso farci nulla, la mia stima per Deaver aumenta ad ogni nuova lettura della sua vastissima produzione. Sì, volendo superare le considerazioni personali, devo ammettere che molte cose sono, per così dire, “tirate per i capelli” e poco realistiche, ma nel complesso tutto torna, tutto è funzionale allo spettacolo, nessuna nota stonata, “il pubblico ha perso e l’illusionista ha vinto!”… anche stavolta.

Lo stile è il “solito”: colpi di scena, velocità, momenti di angoscia e riflessione alternati a momenti di azione convulsa. E sullo sfondo le vicende personali di Lincoln e Amelia che progrediscono con il loro affiatamento. Nulla, davvero nessun dettaglio, è lasciato al caso nei libri di questo genio del thriller, di quello che ormai è diventato uno dei miei autori preferiti in assoluto. Se ancora non si fosse capito, lettura assolutamente consigliata, non staccata però dai precedenti volumi della saga.

 

 

Opera recensita: “L’uomo scomparso” di Jeffery Deaver

Editore: Sonzogno, 2003 – Bur, 2007

Genere: thriller

Ambientazione: New-York

Pagine: 464

Prezzo: 9,90 €

Consigliato: sì

Voto personale: 9

 

martedì 23 gennaio 2018

RECENSIONE: LEILA SLIMANI - NINNA NANNA


Sinossi:

«Myriam accetta di farsi viziare. Ogni giorno le lascia qualche incombenza in più, e la donna le dimostra tutta la sua riconoscenza. Assomiglia a quelle

figure che a teatro cambiano le scenografie al buio. Sollevano un divano, con una mano spingono una colonna di cartone, con l’altra un pannello del fondale.»

Quando arriva il secondo figlio, Myriam decide di riprendere a lavorare. È una scelta sofferta, ragionata, discussa a lungo con Paul, il marito, eppure

imprescindibile, e appena si presenta l’occasione la neomamma la afferra con tenacia e torna alla sua professione di avvocato. Adesso però serve una tata

per Mila e Adam. Sarà una selezione severa, nessuno affida di buon grado i propri figli a una sconosciuta. Poi un giorno nell’appartamento dei Massé entra

Louise: luminosa, solare, dolce, e i bambini, soprattutto Mila, sembrano sceglierla prima dei genitori. È l’incastro perfetto dell’ultima tessera di un

puzzle. La donna guadagna l’affetto incondizionato dei piccoli e la gratitudine di Myriam e Paul, trasforma la casa in un incanto, li vizia anticipando

ogni loro necessità. Finché questo rapporto di dipendenza, come tutte le dipendenze, non si incrina, mostrandosi eccessivo, non si rivela sbagliato e infine

deraglia rovinosamente. Attraverso la descrizione chirurgica, certosina, della giovane coppia e della figura intrigante e misteriosa della tata, Ninna

nanna, acclamato Premio Goncourt 2016, affonda lo sguardo nelle nostre concezioni dell’amore, dell’educazione, dei rapporti di forza che si celano dietro

il denaro, parlandoci di pregiudizi culturali e di classe e del tempo in cui viviamo. E con uno stile esemplare, segnato da spasmi di tenebrosa poesia,

ci mette di fronte ad alcune delle più recondite paure di ogni genitore, di ogni donna e di ogni uomo.

 

Commento:

E’ singolare: ho letto “Ninna nanna” in poche ore, per combattere l’insonnia e, ironia della sorte, non avrei potuto scegliere libro più adatto. Per definirlo mi viene in mente una sola parola: agghiacciante. Questo libro tiene avvinti come una nenia soporifera che calma e copre i rumori molesti. E la protagonista, Louise, con il suo aspetto da bambolina invecchiata, troppo fragile e perfetta, fa proprio questo: entra nelle case, accudisce i bambini, vizia i genitori, come un balsamo che allevia le tensioni e riporta la calma e l’ordine. Nonostante il suo impegno e la sua dedizione, però, nessuno riesce a considerarla più che una domestica, una persona di servizio; nessuno si accorge dell’abisso di solitudine, umiliazione, sottomissione che Louise si porta dietro, nessuno vede il baratro in cui sta precipitando finché, dopo tanti anni passati ad occuparsi degli altri, dopo l’ennesimo atto di irriconoscenza, il vaso trabocca.

Questo non è un giallo, quello che è accaduto lo scopriamo subito, nella prima frase del libro: due bambini, Mila e Adam Massé,  sono stati uccisi, li ha uccisi Louise; ha cercato di uccidere anche se stessa, ma non ci è riuscita. Resta “solo” da capire perché l’ha fatto. No, questo non è un giallo, ma quasi lo diventa mentre scandagliamo il passato di Louise, con i fallimenti e le continue delusioni, ed analizziamo la vita familiare dei Massé, lei avvocato super impegnata a farsi una posizione, lui musicista con orari di lavoro impossibili. Presi dalle loro vite i coniugi e i loro figli sono diventati dipendenti da Louise, ma per la tata il rapporto ha assunto una connotazione diversa: si è, a suo modo, affezionata a quella famiglia e lo ha fatto in modo morboso. Così, quando ha capito che presto non avrebbero più avuto bisogno di lei, la sua follia ha toccato il culmine.

Non è un libro cruento, ma non fa sconti e tiene incollati suscitando un gusto perverso: siamo inorriditi, ma bramiamo dettagli, vogliamo sapere di più, scavare più a fondo.
Troppo crudo per essere un romanzo, troppo poco asettico per essere una cronaca, questo libro ci ammonisce sui comportamenti che tutti, indistintamente, siamo portati a tenere ogni giorno: siamo troppo presi da noi stessi per accorgerci dei bisogni degli altri finché questi non arrivano a toccarci direttamente. E questo è ancora più vero se gli altri sono persone che, per qualche motivo, riteniamo inferiori a noi.

