simposio lettori copertina

simposio lettori copertina

giovedì 29 marzo 2018

RECENSIONE: LEV TOLSTOJ - LA SONATA A KREUTZER


Sinossi:

Tolstoj compone il tema dell'amore e del matrimonio, che allora lo inquietava anche come momento della sua propria vita privata, nelle forme di una narrazione

in cui la voce amara del protagonista si fa nitida rappresentazione drammatica. Lungi dall'essere tragedia della gelosia, è il dramma di un insaziabile

odio-amore carnale che si svolge tra due egoismi che tendono accanitamente a sottomettersi l'un l'altro nel soddisfacimento della loro brama. E solo la

morte, così assurdamente e lucidamente deliberata e inferta dal protagonista, pone fine al conflitto di due carni che non diventano mai una.

 

Commento:

Un romanzo breve, questo pubblicato da Tolstoj nel 1889, ma ricco di spunti di riflessione.

La scena si apre nel vagone di un treno nel quale alcune persone si trovano, per caso, coinvolte in una conversazione sull’amore. Già la conversazione in sé non è per nulla priva di interesse, ma lo diventa ancor di più quando al quadretto dei conversanti si aggiunge un uomo - evidentemente alterato da un forte turbamento interiore – la cui opinione è in netto contrasto con quelle degli altri presenti. Ben presto gli “attori” si disperdono, la conversazione cessa e nel vagone restano solo l’Io narrante e lo strano uomo turbato. A questo punto l’uomo confessa al narratore di aver ucciso, in passato, sua moglie e di essere stato assolto. Il monologo che ne deriva è quanto di più lucidamente folle potesse scaturire dalla penna di un romanziere russo di fine Ottocento: le riflessioni sul matrimonio, sulla condizione della donna e sugli obblighi che la legavano all’uomo, la visione dell’amore e del sesso come di un’attività perversa e “maialesca” eppure necessaria, meritano ben più di una lettura per poter essere compresi, analizzati, condivisi o negati.

Tolstoj, per bocca di Poznishev, si lancia in un profluvio di dubbi, incertezze, affermazioni anche molto forti che denotano un turbamento radicato e una mente vicina all’implosione. Si avverte, infatti, la necessità del protagonista – e dello scrittore – di gettare fuori il male del rancore, della furia cieca, del profondo senso di colpa , per indulgere al pentimento senza sperare nel perdono.

Personalmente, non riesco a dire se questo libro mi sia piaciuto; non so dire quanto delle considerazioni di Tolstoj abbia condiviso; di certo mi è necessaria un’altra lettura approfondita (da qui la valutazione media, né troppo alta né troppo bassa). Certo è che quest’opera, che va comunque inquadrata nel periodo storico e sociale in cui è stata scritta, merita di essere letta e conosciuta, non foss’altro che per la quantità di spunti che ci offre, anche a costo di doversene poi discostare in toto. E’ per questo che la consiglio senza remore.

 

Opera recensita: “La sonata a Kreutzer” di Lev Tolstoj

Editore: Einaudi, prima ed. 1889

Genere: romanzo breve-letteratura russa

Ambientazione: Russia

Pagine: 125 (Ed. Einaudi 2006)

Prezzo: 9,00 € (Ed. Einaudi 2006)

Consigliato: sì

Voto personale: 7,5.

 

lunedì 26 marzo 2018

RECENSIONE: HARUKI MURAKAMI - DANCE DANCE DANCE


Sinossi:

È un giorno di marzo, al Dolphin Hotel di Sapporo, a.d. 1983. Alla radio suonano gli Human League. E poi Fleetwood Mac, Abba, Bee Gees ecc. Uno strano

mondo, questo, dove tutto - o quasi - si può comprare. C'è un giornalista free lance che ha perso molte cose nella vita e ogni volta una parte di sé. Cammina

controvento senza perdere lo slancio: forse, per mantenere la rotta, non gli interessa che lasciarsi andare alla deriva. C'è una ragazzina di tredici anni

seduta da sola in bar. Ci sono una receptionist troppo nervosa, un attore dal fascino irresistibile, un poeta con un braccio solo; e un salotto a Honolulu

dove sei scheletri guardano la TV. Esiste un collegamento fra queste cose, un senso anche per chi ha perso l'orientamento, basta continuare a danzare.

 

Commento:

Come al solito Murakami ci conduce, con i suoi libri, in un mondo sospeso fra sogno e realtà. In questo caso, però, la sospensione non è solo immaginata o percepita dal lettore: è vissuta dallo stesso protagonista sulla sua pelle. In seguito ad una serie di strani sogni l’uomo, un giornalista freelance di trentaquattro anni, si reca all’albergo del delfino a Sapporo, pensando di trovarvi ancora il vecchioe cadente hotel dov’era stato una volta con una donna, e trovando invece un nuovissimo hotel di lusso. Dai corridoi di quest’hotel parte la sua ricerca dei legami che ha interrotto, dei nodi lasciati in sospeso e dei nuovi rapporti che il destino gli mette davanti, tutti inspiegabilmente collegati. Un viaggio, questo, attraverso due dimensioni, un gioco ad armi impari con la morte, una continua perdita di sé ed uno strenuo attaccamento alla vita.

