simposio lettori copertina

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martedì 29 maggio 2018

RECENSIONE: LAETITIA COLOMBANI - LA TRECCIA


Sinossi:

INDIA. Smita è un’intoccabile; per sopravvivere, raccoglie escrementi a mani nude. Il suo è un mestiere che si tramanda di generazione in generazione,

e che lei ha accettato, sopportando in silenzio. Ma sua figlia non seguirà le sue orme. No, lei andrà a scuola, imparerà a leggere e a scrivere, farà grandi

cose. Per offrirle un futuro migliore, Smita sfiderà il mondo. ITALIA. Giulia adora lavorare per suo padre, proprietario dell’ultimo laboratorio di Palermo

in cui si confezionano parrucche con capelli veri. Un giorno, lui ha un incidente e Giulia scopre che l’azienda è sull’orlo del fallimento. Ma lei non

si scoraggia. Per salvare il laboratorio, Giulia guiderà una rivoluzione. CANADA. Sarah è un avvocato di successo. Sull’altare della carriera, ha sacrificato

tutto: due matrimoni, il tempo per i figli e soprattutto per sé. Poi, però, nel bel mezzo di un’arringa, Sarah sviene e niente sarà più come prima. Per

vincere la battaglia, Sarah dovrà scegliere per cosa vale la pena lottare. Smita, Giulia e Sarah non si conoscono, eppure condividono la stessa forza,

la stessa determinazione nel rifiutare ciò che è toccato loro in sorte. Come fili invisibili, i loro destini s’intrecceranno indissolubilmente, dando loro

la possibilità di vivere con orgoglio, fiducia e speranza.

 

Commento:

Tre donne, tre paesi diversi, tre diverse manifestazioni di coraggio e voglia di farcela.

Sembrerà banale e retorico, ma qualcuno ha detto che una volta toccato il fondo non si può far altro che risalire. Le storie raccontate in questo libro dimostrano proprio questo. Lo dimostra il coraggio di Smita che sfida gli usi barbari del suo Paese, l’India, in cui una donna intoccabile è considerata peggio degli escrementi che raccoglie per lavoro e che intraprende un viaggio rischiosissimo per non dare a sua figlia Lalita il suo stesso futuro - pulire le latrine delle case dei ricchi – ma garantirle un’istruzione.

Lo dimostra l’intraprendenza di Giulia che, di fronte al fallimento del piccolo laboratorio di famiglia e al tracollo delle vite di molte persone, tenta il tutto per tutto imbarcandosi in una nuova impresa ed in una nuova vita, al di là della ritrosia e della diffidenza mascherata da attaccamento alle tradizioni.

Lo dimostra il coraggio di Sarah che in pochi mesi vede sgretolarsi le certezze professionali che ha costruito mattone dopo mattone, isolata e discriminata per una malattia che la porta inesorabilmente verso la morte. Sarah trova il coraggio di ribellarsi, di risalire la china, di riprendersi ogni singolo attimo della sua vita.

Queste donne non si conoscono, non sanno l’una dell’esistenza delle altre, non si incontreranno mai, ma c’è qualcosa che le lega: il coraggio e i capelli. Sì, i capelli, che Smita dona in segno di riconoscenza, che Giulia confeziona e che Sarah indossa per cominciare la sua battaglia verso la risalita.

Detta così, forse questa sembra una storia inverosimile, ma vi assicuro che è plausibilissima e davvero emozionante. Questo libro è una finestra su tre diversi modi di intendere la vita, tre diverse realtà femminili ed insieme un’iniezione di energia, di coraggio, di voglia di lottare. Lo consiglio caldamente, specie alle donne.

Opera recensita: “La treccia” di Laetitia Colombani

Editore: Nord, 2018

Genere: narrativa internazionale

Ambientazione: India-Sicilia-Kanada

Pagine: 284

Prezzo: 16,90 €

Consigliato: sì

Voto personale: 9

 

domenica 27 maggio 2018

RECENSIONE: RAGNAR JONASSON - L'ANGELO DI NEVE


Sinossi:

Siglufjörður, cittadina di pescatori nel punto più a nord dell'Islanda, accessibile dal resto del paese solo attraverso un vecchio tunnel, è soffocata

dalla morsa dell'inverno. La temperatura è ben al di sotto dello zero, il vento scuote le tegole, e la neve che cade incessante da giorni la fa sembrare

un luogo incantato dove tutto può succedere. Finché qualcosa di inaspettato succede davvero. Una giovane donna viene ritrovata in un giardino priva di

sensi, in una pozza di sangue. Un vecchio scrittore muore nel teatro locale in seguito a una caduta. Ari Þór, ex studente di teologia diventato poliziotto

quasi per caso, si immerge nell'indagine malvolentieri, stretto tra la nostalgia della fidanzata rimasta a Reykjavík e la diffidenza di una comunità che

fa fatica ad accoglierlo. In un clima di tensione claustrofobico, dovrà imparare a farsi largo tra l'attenzione morbosa della stampa e i segreti dei residenti,

a convivere con le bufere sferzanti e a trovare la strada della verità in un buio senza fine.

 

Commento:

In una cittadina della costa settentrionale islandese dove tutti sanno tutto e si conoscono, un anziano scrittore, personalità conosciuta e non proprio amata da tutti, viene ritrovato morto nel teatro di cui è direttore. Il capo della polizia è portato a minimizzare e parla d’incidente, ma quando, poco tempo dopo, una giovane donna viene ritrovata in una pozza di sangue nella neve è evidente che qualcosa di strano sta accadendo. Ari Tor, giovane poliziotto appena arrivato in città l’ha capito da subito e non può fare a meno di indagare. Pian piano vengono a galla segreti vecchi e nuovi degli abitanti della piccola città, restii a parlare con i forestieri e propensi a coprirsi minimizzando e dimenticando le stranezze. A complicare le indagini rendendo il posto ancor più claustrofobico, c’è la neve, tanta neve, che da abbraccio familiare si trasformerà in minaccia incombente.

Un giallo appassionante e davvero ben scritto, non cruento ma comunque inquietante e con un’ambientazione fantastica, tra il fiabesco e l’allarmante. Davvero lineare la prosa di Jonasson che senza colpi di scena eccessivi o complicati intrecci sviluppa una storia credibile e sobria, ottimo inizio di una serie che sembra interessante. Lettura certamente consigliata.

 

Opera recensita: “L’angelo di neve” di Ragnar Jonasson

Editore: Marsilio, 2017

Genere: giallo

Ambientazione: Islanda

Pagine: 286

Prezzo: 18,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8,5

 

sabato 26 maggio 2018

RECENSIONE: EMANUELA CANEPA - L'ANIMALE FEMMINA


Sinossi:

Rosita è scappata dal suo malinconico paese, e dal controllo asfittico della madre, per andare a studiare a Padova. Sono passati sette anni e non ha concluso

molto. Il lavoro al supermercato che le serve per mantenersi l'ha penalizzata con gli esami e l'unico uomo che frequenta, al ritmo di un incontro al mese,

è sposato. Ma lei è abituata a non pretendere nulla. La vigilia di Natale conosce per caso un anziano avvocato, Ludovico Lepore. Austero, elegante, enigmatico,

Lepore non nasconde una certa ruvidezza, eppure si interessa a lei. La assume come segretaria part time perché possa avere piú soldi e tempo per l'università.

In ufficio, però, comincia a tormentarla con discorsi misogini, esercitando su di lei una manipolazione sottile. Rosita la subisce per necessità, o almeno

crede. Non sa quanto quel rapporto la stia trasformando. Non sa che è proprio dentro una gabbia che, paradossalmente, si impara a essere liberi.