Un pugno dello stomaco necessario, consigliato a chi ha una mente disposta ad analizzare il comportamento altrui nel modo più razionale possibile, senza lasciarsi sopraffare dall’indignazione o dall’orrore.

 

 

Opera recensita: “Ninna nanna” di Leila Slimani

Editore: Rizzoli, 2017

Genere: narrativa straniera

Ambientazione: Parigi

Pagine: 204

Prezzo: 18,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 9.

 

lunedì 22 gennaio 2018

RECENSIONE: ABBY FABIASCHI - IL NOSTRO TEMPO NEL MONDO


Sinossi:

Ho trovato la moglie ideale per mio marito.

Non sarà una moglie tradizionale

come lo sono stata io, ma questo è un bene.

È la mia occasione per sistemare le cose.

La mia famiglia merita di più

di quello che mi sono lasciata alle spalle.

Maddy aveva una vita serena. Era una moglie amorevole e una madre meravigliosa, il pilastro della famiglia. O almeno così credevano Brady, il marito, ed

Eve, la figlia, prima che Maddy si gettasse dal tetto della biblioteca. Adesso, nessuno dei due sa cosa pensare. E poi Brady non ha idea di come mandare

avanti una casa, né tantomeno come comunicare con la figlia adolescente. Anche per Eve non è facile avvicinarsi al padre e nemmeno convivere col senso

di colpa per tutte le volte in cui, per egoismo o superficialità, non ha dimostrato alla madre l'affetto che meritava. Eppure Brady ed Eve non sono soli:

Maddy è ancora lì, accanto a loro, e non ha perso un briciolo della sua vitalità e caparbietà. E anche del suo senso pratico: quello non è certo il momento

di piangersi addosso e naufragare nei rimpianti. Meglio agire e indirizzare in qualche modo i suoi familiari. E così si sforza d’introdurre nella loro

vita Rory, una dolce e sorridente maestra elementare, che Maddy spera possa diventare una buona amica per Eve e una nuova moglie per Brady. In effetti,

grazie all'influenza benefica di Rory, a poco a poco Brady ed Eve imparano a farsi forza a vicenda e, insieme, troveranno il coraggio di cercare le risposte

alle domande che li tormentano. Scoprendo che, a volte, la verità è molto più sorprendente di quanto non ci si aspetti…

 

Commento:

Maddy è una donna dal profondo senso pratico, intelligente, diretta, una moglie attenta e una madre presente, una che va sempre dritto al sodo e non ha paura di dire ciò che pensa con convinzione. Maddy è una che non lesina consigli saggi, affetto ed aiuto a chi ne ha bisogno. E’ proprio per questa sua mania di aiutare tutti che suo marito Brady e sua figlia Eve non si spiegano perché si sia suicidata gettandosi dal tetto di una biblioteca lasciandoli soli quando avevano più bisogno di lei. Sì, Maddy è morta inspiegabilmente, lasciando un vuoto che prima nessuno avrebbe mai pensato di avvertire: nessuno si era mai davvero reso conto di quanto importante fosse la sua presenza, non solo nel risolvere i problemi esistenziali dell’adolescenza di Eve o nel curare i suoi rapporti con il padre, ma anche e soprattutto nelle piccole cose di ogni giorno, nei dettagli come preparare una valigia o cucinare un hamburger.

Ma, direte voi, se Maddy è morta, perché continui a parlarne al presente? Perché lei è ancora presente, accanto alla sua famiglia, ad osservare come un fantasma buono le loro vite, a dirigerne i passi incerti, a cercare di correggerne il tiro lasciando, come sempre, tutto in ordine. E’ grazie a lei che Eve e Brady incontrano Rory, che secondo Maddy sarebbe la candidata perfetta a sostituirla, è grazie a lei che Brady riesce in qualche modo a trovare la chiave giusta per intavolare un rapporto decente con la figlia; è sempre grazie a lei che, quando scoprirà una verità inaspettata, Eve riuscirà a perdonare chi le ha causato tanto dolore.

 Questo è un libro che parla di vita e di morte, di elaborazione del lutto, di adolescenza, di rapporti familiari non facili. La trama forse non brillerà per originalità, ma la storia offre molti insegnamenti profondi travestiti da consigli lasciati cadere lì per caso. Questo libro non vuole dare lezioni di comportamento, eppure ci dà una testimonianza importante sulla maniera giusta di affrontare le difficoltà. La narrazione è affidata ai tre protagonisti di questa storia: Maddy, ormai spirito che ha un tempo limitato per sistemare ciò che ha lasciato in sospeso nelle vite dei suoi cari; Brady, il marito e padre super impegnato nel lavoro che non si accorge di nulla finché le cose non gli vengono sbattute in faccia; Eve, la figlia diciassettenne che da un giorno all’altro deve prendere coscienza che la vita non è il cellulare, la festa, il ballo, il ragazzo. Probabilmente è lei il personaggio che, per la profonda evoluzione subita, risulta più interessante di tutto il libro.

Non è un “mattone”, ma nemmeno un libro leggero: a volte fa sorridere, ma mette anche un bel po’ di tristezza perché invita a riflettere. Unica pecca, forse l’ho trovato un po’ troppo lungo ed avrei “accorciato” alcune parti, ma nel complesso una buona lettura.