Questo è un libro sulla perdita, sui legami, sulla necessità di ognuno di noi di continuare a danzare, a vivere, qualunque cosa accada, senza fermarsi “fino a lasciare tutti a bocca aperta”. Scritto con la solita apparente levità degli autori giapponesi, questo è un libro profondo che ci induce a riflettere sulla nostra vita e sulle nostre scelte e, inevitabilmente, sui cambiamenti necessari per continuare a stare a galla, per mantenere il contatto con la realtà. Lettura consigliata.

 

Opera recensita: “Dance dance dance” di Haruki Murakami

Editore: Einaudi, prima ed. 1988

Genere: narrativa giapponese

Ambientazione: Giappone-Hawaii

Pagine: 500

Prezzo: 13,50 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8,5.

 

venerdì 23 marzo 2018

RECENSIONE: YEONSEO LEE, DAVID JOHN - LA RAGAZZA DAI SETTE NOMI. LA MIA FUGA DALLA COREA DEL NORD


Sinossi:

Come tutti i bambini cresciuti nella Corea del Nord anche Hyeonseo Lee pensa, che il suo paese sia "il migliore del mondo". È una "brava comunista", studia

le gesta leggendarie del Caro Leader Kim Il-sung, partecipa alle coreografie di massa organizzate dal Partito e crede che la Corea del Sud, l'acerrimo

nemico, sia un paese poverissimo, pieno di senza-tetto, dove la gente muore per le strade e gli odiati yankee si divertono a prendere a calci bambini e

disabili. Per lei, proveniente da una famiglia della classe media "leale" nei confronti del regime, le cose cambiano all'improvviso quando, nel 1994, la

Corea del Nord viene sconvolta da una terribile carestia. È allora, nel vedere molti suoi connazionali morire di fame o sopravvivere a stento cibandosi

di erba, insetti e corteccia d'albero, che Hyeonseo, appena diciassettenne, comincia a interrogarsi sulla reale natura del proprio paese e a dubitare delle

verità confezionate dalla propaganda. Ed è allora che si accorge che al di là del confine, in Cina, poco lontano dalla sua casa di Hyesan, le luci non

si spengono mai. E che forse, dall'altra parte del fiume ghiacciato, un'altra vita è possibile. Comincia così la storia di una rocambolesca fuga da una

dittatura spietata e corrotta, una fuga che la porterà dapprima a vivere da illegale nella Cina del tumultuoso sviluppo economico, e in seguito a Seul,

la capitale del Sud, dove riuscirà a condurre la sua famiglia dopo un avventuroso viaggio di oltre duemila chilometri attraverso il Sudest asiatico.

 

Commento:

Yeonseo è una ragazza nord-coreana nata e cresciuta sotto il regime della dinastia Kim, un regime totalitario e totalizzante basato sulla venerazione spasmodica dei suoi governanti, sulla lealtà al regime – con tanto di autocritica e denuncia dei propri vicini alla polizia segreta -, sulla propaganda pro governo e sulla denigrazione del resto del mondo. Quando, però, nel 1994 le cose cambiano e il benessere è sostituito dalla carestia, la giovane Yeonseo comincia a sentire l’esigenza di vedere altri posti, di andare al di là del fiume. Non sa ancora che, una volta attraversato, quel confine diventerà per lei invalicabile impedendole di tornare a casa e costringendola ad una vita di fughe, diffidenza, continui cambi di identità. Yeonseo, infatti, è solo l’ultimo dei suoi sette nomi, l’unico che si è scelta una volta giunta in Corea del Sud, il Paese che forse potrà darle un’opportunità di vivere la sua vita liberamente. Questa è la storia di una vita in viaggio, cominciata con i trasferimenti di città in città all’interno della Corea che Yeonseo e la sua famiglia era costretta a fare per seguire il padre nel suo lavoro di ufficiale, proseguita con il viaggio nel mondo e dentro di sé che la ragazza intraprende una volta fuggita da casa e che la porterà in luoghi che non avrebbe mai immaginato. Il calvario e il suo viaggio continua quando Yeonseo cerca di ricongiungersi con la sua famiglia e di portarla a Seul e, l’ultima tappa più felice, è quella che la ragazza fa ogni volta che è invitata all’estero per raccontare la sua storia di transfuga, una storia di un popolo che ha patito e patisce le più grandi umiliazioni, la cui mente e la cui cultura è stata plasmata da un regime oscurantista e terribile.