 

Commento:

Ho cominciato a leggere questo libro senza leggere la quarta di copertina, attratta dai commenti positivi di voci autorevoli e dal titolo: sì, il termine “femmina” ha su di me un effetto di repulsione ed attrazione inspiegabile. Non sapevo assolutamente, quindi, a cosa sarei andata incontro. E non l’ho saputo fino alla fine della lettura. Emanuela Canepa ci racconta in queste pagine una storia realistica, smaliziata, singolare eppure comune: una ragazza oppressa da una madre che assilla e non ascolta, una facoltà impegnativa e le grosse difficoltà a combinare qualcosa ed a mantenersi, un lavoro che arriva per caso, con una tempistica provvidenziale quanto inquietante.

Ed inquietante si rivela essere anche il singolarissimo capo di Rosita, la protagonista di questa storia: l’avvocato Ludovico Lepore le era parso da subito magnetico e vagamente sinistro, un uomo ricco, burbero, non abituato a trattare o a chiedere. Da quando comincia a lavorare per lui, però, Rosita si rende conto che l’anziano avvocato è un misogino senza possibilità di redenzione ed è sempre più combattuta tra la volontà di andarsene, rispondergli a tono e cominciare tutto da capo fuori da lì e la necessità di lavorare, studiare, non tornare al paesino nel casertano da cui è fuggita sette anni prima.

Rosita si sente in trappola e finisce per accettare una richista particolare che Lepore le presenta come una proposta di liberazione… all’ultimo momento però qualcosa scatta in lei, qualcosa che avrà conseguenze anche per il suo capo.

Un libro enigmatico, non banale, una storia tormentata dalla quale, fino alla fine, non si sa bene cosa aspettarsi. Tutto è basato sull’equilibrio dei sentimenti, sulla capacità di scegliere per il proprio bene e decidere cosa fare della propria vita. Una storia che ci mette di fronte all’incognita insoluta dell’amore e del potere che vogliamo dare a chi amiamo nella nostra vita.

Lettura consigliata perché fornisce interessanti stimoli di approfondimento e spunti su cui riflettere.

 

Opera recensita: “L’animale femmina” di Emanuela Canepa

Editore: Einaudi, 2018

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Padova

Pagine: 272

Prezzo: 17,50 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

venerdì 25 maggio 2018

RECENSIONE: IRVIN D. YALOM - IL SENSO DELLA VITA


Sinossi:

«Ascoltate i vostri pazienti; lasciate che siano loro a insegnare a voi. Per diventare saggi dovete rimanere studenti». Queste parole di John Whitehorn,

suo mentore negli anni giovanili trascorsi al Johns Hopkins Hospital di Baltimora, sono risuonate a lungo nella mente di Irvin D. Yalom. Ne ha, però, pienamente

afferrato la verità soltanto quando, nel corso degli anni, si è imbattuto in alcuni casi clinici che si sono mostrati più rivelatori per lui – l’analista,

il medico – che per il paziente in cura. Le sei storie contenute in questo volume narrano di questa scoperta. Toccano momenti cruciali dell’esistenza,

come nel caso di Paula, una malata terminale che svela a Yalom come la paura sia soltanto uno dei tanti colori che illuminano il nostro lungo addio alla

vita. Concernono i nodi fondamentali dello sviluppo e della formazione della personalità, come nel caso di Magnolia, una settantenne afroamericana che,

confessando le proprie delusioni e il proprio passato di figlia abbandonata, offre all’autore l’occasione per riflettere sulla relazione con la propria

madre; o come nel caso di Myrna, in cui il confronto con i rispettivi lutti genitoriali giunge, per paziente e medico, attraverso una vicendevole attrazione

erotica. Riguardano i disturbi della sfera emotiva, come nella vicenda di Irene, un chirurgo intelligente e di successo, che si scopre incapace di superare

la morte del marito utilizzando le sole armi del suo raziocinio.

Selezionando sei storie tra le tante affiorate nei suoi cinquant’anni di pratica analitica,

Yalom conduce il lettore lungo i sentieri delle emozioni umane, così come si rivelano nell’affascinante e complessa relazione tra paziente e psichiatra.

E, attraverso una scrittura capace di affrontare con levità i temi del lutto, del dolore e della perdita, ma anche quelli del coraggio, della guarigione

e dell’autoconsapevolezza, tesse, come Oliver Sacks, i labirintici fili della coscienza in un arazzo molto più ricco e solenne.

 

 

Commento:

Sei racconti, sei storie selezionate tra le tante vissute da psicoterapeuta. E’ questo il modo con cui Irvin Yalom tenta di spiegarci la sua personale accezione del tanto cercato “senso della vita”. Ed il tentativo risulta convincente e, sorpresa delle sorprese, davvero utile. I temi affrontati sono, tendenzialmente, legati alla morte: la morte non è vista qui come aspetto negativo, ma come fatto della vita, qualunque sia la causa per la quale noi vi entriamo in contatto. La perdita di una persona cara, i conti in sospeso che abbiamo con lei, la malattia – nostra o di chi ci è vicino – sono tutti fenomeni naturali che, per quanto faccia male e sia difficile, dobbiamo interiorizzare e superare fino ad arrivare all’accettazione che, un giorno, anche noi dovremo morire.

E’ questo, in estrema e banale sintesi, il tema centrale che Yalom affronta in questo libro. Il bello è che lo fa in modo assolutamente naturale, godibile, interessante, portandoci non solo ad apprezzare le storie raccontate, ma anche a porci degli interrogativi su noi stessi e su ciò che ci circonda. Una lettura davvero stimolante e per nulla “pesante” o banale, come avrebbe rischiato di diventare stando al titolo.

Personalmente consiglio questo libro, ho apprezzato molto la scrittura di Yalom e leggerò certamente ancora di lui.

 

 

Opera recensita: “Il senso della vita” di Irvin D. Yalom

Editore: Neri Pozza, 2016

Genere: raccolta di racconti

Ambientazione: California, Stati Uniti

Pagine: 304

Prezzo: 17,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8,5.

 

giovedì 24 maggio 2018

RECENSIONE: MICHEL BUSSI - NINFEE NERE


Sinossi:

A Giverny in Normandia, il villaggio dove ha vissuto e dipinto il grande pittore impressionista Claude Monet, una serie di omicidi rompe la calma della

località turistica. L'indagine dell'ispettore Sérénac ci conduce a contatto con tre donne. La prima, Fanette, ha 11 anni ed è appassionata di pittura.

La seconda, Stéphanie, è la seducente maestra del villaggio, mentre la terza è una vecchia acida che spia i segreti dei suoi concittadini da una torre.

Al centro della storia una passione devastante attorno alla quale girano le tele rubate o perse di Monet (tra le quali le Ninfee nere che l'artista avrebbe

dipinto prima di morire). Rubate o perse come le illusioni quando passato e presente si confondono e giovinezza e morte sfidano il tempo. L'intreccio è

costruito in modo magistrale e la fine è sorprendente, totalmente imprevedibile. Ogni personaggio è un vero enigma. Un'indagine con un succedersi di colpi

di scena, dove sfumano i confini tra realtà e illusione e tra passato e presente. Un romanzo noir che ci porta dentro un labirinto di specchi in cui sta

al lettore distinguere il vero dal falso.

 

Commento:

“Ninfee nere”… che dire di questo giallo francese intriso d’arte e di cultura? Dirò che è davvero singolare, che è inconsueto e che non mi è piaciuto.

Non è affatto brutto, intendiamoci! E’ solo che non mi ha catturata, non mi ha colpita ed in alcuni punti l’ho trovato assurdamente banale e noioso. Tutto ruota intorno al paesino di Giverny, alla pittura di Monet la cui presenza ingombrante si avverte ancora, anche a distanza di oltre settant’anni. Una serie di morti, tutte inspiegabili e tutte avvenute con lo stesso modus operandi, scuotono la’ordinata routine del paese. C’è una donna, un’anziana ombra nera, che vede e sa tutto, ma che sembra invisibile agli altri, tanto gli occhi si sono abituati a vederla aggirarsi con passo claudicante per le strade tanto conosciute. Quale sarà la chiave di questa storia? Dove porterà il nastro argentato dei ricordi?