 

 

Opera recensita: “Il nostro tempo nel mondo” di Abby Fabiaschi

Editore: Nord, 2018

Genere: narrativa straniera

Ambientazione: Stati Uniti

Pagine: 366

Prezzo: 16,90 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

sabato 20 gennaio 2018

RECENSIONE: PAOLO COGNETTI - LE OTTO MONTAGNE


Sinossi:

La montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all'altro, silenzio,

tempo e misura. Lo sa bene Paolo Cognetti, che tra una vetta e una baita ambienta questo potentissimo romanzo.

«Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.»

Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento.

Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione

comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti

da sempre, anche nella tragedia, e l'orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi

del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo "chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle

da una rupe che ne ostacola l'accesso" ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E li, ad aspettarlo, c'è Bruno, capelli biondo

canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni

e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, "la cosa più

simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui". Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero:

"Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino". Un'eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.

 

Commento:

Questa è la storia di un’amicizia nata per caso o per destino, quella tra Pietro – ragazzo di città viziato e pigro – e Bruno – montanaro dentro e fuori, avvezzo alla fatica, alle ristrettezze e alla solitudine. Ma questa è anche una storia di rapporti difficili, di parole non dette, di incomprensioni non risolte. E poi è una storia di passione per la montagna che, come ci spiega Cognetti tramite Bruno, è un vero e proprio stile di vita che non ha niente a che vedere con lo sci fatto ogni tanto per mero divertimento, ma che invece è fatica quotidiana e bellezza.

Tanti spunti per una bella storia, dunque, Cognetti aveva avuto proprio una bella idea… peccato che, a mio modesto parere, non sia riuscito a concretizzarla al meglio: un libro ben scritto, senza dubbio, ma che non mi ha lasciato molto. Indubbiamente Cognetti conosce la montagna, sa di cosa parla, ma la trama – la storia dei due amici, dell’incomunicabilità e dei rapporti complicati – non brilla per originalità, non decolla mai, non ha quel guizzo che catturi il lettore. Risultato? Un libro discreto che scivola via fra stereotipi e belle descrizioni, ma che non mi ha emozionato.

E ripeto, peccato perché gli elementi per una buona storia c’erano tutti! Non brutto, ma neppure un libro da ricordare. Mi dispiace.

 

Opera recensita: “Le otto montagne” di Paolo Cognetti

Editore: Einaudi, 2016

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: montagna

Pagine: 208

Prezzo: 18,50 €

Consigliato: sì/no

Voto personale: 6,5.

 

RECENSIONE: ALESSANDRO NOSEDA - LO STILISTA


Sinossi:

All'ombra della Mole, Torino trema. Lo Stilista è là fuori, a caccia di giovani donne in sovrappeso da rimodellare a costo della vita, al fine di trasformarle

in manichini umani per le sue fantasie malate. Là fuori, tuttavia, c'è anche Laura Bassi, capitano dell'Arma dei Carabinieri, una donna ferita ma mai doma,

determinata a fermare lo stilista una volta per tutte cercando, nel frattempo, di rimettere insieme i pezzi della propria vita privata.

 

Commento:

Laura Bassi è un capitano dei carabinieri d’istanza a Torino: è brava nel suo lavoro, determinata e rispettata dai colleghi e dai superiori. Laura è, però, anche e prima di tutto una donna con passioni, sentimenti, gusti che condivide con tante altre donne, anche con le vittime che si trova a difendere. Ciò che la differenzia da loro è il fisico: Laura è bella, in forma, ha un fisico da urlo; le donne scomparse e poi uccise dal serial killer che sconvolge Torino, invece, sono tutte in sovrappeso, non esattamente delle modelle, non proprio delle femmes fatales. E lui, lo stilista, le prende di mira per questo: nel meccanismo perverso che domina la sua mente, vuole far loro del bene, vuole che perdano peso, che si curino, che si vestano in modo elegante. E’ così che le trovano gli inquirenti, morte ma curate maniacalmente. Ma chi è questo cacciatore che uccide le sue prede in modo così singolare? E perché lo fa? E’ questo che bisogna capire per fermarlo: la causa della sua follia è nel suo passato.

Ciò che, più di tutto, caratterizza questa storia è la quotidianità: questa è una vicenda tristemente realistica, che ha riscontri nella vita quotidiana e nella realtà che è sotto i nostri occhi ogni giorno. Tante donne, donne comuni, normali, rispettabili, vengono uccise per i motivi più svariati e più inspiegabili. Il killer non è un mostro alieno, è un uomo qualunque, senza segni particolari, uno di quelli che potremmo incontrare ogni giorno al lavoro, al bar, in palestra, al supermercato… la follia omicida, celata dietro una maschera di anonimato, nasce dalla non accettazione e si estrinseca in una voglia di riscatto e di rivalsa agli occhi degli altri e di se stesso. Tutto, nel killer, è umano e profondamente umani sono anche gli altri personaggi di questa storia: umani sono Laura e Fabio con le scottature e le insicurezze; umani sono gli agenti con le battute per scaricare lo stress; umano è il profiler con la spigolosità che nasconde un dolore. Questa è una storia che, potenzialmente, potrebbe accadere in qualunque città, a qualunque capitano di polizia, a qualunque uomo che non viva serenamente il proprio essere, a qualunque donna che lo incontri sulla sua strada. Questo, indubbiamente, ne accresce il realismo.

“Lo stilista”, è, in definitiva, un buon thriller scorrevole, che si fa leggere velocemente e piacevolmente e che regala anche qualche buon brivido. Consigliato soprattutto per la sua componente di umanità e realismo.