Questa storia è racchiusa in un libro e raccontata a noi dalla sua viva voce in una testimonianza preziosa che ci impedisce di dimenticare, di girarci dall’altra parte e che ancora una volta colpisce e lascia increduli davanti all’abiezione umana. Lettura consigliata, ovviamente, anche se a livello emotivo mi ha coinvolto meno di quanto mi aspettassi.

 

Opera recensita: “La ragazza dai sette nomi. La mia fuga dalla Corea del Nord” di Yeonseo Lee e David John

Editore: Mondadori, 2015

Genere: autobiografia

Ambientazione: Corea-Cina

Pagine: 350

Prezzo: 20,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

lunedì 19 marzo 2018

RECENSIONE: BRAM STOKER - DRACULA


Sinossi:

Scritto da Bram Stoker nel 1897 in forma di stralci di diari e di lettere, "Dracula" è uno degli ultimi, se non l'ultimo, tra i grandi romanzi gotici.

Creatura potente e inquietante, apparentemente immortale, in grado di padroneggiare poteri inimmaginabili, il conte-vampiro Dracula è un personaggio che

dalla storia è passato direttamente al mito. Quella che lo vede protagonista, impegnato nel tentativo di reclutare un esercito di non-morti nella popolosa

Londra di fine Ottocento, è una vicenda dominata da atmosfere cupe e da personaggi oscuri, in cui l'orrore e la minaccia, sempre ben presenti, assillano

i protagonisti in un crescendo di emozioni che li conduce alle soglie dell'incubo. Prefazione di Vittorino Andreoli.

 

Commento:

Una delle caratteristiche che apprezzo di più nei romanzi inglesi dell’Ottocento è il fatto che molti siano scritti in forma autobiografica o di diario o corrispondenza. Questo stile di scrittura consente all’autore di trasmetterci le sensazioni dei personaggi in una forma più intensa e potente di quanto consenta la terza persona. Questo è accaduto anche con “Dracula” di Bram Stoker, pubblicato per la prima volta nel 1897. La storia è arcinota: il giovane avvocato inglese Jonathan Arker viene inviato dal suo capo in Transilvania per curare gli interessi del facoltoso e misterioso conte Dracula che ha un castello in quella regione e che sembra interessato a trasferirsi a Londra. Ben presto Arker, intelligente ed arguto, comincia a notare svariate stranezze e col passare dei giorni capisce di trovarsi solo e prigioniero del conte. Ancora non lo sa, ma da questo suo viaggio si origineranno dolori e sciagure alle quali bisogna porre fine. Per farlo sarà necessario il coraggio e la sapienza di uomini e donne intrepidi che si uniranno in un’avventura che porterà certamente alla morte e alla fine di qualcuno… resta solo da capire di chi! L’eterna lotta tra bene e male, tra Dio e diavolo, tra la luce del giorno e l’oscurità della notte…

Un classico stupendo, un romanzo senza tempo che, anche a distanza di secoli, terrorizza e appassiona. Un bellissimo esempio di letteratura gotica nonché una fonte di ispirazione continua per registi e scrittori di horror. Lettura scorrevole e coinvolgente, unica pecca una certa frettolosità nel finale che, dopo tante peregrinazioni ed elucubrazioni, avrei immaginato più corposo. Ad ogni modo, classico certamente consigliato!

 

Opera recensita: “Dracula” di Bram Stoker

Editore: Bur-Feltrinelli-Einaudi-Newton Compton, prima ed. 1897

Genere: romanzo gotico, letteratura inglese

Ambientazione: Transilvania (Romania)-Inghilterra

Pagine: 499 (ed. Bur 2014)

Prezzo: 9,50 € (ed. Bur 2014)

Consigliato: sì

Voto personale: 9

 

mercoledì 14 marzo 2018

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - LA CONSULENTE


Sinossi:

Ambientato in una New York torbida e scintillante, il nuovo libro di Jeffery Deaver è un thriller pieno di personaggi e situazioni inedite, di tensione

e di atmosfera.

La giovane Taylor Lockwood divide le sue giornate tra il lavoro di praticante in un prestigioso studio legale di New York e le serate come pianista jazz

nei locali più pittoreschi della città. Ma la sua vita cambia all’improvviso quando uno degli avvocati dello studio, l’intrigante Mitchell Reece, le affida

un compito a dir poco delicato: scoprire chi ha rubato il prezioso documento che potrebbe distruggergli la carriera e mandare a rotoli un affare milionario.

Sedotta dal fascino dell’imperscrutabile Reece, Taylor accetta l’incarico. Ma più scava nei segreti della Hubbard, White & Willis, più la posta in gioco

si fa alta: perché qualcuno è disposto a tutto pur di veder realizzati i propri sinistri piani, e la sete di verità che sprona Taylor a proseguire nelle

indagini rischia ogni ora di più di esserle fatale. In una New York torbida e scintillante, tra i jazz club pieni di fumo e gli asettici palazzi in cui

si gioca la spietata partita del potere, il grande Deaver dà vita a un thriller pieno di personaggi e situazioni inedite, di tensione e di atmosfera.