L’atmosfera chiusa del paesino di provincia che i tanti turisti non riescono a portar via, la presenza di Monet e l’ombra della vecchia signora, il concatenarsi degli eventi, la superficialità dell’ispettore… tutto questo contribuisce a dare alle pagine un che di claustrofobico ed un senso di catastrofe imminente e ineluttabile. Nonostante questo, però, la tensione non aumenta quasi mai, è come se nulla svegliasse il lettore dal torpore sonnolento del paese… e il finale, imprevisto ed inaspettato, non getta l’attesa chiarezza sulla storia. Un'altra cosa, poi, non mi permette di dare un giudizio positivo a questo giallo: a me piace – ma è solo questione di gusto personale – che alla fine della lettura di un giallo/thriller il cerchio si chiuda, i pezzi del puzzle si incastrino… qui, però, pur con tutto l’impegno e la condiscendenza possibile, qualcosa proprio non torna.

Non consiglio né sconsiglio apriori questo libro… se intravedete una minima possibilità che i “difetti” che io vi ho riscontrato possano essere superati e che possa piacervi… dategli una chance. Io, dal canto mio, mi terrò la mia perplessità.

 

Opera recensita: “Ninfee nere” di Michel Bussi

Editore: E/O, 2011

Genere: giallo

Ambientazione: Giverny-Normandia, Francia

Pagine: 394

Prezzo: 16,00 €

Consigliato: sì/no

Voto personale: 6.

martedì 22 maggio 2018

RECENSIONE: FEDERICO PACE - CONTROVENTO. STORIE E VIAGGI CHE CAMBIANO LA VITA


Sinossi:

Viaggiare non vuol dire soltanto attraversare il cuore segreto dei continenti. Viaggiare è anche l'uscita dall'infanzia, l'inizio di un'amicizia, la rottura

di un legame che credevamo non potesse finire mai. Perché è quando si va altrove che le cose importanti cominciano ad accadere, quando la vita ci mette

alla prova e ci svela una parte di noi che prima non conoscevamo. Dai colori dell'India ai segreti del Monte Athos. Dalla sterminata cordigliera dell'America

Latina agli ipnotici silenzi della Siberia. Dalle dolci sinuosità della Moldava fino al Pacifico e oltre. Dalle antiche vie che costeggiano il mare alle

strade che uniscono le grandi città. Il viaggio in auto di Oscar Niemeyer lungo oltre mille e duecento chilometri da Rio de Janeiro fino a Brasilia per

dare vita a una città mai esistita prima. Il cammino a piedi di Vincent Van Gogh tra il Belgio e la Francia nell'inverno in cui finì per capire cosa gli

serviva davvero per diventare pittore. La soglia inattesa con cui è costretta a misurarsi Frida Kahlo. La fuga di Joni Mitchell dalle battaglie meschine

della fine di un amore. La corsa insonne di Keith Jarrett verso Colonia. Controvento racconta le storie di chi, attraversando un ponte, mettendosi su una

strada, salendo su un autobus o un treno, ha trovato in un giorno, in un istante, il modo di cambiare e trasformarsi. I viaggi hanno segnato la vita di

molti e di molti altri la segneranno nel tempo che verrà: perché l'altro e l'altrove hanno sempre in serbo qualcosa che non abbiamo ancora conosciuto,

che lenirà il nostro dolore e ci schiuderà il passaggio verso la strada poco battuta.

 

Commento:

I due pensieri che mi hanno accompagnata costantemente nella lettura di questo libro, sin dalla prima pagina, sono stati “Ma che bello!” e “Quant’è scritto bene!”. Sembrerà banale, ma questo è davvero un libro Bello, nel senso più profondo del termine: è costituito da tanti racconti di viaggio, ognuno vissuto realmente dal personaggio che ne è protagonista. In realtà, però, il vero protagonista, l’assoluto padrone della scena qui è il viaggio, in tutte le sue forme, declinazioni e significati: viaggio fisico, mentale, emotivo, temporale, interiore. Chi viaggia ha la mente aperta alla conoscenza, che sia di un luogo, di un popolo, di un’epoca, di una forma d’arte, di se stessi. Si viaggia per conoscere e conoscersi, fuggire e sfuggirsi, dimenticare e ricordare. E così visitiamo l’Argentina, la Siberia, Parigi, il Sertao brasiliano, l’India, il Messico insieme a Gauguin, Borges, Frida Kahlo, Cortazar, David Bowye… un passo dopo l’altro, affrontiamo le curve del tempo.

A rendere speciale il nostro viaggio letterario c’è la prosa di Pace che stordisce e conquista: una scrittura ricca, elegante, evocativa che dona ad ogni tappa quel tocco di poesia in più che fa la differenza.

Un libro da leggere piano piano, da gustare a piccole dosi, per godersi, appunto, il viaggio.

 

Opera recensita: “Controvento. Storie e viaggi che cambiano la vita” di Federico Pace

Editore: Einaudi, 2017

Genere: racconti di viaggio

Ambientazione: Mondo

Pagine: 172

Prezzo: 14,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 9.

 

lunedì 21 maggio 2018

RECENSIONE: ALESSANDRO NOSEDA - TRILOGIA DI LUCA MARIANI


Sinossi:

Luca Mariani è un uomo con due anime. Sincero e appassionato servitore dello stato e godereccio amante del bel vivere al tempo stesso, Luca, anzi, il capitano

Mariani, della Guardia di Finanza, combatte le sue battaglie rialzandosi, ogni volta più forte, dopo ogni caduta affrontando con carattere le sfide che

la vita gli riserva concedendosi, tra una pericolosa indagine e l'altra, piaceri quali una corsa in moto, una cena gustosa o una nottata galante con una

bella donna.

 

Commento:

Quando lo incontriamo per la prima volta, a Milano, Luca Mariani ha da poco passato i trent’anni, è tenente della Guardia di Finanza ed è reduce da un’esperienza traumatica vissuta durante un’indagine durata mesi. Quando lo lasceremo, alla fine dell’ultimo dei tre racconti contenuti in questo libro, sarà trascorso qualche anno e Luca non sarà più lo stesso. Avrà vissuto a Napoli – dove avrà lasciato un pezzo di cuore e tanti sogni, avrà conosciuto una friulana bellissima e in gamba che vorrebbe tanto sposare, sarà diventato capitano della G.D.F. ed avrà portato a termine tante indagini importanti. Indagini che avranno sottoposto lui e i suoi cari a rischi non indifferenti. Indagini che avranno portato Luca in giro per l’Italia ed anche oltre confine per inseguire i responsabili di crimini che nel nostro Bel Paese sono ancora terribilmente diffusi e radicati. Droga, mafia, corruzione, reati bancari, reati informatici, sversamento di rifiuti tossici pericolosi. Sono solo alcuni dei crimini di cui, con tenacia e perseveranza, si occupa Luca e sono solo alcune delle piaghe che ancora, dolorosamente, affliggono la nostra Italia da Nord a Sud. Un’Italia che c’è tutta in questo libro, in tutta la sua unicità e nelle sue profonde differenze e contraddizioni. Un’Italia ferita, ma bellissima che non si può non amare. E così viaggiamo anche noi sulla Imola di Luca fra i sapori, i profumi, i dialetti, i paesaggi mozzafiato, passando dal pragmatismo di Milano al calore di Napoli all’eleganza di Trieste.

