simposio lettori copertina

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giovedì 28 giugno 2018

RECENSIONE: TIZIANO TERZANI - UN'IDEA DI DESTINO


Sinossi:

"Cosa fa della vita che abbiamo un'avventura felice?" si chiede Tiziano Terzani in questa opera, che racconta con la consueta potenza riflessiva l'esistenza

di un uomo che non ha mai smesso di dialogare con il mondo e con la coscienza di ciascuno di noi. In un continuo e appassionato procedere dalla Storia

alla storia personale, viene finalmente alla luce in questi diari il Terzani uomo, padre, marito. Scopriamo così che l'espulsione dalla Cina per "crimini

controrivoluzionari", l'esperienza deludente della società giapponese, i viaggi in Thailandia, URSS, Indocina, Asia centrale, India, Pakistan non furono

soltanto all'origine delle grandi opere che tutti ricordiamo. Furono anche anni fatti di dubbi, di nostalgie, di una perseverante ricerca della gioia,

anni in cui dovette talvolta domare "la belva oscura" della depressione. E proprio attraverso questo continuo interrogarsi, Terzani maturava una nuova

consapevolezza di sé, affidata a pagine più intime, meditazioni, lettere alla moglie e ai figli, appunti, tutti accuratamente raccolti e ordinati dall'autore

stesso, fino al suo ultimo commovente scritto: il discorso letto in occasione del matrimonio della figlia Saskia, intriso di nostalgia per la bambina che

non c'è più e di amore per la vita, quella vita che inesorabilmente cambia e ci trasforma.

 

Commento:

Questo libro, il terzo che leggo di Terzani, lo colloca di diritto fra i miei autori preferiti. Questo non perché “Un’idea di destino” sia un libro trascendentale - anzi, mi è piaciuto meno di altri – ma perché mi ha permesso di avvicinarmi al Terzani uomo, con pregi e difetti, dubbi, esaltazioni, manie e preoccupazioni di un uomo.

Si tratta, in pratica, di una serie di diari scritti da Tiziano dal 1981 al 2003. Appunti di vita curati personalmente da lui, che raccontano passo passo le sue emozioni, i pensieri fugaci e quelli ricorrenti, le antipatie e le simpatie per i popoli, i Paesi e gli uomini che incontra nei suoi infiniti viaggi. Un materiale inesauribile che, dopo la sua morte, è stato selezionato e riordinato in un diario intimo del Terzani uomo, un racconto reale e vero e per questo prezioso. Grazie a questo libro andiamo oltre gli scritti di viaggio, le testimonianze, i racconti, le prese di posizione e le manifestazioni di pensiero e conosciamo un giornalista, sì, uno scrittore sì, ma anche un marito, un padre, un uomo che affronta depressione, malattia, voglia di farla finita, paura di non avere abbastanza tempo, voglia di stare solo e bisogno di immergersi sempre, ancora una volta in più, nel mondo e nelle cose per capire, descrivere e raccontare fino all’ultimo giorno.

Adoro quest’uomo, il suo modo di affrontare la vita e, talvolta, di chiudersi ad essa. Ecco perché non posso non consigliare questo libro. Tuttavia è necessaria una precisazione: non ritengo conveniente approcciarsi a Terzani per la prima volta con questo libro. Si tratta di diari, da leggere solo se già si conosce la scrittura e il pensiero dell’autore. “Un’idea di destino” è, però, ottimo per chi, come me, voglia consolidare la conoscenza e portarla ad un livello più profondo. Libro non facile, ma davvero un’ottima lettura!

 

 

Opera recensita: “Un’idea di destino. Diari di una vita straordinaria” di Tiziano Terzani

Editore: Longanesi, 2014

Genere: diari

Ambientazione: mondo

Pagine: 484

Prezzo: 19,90 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8,5.

 

lunedì 25 giugno 2018

RECENSIONE: STEPHEN KING - ROSE MADDER


Sinossi:

Rose fugge. Fugge da quattordici anni di soprusi, da un marito violento e da una vita che non promette più nulla. Ricominciare da capo è l'unica via d'uscita.

Una città sconosciuta, una nuova occupazione e un nuovo compagno: finalmente tutto sembra girare per il verso giusto. La donna si imbatte anche in uno

strano dipinto. Una crosta senza valore, o molto, molto di più? Il legame tra il quadro e Rose si fa sempre più stretto, quasi morboso, e quando il suo

sadico marito si farà rivedere non troverà più la debole e indifesa mogliettina di un tempo, ma qualcuno o qualcosa che stenterà a riconoscere.

 

Commento:

Impaurita, disperata, annichilita. E’ questa la donna che, di punto in bianco, una mattina decide di fuggire di casa, di scappare da Norman, il marito poliziotto che da quattordici anni la sopraffà con violenza e sadismo inauditi. La donna che Norman, qualche mese dopo, si troverà a fronteggiare, però, è completamente diversa. Cosa le dà la forza di combattere? Una ritrovata fiducia in se stessa, un gruppo di amiche che l’hanno accolta ed aiutata, un uomo che per la prima volta le dona affetto senza riserve… e un quadro, un misterioso quadro che ha cambiato il corso della sua vita e che le fa vivere un’esperienza assolutamente fuori dall’ordinario.

Tra horror e Fantasy, Stephen King ci racconta una storia tragicamente reale eppure avulsa dalla normalità: com’è suo solito, King è maestro nell’inserire elementi di disturbo, deviazioni, nella quotidianità. In questo caso, però, è andato oltre: oltre alla follia ed alla pericolosità di Norman che già di per sé sarebbe sufficientemente disturbante ed inquietante, King ha inserito una forte deriva fantasy alla storia che si può apprezzare e non apprezzare ma che comunque risulta tollerabile ai fini narrativi.