 

Opera recensita: “Lo stilista” di Alessandro Noseda

Editore: La Ponga, 2015

Genere: thriller

Ambientazione: Torino, 2013

Prezzo: 13,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8

 

venerdì 19 gennaio 2018

RECENSIONE: WILLIAM MAKEPEACE THACKERAY - LA FIERA DELLA VANITA'


Sinossi:

Il romanzo ha come titolo completo "Vanity Fair: a novel without a hero", ovvero "La fiera della vanità: un romanzo senza un eroe". La vera protagonista

della storia è infatti la società con le sue contraddizioni: apparentemente si esalta la condotta secondo moralità, ma in realtà di ogni cosa si reclama

solo l'apparenza e vittorioso è sempre il più furbo, mai il più buono. A rappresentare i due tipi di condotta due personaggi femminili: l'ingenua, pura

e ricca Amelia Sedley e l'arrivista, povera e intelligente Becky Sharp. Il filo dell'ipocrisia legherà la scalata sociale della prima all'esistenza inutilmente

votata alla rispettabilità della seconda.

 

Commento:

Chi di noi, leggendo i romanzi inglesi del primo Ottocento, non ha pensato almeno una volta che la società di quell’epoca fosse piena di ipocrisia e disturbante, falso perbenismo? Beh, è proprio su questo concetto semplice che si basa il lungo romanzo di William Makepeace Thackeray che in quella società ci viveva e che poté osservarla con occhio critico e deplorarne la falsa moralità con acume.

In questa storia gli apparenti protagonisti sono i Sedley, i Crawley, gli Osbourne e tutti coloro che, a vario titolo, hanno a che fare con loro; ma la vera, indiscussa e dileggiata protagonista è niente meno che l’intera società inglese di cui queste famiglie facevano parte, sottoposta ad un giudizio impietoso ed imparziale: “La fiera della vanità” è senza dubbio la definizione che meglio riassume il pensiero dell’autore di questo libro sulla società in cui vive, che premia la furbizia, l’arrivismo, la scaltrezza a discapito della bontà di cuore e dei buoni sentimenti. In questa società, infatti, gli intriganti come Mrs Rebecca trovano sempre il modo di spuntarla, i parvenues come gli Osbourne hanno più denaro che cervello e considerano un posto in società più importante di un matrimonio d’amore; una famiglia d’alto lignaggio come i Crawley preferisce nascondere sotto il tappeto le magagne e i dissapori tra i suoi membri piuttosto che dare esempio di tolleranza ed apertura sociale.

Tutti questi comportamenti ed atteggiamenti hanno, indiscutibilmente, delle forti ripercussioni sociali e sono forieri di conseguenze spesso nefaste per chi li pone in essere e chi lo circonda. Sono queste le critiche, per nulla velate, che il narratore esterno ed onnisciente di questa vicenda intricata rivolge al proprio mondo: “La fiera della vanità” è una critica mordace, ironica e conclamata di una società viziata e corrotta dal prevalere dell’apparenza sulla nobiltà d’animo.

Uno spaccato veritiero ed impietoso della società britannica dell’Ottocento che, a mio avviso, vale la pena leggere nonostante sia talvolta troppo prolisso e minuzioso. Forse non consiglierei questo libro a chi proprio non sopporta i romanzi della Austen o simili, perché pur criticando il perbenismo dilagante, questo libro ne è intriso: l’autore, suo malgrado, ha dovuto servirsene a piene mani per spiegarne le criticità.

 

 

Opera recensita: “La fiera della vanità” di William Makepeace Thackeray

Editore: Bur, prima ed. originale 1848

Genere: letteratura inglese

Ambientazione: Inghilterra, prima metà dell’Ottocento

Pagine: 874 (ed. Bur 2007)

Prezzo: 13,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

lunedì 15 gennaio 2018

RECENSIONE: ILARIA TUTI - FIORI SOPRA L'INFERNO


Sinossi:

«Tra i boschi e le pareti rocciose a strapiombo, giù nell’orrido che conduce al torrente, tra le pozze d’acqua smeraldo che profuma di ghiaccio, qualcosa

si nasconde. Me lo dicono le tracce di sangue, me lo dice l’esperienza: è successo, ma potrebbe risuccedere. Questo è solo l’inizio. Qualcosa di sconvolgente

è accaduto, tra queste montagne. Qualcosa che richiede tutta la mia abilità investigativa. Sono un commissario di polizia specializzato in profiling e

ogni giorno cammino sopra l’inferno. Non è la pistola, non è la divisa: è la mia mente la vera arma. Ma proprio lei mi sta tradendo. Non il corpo acciaccato

dall’età che avanza, non il mio cuore tormentato. La mia lucidità è a rischio, e questo significa che lo è anche l’indagine. Mi chiamo Teresa Battaglia,

ho un segreto che non oso confessare nemmeno a me stessa, e per la prima volta nella vita ho paura.»

Questo non è soltanto l’esordio di una scrittrice di grandissimo talento. Non è soltanto un thriller dal ritmo implacabile e dall’ambientazione suggestiva.

Questo è il debutto di una protagonista indimenticabile per la sua straordinaria umanità, il suo spirito indomito, la sua rabbia e la sua tenerezza.

 

Sinossi:

Ecco… ancora una volta mi trovo a recensire un libro per niente facile da analizzare, un libro così peculiare che l’unico aggettivo che userei per definirlo è “sorprendente”. La mia recensione sarà, quindi, molto personale.

Tanto premesso, confesso che ad incuriosirmi, prima ancora della trama del libro, è stato il gran parlare che se ne sta facendo: mi ci sono avvicinata con la mia solita diffidenza perché volevo capire se fosse il solito caso editoriale in stile “Ragazza del treno” con tanto fumo e poco arrosto, o se ne valesse davvero la pena. Altro punto che mi ha dato qualche perplessità all’inizio è stato leggere, nelle note biografiche, che l’autrice ama i romanzi di Donato Carrisi che, invece, non rientra propriamente nei miei autori preferiti… capite quindi con che preconcetti mi approcciavo alla lettura!