E tra una pastiera, un risotto ed un sorso di rosé, conosciamo un uomo capace di sentimenti forti e passioni profonde, attaccato al proprio lavoro, perseverante ed assennato, ma anche romantico e nostalgico, amante della buona cucina, delle belle donne, fedele e legato agli amici. Conosciamo Luca e ci affezioniamo a lui, a Paco, Anna, Andrea, Giulia, attraverso tre indagini di diversa intensità, ma tutte vissute e sofferte; la tensione è sempre presente, ma è ben controllata e dosata tanto che, anche quando cala per lasciare spazio alla sensualità e al romanticismo, non ci si annoia comunque e si segue con piacere l’evolversi della vita privata e sentimentale di Mariani.

Una lettura estremamente scorrevole e molto coinvolgente, con un finale che, a dire il vero, non mi aspettavo; tre storie estremamente attuali e realistiche nelle quali ritroviamo i problemi più profondi e veri del nostro Paese, con un protagonista che trova la sua forza nella sua profonda umanità. Una piccola curiosità in appendice: una cosa, in particolare mi ha colpito durante la lettura, ossia l’estrema facilità e celerità dei viaggi. Luca percorre distanze considerevoli in un tempo che sembrerebbe brevissimo. Questo a prima vista potrebbe sembrare una forzatura o un elemento inverosimile; tuttavia, a ben guardare, contribuisce a dimostrare come l’Italia sia una ed uniforme, nel bene e nel male, per il crimine e per la sua bellezza, annientando le proverbiali differenze tra Nord e Sud. Libro, in definitiva, assolutamente consigliato.

 

 

Opera recensita: “La trilogia di Luca Mariani” di Alessandro Noseda

Editore: La Ponga

Genere: giallo – raccolta di racconti

Ambientazione: Italia

Prezzo: 16,45 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8,5.

 

domenica 20 maggio 2018

RECENSIONE: ELIZABETH STROUT - OLIVE KITTERIDGE


Sinossi:

Premio Pulitzer 2009, Premio Bancarella 2010 e Premio Mondello 2012. In un angolo del continente nordamericano c'è Crosby, nel Maine: un luogo senza importanza

che tuttavia, grazie alla sottile lama dello sguardo della Strout, diviene lo specchio di un mondo più ampio. Perché in questo piccolo villaggio affacciato

sull'Oceano Atlantico c'è una donna che regge i fili delle storie, e delle vite, di tutti i suoi concittadini. È Olive Kitteridge, un'insegnante in pensione

che, con implacabile intelligenza critica, osserva i segni del tempo moltipllcarsi intorno a lei, tanto che poco o nulla le sfugge dell'animo di chi le

sta accanto: un vecchio studente che ha smarrito il desiderio di vivere; Christopher, il figlio, tirannizzato dalla sua sensibilità spietata; un marito,

Henry, che nella sua stessa fedeltà al matrimonio scopre una benedizione, e una croce. E ancora, le due sorelle Julie e Winnie: la prima, abbandonata sull'altare

ma non rassegnata a una vita di rinuncia, sul punto di fuggire ricorderà le parole illuminanti della sua ex insegnante: "Non abbiate paura della vostra

fame. Se ne avrete paura, sarete soltanto degli sciocchi qualsiasi". Con dolore, e con disarmante onestà, in Olive Kitteridge si accampano i vari accenti

e declinazioni della condizione umana - e i conflitti necessari per fronteggiarli entrambi. E il fragile, sottile miracolo di un'alta pagina di storia

della letteratura, regalataci da una delle protagoniste della narrativa americana contemporanea, vincitrice, grazie a questo "romanzo in racconti", del

Premio Pulitzer 2009.

 

Commento:

Non so se effettivamente questo libro meritasse il premio Pulitzer… non è il classico libro che definirei “da premio”, è tutt’altro che roboante o eclatante… ciò che so per certo è, però, che questo libro trasmette tranquillità. La tranquillità della provincia americana che un po’ somiglia alla provincia europea, dove ci si conosce tutti e se si sa osservare si può capire ciò che accade nella mente e nella vita di chi ci passa accanto. E’ ciò che fa da sempre Olive Kitteridge, ormai vecchia e se possibile ancor più burbera del solito: Olive è un’insegnante di matematica in pensione, ma non immaginatevi una vecchina smagrita, saggia e piegata sotto il peso dell’età. Olive è alta, imponente, burbera ed irriverente; non ha mai chiesto scusa a nessuno in vita sua, non si fa problemi a dire ciò che pensa e a vivere come vuole. In tutti i racconti in cui è diviso questo romanzo Olive ha un ruolo, spesso da protagonista, ma a volte anche solo come ombra, presenza, ricordo che si affaccia nelle vite altrui. Olive conosce tutti a Crosby, sulla costa del Maine, ma pochi – o forse nessuno – possono dire di conoscere lei. Chi sa cosa passa nella mente di una vecchia signora che non rinuncia ai suoi dieci chilometri di passeggiata mattutina? Lo sanno gli altri, chi la critica, chi la giudica, il figlio, la nuora… lo sanno della paura che le attanaglia l’esistenza? La conoscono la sua fragilità? E lei, Olive, è disposta a riconoscere di avere ancora dei bisogni e una gran voglia di vita?

Un libro che, come dicevo, trasmette tranquillità, oltre ad una certa sottile malinconia. Una lettura gradevole che pone l’accento su una fase della vita, la vecchiaia, di cui si parla poco e per stereotipi: chi l’ha detto che essere vecchi vuol dire essere saggi, non avere più alcun appetito per la vita, agire sempre per il meglio? Un libro delicato e molto ben scritto che consiglio a tutti, giovani e meno giovani.

 

 

Opera recensita: “Olive Kitteridge” di Elizabeth Strouth

Editore: Fazzi, 2009

Genere: raccolta di racconti

Ambientazione: Maine, Stati Uniti

Pagine: 383

Prezzo: 18,50 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

venerdì 18 maggio 2018

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - LA FINESTRA ROTTA


Sinossi:

Alice Sanderson viene trovata morta nel suo appartamento di Manhattan, la gola recisa, il quadro più prestigioso della sua collezione scomparso. Gli indizi

sulla scena del delitto conducono inequivocabilmente ad Arthur Rhyme, un uomo sposato che la vittima frequentava da poco. Ma non tutto, forse, è come sembra:

nella catena di omicidi che da qualche mese insanguina New York, le tracce raccolte dagli inquirenti hanno l'evidenza delle prove schiaccianti, un'evidenza

quasi sospetta. È Lincoln Rhyme, criminalista tetraplegico geniale e ribelle, a prendere in mano l'ultimo caso, per scagionare il cugino Arthur e ricomporre

i frammenti di una sciarada impenetrabile e crudele come il delitto perfetto. Le sue ricerche lo portano a indagare su alcune società che raccolgono vertiginose

quantità di dati sull'esistenza della gente comune. Perscoprire a sue spese che proprio nelle prove che inchiodano senza apparente i presunti colpevoli

si cela l'unico indizio sull'identità di un killer che conosce ogni dettaglio delle vite degli altri.