Personalmente ho trovato memorabile la parte realistica di questa storia – con tutti i riferimenti alla violenza sulle donne – e meno gradevole la parte fantasy, ma questo – lo ripeto – fa parte dei gusti personali. Pur con quest’unica pecca che lo rende poco realistico specie nel finale, si tratta comunque di un buon libro che consiglio perché affronta tematiche importanti a livello sociale.

 

Opera recensita: “Rose Madder” di Stephen King

Editore: Sperling & Kupfer, prima ed. 1995

Genere: horror, fantasy

Ambientazione: Stati Uniti

Pagine: 510

Prezzo: 11,90 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

domenica 24 giugno 2018

RECENSIONE: FERNANDO ARAMBURU - ATRIA


Sinossi:

Due famiglie legate a doppio filo, quelle di Joxian e del Txato, cresciuti entrambi nello stesso paesino alle porte di San Sebastián, vicini di casa, inseparabili

nelle serate all’osteria e nelle domeniche in bicicletta. E anche le loro mogli, Miren e Bittori, erano legate da una solida amicizia, così come i loro

figli, compagni di giochi e di studi tra gli anni Settanta e Ottanta. Ma poi un evento tragico ha scavato un cratere nelle loro vite, spezzate per sempre

in un prima e un dopo: il Txato, con la sua impresa di trasporti, è stato preso di mira dall’ETA, e dopo una serie di messaggi intimidatori a cui ha testardamente

rifiutato di piegarsi, è caduto vittima di un attentato... Bittori se n’è andata, non riuscendo più a vivere nel posto in cui le hanno ammazzato il marito,

il posto in cui la sua presenza non è più gradita, perché le vittime danno fastidio. Anche a quelli che un tempo si proclamavano amici. Anche a quei vicini

di casa che sono forse i genitori, il fratello, la sorella di un assassino. Passano gli anni, ma Bittori non rinuncia a pretendere la verità e a farsi

chiedere perdono, a cercare la via verso una riconciliazione necessaria non solo per lei, ma per tutte le persone coinvolte.

 

Commento:

Questo libro non è facile da leggere. Non lo è per tanti motivi: bisogna superare le difficoltà legate ai tanti termini in Euskera, la lingua diffusa nel Paìs Vasco; bisogna abituarsi allo stile particolarissimo di Aramburu, diretto, spigoloso, “smozzicato” ma funzionale per calarsi nella storia; bisogna mettere in conto le oltre seicento pagine che, credetemi, sono tante se si ha a che fare con una vera e propria guerra di nervi e di proiettili. Se si supera tutto questo, però, si sarà premiati e si conoscerà un ottimo esempio di letteratura moderna, un romanzo duro, uno spaccato di realtà difficile da immaginare che Aramburu tratteggia con estrema schiettezza e lucidità. Quella raccontata in “Patria” è la storia di una terra che per tanto tempo è stata intrisa del sangue dei suoi abitanti, di un popolo – quello basco – che ha esacerbato l’idea di indipendenza innescando, per mano dell’Eta,  un vero e proprio conflitto armato. Un conflitto fisico, ideologico e mentale che non si combatteva su un campo di battaglia, bensì per le strade, nei bar, nelle case, nei volti e nei cuori della gente. Se si veniva presi di mira dall’Eta, da un giorno all’altro si diventava indigesti, fastidiosi, bersagli dell’odio, della diffidenza, della vigliaccheria di chi non ha coraggio di dire “No, non mi sta bene, quell’uomo è mio amico”. E così muoiono amicizie di decenni, si sgretola la fama di un uomo buono, si impedisce ai figli di parlarsi, si tagliano di netto tutti i più comuni rapporti di cortesia e questo può uccidere prima e più di un proiettile sparato da un ragazzo del paese in un giorno di pioggia. E chiedere perdono, poi, diventa difficile, specie se si è testardi, orgogliosi e mal disposti ad ammettere di aver sbagliato, di essersi lasciati deviare da un’idea.

Stupende, emergono in queste pagine, le figure femminili: le madri e le figlie, apparentemente forti, ma in realtà fragili, portatrici di idee travolgenti e totalizzanti, giuste o sbagliate che siano.

Un romanzo stupendo, con personaggi che grazie all’ottima caratterizzazione di Aramburu impariamo a conoscere con tutti i loro difetti. Un libro che parla di amicizia, ideali, guerra, amore. Una lettura non facile, ma decisamente meritevole.  

 

 

 

Opera recensita: “Patria” di Fernando Aramburu

Editore: Guanda, 2017

Genere: narrativa internazionale

Ambientazione: Spagna, Paìs Vasco

Pagine: 640

Prezzo: 19,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 9.

 

giovedì 21 giugno 2018

RECENSIONE: CAROL O'CONNELL - SUSAN A FACCIA IN GIù NELLA NEVE


Sinossi:

Nascosto tra gli alberi l'uomo guardò l'orologio. Era il momento. Presto la ragazzina sarebbe arrivata in bicicletta. A Makers Village, una cittadina dello

stato di New York, la scomparsa di due bambine di dieci anni fa riemergere dal passato un incubo terrificante. Quindici anni prima, alla vigilia di Natale,

la sorella gemella di Rouge, il poliziotto incaricato delle indagini, era stata rapita e uccisa. Un uomo è stato condannato per quel brutale omicidio,

un uomo che continua a proclamarsi innocente. E se stesse dicendo la verità? Se la scomparsa delle bambine fosse fatalmente collegata alla tragedia di

tanti anni prima?

 

Commento:

Duro, freddo, inquietante thriller psicologico che forse ha aperto la strada a molti autori moderni dello stesso genere.

Sadie e Gween sono scomparse. Già di per sé questo fatto è inquietante, tanto più che si tratta di due bambine di dieci anni. Se poi si considera che la sparizione è avvenuta la vigilia di Natale, allora non ci sono dubbi: la pista è quella della pedofilia; le ha rapite lo stesso uomo che quindici anni prima aveva rapito e ucciso Susan, la sorella del giovane e acuto poliziotto Rouge Kendal. E Susan è stata solo la prima di una serie di bambine rapite secondo un medesimo schema: prelevate in coppia, uccise in tempi prestabiliti. C’è solo un problema: per l’omicidio di Susan c’è già un colpevole… allora chi ha rapito le due bambine?