 Ed in effetti l’influenza di Carrisi in questo libro si sente, soprattutto all’inizio: il linguaggio usato dall’autrice, come quello di Carrisi, è molto articolato, a volte non proprio lineare, ma mentre Carrisi mi dà sempre l’impressione di dire in modo troppo elaborato cose che richiederebbero molte meno parole, ho capito ben presto che i concetti espressi e le descrizioni contenute in queste pagine non avrebbero potuto trovare registro linguistico più appropriato. Ho fatto in fretta, quindi, ad abituarmi allo stile e ad entrare nella vicenda che, vi assicuro, è tutt’altro che banale e, ancora adesso, a lettura ultimata, mi lascia scossa per la sua crudezza e veridicità.

C’è un’indagine di polizia, c’è una serie di delitti, c’è un assassino che non rientra in nessuna categoria psicologica predefinita perché a volte uccide e a volte lascia vive le sue vittime, ci sono simboli difficili da codificare, c’è una comunità poco collaborativa ed abituata a sbrigarsela da sola e quindi poco tollerante nei confronti di poliziotti di città che vengono a rovistare nei suoi segreti. E poi c’è un territorio affascinante e malevolo, una terra portentosa e respingente, e c’è una donna, Teresa Battaglia, che porta nel nome tutta la sua essenza. E’ il commissario a capo dell’indagine, ha una mente veloce ed allenata che è la sua arma migliore perché le permette di capire le persone, la loro sofferenza, le emozioni che le spingono a commettere un delitto. Ma prima che un poliziotto, Teresa è soprattutto una persona, con pregi e difetti, con un corpo acciaccato dall’età, dalle sofferenze passate ma non sopite e da una malattia incipiente che minaccia di toglierle ciò che ha di più caro: la lucidità. Schietta, arguta, dura, Teresa non vuole piacere per forza; eppure, nonostante i suoi modi tutt’altro che accoglienti, tutti le portano rispetto, considerazione ed ammirazione. Perché? Perché non è solo brava nel suo lavoro: è dotata di una grande empatia e di una profonda umanità. E non potrebbe essere che lei l’unica persona in grado di capire un colpevole così fuori dalle righe, un carnefice-vittima, una sorta di “angelo vendicatore”, un padre che protegge i propri cuccioli.

E con queste premesse, come si può non consigliare questa lettura? Un’altra cosa che mi ha convinta in questo libro è il profondo legame con il territorio in cui è ambientato: una terra meravigliosa e ostile che, come il grembo di una madre, accoglie e protegge chi la abita e respinge con forza chi vuole violarla.

Come credo abbiate intuito, questo libro ha un’anima sua, una sua malia intrinseca, che pur attrae e cattura il lettore disturbando la quiete dell’anima. Un thriller psicologico scritto con penna sicura che di certo farà ancora parlare (bene) di sé. Ci sono elementi, infatti, che farebbero pensare ad un seguito o magari ad una saga… personalmente, a questo punto, me lo auguro perché, fidatevi, oltre a quello che vi ho anticipato, c’è molta più carne al fuoco. Perciò non lasciatevi sviare da parole come “esordio”, o “debutto”… questo è un thriller maturo, vale la pena di leggerlo e di lasciarsi sorprendere.

 

Opera recensita: “Fiori sopra l’inferno” di Ilaria Tuti

Editore: Longanesi, 2018

Genere: thriller psicologico

Ambientazione: Friuli, al confine con l’Austria

Pagine: 366

Prezzo: 16,90 €

Consigliato: sì

Voto: 9.

 

 

 

 

 

 

venerdì 12 gennaio 2018

RECENSIONE: JENNIFER ROY - AVEVANO SPENTO ANCHE LE STELLE


Sinossi:

La vera storia di Syvia Perlmutter: un racconto di coraggio, disperazione e sopravvivenza.

Per oltre cinquant'anni dalla fine della guerra, Syvia, come tanti altri sopravvissuti all'Olocausto, si rifiuta di parlare degli anni trascorsi nel ghetto

di Lodz, in Polonia. Seppellisce il passato e guarda avanti. A un certo punto, però, si rende conto che è importante condividere la sua esperienza e così

inizia a raccontare la sua storia alla nipote: dalla vita tranquilla nel ghetto, ai primi rastrellamenti degli ebrei, al tentativo del padre di nasconderla

in una buca scavata nel cimitero e sottrarla così alla ferocia nazista. Fino a quando l'intera famiglia sarà scoperta e Syvia rischierà la vita.

 

Commento:

Quando i nazisti cominciarono a rastrellare le città e i ghetti in cerca di ebrei da deportare, Syvia era solo una bambina: aveva cinque anni quando, davanti a una torta al limone che non mangerà mai, capisce di essere ebrea, di dover lasciare casa sua a Lods e di dover scappare con la sua famiglia senza sapere se farà mai ritorno tra quelle mura amiche. Ha otto anni quando i tedeschi prendono tutti i bambini dalle case degli ebrei e la sua famiglia, per proteggerla, la nasconde in una buca nel cimitero del ghetto. Ha dieci anni ed ha già sulle spalle un carico di paura, dolore, sgomento quando i russi liberano il ghetto il 19 gennaio 1945. Ed è proprio con le parole di Syvia, tornata a parlare di questa triste vicenda dopo cinquant’anni, che la nipote Jennifer racconta la sua storia.