 

Commento:

Ottava indagine per Lincoln Rhyme e Amelia Sachs, stavolta alle prese con un killer apparentemente onnisciente, un “uomo che sa tutto”, un accumulatore. Il killer accumula di tutto, oggetti, trofei, ma soprattutto informazioni, dati di cui si serve per scegliere le sue vittime. A differenza dell’Orologiaio (chi ha letto il precedente volume della saga, “La luna fredda” sa chi è), questo killer non è altrettanto freddo ed imperturbabile: è preda di passione, ira, furia nonché di una sconfinata possessività verso le sue collezioni, i suoi “tesori” racchiusi nel suo “armadio. Saranno proprio questi sentimenti a fargli commettere degli errori. In questo thriller adrenalinico ed avvincente, Deaver ci porta a confrontarci con il mondo del data meaning, l’accumulo e la conservazione di dati su chiunque e su qualunque cosa, argomento attualissimo e spinoso anche e soprattutto oggi, a dieci anni dall’uscita del libro. Oltre alla trama ed all’argomento affascinante, questo thriller è interessante – come direbbe Mel Cooper – anche perché ci svela qualcosa in più sul passato di Rhyme prima dell’incidente: una delle vittime indirette del killer è, infatti, un cugino del criminalista. Incalzante, intricato, dettagliatissimo come tutti i thriller di Deaver, “La finestra rotta” è un’ottima lettura e si colloca abbastanza in alto nella lista delle mie personali preferenze fra i volumi del ciclo di Lincoln Rhyme. Perciò… ovviamente consigliato, come tutta la serie.

 

 

 

Opera recensita: “La finestra rotta” di Jeffery Deaver

Editore: Rizzoli, 2008

Genere: thriller

Ambientazione: New York

Pagine: 576

Prezzo: 12,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 9.

 

mercoledì 16 maggio 2018

RECENSIONE: NATALIA GINZBURG - LESSICO FAMIGLIARE


Sinossi:

Premio Strega 1963. "Lessico famigliare" è il libro di Natalia Ginzburg che ha avuto maggiori e più duraturi riflessi nella critica e nei lettori. La chiave

di questo straordinario romanzo è delineata già nel titolo. Famigliare, perché racconta la storia di una famiglia ebraica e antifascista, i Levi, a Torino

tra gli anni Trenta e i Cinquanta del Novecento. E Lessico perché le strade della memoria passano attraverso il ricordo di frasi, modi di dire, espressioni

gergali. Scrive la Ginzburg: "Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all'estero: e non ci scriviamo spesso. Quando

c'incontriamo, possiamo essere, l'uno con l'altro, indifferenti, o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase, una di quelle

frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire 'Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna' o 'De cosa

spussa l'acido cloridrico', per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi,

a quelle parole". In appendice la Cronistoria di "Lessico famigliare" a cura di Domenico Scarpa e uno scritto di Cesare Garboli. Introduzione di Cesare

Sagre.

 

Commento:

Opinioni discordanti per questo “Lessico famigliare” molto famigliare: c’è chi lo definisce senza riserve “un capolavoro assoluto”, chi lo trova non particolarmente profondo ma comunque molto bello, chi lo trova deludente. Io, mio malgrado, devo inserirmi in quest’ultima categoria.

Questo libro non mi è piaciuto, non ne ho capito l’intenzione, non ci ho trovato né coinvolgimento né un messaggio, mi aspettavo di più: sapevo che non si trattava di un vero e proprio romanzo, ma piuttosto di una raccolta di ricordi; tuttavia mi sarei aspettata, da parte dell’autrice che questi ricordi li ha vissuti, più emozione o partecipazione. Natalia Ginsburg, invece, racconta fatti, misfatti, manie ed esperienze vissute da persone che, nonostante siano presenti in tutto il libro, non arriviamo mai veramente a conoscere. E’ come se arrivassimo in una stanza dove una vecchia signora sta raccontando della sua famiglia e del periodo che va dal primo al secondo dopoguerra, ma vi arrivassimo a racconto già iniziato. E purtroppo le tante espressioni gergali non bastano, a parer mio, a creare quell’intimità e quella conpartecipazione che sarebbero necessarie ad entrare nelle vicende e ad appassionarsi al racconto. Mi sento quasi in colpa nel non consigliarlo, ma purtroppo questo libro non mi ha lasciato nulla: ho concluso la lettura così, in modo troppo liscio, senza sobbalzi né coinvolgimenti di sorta. Mi dispiace, ma purtroppo per me è un no.

 

 

Opera recensita: “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg

Editore: Einaudi, prima ed. 1963

Genere: autobiografia

Ambientazione: Torino-Italia

Pagine: 278 (ed. 2010)

Prezzo: 12,00 €

Consigliato: no

Voto personale: 6.

 

martedì 15 maggio 2018

RECENSIONE: LARS KEPLER - IL CACCIATORE SILENZIOSO


Sinossi:

E da poco calata la notte quando Sofia entra nella grande villa fuori Stoccolma dove l'aspetta il suo cliente. Un cliente molto facoltoso, ma per lei nuovo.

Forse è per questo che Sofia avanza circospetta come un animale selvatico. Mentre percorre lentamente l'ampio salone buio, cercando di registrare ogni

dettaglio, Sofia non immagina chi sia veramente l'uomo che l'ha scelta per quella notte. E nemmeno immagina che di lì a poco si troverà faccia a faccia

con il terrore. Perché un killer spietato e meticoloso, che non lascia tracce né indizi, e si muove con apparente infallibilità, è entrato in azione ed

è pronto a colpire ancora. Restringere la cerchia delle potenziali prossime vittime è un autentico incubo per le forze dell'ordine, perché nel mirino del

killer potrebbero esserci personalità molto in vista nel Paese. Ma agire allo scoperto potrebbe avere conseguenze terribili. «Per risolvere l'enigma, alla

polizia non resta che richiamare Joona Linna, l'ex commissario che da due anni si trova rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Kumla per un vecchio

conto in sospeso. Joona Linna e l'agente speciale Saga Bauer sono costretti a collaborare in segreto per fermare il «cacciatore silenzioso» prima che sia

troppo tardi. Prima di finire loro stessi tra gli obiettivi di una morte annunciata. Prima che il cacciatore riduca anche loro a un silenzio senza fine...

 

 

Commento:

Cruento. E’ questo l’aggettivo che mi viene subito in mente per descrivere questo thriller, il quinto della saga con protagonista Joona Linna, nata dalla penna dei due coniugi che si nascondono dietro lo pseudonimo di Lars Kepler.

Se in altri thriller della stessa saga avevamo avuto più notizie su Joona e sul suo passato, qui l’attenzione è per lo più concentrata sul caso da risolvere, che di per sé è già abbastanza complicato. La trama non brilla per originalità e non ci sono colpi di scena stupefacenti, ma il ritmo serratissimo e la crudezza del racconto catturano il lettore e lo avvincono per seicento pagine senza tentennamenti. Il killer, in questo caso, non è un derelitto, non è un individuo ai margini della società, tutt’altro: si insinua nell’upper class della Stoccolma che conta per meglio cacciare le sue prede. In apparenza agisce in modo inspiegabile, ma in realtà ha un piano meticoloso e perfetto da seguire e farà di tutto per portarlo a termine senza sentire ragioni. E intanto continua la proficua collaborazione tra il nostro ex commissario Joona Linna e l’agente speciale della Sapo Saga Bauer: una coppia affiatatissima che porta a casa il risultato a qualunque costo, senza mai sottrarsi al pericolo. Come avevo già scritto parlando di “Nella mente dell’ipnotista”, la crudezza degli scenari delineati da Kepler cresce in un’escalation sorprendente ed inquietante ad ogni volume. Si ha sempre l’impressione di aver raggiunto il limite della crudeltà umana, ma nell’episodio successivo l’asticella si alza ancora dimostrandoci che ci eravamo sbagliati. Questo, ovviamente, non piace a tutti, perciò se siete suggestionabili o non amate i crimini particolarmente efferati – peraltro descritti minuziosamente – lasciate perdere, questa saga non fa per voi. Se invece tutto questo non vi spaventa e pensate che valga la pena per un bel po’ di brivido allora accomodatevi: Joona vi sorprenderà.

 

Opera recensita: “Il cacciatore silenzioso” di Lars Kepler

Editore: Longanesi, 2016

Genere: thriller

Ambientazione: Svezia

Pagine: 633

Prezzo: 19,90 €

Consigliato: sì

Voto personale: 9.