Questo thriller non è né scontato né facile da leggere e da capire. Complice una debole caratterizzazione dei personaggi, si fa fatica ad entrare nella storia ed a delineare i ruoli dei tanti protagonisti, soprattutto perché i riferimenti al passato ci sono, ma sono frammentati e poco circostanziati. In questo libro tutto va desunto, il passato è importante, ma tutto ruota intorno al qui e ora.

Rouge Kendal ha potenziale, ma non è stato sviluppato in altri romanzi, quindi rimane un buon investigatore fine a se stesso. Consiglio la lettura di questo libro perché, se pur con tanti difetti, resta un buon thriller con una trama che regge, un finale prevedibile ma non scontato ed un messaggio positivo in chiusura. Non il top, dunque, ma accettabile.

 

Opera recensita: “Susan a faccia in giù nella neve” di Carol O’Connell

Editore: Piemme, prima ed. 1999

Genere: thriller

Ambientazione: Stati Uniti

Pagine: 457

Prezzo: 12,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 7,5.

 

martedì 19 giugno 2018

RECENSIONE: REINALDO ARENAS - PRIMA CHE SIA NOTTE


Sinossi:

Scrittore e omosessuale: due colpe imperdonabili per il regime castrista, che perseguitò Reinaldo Arenas, lo incarcerò, lo colpì negli affetti e lo condannò

a un umiliante programma di riabilitazione. Arenas riuscì a fuggire, ma l’esilio gli rivelò altri orrori: l’ambiguità presente nel mondo degli esuli cubani,

così come l’ipocrisia della sinistra occidentale, viziata dal mito della rivoluzione cubana. Nella sua struggente autobiografia, uno dei massimi scrittori

cubani delle ultime generazioni ripercorre tutta la sua esistenza, la lotta per la sopravvivenza, gli interrogatori, la fuga, la malattia. Congedandosi

tuttavia, prima del suicidio, con parole in cui risuona uno slancio di speranza e libertà.

 

Commento:

Scrittore, omosessuale, controrivoluzionario, semplicemente uomo. Reinaldo Arenas è uno dei tantissimi intellettuali cubani che hanno vissuto dall’interno il regime dittatoriale di Fidel Castro e ne hanno denunciato gli abusi e le atrocità pagando un prezzo altissimo. Reinaldo Arenas non si risparmia e non ci risparmia nulla: ci racconta tutto della sua vita – a partire da quando aveva due anni – in modo semplice, diretto, con quella schiettezza tipica dei veri latini, abituati a dire pane al pane e vino al vino senza peli sulla lingua. Così conosciamo nel dettaglio tutte le vicissitudini di Arenas, dall’infanzia in campagna, all’adolescenza durante la dittatura di Batista, alla rivoluzione Castrista, al reclutamento come tecnico contabile. Ci sono, in questo lungo e dettagliato racconto, alcuni punti incrollabili della vita di Arenas: il rapporto strettissimo con la natura, la carica erotica dirompente e quasi insostenibile, il senso di ribellione che si oppone all’oppressione ed alla proibizione… l’amore per il mare, il rischiare continuamente barcamenandosi ogni giorno fra traditori, delatori, ipocriti e pochi amici veri… la scrittura come denuncia e veicolo di rabbia, amore, informazione. Un libro che ho divorato, che fa venire voglia di conoscere, di leggere, di sapere, che coinvolge e non annoia mai. Consigliatissimo.

 

 

Opera recensita: “Prima che sia notte” di Reinaldo Arenas

Editore: Guanda, prima ed. 1990

Genere: autobiografia

Ambientazione: Cuba-Stati Uniti

Pagine: 325

Prezzo: 13,50 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8,5

 

lunedì 18 giugno 2018

RECENSIONE: ANDREA CAMILLERI - LA MOSSA DEL CAVALLO


Sinossi:

L’azione si svolge nel 1877 e trae spunto da un episodio raccontato nella famosa inchiesta sulla Sicilia da Leopoldo Franchetti. Giovanni Bovara, nato

in Sicilia ma trasferitosi a soli tre mesi d’età a Genova, viene mandato nell’isola come ispettore ai mulini, dopo che i due che l’hanno preceduto sono

morti ammazzati. A Vigàta rimane invischiato nei potentati locali, dal prete ai politici, agli uomini d’onore a infidi azzeccagarbugli che gli mandano

messaggi in codice che Bovara, integerrimo funzionario, non può capire. Va dritto per la sua strada, che è quella della legge, e ragiona in dialetto genovese,

ma è proprio questo che gli impedisce di cogliere la rete che lo va stritolando. Così quando viene ucciso il prete, donnaiolo e in fama d’usuraio, l’unica

maniera per difendersi dalla paradossale situazione in cui si è venuto a trovare - quella di essere accusato del delitto che ha denunziato - è la mossa

del cavallo. Giovanni Bovara dunque si mette non solo a parlare ma anche a pensare in siciliano, un dialetto che credeva d’aver perso, ma che sboccia spontaneo

dalle sue labbra e si rivela la chiave per comprendere l’accaduto e soprattutto per dare scacco a chi controlla un paese intero. Insomma una autentica

provocazione che rovescia la trappola fabbricata per lui. La connessione delle lingue: l’italiano postunitario, le parole della burocrazia, i dialetti

genovese e siciliano; basta trovare il codice giusto per risolvere il corto circuito e accedere alla soluzione. Ed è questo che rende questo romanzo (che

al racconto alterna verbali, documenti, corrispondenze e articoli fittizi) unico e uno dei più felici di Andrea Camilleri: per la scena animata e umoristica

e il rovesciamento dei ruoli, per l’irrisione dei siciliani, fra cadaveri che appaiono e scompaiono, testimoni che si volatilizzano, parole sussurrate

a mezza voce, una farsa tragica.