L’espediente della narrazione in tono autobiografico – come se fosse un diario scritto dalla stessa Syvia man mano che viveva quelle atrocità – è particolarmente d’effetto: il pregio di questo libro è, infatti, che racconta con la semplicità degli occhi di una bambina una storia di dolore e dalle conseguenze molto più grandi di tanti adulti. Tutto in queste pagine fa rabbrividire ma non sconvolge: all’inizio il tono di Syvia è diretto, semplice, quasi non curante, di una bambina che non capisce bene cosa le accade intorno. Questo ha l’effetto opposto di creare nel lettore un timore incipiente per ciò che accadrà. Man mano che si prosegue nella lettura, però, tutto diventa drammatico, angosciante, ineluttabile, ma la voce di Syvia resta sempre, invariabilmente, quella di una bambina che, sebbene rischi la vita ogni giorno, sia costretta alla prigionia, agli stenti, dimostra sempre coraggio e la saggezza tipica di chi sa che se sbaglia non avrà occasione di tornare indietro e metterà in pericolo gli altri. Questa è una storia di coraggio, abnegazione, altruismo, una storia non originale, ma certamente toccante soprattutto perché riguarda dei bambini.

Libro breve e coinvolgente. Consigliato.

 

Opera recensita: “Avevano spento anche le stelle” di Jennifer Roy

Editore: Newton Compton, 2016

Genere: biografia

Ambientazione: Polonia, seconda guerra mondiale

Pagine: 218

Prezzo: 9,90 €

Consigliato: sì

Voto: 8.

 

martedì 9 gennaio 2018

RECENSIONE: LARS KEPLER - L'UOMO DELLA SABBIA (JOONA LINNA 04)


Sinossi:

Nel cuore di una notte d'inverno in cui la neve ricopre interamente Stoccolma, un ragazzo cammina lungo i binari di un ponte ferroviario sospeso sul ghiaccio,

in direzione del centro. Perde sangue da una mano ed è in gravissimo stato di shock: nel suo delirio febbricitante, parla di un misterioso uomo della sabbia.

Il ragazzo si chiama Mikael e risulta scomparso da dodici anni. Da sette è stato ufficialmente dichiarato morto. All'epoca dei fatti, dopo lunghe ricerche,

tutti hanno preferito credere che Mikael fosse annegato insieme alla sorellina, Felicia, scomparsa lo stesso giorno, sebbene i corpi non siano mai stati

trovati. Tutti tranne il commissario Joona Linna. Lui ha sempre saputo che i due fratelli sono tra le numerose vittime del più spietato serial killer svedese,

Jurek Walter, l'uomo che lui stesso ha catturato anni prima. Da allora Jurek Walter è detenuto in regime di isolamento nell'unità di massima sicurezza

dell'ospedale psichiatrico Lowenstromska. Non può parlare con nessuno ed è costantemente sedato, ma niente riesce a domarlo. Il male che abita in lui è

animato da una furia incontrollabile. Con il ritorno di Mikael, però, tutto cambia. Nessun caso può considerarsi chiuso. E Felicia potrebbe essere ancora

viva... L'unico a sapere la verità è Walter, l'unico uomo forse in grado di essere più pericoloso dietro le sbarre che da libero. Qualcuno deve introdursi

nell'ospedale e conquistarsi la fiducia del serial killer, sperando di indurlo a parlare. E, soprattutto, sperando di sopravvivergli...

 

Commento:

Quarto, avvincente episodio della saga che ha per protagonista il commissario Joona Linna. L’introverso, abilissimo poliziotto dagli occhi grigi e dal melodioso accento finnico stavolta dovrà combattere con uno degli enigmi irrisolti che costellano la sua vita: un criminale che ha catturato dodici anni prima e che ora è rinchiuso in un reparto di massima sicurezza di un ospedale psichiatrico torna a far parlare di sé. Una delle sue vittime, infatti, Mikael Koller Frost, scomparso all’età di dieci anni, fugge dal luogo dov’era tenuto prigioniero e riporta alla luce un caso che tutti credevano risolto. Tutti tranne Joona. Ora però bisogna salvare Felicia, la sorella di Mikael rimasta ancora nella “capsula” e bisogna fare in fretta prima che il morbo del legionario da cui è affetta ne provochi la morte. Occorre una missione speciale, della massima segretezza e pericolosità e per compierla è necessaria la bravura di Saga Bahuer che dovrà avvicinare il killer nella sua tana senza lasciarsi manipolare dalla sua astuzia. Purtroppo la missione si rivela più complicata del previsto.

Un thriller incalzante, come tutti quelli a cui ci ha abituato Lars Kepler: neve, velocità, efferatezza, precisione chirurgica di killer e poliziotti, è quello che troviamo ormai in ogni thriller di questa saga. Tuttavia, sebbene sia noto che io amo quest’autore – o questi due autori nascosti dallo pseudonimo di Kepler – per dovere di obiettività ammetto che questo è, dei quattro thriller che ho letto, quello in cui la storia sembra più inverosimile. Il cerchio quadra come al solito, le vicende sono appassionanti e la tensione è altissima, ma in più di un punto durante la lettura mi sono detta “Va beh, è assurdo”.

A parte questa mia considerazione personale, però, il livello è comunque molto alto ed anche questa è una lettura consigliata agli amanti del thriller nordico e di velocità e concitazione.

 

Opera recensita: “L’uomo della sabbia” di Lars Kepler

Editore: Longanesi, 2013

Genere: thriller

Ambientazione: Svezia

Pagine: 524

Prezzo: 16,40 €

Consigliato: sì

Voto: 8,5.

 

lunedì 8 gennaio 2018

RECENSIONE: GIANLUCA MOROZZI E FIAMMA SCHARF - RACCONTI PER PICCOLE IENE


Sinossi:

Le masse conoscono Manuel Agnelli da poco tempo, grazie a un noto programma televisivo. Per migliaia di amanti della musica, però, Manuel Agnelli è il

leader degli Afterhours, un gruppo che ha segnato la storia del rock italiano. C’è chi li ha conosciuti nel ’97 con il capolavoro Hai paura del buio?,

chi più tardi con Quello che non c’è o Ballate per piccole iene, e c’è chi li seguiva addirittura dai primi album in inglese.