 

domenica 13 maggio 2018

RECENSIONE: HEINRICH BOLL - OPINIONI DI UN CLOWN


Sinossi:

Con pantomime teatrali, con telefonate e incontri, un clown lancia accuse feroci all'opulenta società della Germania occidentale, che sembra aver smarrito

ogni valore. Un libro del '63, che suscitò polemiche e dibattiti.

 

Commento:

Bonn, 1962. Hans Schnier torna nel suo appartamento dopo un viaggio di lavoro che rischia di segnare la fine della sua carriera: è salito sul palco ubriaco ed è scivolato durante un numero ed ora ha all’attivo un bel ginocchio gonfio, un’umiliazione cocente e un solo marco in tasca. Hans è un clown – “definizione ufficiale: attore comico, non iscritto nei registri di nessuna Chiesa” -; ha una forte tendenza alla malinconia ed al vittimismo ed è da sempre la pecora nera della sua precisissima e impeccabile famiglia perché non fa mai mistero delle proprie opinioni. Proprio di queste opinioni è, infatti, imperniato l’intero libro – che racconta una vicenda che si svolge in un arco temporale di poche ore, ma che è frutto di anni di rabbia repressa, ingiustizie, rancore, senso di colpa. Senso di colpa ed abbandono, soprattutto, sono i sentimenti dominanti nelle ore che passiamo nell’appartamento di Hans, tra telefonate deliranti, ricordi, accuse a tutto e tutti ma soprattutto alla Chiesa cattolica, alla famiglia, ai prelati, ai falsi amici, a Maria. Sì, a Maria, perché Maria ha lasciato Hans, e da quando lei non c’è più tutto va a rotoli e lui non ha più pace. E da qui le invettive contro la Chiesa che gliel’ha portata via, contro il matrimonio che è solo un pezzo di carta che non serve a nulla, contro quelli che con sermoni e “principi dell’ordine” l’hanno ingabbiata nelle loro regole e nelle convenzioni sociali e l’hanno convinta che lui non andava bene per lei.

Fra il rancore e l’amarezza, il bisogno di soldi e di affetto, Hans ripercorre in un delirio di pensieri e azioni la sua vita, la sua storia con Maria, il suo essere miscredente, gli attriti con la madre, il suo lavoro. Così facendo ci regala una descrizione approfondita ed una critica forte ed estremamente lucida di un Paese, la Germania, che si affanna rialzandosi, ricostruendosi un futuro negando aprioristicamente il passato, affondando l’anima in credo e valori con radici corrotte e marce che finiscono per essere solo una facciata, come un bel manifesto insozzato dai bisogni di un cane. Una lettura interessante e profonda, un libro da leggere e rileggere e, senza dubbio, su cui riflettere.

 

Opera recensita: “Opinioni di un clown” di Heinrich Boll

Editore: Mondadori, prima ed. 1963

Genere: narrativa straniera

Ambientazione: Germania, anni 60

Pagine: 232

Prezzo: 11,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

sabato 12 maggio 2018

RECENSIONE: SANDOR MARAI - LA DONNA GIUSTA


Sinossi:

Un pomeriggio, in una elegante pasticceria di Budapest, una donna racconta a un'altra donna come un giorno, avendo trovato nel portafogli di suo marito un pezzetto di nastro viola, abbia capito che nella vita di lui c'era stata, e forse c'era ancora, una passione segreta e bruciante, e come da quel momento abbia cercato, invano, di riconquistarlo. Una notte, in un caffè della stessa città, bevendo vino e fumando una sigaretta dopo l'altra, l'uomo che è stato suo marito racconta a un altro uomo come abbia aspettato per anni una donna che era diventata per lui una ragione di vita e insieme "un veleno mortale", e come, dopo aver lasciato per lei la prima moglie, l'abbia sposata - e poi inesorabilmente perduta. All'alba, in un alberghetto di Roma, sfogliando un album di fotografie, questa stessa donna racconta al suo amante (un batterista ungherese) come lei, la serva venuta dalla campagna, sia riuscita a sposare un uomo ricco, e come nella passione possa esserci ferocia, risentimento, vendetta. Molti anni dopo, nel bar di New York dove lavora, sarà proprio il batterista a raccontare a un esule del suo stesso paese l'epilogo di tutta la storia. Al pari delle "Braci" e di "Divorzio a Buda", questo romanzo appartiene al periodo più felice e incandescente dell'opera di Márai, quegli anni Quaranta in cui lo scrittore sembra aver voluto fissare in perfetti cristalli alcuni intrecci di passioni e menzogne, di tradimenti e crudeltà, di rivolte e dedizioni che hanno la capacità di parlare a ogni lettore.

 

Commento:

In questo libro si racconta una storia. Direte voi:”Che c’è di strano in questo?”. Apparentemente nulla. Solo che questa è una storia raccontata in modo assolutamente particolare, fatta di tante storie, persone, momenti, luoghi, sentimenti intrecciati.

Il punto di centrale da cui prende le mosse il racconto è costituito dal solito trittico: lui, lei, l’altra. Ungheria, periodo a cavallo tra il primo e il secondo dopoguerra. Un uomo ricco, insoddisfatto e roso dal senso di colpa lascia la prima moglie per sposare una sua antica e mai sopita fiamma: Judit, la giovane serva di casa dei suoi genitori. Dopo aver rinunciato a tutto per lei, però,  se ne separerà inesorabilmente. La storia ci viene raccontata in tre momenti e secondo tre punti di vista diversi, prima dalla prima moglie, poi dal marito ed infine dalla stessa Judit. Ciascuno dei narratori, a sua volta, racconta tutto ad un’altra persona, un’amica, un amico, un amante, un esule. E’ così che questa storia giunge fino a noi, toccando in modo originale e profondo temi importanti: guerra, amore, passione, menzogna, senso di colpa, lotta di classe, nobiltà, borghesia e proletariato. Una lettura interessante sotto più punti di vista, che richiede del tempo per essere assorbita e che necessita delle giuste pause. Libro che mi è piaciuto molto - il primo che leggo di Marai - e che consiglio caldamente.

 

 

 

Opera recensita: “La donna giusta” di Sandor Marai

Editore: Adelphi, 2004

Genere: romanzo

Ambientazione: Ungheria

Pagine: 444

Prezzo: 19,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

lunedì 7 maggio 2018

RECENSIONE: ALICE BASSO - LA SCRITTRICE DEL MISTERO


Sinossi:

Per Vani fare la ghostwriter è il lavoro ideale. Non solo perché così può scrivere nel chiuso della sua casa, in compagnia dei libri e lontano dal resto

dell’umanità per la quale non ha una grande simpatia. Ma soprattutto perché può sfruttare al meglio il suo dono di capire al volo le persone, di emulare

i loro gesti, di anticipare i loro pensieri, di ricreare perfettamente il loro stile di scrittura. Una empatia innata che il suo datore di lavoro sa come

sfruttare al meglio. Lui sa che solo Vani è in grado di mettersi nei panni di uno dei più famosi autori vienti di thriller del mondo. E non importa se

le chiede di scrivere una storia che nulla ha a che fare con i padri del genere giallo che lei adora da Dashiell Hammett a Ian Fleming passando per Patricia

Highsmith. Vani è comunque la migliore. Tanto che la polizia si è accorta delle sue doti intuitive e le ha chiesto di collaborare. E non con un commissario

qualsiasi, bensì Berganza la copia vivente dei protagonisti di Raymond Chandler: impermeabile beige e sigaretta sempre in bocca. Sono mesi ormai che i

due fanno indagini a braccetto. Ma tra un interrogatorio e l’altro, tra un colpo di genio di Vani e l’altro qualcosa di più profondo li unisce. E ora non

ci sono più scuse, non ci sono più ostacoli: l’amore può trionfare. O in qualunque modo Vani voglia chiamare quei crampi allo stomaco che sente ogni volta

che sono insieme. Eppure la vita di una ghostwriter non ha nulla a che fare con un romanzo rosa, l’happy ending va conquistato, agognato, sospirato. Perché

il nuovo caso su cui Vani si trova a lavorare è molto più personale di altri: qualcuno minaccia di morte Riccardo, il suo ex fidanzato. Andare oltre il

suo astio per aiutarlo è difficile e proteggere la sua nuova relazione lo è ancora di più. Vani sta per scoprire che la mente umana ha abissi oscuri e

che può tessere trame più ordite del più bravo degli scrittori.