 

Commento:

Come suggerisce anche il titolo, la storia descritta in questo libro è, in pratica, un’autentica partita a scacchi: da una parte ci sono i buoni, come l’integerrimo ragioniere Giovanni Bovara, neoispettore ai mulini a Vigata, dall’altra i cattivi, come il potente Don Cocò Afflitto, l’avvocato Fasulo, il Delegato Spampinato, addirittura il prete Don Carnazza. Quando Giovanni Bovara, già ispettore a Reggio Emilia, arriva in Sicilia si ritrova per le mani una situazione spinosa: un ufficio a soqquadro, carte sparse ovunque, gente che mette le mani dove non dovrebbe, permissività e lassismo che sono la normalità, tangenti regolarizzate, ecc. Nel denunciare tutto ciò, Bovara pesta inconsapevolmente i piedi a chi questo traffico lo controlla, lo ha creato e lo gestisce con l’accordo di istituzioni, magistratura e forze armate. Le sue indagini, però, non cadono nel vuoto e se da un lato qualcuno cerca di farlo passare per pazzo, qualcun altro raccoglie l’assist di Bovara e indaga. Questa incresciosa preoccupazione va a congiungersi fatalmente con altre questioni locali – fatte di tradimenti, eredità e fatti di denaro – fino a deflagrare in un omicidio che fa rumore e del quale Bovara è involontario testimone. Per i neri l’occasione è ghiotta ed il piano d’accusa è ingegnoso. L’unico modo che ha Bovara per sfuggire alla gogna è giocare d’astuzia e imparare a pensare, agire, ragionare come i suoi avversari. Ci riesce e il risultato è sorprendente: una provocazione sottile ed efficace che ha come coprotagonista il dialetto siciliano. Grande importanza, infatti, riveste il linguaggio in questo libro: si passa da un italiano pomposo e burocratizzato al siciliano stretto usato da tutti i locali, al genovese altrettanto stringato nel quale ragiona Giovanni. Quando finalmente l’ispettore si troverà costretto a scagionarsi dal cappio che gli è stato teso, comincerà a ragionare, pensare e parlare in siciliano. Sarà questa la chiave della sua salvezza.

Una lettura piacevolissima, una farsa tragica che fa sorridere, ridere e riflettere. Ci vorrebbe un’alta cultura letteraria che, mio malgrado, non ho per spiegare i mille simbolismi e richiami letterari presenti in un libro così breve; ciò che posso affermare con sicurezza è che non ne resterete delusi: pagine di letteratura con funzione didattica che consiglio caldamente. Libro davvero molto, molto interessante.

 

 

Opera recensita: “La mossa del cavallo” di Andrea Camilleri

Editore: Sellerio, prima ed. 1999

Genere: giallo storico

Ambientazione: Sicilia, 1877

Pagine: 272 (ed. Sellerio 2017)

Prezzo: 14,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 9.

 

domenica 17 giugno 2018

RECENSIONE: joel Dicker - la scomparsa di Stephanie Mailer


Sinossi:

30 luglio 1994. La cittadina di Orphea, stato di New York, si prepara a inaugurare la prima edizione del locale festival teatrale, quando un terribile

omicidio sconvolge l'intera comunità: il sindaco viene ucciso in casa insieme a sua moglie e suo figlio. Nei pressi viene ritrovato anche il cadavere di

una ragazza, Meghan, uscita di casa per fare jogging. Il caso viene affidato e risolto da due giovani, promettenti, ambiziosi agenti, giunti per primi

sulla scena del crimine: Jesse Rosenberg e Derek Scott. 23 giugno 2014. Jesse Rosenberg, ora capitano di polizia, a una settimana dalla pensione viene

avvicinato da una giornalista, Stephanie Mailer, la quale gli annuncia che il caso del 1994 non è stato risolto, che la persona a suo tempo incriminata

è innocente. Ma la donna non ha il tempo per fornire le prove, perché pochi giorni dopo viene denunciata la sua scomparsa. Che cosa è successo a Stephanie

Mailer? Che cosa aveva scoperto? Se Jesse e Derek si sono sbagliati sul colpevole vent'anni prima, chi è l'autore di quegli omicidi? E cosa è davvero successo

la sera del 30 luglio 1994 a Orphea? Derek, Jesse e una nuova collega, la vicecomandante Anna Kanner, dovranno riaprire l'indagine, immergersi nei fantasmi

di Orphea. E anche nei propri.

 

Commento:

La quarta di copertina racconta già abbastanza della trama, perciò non mi soffermerò oltre sul punto. Quanto alle considerazioni personali, però, devo dire che provo una sensazione strana nei confronti di questo libro: mi sono accinta a leggerlo sapendo già che l’avrei trovato buono, ma lento… e infatti è stato così. Avevo già letto il libro più famoso di Joel Dicker, “La verità sul caso Henry Quebert” e ricordo che all’epoca mi era piaciuto. Tuttavia, ultimamente, leggendo altri thriller ben più avvincenti, quel libro mi era tornato in mente ed avevo avuto la sensazione di averlo sopravvalutato, tanto che mi sono riproposta di rileggerlo in inverno. Ecco, leggendo la trama di quest’ultima fatica di Dicker, avevo avuto la sensazione che vi avrei trovato la stessa cosa del primo. “La scomparsa di Stephanie Mailer”, infatti, è molto scorrevole e più lineare del primo libro – sebbene anche qui vi siano continui salti temporali – ma la tensione non è mai altissima, anche nelle scene più forti non si ha mai quel picco di adrenalina che invece è all’ordine del giorno con altri autori. Probabilmente questo è causato dalla continua dilatazione dell’azione, dal continuo interrompere i ragionamenti e il verificarsi degli eventi per dare spazio ai ricordi, pur necessari, degli eventi di vent’anni prima. Alla lunga, questo tipo di narrazione frammentata e sempre pacata e “andante” stanca e porta ad un progressivo calo della tensione già non particolarmente alta. Detto questo, comunque si tratta di un buon thriller, non particolarmente originale o brillante, ma godibile… senza troppi scossoni. Lo consiglio, quindi, a chi legga i thriller con piacere ma non si reputi un vero appassionato del genere.