 

Commento:

Jeffery Deaver è un ex avvocato e in questo thriller ci racconta il mondo da cui proviene e che, quindi, conosce bene. E’ proprio in un prestigioso studio legale newyorkese, infatti, che si snoda l’intrigo tra gli intrighi: in un ambiente ostile e competitivo ancor più funestato da smottamenti interni che mettono capi e soci l’un contro l’altro armato, una cambiale milionaria viene trafugata dallo studio di uno degli associati. Costui decide di non coinvolgere la polizia o i vertici dello studio e di cominciare a cercare il vitale documento coinvolgendo una praticante, Taylor Lockwood. I due lavorano bene insieme, sono affiatati e sboccia anche una passione, ma il ladro è sfuggente e ben organizzato e sembra più difficile da stanare di quanto avessero previsto: i rischi, infatti, sono ben più alti di quanto entrambi credessero. Fra intrighi e complotti questo thriller ci porta nelle stanze segrete in cui si decidono i processi, si stipulano accordi, si smuovono capitali.

Tuttavia… a mio modesto parere questo non è uno dei migliori thriller di Deaver, nonostante sia scritto bene e sia al di sopra degli standard del genere. E’ risaputo che adoro quest’autore, ma fra i tanti che ho letto questo è il suo thriller che finora ho apprezzato meno. Non perché sia – come in effetti è – molto tecnico e freddo; non perché non sia interessante… non mi ha soddisfatta per una ragione che non saprei spiegare. Forse ha influito la scelta della protagonista che non ha nessun’abilità particolare e non si capisce perché la “missione” venga affidata a lei se non perché nello studio ha la reputazione di “una che ha le palle”… Anche la scelta del colpevole, poi, mi ha lasciata perplessa e forse mi è sembrata scontata… Non so, non mi ha convinta e me ne dispiaccio! Tuttavia, sempre di Deaver si tratta, quindi non è assolutamente un brutto libro, anzi, ha dei profili di interesse e tutto sommato è ben congegnato… però, viste le premesse,  mi aspettavo di più.

 

Opera recensita: “La consulente” di Jeffery Deaver

Editore: Rizzoli, 2012

Genere: legal thriller

Ambientazione: New York

Pagine: 466

Prezzo: 19,50 €

Consigliato: sì

Voto personale: 7,5.

 

martedì 13 marzo 2018

RECENSIONE: HANYA YANAGIHARA - UNA VITA COME TANTE


Sinossi:

Una storia epica e magistrale sull’amicizia e sull’amore nel XXI secolo. In una New York sontuosa e senza tempo vivono quattro ragazzi, compagni di college

e di vita, che da sempre sono stati vicini l’uno all’altro. Si sono trasferiti nella grande metropoli da una cittadina del New England, e all’inizio sono

alla deriva e senza un soldo in tasca, sostenuti solo dalla loro amicizia e dall’ambizione. Willem, dall’animo gentile, vuole fare l’attore. JB, scaltro

e a volte crudele, insegue un accesso al mondo dell’arte. Malcolm è un architetto frustrato in uno studio prestigioso. Jude, avvocato brillante e di enigmatica

riservatezza, è il loro centro di gravità. Nei suoi riguardi l’affetto e la solidarietà prendono una piega differente, per lui i ragazzi hanno una cura

particolare, una sensibilità speciale e tormentata, perché la sua infanzia è stata segnata da una serie di violenze, e la sua vita oscilla tra la luce

del riscatto e il baratro dell’autodistruzione. Intorno a Jude, al suo passato, alla sua lotta per conquistarsi un futuro, si plasmano campi di forze e

tensioni, lealtà e tradimenti, sogni e disperazione. E la sua storia diventa quella di un’amicizia arcana e profonda, in cui il limite del dolore e della

disperazione è anche una soglia da cui può sprigionarsi l’energia accecante della felicità. Caso editoriale del 2015, forse il più importante romanzo letterario

dell’anno, opera di rara potenza e originalità, Una vita come tante è doloroso e spiazzante, scioccante e magnetico. Vasto come un romanzo ottocentesco,

brutale e modernissimo per i suoi temi, emotivo e realistico, ha trascinato lettori e critica per la sua forza narrativa, capace di creare un mondo di

profonda, coinvolgente verità.