Questa è un’antologia di scrittori che attingono alla loro passione e ne traggono racconti ironici, dove la musica degli Afterhours fa da sottofondo discreto,

o racconti intensi, in cui gli After sono un riferimento costante, compagni di strada e di percorsi.

Racconti di vita, di morte, di passaggi, di dolori, di concerti. Racconti in cui il linguaggio si fonde con quello dei brani più belli per diventare sperimentazione

e parola nuova.

Manuel e la sua presenza, Manuel e le sue parole, Manuel che incarna l’ideale di un uomo sfuggente eppure sempre presente. Manuel nel passato, Manuel nel

cuore e negli occhi di tutti.

Quattordici dichiarazioni d’amore all’universo Afterhours, curate da due fan storici come Gianluca Morozzi e Fiammetta Scharf.

 

Commento:

Beh… che dire? Neanch’io so dire cosa mi aspettassi di preciso da questo libro. Forse, da fan degli Afterhours, mi sarei aspettata qualche aneddoto in più su di loro, qualcosa che gli autori di questi racconti avessero vissuto e raccontassero in prima persona, senza nascondersi dietro espedienti narrativi più o meno credibili.

Invece no, i racconti contenuti in questa raccolta riguardano gli Afterhours e Manuel Agnelli da un punto di vista più emotivo e personale del vissuto dei fan e spesso, comunque, si tratta di storie di fantasia infarcite di citazioni dei testi del gruppo. Per carità, alcune storie sono molto carine, alcune sono angoscianti al limite del grottesco, altre fanno sorridere… però non saprei, forse mi sarei aspettata una presenza più reale del gruppo. Per questo motivo non darò più di un 6,5 a questa lettura che consiglio con cautela, più come lettura spartiacque o passatempo che come approfondimento su uno dei gruppi musicali più importanti e sottovalutati della storia musicale italiana dell’ultimo trentennio. Per capirci, belle le citazioni dei testi, ma se li conoscete già rimane poco altro. Mi dispiace.

 

Opera recensita: “Racconti per piccole iene” di Gianluca Morozzi e Fiamma Scharf

Editore: Giraldi, 2017

Genere: raccolta di racconti

Ambientazione: varie città d’Italia

Pagine: 190

Prezzo: 12,00 €

Consigliato: sì/no

Voto: 6,5.

 

domenica 7 gennaio 2018

RECENSIONE: JOHN STEINBECK - FURORE


Sinossi:

Pietra miliare della letteratura americana, "Furore" è un romanzo pubblicato negli Stati Uniti nel 1939 e coraggiosamente proposto in Italia da Valentino

Bompiani l'anno seguente. Il libro fu perseguitato dalla censura fascista e solo ora, dopo più di 70 anni, vede la luce la prima edizione integrale, nella

nuova traduzione di Sergio Claudio Perroni. Una versione basata sul testo inglese della Centennial Edition dell'opera di Steinbeck, che restituisce finalmente

ai lettori la forza e la modernità della scrittura del Premio Nobel per la Letteratura 1962. Nell'odissea della famiglia Joad sfrattata dalla sua casa

e dalla sua terra, in penosa marcia verso la California, lungo la Route 66 come migliaia e migliaia di americani, rivive la trasformazione di un'intera

nazione. L'impatto amaro con la terra promessa dove la manodopera è sfruttata e mal pagata, dove ciascuno porta con sé la propria miseria "come un marchio

d'infamia". Al tempo stesso romanzo di viaggio e ritratto epico della lotta dell'uomo contro l'ingiustizia, "Furore" è forse il più americano dei classici

americani, da leggere oggi in tutta la sua bellezza.

 

Commento:

Angosciante, realistico, attualissimo. “Furore” è con ragione considerato una pietra miliare della letteratura americana e, aggiungo io, mondiale. Sì, perché sebbene racconti la storia della famiglia Joad, una delle tante famiglie che trasmigravano dall’Est all’Ovest degli Stati Uniti in famelica ricerca di un lavoro, di un posto dove stare e di un po’ di dignità, questa storia racconta, in realtà, le storie di tutti gli immigrati del mondo.

Storie di dolore e di coraggio, di tragedie umane e di vita vera, vita di persone senza nome, senza volto, senza tempo. Perché da che mondo e mondo la disperazione, la fame, la voglia di riscatto, l’amor proprio, la necessità di provvedere per sé e per i propri cari, hanno spinto e spingeranno sempre esseri umani a lasciarsi alle spalle una vita di ricordi e a spostarsi per cercare fortuna o anche solo un po’ di stabilità. E’ questo ciò che cercava la famiglia Joad quando lasciò, con nonni, cani e vettovaglie al seguito, la terra nell’Oclahoma da cui era stata scacciata per trasferirsi in California, attraversando a bordo di un camion scalcagnato la Route 66, passando fiumi e deserti per raggiungere il paese dove crescono le arance. Ma una volta giunti miracolosamente a destinazione l’accoglienza non è certo quella che ci si aspetterebbe da chi cerca braccianti per coltivare la sua terra… E le battaglie per sopravvivere non sono finite e non finiranno mai finché sorgerà il sole.