 

 

 

 

Opera recensita: “La scomparsa di Stephanie Mailer” di Joel Dicker

Editore: La nave di Teseo, 2018

Genere: thriller

Ambientazione: Stati Uniti

Pagine: 640

Prezzo: 22,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

sabato 16 giugno 2018

RECENSIONE: ANDREI MAKINE - L'ARCIPELAGO DELLA NUOVA VITA


Sinossi:

Agli estremi confini orientali della Russia, dentro al vento del Pacifico, per terre immense che sembrano sfuggite alla storia, Pavel Gartsev e i suoi

compagni danno la caccia a un criminale dal volto sconosciuto. Pavel, nato e cresciuto nella Russia di Stalin, ha un passato di solitudine e abbandoni:

rimasto orfano da bambino in circostanze che non conosce, ha vissuto, soldato ancora giovanissimo, tutta la violenza della seconda guerra mondiale. Rientrato

a casa, Pavel si iscrive all’università, conosce Sveta, sogna di iniziare con lei una vita normale, ma all’addensarsi della guerra fredda è richiamato

in servizio nell’est del paese e gli viene assegnato il compito di dare la caccia, insieme ad altri soldati, a un uomo evaso da un campo di prigionia.

Per molti giorni i cinque, accompagnati da un cane, seguono per l’infinita distesa della taiga le tracce dell’uomo; la preda è astuta, più volte si fa

gioco dei suoi inseguitori, costringendoli a un vagare disperato ed esaltante. Quando i suoi compagni vengono feriti, Pavel decide di continuare la caccia

da solo, ma non sa ancora che la vera identità del fuggitivo, una volta scoperta, sarà capace di sconvolgere la sua vita.

 

Commento:

Un meraviglioso racconto di guerra e d’amore. Due concetti, due termini, dai significati così ampi e sfuggenti che si fa fatica ad inquadrarli. Cos’è la guerra? Non solo un combattimento fisico e frontale, ma anche una battaglia interiore, una lotta contro la volontà di lasciarsi andare, il superamento dei propri limiti, la capacità di conoscere e seguire i propri valori senza lasciare decidere gli altri. E cos’è l’amore? L’amore tra uomo e donna, certo, ma anche l’amore per la giustizia, l’ammirazione per la superiorità dell’altro, la ricerca spasmodica di un motivo, anche illusorio, per continuare a vivere. Troviamo tutto questo in queste pagine: concetti grandissimi quasi quanto la terra che i protagonisti percorrono. Una terra, un paesaggio, una natura, un viaggio, una fuga, che è metafora della vita. E quando tutto sembra perduto si deve trovare la via d’uscita, l’occasione, la forza  per ricominciare da zero.

Lettura piacevole, avvincente e quasi commovente nel finale, un’analisi delicata e sobria dei più estremi sentimenti umani. Consigliato.

 

Opera recensita: “L’arcipelago della nuova vita” di Andrei Makine

Editore: La nave di Teseo, 2017

Genere: narrativa internazionale

Ambientazione: Siberia

Pagine: 234

Prezzo: 20,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8,5.

 

giovedì 14 giugno 2018

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - IL SILENZIO DEI RAPITI


Sinossi:

Uno scuola-bus che trasporta otto bambine sordomute e le loro due insegnanti viene preso in ostaggio da tre pericolosi uomini appena fuggiti di prigione.

Rifugiatisi in un macello abbandonato il capo degli evasi, l'omicida Lou Handy, annuncia che ucciderà un ostaggio ogni ora se le sue richieste non saranno

soddisfatte. Con una serie di trattative estenuanti Arthur Potter, agente dell'FBI incaricato a negoziare il rilascio, ingaggia con il sadico Handy una

partita psicologica all'ultimo respiro nel corso di 12 tese e spasmodiche ore. Potter cerca di immedesimarsi nel pericoloso assassino, fino a pensare con

la sua testa...

 

Commento:

Semplicemente favoloso. Un Thriller con la T maiuscola, tutto suspense, azione, pianificazione, colpi di scena. Tutto comincia quando, lungo la strada per Topeka, lo scuolabus con a bordo otto giovani studentesse sordomute e le loro due insegnanti incrocia un incidente: gli occupanti di un’auto lungo la strada sembrano aver decisamente bisogno d’aiuto. Quando la ragazza più grande e le due insegnanti scendono dal bus, però, ancora non sanno che ad aspettarle, oltre ai feriti, ci sono tre pericolosi malviventi appena evasi di prigione. I tre uomini sequestrano l’autobus e rinchiudono le occupanti in un mattatoio abbandonato, grande e fetido, dove comincia una battaglia di nervi, estenuante e pericolosissima, fra sequestratori, ostaggi e forze di polizia. L’agente incaricato di negoziare con Lou Handy, il freddo capo dei sequestratori, è l’anziano Arthur Potter, personaggio con pregi e difetti con il quale è difficile non fraternizzare. Potter è abile, è “l’orgoglio del FBI”, ma deve lottare non solo con chi è dentro il mattatoio, ma anche con le forze contrastanti fra coloro che dovrebbero essere suoi alleati. Nulla, in questa storia, è definito; nessuno può sapere quanto durerà la trattativa e come si evolverà. In un crescendo di suspense e adrenalina, la storia si dipanerà con risvolti inaspettati ed un finale impensabile.