 

Commento:

E’ difficile descrivere questo libro restando nei canoni dell’obiettività. Prima di cominciare la lettura avevo letto recensioni sostanzialmente unanimi che, in sintesi, lo definivano bello e straziante. Prima di leggerlo non avrei mai immaginato, però, quanto potesse essere bello e straziante: è un pugno nello stomaco, uno schiaffo in pieno viso, una lama sottile che instilla dolore per oltre mille pagine. L’inizio è ingannatore: è anonimo, per nulla interessante, non attira, perché descrive la quotidianità di quattro ragazzi americani alla soglia dei trent’anni, tutti diversi, quattro amici apparentemente normalissimi, come tutti. Ma proprio come ognuno di noi, questi ragazzi hanno un passato che li ha fatti diventare ciò che sono e che, volente o nolente, determinerà le loro scelte future. E così, mentre conosciamo la storia di JB, figlio di immigrati Haitiani che si industria per diventare un artista, di Malcolm – e della sua ingombrante famiglia ricca – che costruisce modellini di case immaginarie nell’attesa di arredare appartamenti bellissimi, di Willelm che fa il cameriere in attesa di una parte in un film, di Jude che non parla mai di sé ma che fa l’assistente procuratore, non possiamo non affezionarci alle loro vite. E senza accorgercene entriamo in una bolla senz’aria e senza tempo, in una sorta di realtà aumentata in cui le pagine si girano da sole, sempre più velocemente, e le mille emozioni e sensazioni dei protagonisti si incollano alla nostra anima. Soffriamo per la morte del fratello di Willelm, per le difficoltà di Jude, per la tenacia di Malcolm e per la sfrontata disperazione di JB, ma quando pensiamo che il dolore abbia raggiunto il limite la soglia si alza e si soffre ancora, e si vive ancora. E mentre gli anni passano e i rapporti cambiano e si raggiungono i trentacinque, i quaranta, i cinquant’anni, la vita va avanti con nuove sorprese, nuove sofferenze, nuove piccole felicità.

Il personaggio centrale del libro, nonché il fulcro dell’amicizia di questi ragazzi, è Jude con tutte le sue insicurezze, i bisogni, il suo esserci per gli altri, le sue manie, la sua intelligenza, il suo passato enigmatico che scopriamo pian piano. Ma il mio personaggio preferito è Willelm, l’amico fedele, la persona che abnegherebbe se stessa per un amico, colui su cui puoi contare e che non ti farebbe mai del male. Willelm è stato una presenza costante nella vita di Jude, sin da quando erano al college, è stato l’amico che tutti vorrebbero, il compagno cui tutti anelerebbero… una figura irrinunciabile, ma con la quale la vita, purtroppo, non è stata magnanima. Ma qui non c’è solo amicizia, non c’è solo amore, non c’è solo sofferenza: c’è la volontà di farcela, di vivere, di sopravvivere, di fidarsi. Si toccano, in questo libro, tanti temi scottanti come la pedofilia, gli abusi sessuali sui minori, la disabilità, l’autolesionismo… tutti motivi che da soli spingerebbero a leggere.

Cosa si può dire ancora? Nulla… solo, leggete questo libro. Parla di tante cose,

lo fa con serietà e senza banalità o sentimentalismo gratuito, è scritto benissimo, è uno spaccato della società americana dei nostri giorni con tutte le difficoltà e le contraddizioni… è una storia che segna e scava nel nostro animo. E pazienza se a fine lettura ci sentiremo scossi o svuotati o ne usciremo con le ossa rotte, pazienza se ci commuoveremo: avremo conosciuto un dolore altrui, avremo provato un’emozione e magari avremo fatto un passo in più verso il nostro, personalissimo dolore che sarà servito a schiarirci le idee.

 

Opera recensita: “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara

Editore: Sellerio, 2016

Genere: narrativa straniera

Ambientazione: New York

Pagine: 1104

Prezzo: 22,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 9,5.

 

venerdì 9 marzo 2018

RECENSIONE: BAHIYYIH NAKHJAVANI - LA DONNA CHE LEGGEVA TROPPO


Sinossi:

Nella Persia del 1800 Tahirih Qurratu'l-Ayn è diversa da tutte: nata in una famiglia benestante, è cresciuta "come un uomo", libera di studiare e imparare.

Bellissima, sensibile e curiosa, scrive poesie e discute di politica, proclama la dignità delle donne. La sua fama di poetessa e ribelle ("strega e puttana"

per chi ne ha paura) è ormai diffusa in tutto il Paese quando, accusata di omicidio, fugge, tenendo in scacco la polizia dello Shah come se potesse prevederne

le mosse. E quando infine viene catturata - dopo aver osato, nell'attimo che la consegna alla Storia, togliersi il velo in pubblico - il suo fascino e

la sua saggezza confondono i persecutori, scatenando l'amore dello Shah e l'ira funesta di sua madre.

 

Commento:

Fughiamo da subito ogni dubbio. Questo libro non mi è piaciuto, ha deluso molto le mie aspettative, non lo consiglio e me ne dispiaccio.