Un capolavoro di umanità, un libro senza tempo che osserva una realtà che tutti conosciamo e la racconta con occhio cinico e realista. Steinbeck alterna nella narrazione le vicende degli Joad e delle digressioni utili per generalizzare e contestualizzare: di solito non amo molto questi intermezzi nel racconto di una storia, ma in questo caso le digressioni sono pezzi di storia perfettamente inseriti nella narrazione e sono utilissimi a fornirci una visione d’insieme. Un libro che consiglio a tutti, anche con un occhio alla situazione che a tutt’oggi viviamo nel nostro paese: leggere queste pagine può aiutare chi ancora ha delle remore verso gli immigrati a capire la loro condizione e forse ad essere un po’ meno duro con i giudizi.

Ad ogni modo, a mio parere “Furore” è un libro bellissimo.

 

Opera recensita: “Furore” di John Steinbeck

Editore: Bompiani, prima ed. 1939

Genere: narrativa americana

Ambientazione: Stati Uniti

Pagine: 633 (ed. 2013)

Prezzo: 14,00 €

Consigliato: sì.

Voto: 9.

martedì 2 gennaio 2018

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - LA LACRIMA DEL DIAVOLO


Sinossi:

Il Becchino è in città. Il Becchino assomiglia a me. Cammina lungo le strade fredde e tristi proprio come camminerebbe chiunque altro, nessuno si accorge

di lui. Il suo volto è bianco come il cielo del mattino. Oppure scuro come l'entrata dell'inferno. " Alla vigilia del Capodanno del 2000, la morte serpeggia

per le strade di Washington. Indossa i panni di un uomo qualunque, invisibile perché assolutamente normale. Il Becchino può essere chiunque e nessuno.

Cammina silenzioso verso l'obiettivo, il passo scandito dalle lancette dell'orologio: l'uomo che gli dà gli ordini gli ha detto di colpire ogni 4 ore.E

lui lo farà. Sparerà sulla folla 100 colpi a casaccio. Si confonderà in mezzo alla gente. E dopo 4 ore lo farà di nuovo, e poi ancora, e ancora...Solo

l'uomo che gli dà gli ordini può fermarlo, e in una lettera spedita al sindaco chiede 20 milioni di dollari entro la mezzanotte per interrompere le stragi.

Ha fatto bene i suoi conti, ma non ha calcolato il destino: muore in un banale incidente proprio mentre sta andando a ritirare il denaro. E ora più nessuno

può fermare il Becchino. L'agente speciale Lukas, l'affascinante poliziotta incaricata di investigare sul caso, ha come unico indizio la lettera ricevuta

dal sindaco, e decide di coinvolgere nelle indagini Parker Kinkaid, esperto calligrafo dell' FBI. Il conto alla rovescia per il nuovo anno che risuona

per le vie della città è come il timer di un congegno mortale pronto a esplodere, se non si scopre chi èBecchino. Ma quei puntini sulle i, curiosamente

tracciati a forma di lacrima - la lacrima del diavolo - sono sufficienti per svelarne l'identítà?Con la dovizia di dettagli scientifici, i magistrali colpi

di scena e il ritmo mozzafiato che caratterizzano i romanzi di Deaver, La lacrima del diavolo è un thriller frenetico e geniale - bestseller in America

- che conferma lo straordinario talento di questo autore.

 

Commento:

Quando posso, mi piace leggere i libri nel mese o nella stagione in cui sono ambientati. Questo thriller si svolge il 31 dicembre, l’ultimo dell’anno, perciò ho avuto la fortuna di leggerlo a cavallo tra il 2017 e il 2018… vi assicuro che sembra un dettaglio insignificante, ma rende la storia ancora più credibile o, se preferite, incredibile.

Il becchino, un uomo assolutamente incolore, ordinario nell’aspetto tanto da passare inosservato, spara alla folla in luoghi precisi ad intervalli di quattro ore. Lo fa perché “l’uomo che gli dice le cose” gli ha detto di farlo, sarà lui a dirgli quando fermarsi. Ma accade un imprevisto ed il mandante muore mentre sta ritirando i soldi che aveva chiesto ed ora il becchino, un automa, una macchina, non può più essere fermato. Del caso si occupa L’Fbi ed in particolare la glaciale ed efficientissima agente Lukas, l’uomo dei miracoli Cage e il più esperto perito calligrafo in circolazione, Parker Kinkaid, ormai in congedo da anni per vicende familiari che occupano una buona parte del libro.

Scovare il becchino non sarà facile: bisognerà ingaggiare una lotta contro il tempo, inseguire un Sosco (soggetto sconosciuto) che è morto, comprenderne la mente e i piani, analizzare i documenti con particolare perizia perché possano svelarci tutto su di lui. Ma il Sosco aveva un piano per tutto, è intelligente, cerca la perfezione… e intanto si avvicina la mezzanotte…

Ancora un altro thriller che ci tiene con il fiato sospeso, rivelazione dopo rivelazione, colpo di scena dopo colpo di scena, nulla può essere dato per scontato. Ciò che è certo è che Deaver sa come tenerci incollati alle pagine e, leggendo i suoi libri, sappiamo che l’enigma non sarà del tutto svelato finché non si arriverà all’ultima riga dell’ultima pagina… con Deaver può sempre accadere qualcosa di imprevisto. La mia impressione personale, tuttavia, è che pur essendo un ottimo libro, questo “La lacrima del diavolo” mi ha stupita meno rispetto ad altri thriller di Deaver. Non so se sia il libro ad essere più prevedibile o se sono io ad aver capito lo schema. In definitiva, non proprio il mio preferito, ma comunque ottimo e consigliato!

Questo romanzo è autoconclusivo quindi può essere letto indipendentemente dagli altri dello stesso autore.

 

Opera recensita: “La lacrima del diavolo” di Jeffery Deaver

Editore: Bur, prima ed. 1999

Genere: thriller

Ambientazione: Washington D.C.

Pagine: 416

Prezzo: 9,90 €

Consigliato: sì

Voto: 8,5.