Ora, cosa si può dire di questo libro al di là della trama? Certo si può dire che Deaver studia, non pecca mai di approssimazione o faciloneria: quando prendi in mano un suo thriller sai già che a fine lettura avrai a disposizione vagonate di informazioni sul tema di fondo e di certo ne saprai qualcosa in più. Poi – ma chi come me è un suo lettore assiduo lo sa già – Deaver sa dosare la tensione: è un mago nel farci sospirare di sollievo e, un attimo dopo, farci balzare dalla sedia. E poi chi legge Deaver sa anche che mai, proprio mai, si potrà mettere la parola fine a un suo thriller prima di aver girato l’ultima pagina: fino all’ultima riga ci si potrà sempre aspettare qualche sorpresa.

Originale, sorprendente, avvincente, un thriller che è insieme azione e fine ragionamento, in pieno stile Deaver. Lettura consigliata a chi ama il brivido ed è disposto a lasciarsi condurre, senza dare mai niente per scontato.

 

Opera recensita: “Il silenzio dei rapiti di Jeffery Deaver

Editore: Sonzogno-Bur, prima ed. 1995

Genere: thriller

Ambientazione: Kansas, Stati Uniti

Pagine: 432 (Ed. Bur 2013)

Prezzo: 9,90 € (Ed. Bur 2013)

Consigliato: sì

Voto personale: 9.

 

venerdì 8 giugno 2018

RECENSIONE: DONATELLA DI PIETRANTONIO - MIA MADRE è UN FIUME


Sinossi:

Il racconto di un amore tra madre e figlia "andato storto da subito". Un romanzo potente e vitale, in cui le vicende personali si uniscono alla storia

corale di un'Italia contadina, ritratta dagli anni di guerra fino ai nostri giorni. Quando Esperia mostra i segni di una malattia che le toglie la memoria,

è tempo per la figlia di prendersi cura di lei e aiutarla a ricostruire un'identità smarrita. Inizia così, giorno dopo giorno, il racconto di un passato

dal quale riaffiorano ricordi dolcissimi e crudeli, riprendono vita le figure dei familiari e degli abitanti della piccola comunità montana che le ha viste

nascere e crescere entrambe. In un Abruzzo luminoso e aspro, che affiora tra le pagine come una terra mitologica e lontana, le fatiche della campagna,

l'allegria dei matrimoni, la ruvidezza degli affetti, l'emancipazione dall'analfabetismo e la fine della sottomissione femminile si intrecciano al racconto

di una lenta metamorfosi dei sentimenti in un indissolubile legame madre-figlia che oscilla tra amore e odio, nostalgia e rifiuto.

 

Commento:

Tina è in quella fase della vita nella quale si sa che restano ancora molti anni da madre, ma pochi da figlia. E’ in questa fase, in cui cominciano a diminuire le recriminazioni e si percepisce vagamente cosa significa essere madre, che Tina si ritrova a dover assistere la sua di madre, Esperia, colpita da una malattia, l’atrofia cerebrale, che le ruba i ricordi e le confonde le idee. A Tina spetta il compito di raccontare alla madre la sua vita, chi è, chi è stata, cos’ha vissuto lei e la sua famiglia. Momenti che Tina non ha vissuto, ma che deve ripercorrere in una sorta di diario a ritroso per ridare una memoria, una vita, a quella madre che quarantasette anni prima l’ha data a lei una vita, a quella madre inflessibile, scostante, incapace di dimostrare affetto. Un affetto che a Tina è sempre mancato, che ora la madre istintivamente vorrebbe darle, ma che lei non vorrebbe ricevere. Una storia intima, familiare, di paese, una storia come ce ne sono tante nella nostra Italia contadina, che ha vissuto la guerra, il ritorno di chi era partito, il riabituarsi agli altri, gli anni positivi e quelli di crisi, il cambiamento, la rivoluzione, l’emancipazione femminile. C’è un po’ di tutto questo in queste pagine, in una mescolanza perfetta ed equilibrata tra ricostruzione storica e ricordo. E Donatella Di Pietrantonio descrive tutto questo con penna sicura, in quel suo stile così caratteristico, essenziale, d’impatto che ritroviamo anche nel libro che l’ha fatta conoscere al grande pubblico – “L’arminuta” – e che ricalca bene quella realtà contadina che lei descrive così bene.

Così, tra sapori, riti, superstizioni, ci caliamo in punta di piedi in una famiglia comune ed allargata che è un po’ quella di tutti noi. Una buona lettura che consiglio e che ho apprezzato anche più dell’”Arminuta”.

 

Opera recensita: “Mia madre è un fiume” di Donatella Di Pietrantonio

Editore: Elliot, 2010

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Abruzzo

Pagine: 179

Prezzo: 16,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

mercoledì 6 giugno 2018

RECENSIONE: PAOLO GIORDANO - DIVORARE IL CIELO


Sinossi:

Quei tre ragazzi che si tuffano in piscina, nudi, di nascosto, entrano come un vento nella vita di Teresa. Sono poco piú che bambini, hanno corpi e desideri

incontrollati e puri, proprio come lei. I prossimi vent'anni li passeranno insieme nella masseria lí accanto, a seminare, raccogliere, distruggere, alla

pazza ricerca di un fuoco che li tenga accesi. Al centro di tutto c'è sempre Bern, un magnete che attira gli altri e li spinge oltre il limite, con l'intensità

di chi conosce solo passioni assolute: Dio, il sesso, la natura, un figlio.

Le estati a Speziale per Teresa non passano mai. Giornate infinite a guardare la nonna che legge gialli e suo padre, lontano dall'ufficio e dalla moglie,

che torna a essere misterioso e vitale come la Puglia in cui è nato. Poi un giorno li vede. Sono «quelli della masseria», molte leggende li accompagnano,

vivono in una specie di comune, non vanno a scuola ma sanno moltissime cose. Credono in Dio, nella terra, nella reincarnazione. Tre fratelli ma non di

sangue, ciascuno con un padre manchevole, inestricabilmente legati l'uno all'altro, carichi di bramosia per quello che non hanno mai avuto. A poco a poco,

per Teresa, quell'angolo di campagna diventa l'unico posto al mondo. Il posto in cui c'è Bern. Il loro è un amore estivo, eppure totale. Il desiderio li

guida e li stravolge, il corpo è il veicolo fragile e forte della loro violenta aspirazione al cielo. Perché Bern ha un'inquietudine che Teresa non conosce,

un modo tutto suo di appropriarsi delle cose: deve inghiottirle intere. La campagna pugliese è il teatro di questa storia che attraversa vent'anni e quattro

vite. I giorni passati insieme a coltivare quella terra rossa, curare gli ulivi, sgusciare montagne di mandorle, un anno dopo l'altro, fino a quando Teresa

rimarrà la sola a farlo. Perché il giro delle stagioni è un potente ciclo esistenziale, e la masseria il centro esatto dell'universo.