Mi dispiace soprattutto perché poteva essere l’occasione giusta per raccontare una storia davvero troppo poco conosciuta, quella di una donna sospesa tra realtà e mito, una donna diversa dalle altre in un contesto culturale prettamente “maschio centrico”… ma non è stato così. Questa storia è relegata nell’ultima parte del libro, soffocata fra intrighi politici, giochi di potere, una miscellanea di eventi raccontati in modo altalenante e di punti di vista che finiscono per intrecciarsi in un groviglio complicato del quale, a dire il vero, avrei fatto a meno. Qui avrebbe dovuto essere raccontata la storia della poetessa di Kasbyn, una ribelle, giudicata eretica, strega, puttana, ammaliatrice, una donna coraggiosa ed indomita che alle donne che incontrò insegnò a leggere se stesse, le proprie vite e quelle degli altri e a scriverne perché rimanesse traccia di loro al mondo.

Invece ci ritroviamo a leggere il racconto frammentato degli eventi occorsi durante la prigionia della poetessa nella casa del primo notabile a Teheran, dal punto di vista di varie donne in qualche modo coinvolte. Se pure questo libro avrebbe potuto essere utile a tracciare un quadro della condizione femminile nella Persia ottocentesca, questo risulta nebuloso e per nulla innovativo: non aggiunge né toglie nulla a ciò che personalmente già conoscevo sulla condizione della donna nei Paesi islamici in tempi relativamente antichi.

Per me una lettura deludente, dunque, su tutta la linea… peccato, perché la storia della poetessa di Kasbyn sembra davvero interessante e degna di attenzione.

 

 

Opera recensita: “La donna che leggeva troppo” di Bahiyyih Nakhjavani

Editore: Bur, 2007

Genere: narrativa straniera-romanzo storico

Ambientazione: Persia (Iran) 1849-1896

Pagine: 426

Prezzo: 9,90 €

Consigliato: no

Voto personale: 5

 

mercoledì 7 marzo 2018

RECENSIONE: ELIZABETH GILBERT - MANGIA, PREGA, AMA


Sinossi:

Liz è bella, bionda, solare; ha una grande casa a New York, un matrimonio perfetto, un lavoro invidiabile. Eppure, in una notte autunnale, si ritrova in

lacrime sul pavimento del bagno, con l'unico desiderio di essere mille miglia lontana da lì. Quella notte, Liz capisce di non volere niente di tutto quello

che ha, e fa qualcosa di cui non si sarebbe creduta capace: si mette a pregare. Come reagireste se Dio (o qualcosa che gli assomiglia) venisse a toccarvi

il cuore e la mente, non per invitarvi alla pazienza e alla rassegnazione, ma per dirvi che avete ragione, quella vita non fa per voi? Probabilmente fareste

come Liz: tornereste a letto, a pensarci su. A raccogliere le forze, perché il bello deve ancora venire. Un amarissimo divorzio, una tempestosa storia

d'amore destinata a finir male e, in fondo, uno spiraglio di luce: un anno di viaggio alla scoperta di sé. In questo irresistibile diario-confessione,

Elizabeth Gilbert ci racconta le tappe della sua personalissima ricerca della felicità: l'Italia, dove impara l'arte del piacere, ingrassa di 12 chili

e trova amici di inestimabile valore; l'India, dove raggiunge la grazia meditando in compagnia di un idraulico neozelandese dal dubbio talento poetico;

e l'Indonesia, dove uno sdentato sciamano di età indefinibile le insegna a guarire dalla tristezza e dalla solitudine, a sorridere e a innamorarsi di nuovo.

"Mangia prega ama" è la storia di un'anima irrequieta, con cui è impossibile non identificarsi.

 

Commento:

Ecco, la storia narrata in questo libro è riassunta in modo abbastanza esaustivo nella quarta di copertina. A me resta giusto qualche considerazione personale che può essere sintetizzata in due frasi:

1.       Buona idea, ma realizzazione discutibile;

2.       Una “palla” unica – concedetemi il termine – ma con tanti buoni spunti di approfondimento.

In generale non amo le autobiografie, specie se poi non riguardano personaggi che hanno avuto una qualche valenza storica o letteraria o culturale per il mondo; tuttavia la storia di rinascita di questa scrittrice americana che trova il coraggio di affrontare i suoi demoni e partire alla ricerca di se stessa mi aveva intrigato. Ed in effetti gli stimoli per approfondire ci sarebbero tutti: la meditazione, la ricerca di un equilibrio tra piacere e devozione, l’amore per la cucina, la volontà di trovare il proprio personale posto nel mondo. Durante la lettura, però, mi sono chiesta più volte se fosse necessario dilungarsi così tanto, mi sono augurata che il tutto finisse presto e bene… e questi pensieri mi hanno distratta e non mi hanno consentito di apprezzare a pieno neppure quegli stimoli che altrimenti avrei colto molto più a fondo.  In definitiva io questo libro l’ho trovato interessante, ma davvero troppo, troppo, troppo lungo e prolisso! Indubbiamente leggere quest’autobiografia vuol dire intraprendere con l’autrice un viaggio difficile e tortuoso perché incentrato sul suo vissuto personale, ma questa lettura presenta anche dei “Pro”: può essere d’esempio per chi si trovi in una situazione simile a quella della Gilbert, in verità tutt’altro che inconsueta. Perciò… consigliato? Sì, ma con cautela.