 

Con la protagonista unica nel suo genere creata dalla sua penna, Alice Basso si è fatta amare dai lettori e dai librai. Le sue storie con tinte gialle

e a base di citazioni letterarie creano dipendenza. Dopo il successo dell’Imprevedibile piano della scrittrice senza nome, Scrivere è un mestiere pericoloso

e Non ditelo allo scrittore, un nuovo imperdibile romanzo in cui dare vita ad un libro, risolvere un caso e accettare di essere innamorati sono tre passi

complicati ma insolitamente legati tra di loro.

 

Commento:

Attenzione, recensione poco obiettiva e molto, molto personale.

Quando leggiamo un libro cerchiamo, anche inconsciamente, qualche appiglio con la nostra vita, con i nostri sentimenti e modi di pensare, con qualcosa che conosciamo e amiamo… cerchiamo sempre qualcosa che ci faccia sentire a casa. E chi ama leggere non può non sentirsi inevitabilmente a casa in compagnia di Vani Sarca e Romeo Berganza, non perché siano due animali sociali, intendiamoci, ma perché amano i libri, li citano continuamente, ne sembrano usciti, la loro vita ne sembra governata. Ecco perché, per me che amo leggere, la compagnia di questi due personaggi è più che gradita, è quasi una dipendenza. E se poi, per combinazione, fra i tanti libri che scrive per lavoro Vani si trova alle prese con un thriller – il mio genere preferito – è proprio finita! Inutile dire che fra autori che conosco, autori che amo e nomi da segnare per prossime letture, ho letto il libro in una specie di estasi di Santa Teresa.

E poi come si fa a non appassionarsi a una storia se è scritta in modo così diretto, sprezzante, autoironico? Non può non suscitare empatia! Ed empatia, anche se non lo ammetterà mai, è quella che prova Vani nei confronti della sorella Lara in difficoltà; è empatia quella che la spinge ad indagare insieme al suo commissario per scoprire chi minaccia Riccardo Randi, il suo odiatissimo ex minacciato di morte; è empatia – chi l’avrebbe mai detto? – quella verso il suo capo, Enrico Fuschi, vittima insospettabile di una ingombrante conoscenza del passato. E non sono sintomi di empatia, invece, quei frequenti crampi allo stomaco che la nostra amica prova ad ogni manifestazione d’affetto proveniente dal suo caro commissario: non ci è abituata – e non lo è neanche lui – ma è innamorata e la cosa potrebbe piacerle… a me, però,  la coppia piace di sicuro e non la perderò di vista nel quinto (e sembrerebbe ultimo) volume della saga. Ma Vani e Berganza non sono gli unici che dovremo tenere d’occhio… c’è un altro personaggio che, a quanto pare, ci darà da pensare nel prossimo libro… Alice Basso ha sapientemente (e sadicamente!) chiuso questa storia con una frase ad effetto che provoca un certo brivido… bah, vedremo! Intanto voi godetevi questo quarto volume, ne vale la pena, come sempre: Vani non è una semplice protagonista di una saga di successo, non è solo una gostwriter bravissima… è un’amica ormai, una di quelle di cui vuoi sempre sapere tutto, una che devi controllare perché sembra forte, sicura e strafottente, ma sai che potrebbe farsi male e, se accadesse, a te dispiacerebbe da morire di non esserle stata accanto! Forse per qualcuno potrebbe sembrare esagerato un legame così forte con un personaggio inventato, ma chi legge lo sa che è normale… ed anche Alice lo sa, lo capisce e ci regala sempre storie che lo alimentano e lo rafforzano questo legame. Perciò grazie, Alice, grazie per Vani, per Berganza, per Fuschi, per Deaver e Van Dine, ma anche per tutti gli autori che ancora non conosco e che grazie a Vani conoscerò. P.S. Per favore, ripensaci! Non far finire tutto con il quinto volume!

 

 

Opera recensita: “La scrittrice del mistero” di Alice Basso

Editore: Garzanti, 2018

Genere: giallo

Ambientazione: Torino-Milano

Pagine: 336

Prezzo: 17,90 €

Consigliato: sì

Voto personale: 9.

 

domenica 6 maggio 2018

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - PIETà PER GLI INSONNI


Sinossi:

Un tornado spaventoso sta per abbattersi sul New England. Michael Hrubek, gigante schizofrenico e folle stupratore, evade dal manicomio criminale per vendicarsi

della donna che lo ha inchiodato. Lo scatenarsi della natura fa da contrappunto alla più forsennata delle fughe e alla più spietata delle cacce all'uomo.

 

Commento:

Forse a qualcuno il paragone sembrerà azzardato, ma secondo me più che da Deaver questo romanzo sembra scritto da Stephen King, sarà per l’ambientazione molto “americana” e molto anni 90, sarà perché i due autori hanno in comune una caratteristica importante: la meticolosità che quasi sconfina nel puntiglio con cui trattano qualunque aspetto delle loro storie. Paragoni a parte, a Deaver va il merito di aver saputo mescolare il thriller psicologico e l’avventura on the road, creando un thriller ricco di suspense che sa tanto di romanzo americano. Tutto si svolge in una notte, una notte difficile su più fronti e per molte persone: da un lato una violenta bufera sta per abbattersi sul New England facendo tracimare il fiume ed il lago prospiciente la proprietà degli Aceson a Rigeton, quindi Lise, il marito Ouen e la sorella Portia devono affrettarsi a metterla al sicuro il più possibile; dall’altro proprio a casa loro sta dirigendosi Michael Rubeck, una montagna d’uomo affetto da schizofrenia paranoide ed evaso dall’ospedale psichiatrico dov’era in cura. Tra inseguimenti all’ultima astuzia, lavoro di braccia per trascinare sacchi di sabbia e creare sbarramenti all’acqua che minaccia di mandare in fumo le fatiche di una vita, ricordi passati e recenti e cose non dette, si sviluppa una storia coinvolgente e serrata. I colpi di scena non mancano, anche se stavolta posso vantarmi – una volta tanto – di aver capito cosa non quadrava ben prima del finale. E comunque, ancora una volta, Deaver ci dimostra con le sue storie che nulla è necessariamente come appare… nulla può essere dato per scontato… non è mai detta l’ultima parola, finché non si gira l’ultima pagina. Nella mia classifica personale “Pietà per gli insonni” non è in cima ai libri di Deaver, ma è comunque un buon thriller. Lo consiglio a chi predilige le ambientazioni aperte a quelle metropolitane.

Opera recensita: “Pietà per gli insonni” di Jeffery Deaver

Editore: Bur, prima ed. 1994

Genere: thriller psicologico

Ambientazione: Stati Uniti

Pagine: 448

Prezzo: 9,90 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

giovedì 3 maggio 2018

RECENSIONE: CONCITA DE GREGORIO - MI SA CHE FUORI E' PRIMAVERA


Sinossi:

Ferite d'oro. Quando un oggetto di valore si rompe, in Giappone, lo si ripara con oro liquido. È un'antica tecnica che mostra e non nasconde le fratture.