 

Commento:

“Divorare il cielo” è un romanzo difficile da recensire, da commentare, da digerire. Ti si incolla addosso come l’umidità dei giorni caldi di scirocco, un vento fastidioso e amato che è parte di questa terra, la Puglia, nella quale si svolge questa storia. E’ durante una di queste estati che Teresa e Bern si conoscono, si piacciono, si catturano per non lasciarsi mai più. Ora penserete “ecco, la solita storia d’amore tra la turista del Nord in vacanza e il rude contadinotto del Sud”… niente di più sbagliato. Sì, di amore si parla in queste pagine, ma di un amore viscerale, totale, assurdo e assoluto, di un sentimento che è attrazione e nostalgia, che spinge inesorabilmente due persone a cercarsi, ad amarsi, a farsi del male. E’ così che si sviluppa, nell’arco di vent’anni, l’amore di Teresa e Bern, fatto di tante persone, fatto di idee portate all’esasperazione, di rischi folli, di lotte contro tutti, di gesti insani e prese di posizione estreme, sempre, perennemente, alla ricerca di qualcosa – o di qualcuno – da seguire.

Perché credere in un’idea, in un progetto per quanto sembri balordo, in un sogno per quanto sembri irrealizzabile, a volte è l’unica cosa che ci spinge ad andare avanti, a non fuggire, a non mollare tutto e cedere al qualunquismo, all’infelicità, ad una vita ordinata e prevedibile, alla disperazione.

Una storia, questa, in cui ci si perde, si annega, si riemerge e si affoga ancora. Dei personaggi, Teresa e Bern in testa, che non dimenticheremo e che non vorremmo lasciare. Un romanzo sobrio eppure accorato, un grido silenzioso che nasce dalle viscere di una terra piena di contraddizioni, ma che torna sempre lì, ai suoi riferimenti, alle sue radici, alle sue poche certezze. Una terra che, con i suoi paesaggi e la sua cultura popolare, è simbolo di una generazione spaccata dall’interno tra volontà e rassegnazione, tra amore e disperazione, scossa da sensazioni forti e da una continua ricerca di sé attraverso gli altri, disposta ad aggrapparsi a un’idea con tutte le forze e di disdegnarla un attimo dopo.

Perché dovreste leggere questo libro? In tutta sincerità non lo so. Io l’ho letto, mi ci sono persa, ne sono uscita scossa, eppure lo rileggerei. Giordano non ha fretta di terminare il racconto, si prende i suoi giusti tempi per analizzare, proseguire, tornare indietro per osservare meglio; non ci dà soluzioni, non ci dà moniti da usare come mantra: ci racconta una storia forte, fatta di tanti pezzi. Sta a noi trovarvi ciò che cerchiamo.

 

Opera recensita: “Divorare il cielo” di Paolo Giordano

Editore: Einaudi, 2018

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Puglia, province di Brindisi e Taranto

Pagine: 440

Prezzo: 22,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 9.

 

martedì 5 giugno 2018

RECENSIONE: WULF DORN - GLI EREDI


Sinossi:

«Mi creda, avrà bisogno ancora di un sacco di caffè oggi. Sarà una cosa lunga.» Nella saletta colloqui del seminterrato del reparto psichiatrico dell’ospedale,

Frank Bennell, stimato criminologo alla soglia della pensione, chiede aiuto a Robert Winter, psicologo con cui ha collaborato in numerosi casi di omicidio.

Però i due esperti del lato oscuro della natura umana questa volta sono messi a dura prova. La donna che si trovano davanti, sopravvissuta a un grave incidente

su una strada di montagna immersa nella nebbia e battuto dalla pioggia, sembra oscillare tra realtà terribili e allucinazioni. Si chiama Laura Schrader,

trentadue anni, capelli biondi; nell’auto accanto a lei una pistola vecchio modello col caricatore vuoto e un baule in cui si nasconde una dura verità.

Nel suo sguardo diffidenza e terrore. Perfino Winter, il quale nella sua carriera ha ascoltato dai suoi pazienti storie così plausibili da non riuscire

quasi a smascherarle, non sa come mettere in ordine i pochi elementi ricavati con tanta fatica dalla donna: l’uomo che l’ha salvata chiamando i soccorsi

e poi è sparito nel nulla, bambini dagli occhi di ghiaccio, misteriose uccisioni… Fatica a collegarli a quanto si vede nella foto che gli ha mostrato il

collega: qualcosa di terribile, che supera ogni sua aspettativa. In una lunga notte, fuori dalla clinica, sotto un cielo nero e gonfio di odio sta succedendo

qualcosa. Ma cosa? Bisogna credere a quella donna per arrivare in tempo. Se sarà ancora possibile.

 

Commento

Wulf Dorn è uno dei miei autori di thriller preferiti, in particolare Wulf scrive thriller psicologici spesso davvero inquietanti e con un alto grado di fattori inspiegabili al loro interno. Il pregio dei suoi libri, però, è sempre stato che alla fine, per quanto assurda, la spiegazione c’era sempre e di solito lasciava spiazzati ma rendeva la storia plausibile. Beh, in questo suo ultimo libro, purtroppo, la spiegazione non è all’altezza dell’assurdità della trama.