 

 

Opera recensita: “Mangia, prega, ama” di Elizabeth Gilbert

Editore: Bur, prima ed. 2007

Genere: autobiografia

Ambientazione: America-Italia-India-Indonesia

Pagine: 376

Prezzo: 10,00 €

Consigliato: sì/no

Voto personale: 7,5

 

sabato 3 marzo 2018

RECENSIONE: ALEXANDRE DUMAS - IL CONTE DI MONTECRISTO


Sinossi:

Ambientato nella Francia della Restaurazione e della monarchia di Luigi Filippo, tra il 1815 e il 1839, "Il conte di Montecristo" è la storia di un'ingiustizia

subita, riscattata da una vendetta portata alle sue estreme conseguenze. È anche una storia di onnipotenza: Edmond Dantès, vittima innocente dell'invidia

dei suoi calunniatori, li distrugge sul loro stesso terreno, li "suicida" utilizzando gli stessi strumenti grazie ai quali sono diventati ricchi e potenti.

Come un moderno supereroe, nella sua vendetta riassume in sé il bene e il male, si confronta con i limiti stessi della condizione umana, superandola: la

vittoria è giusta ma amara, la vera liberazione è sempre oltre, altrove.

 

Commento:

Cosa si può dire di questo capolavoro che non ne riduca il pregio e la bellezza? Non lo so, davvero: l’unica cosa che so è che credevo di trovarmi davanti ad un classico oscuro, ostico, impegnativo, che mi avrebbe portato via molti giorni difficili, invece ho scoperto un’opera di una piacevolezza sconcertante che ho divorato in tre giorni e che annovero ora fra i miei libri preferiti. Siamo di fronte ad un capolavoro, l’ho già scritto, perché non c’è fra queste tante pagine una che avrei voluto saltare, non c’è stato neanche un momento, durante la lettura, nel quale ho pensato:”Va beh, quando finisce questo passaggio?”, semplicemente ho cominciato a leggere e non ho più smesso.

Edmond Dantès, il Conte di Montecristo, il protagonista di questo libro, è un uomo tradito, un buono, un giovane che aveva davanti a sé un futuro radioso, la promessa di diventare comandante di un bastimento, l’amore di un padre e della donna amata. Proprio nel giorno più bello, quello nel quale l’avrebbe sposata, è stato arrestato e rinchiuso in una prigione isolata e terribile per colpa dell’invidia e dell’ambizione di coloro che credeva amici e che avrebbero dovuto tutelarlo. Ha desiderato morire, ha conosciuto il dolore più oscuro, ma nel momento più tetro ha incontrato un uomo, un abbate creduto pazzo e rinchiuso ingiustamente, che l’ha salvato infondendogli speranza, ricchezza e conoscenza. L’uomo che è uscito dalla prigione era un uomo diverso, pronto a vendicarsi di chi gli aveva provocato tanta sofferenza. Per farlo ha atteso, ha lavorato su di sé e sul destino, lo ha modificato pazientemente secondo il suo volere e, soprattutto, guidato dal volere di Dio. Il risultato di questo piano è stato ben più grande di quanto sperasse, perché l’attesa e la speranza hanno in parte modificato i suoi propositi e corretto i suoi errori.

La lettura di questo romanzo è un’esperienza avvincente ed entusiasmante, i personaggi sono caratterizzati in modo superbo, gioie e tribolazioni non mancano… che dire ancora? Se non l’avete ancora fatto, leggetelo! Io lo rifarò.

 

Opera recensita: “Il Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas

Editore: Garzanti-Bur, prima ed. originale 1844

Genere: narrativa straniera, letteratura francese

Ambientazione: Francia-Italia

Pagine: 1313 (ed. Garzanti 2012)

Prezzo: 19,50 € (ed. Garzanti 2012)

Consigliato: sì

Voto personale: 10.

 

RECENSIONE: JOSH SUNDQUIST - INSEGNAMI A VEDERE L'ALBA


Sinossi:

L'amore è più di quel che vedono gli occhi.

Will, pur essendo cieco dalla nascita, decide di frequentare un liceo pubblico, vincendo i timori della madre iperprotettiva. Inizia così un'esilarante

tragicommedia: in mensa si siede sulle gambe di un compagno, una ragazza ha una crisi di nervi convinta che lui la stia fissando... Per riparare, Will

si offrirà di aiutarla a scrivere un articolo su una mostra di Van Gogh: impresa difficilissima, perché a Will mancano totalmente il concetto di prospettiva,

di colore, e Cecil deve spiegargli ciò che vede evitando qualsiasi metafora visiva.