Le esibisce come un pregio: cicatrici dorate, segno orgoglioso di rinascita. Anche per le persone è così. Chi ha sofferto è prezioso, la fragilità può

trasformarsi in forza. La tecnica che salda i pezzi, negli esseri umani, si chiama amore. Questa è la storia di Irina, che ha combattuto una battaglia

e l'ha vinta. Una donna che non dimentica il passato, al contrario: lo ricorda, lo porta al petto come un fiore. Irina ha una vita serena, ordinata. Un

marito, due figlie gemelle. È italiana, vive in Svizzera, lavora come avvocato. Un giorno qualcosa si incrina. Il matrimonio finisce, senza traumi apparenti.

In un fine settimana qualsiasi Mathias, il padre delle bambine, porta via Alessia e Livia. Spariscono. Qualche giorno dopo l'uomo si uccide. Delle bambine

non c'è più nessuna traccia. Pagina dopo pagina, rivelazione dopo rivelazione, a un ritmo che fa di questo libro un autentico thriller psicologico e insieme

un superbo ritratto di donna, coraggiosa e fragile, Irina conquista brandelli sempre più luminosi di verità e ricuce la sua vita. Da quel fondo oscuro,

doloroso, arriva una luce nuova. La possibilità di amare ancora, l'amore che salda e che resta.

 

Commento:

 


Oggi, nella mescolanza di idiomi che caratterizza il nostro linguaggio, c’è una parola per tutto, esiste un termine per definire ogni cosa, persona, status, sentimento, emozione, tutto. Tutto tranne un genitore che perde un figlio. Perché? Forse perché questo è un dolore troppo grande, un’assenza così profonda che è difficile definirla con una parola. Lo sa bene Irina Lucidi, importante avvocato italiano residente in Svizzera che, nel gennaio 2011, decide di divorziare dal marito Mathias Schepp. Ciò che ha portato a questa rottura è qualcosa di indefinito e duraturo, una violenza psicologica che ha scavato nelle certezze di Irina e l’ha portata ad allontanarsi da colui che l’ha causata; ciò a cui la sua decisione porterà Irina non può sospettarlo: una domenica di fine gennaio del 2011 il marito, Mathias, parte dal paesino svizzero in cui vivono e fa perdere le sue tracce. Sarà ritrovato pochi giorni dopo a Cerignola, in Puglia, morto sui binari della stazione sui quali si è gettato per farla finita. Un gesto premeditato, evidentemente, visto che in casa verrà ritrovato il
suo testamento. A non essere mai più ritrovate sono, però, le due figlie della coppia, le gemelline Livia e Alessia di sei anni. Sono partite col padre? Le ha lasciate lui in qualche luogo lungo la strada? Sono state abbandonate? Vendute? Uccise? Non si sa nulla. E fra indagini lacunose e fredde recriminazioni resta il dolore immenso di una madre che non può e non vuole dimenticare le sue figlie. Può – e vuole – però, ritornare a vivere, ad innamorarsi, ad amare ancora davvero qualcuno che c’è, che la fa ridere, che non la mette alla prova. E Concita De Gregorio racconta, con delicatezza e partecipazione, la storia di questa donna coraggiosa che ricorda e vive amando ed impegnandosi perché altri trovino in Svizzera il sostegno che lei, italiana e donna, non ha avuto: ha creato, infatti, un’associazione che si occupa proprio di dare sostegno sociale, psicologico e giuridico a chi affronti la scomparsa di un minore. Si chiama “Missing Children Switzerland”.

Ogni giorno, leggendo le notizie o ascoltando il Tg, veniamo a contatto con storie di orrore e sofferenza che, nostro malgrado, dimentichiamo subito dopo, presi dalla nostra vita e dalle nostre incombenze ed ormai abituati – quando non ci tocca da vicino – alla violenza e alla follia. Anche di questa storia avevamo sentito parlare nel 2011 e ci aveva inquietato e lasciati sgomenti. Questo libro di poco più di cento pagine che si legge in poche ore, ha il grande merito di ricordarcela questa storia e di farlo con tatto. Irina è una donna forte che ha sofferto eppure sorride, ma è una donna che aspetta ancora le sue figlie, aspetta e merita delle risposte da chi è in grado di dargliele. Ciò che ho apprezzato meno, nel libro, è forse la struttura con cui è stato impostato: lettere, ricordi, pensieri che mi hanno fatto entrare con fatica nella vicenda. Per il resto, però, è un buon libro e soprattutto racconta una storia che non va dimenticata.


Opera recensita: “Mi sa che fuori è primavera” di Concita De Gregorio

Editore: Feltrinelli, 2015

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Svizzera, Italia

Pagine: 122

Prezzo: 13,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

mercoledì 2 maggio 2018

RECENSIONE: GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA - IL GATTOPARDO


Sinossi:

Premio Strega 1959. Don Fabrizio, principe di Salina, all'arrivo dei Garibaldini, sente inevitaile il declino e la rovina della sua classe. Approva il

matrimonio del nipote Tancredi, senza più risorse economiche, con la figlia, che porta con sé una ricca dote, di Calogero Sedara, un astuto borghese. Don

Fabrizio rifiuta però il seggio al Senato che gli viene offerto, ormai disincantato e pessimista sulla possibile sopravvivenza di una civiltà in decadenza

e propone al suo posto proprio il borghese Calogero Sedara.

 

Commento:

Sicilia. Basta anche solo pronunciare il nome di questa terra per evocare luce, calore, passionalità, profumi e sapori inebrianti, ma anche contraddizioni e misteri. “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa trabocca di tutto questo e molto di più. Ambientato nella Sicilia del 1860, narra l’empasse storica scaturita dalla cacciata dei Borboni mediante un plebiscito, e lo fa attraverso gli occhi nobili ma intelligenti e consapevoli di Don Fabbrizio Falconeri, principe di Salina.

Apparentemente è proprio lui, con le sue vicende familiari, il protagonista di questa storia; in realtà, però, la vera protagonista è la Sicilia e con lei la sua gente e la gente di tutto il Sud, di allora e di ora, impegnata a profondersi in dimostrazioni di magnificenza, buone creanze ed impeti rivoluzionari che nascondono una ferrea volontà di impedire il cambiamento e di auto conservarsi nell’orgoglio di una ricchezza finta e di convinzioni effimere. Don Fabbrizio vede tutto questo, lo comprende e ne viene sopraffatto perché, al contrario di chi viene da fuori con l’illusione del cambiamento, lui sa che la Sicilia e i siciliani non vogliono cambiare: “tutto cambia perché tutto resti com’è” è una delle sue frasi più celebri che ben sintetizza questo pensiero. Un classico, questo, che con stile anticuato e linguaggio barocco tratta tematiche di estrema attualità: l’incertezza per il futuro, una classe politica dalla quale non si sa cosa aspettarsi, l’estrema lotta di alcuni per mantenere certi status e di altri per guadagnarseli con astuzia e ambizione. Sono temi che ritrovavamo nel 1860, negli anni 50 del Novecento quando questo libro fu pubblicato ed anche oggi, a dimostrazione estrema del principio espresso da Don Fabbrizio: tutto cambia affinché tutto resti com’è. “Il Gattopardo”, nonostante i temi interessanti, non è una lettura facile: personalmente l’ho trovato alquanto ostico, soprattutto nella parte iniziale, ed ho ancora la sensazione forte di non averlo compreso fino infondo. Tuttavia è evidente che si tratta di un classico della letteratura italiana la cui importanza è pari all’attualità dei suoi contenuti, pertanto non posso che consigliarne la lettura.

 

 

Opera recensita: “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Editore: Feltrinelli, prima ed. 1959

Genere: letteratura italiana

Ambientazione: Sicilia

Pagine: 300

Prezzo: 25,00 € (Ed. Feltrinelli 2002)

Consigliato: sì

Voto personale: 8.