Quando a Will viene offerta la possibilità di affrontare un'operazione sperimentale che potrebbe ridargli la vista, il padre, medico, cerca di dissuaderlo

perché i casi di successo sono rarissimi e le ricadute psicologiche spesso pesantissime. Ma Will decide di rischiare e le conseguenze, seppur inaspettate

e difficili da superare, gli rivoluzioneranno meravigliosamente la vita.

 

Commento:

Ecco. Questo è il classico libro apparentemente semplice, ma in realtà complessissimo da analizzare. E’ semplice nella storia, lineare e tutto sommato abbastanza prevedibile; è semplice nel linguaggio che si adatta al protagonista-narratore adolescente; non è semplice, invece, per il tema trattato, la cecità e l’amore, e per le tante sfaccettature che porta con sé.

Will è un sedicenne non vedente che si trasferisce in una scuola pubblica, entrando così per la prima volta in contatto con il mondo dei normovedenti, un mondo completamente diverso dagli ambienti protetti della famiglia e della scuola per ciechi cui è stato abituato finora. Will deve quindi affrontare le difficoltà che astrattamente affronta chiunque si inserisca in un ambiente totalmente nuovo e sconosciuto e, soprattutto, già affiatato: l’atteggiamento scostante o impacciato o perplesso o incredulo o stupefatto degli altri, nonché le proprie personali perplessità o incertezze. Will poi si trova in una fase della vita, l’adolescenza, in cui per natura ci si sente più insicuri e si dà un gran peso a ciò che gli altri pensano/vedono di noi. Il mix di tutte queste variabili lo fa apparire insicuro, a tratti lamentoso, a volte troppo irritabile e fondamentalmente concentrato su se stesso, ma in realtà Will, anche se non ne è consapevole, racchiude in sé tutte le normali caratteristiche di un adolescente medio, a prescindere che sia cieco, sordo, anoressico/bulimico, omosessuale, musulmano o magrebino (sono esempi, tanto per capirci). Infatti, come ogni adolescente medio, ha conflitti con i genitori, ha difficoltà ad entrare in un gruppo, sente i primi bollori del corpo e vive i primi travagli amorosi. Tutto peggiora quando a Will viene prospettata la possibilità di sottoporsi ad un complicato intervento che potrebbe ridargli la vista, ma potrebbe anche non funzionare. In definitiva abbiamo qui un ragazzo normalissimo, con problemi normalissimi, che è sottoposto ad un’ulteriore prova che, a prescindere da come andrà, gli insegnerà tanto su di sé e su chi lo circonda.

Detto questo, alcune considerazioni personali: pur essendo non vedente, quindi conoscendo gran parte delle problematiche riscontrate da Will, quello che dirò si riferisce alla mia esperienza ed al mio sentire personale che certamente differisce da quello di molti altri ciechi per le ragioni più disparate. Ho trovato Will troppo, troppo, troppo concentrato su se stesso e sulla propria cecità; l’idea dell’autore di fargli incontrare il mondo a sedici anni, dopo aver vissuto per tanto tempo nell’ambiente protetto della scuola per ciechi, poi, è comprensibile ma discutibile: personalmente credo che l’approccio sia avvenuto troppo tardi, forse per un bambino sarebbe stato più facile e naturale adattarsi e specularmente lo sarebbe stato anche per gli altri compagni; l’adolescenza è già difficile di suo, non avrei messo sulle spalle virtuali di questo ragazzo tutti questi carichi, sarebbe bastato l’intervento. Senza contare che il distacco in un’età precedente avrebbe reso più sicura anche la madre, davvero troooppo protettiva, ai limiti dell’assillante. Ho trovato carino il personaggio di Cecil, anche se forse conteneva un potenziale non sfruttato al meglio.

Detto questo – e tornando a soffermarci sul libro – credo che sia stato un tentativo riuscito di parlare di cecità, amore, adolescenza senza scadere nel pietismo o buonismo che proprio non ci piace. Il libro, come dicevo, è scritto in un linguaggio semplice, ma si avverte la profonda ricerca fatta dall’autore; è pregevole allo scopo la bibliografia riportata a fine libro. Non è mai facile affrontare temi come questo e direi che, tutto sommato, Josh Sundquist ci è riuscito senza fare troppi danni e risultando anche divertente qualche volta. Già questo è un gran merito.

Consiglio questo libro? Beh, direi di sì, sia a chi è vedente perché certamente scoprirà qualcosa che non sa, sia a chi non vede perché fa sempre bene confrontarsi con esperienze diverse dalla nostra, anche se si tratta di storie inventate.

 

Opera recensita: “Insegnami a vedere l’alba” di Josh Sundquist

Editore: Giunti, 2017

Genere: narrativa straniera

Ambientazione: Stati Uniti

Pagine: 264

Prezzo: 13,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 7.