Intendiamoci, se questo libro fosse stato etichettato come fantascientifico, non avrebbe brillato per originalità, ma forse sarebbe stato bellissimo, ma un thriller, per quanto parli di psicosi e disturbi della mente, non può discostarsi tanto dalla realtà. E’ vero, e lo stesso Dorn ce lo dice nella prefazione, che lo spunto viene dalla realtà e che molti dei fatti narrati negli intermezzi sono tratti da fatti realmente accaduti nel 2016… ed anche il messaggio di fondo, il fatto che i bambini vanno rispettati e che troppo spesso sono vittime di soprusi inaccettabili, non basta a far reggere la trama, almeno a mio parere.

Mi dispiace, ma secondo me purtroppo Wulf Dorn stavolta è inciampato in qualcosa di troppo poco realistico per poter risultare credibile… no, non lo consiglio.

 

 

Opera recensita: “Gli eredi” di Wulf Dorn

Editore: Corbaccio, 2017

Genere: thriller

Ambientazione: Germania

Pagine: 324

Prezzo: 17,60 €

Consigliato: no

Voto personale: 6,5.

 

lunedì 4 giugno 2018

RECENSIONE: GRAZIA DELEDDA - IL SEGRETO DELL'UOMO SOLITARIO


Sinossi:

L''uomo che abitava la casetta solitaria laggiù fra la spiaggia e la brughiera, di ritorno dal suo solito viaggio al paese dove ogni tanto si provvedeva

delle cose più necessarie alla vita, svoltando dalla strada provinciale al sentiero che conduce verso il mare, vide due uomini che misuravano coi loro

passi un terreno attiguo al suo giardino. Subito si fermò, con un senso di curiosità misto a rabbia e ad angoscia; ricordava che Ghiana, [...], gli aveva

appunto annunziato la vendita di quel terreno e la probabilità che ci venisse costrutta una casa.

 

Commento:

Pubblicato nel 1921, questo libro è estremamente attuale e godibile, sia per i temi che tratta, sia per il modo in cui è scritto.

Per quanto mi riguarda, non è un mistero che la prosa di Grazia Deledda fosse sublime: avevo avuto modo di apprezzarne l'evocatività già in "Canne al vento",

quindi qui è stata una piacevole conferma. Passando alla trama, il romanzo è ambientato in un piccolo paese in riva al mare. Un uomo, Cristiano, vive isolato

da tutti per sua scelta in una casetta in affitto. Quando qualcuno costruisce una casa proprio accanto alla sua, la sua tranquillità viene minacciata,

tanto più che in quella nuova casa viene ad abitare una donna bellissima con la sua strana famiglia. Cristiano, la sua solitudine e il suo segreto sono

in pericolo.

I temi dominanti in questo libro sono evidentemente la solitudine, l'alienazione, lo straniamento, ma anche il senso di colpa, la malattia dell'anima,

la morte, l'amore, il dolore. Tutto mescolato sapientemente in modo da creare un equilibrio perfetto, come equilibrata ed essenziale è la prosa della Deledda.

Un libro abbastanza breve, che si fa leggere in poche ore, ma che lascia a fine lettura un senso di tristezza e desolazione... resta l'amaro in bocca per

qualcosa che non sappiamo se avremmo voluto, ma che comunque non è stato. Lettura, ovviamente, consigliata.

 

Opera recensita: “Il segreto dell’uomo solitario” di Grazia Deledda

Editore: Il Maestrale, prima ed. 1921

Genere: letteratura italiana, classico

Ambientazione: non definita (probabilmente un paesino sardo)

Pagine: 238

Prezzo: 9,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

sabato 2 giugno 2018

RECENSIONE: MATTEO BUSSOLA - LA VITA FINO A TE


Sinossi:

Dopo il successo di Notti in bianco, baci a colazione, Matteo Bussola scrive un libro sull'amore di coppia. Vissuto, immaginato, sperato, fallito. L'amore

che «non ti completa, ma ti comincia».

«Bussola sa scrivere. Usa le parole con accortezza, con cura, come se fossero importanti. Tanto importanti quanto le esperienze che raccontano» - Michele

Serra

"Il tema del libro è l'amore, anzi tutti gli amori [...] E, ve lo dico: io non so se scriverò altri libri in vita mia, probabilmente sì, magari no, comunque

sia questo resterà sempre e per sempre - è una certezza - il libro al quale vorrò più bene."

Matteo Bussola riconosce ciò che di straordinario si annida nelle cose ordinarie perché le guarda come se accadessero per la prima volta, come se sentisse

sempre la vita pulsare in ogni cellula. Ed è con quello sguardo che racconta di relazioni sentimentali, l'istante in cui nascono, il tempo che abitano.

Lo fa mettendosi a nudo, ricordando gli amori passati, per ripercorrere la strada che lo ha portato fino a qui, alla sua esistenza con Paola e le loro

tre figlie. Soprattutto, lo fa specchiandosi nelle storie di ciascuno: quelle che incontra su un treno, o mentre sbircia dal finestrino della macchina,

o seduto in un bar la mattina presto. Quelle che incontra stando nel mondo senza mai dare il mondo per scontato, e che la sua voce intima e familiare ci

restituisce facendoci sentire che sta parlando esattamente di noi.

 

Commento:

Beh, la quarta di copertina ci dice già molto su questo libro. Ciò che posso aggiungere io è che questo, come anche gli altri di Matteo Bussola, è un libro sincero, autobiografico, che parla di Matteo, di Paola, delle loro figlie, di tutti noi e del vivere quotidiano. Perché Matteo non ha paura di confessarci i suoi errori (chi non ne ha fatti scagli la prima pietra) nei quali un po’ tutti possiamo riconoscerci. E ci riconosciamo nelle storie che racconta, che vive, che osserva. Perché Matteo Bussola sa scrivere, come dice Michele Serra nella presentazione, ma soprattutto sa osservare, osservare davvero, senza pregiudizi, senza preconcetti, guardarsi intorno cogliendo i dettagli che sono l’essenza delle cose.

Nei suoi due romanzi precedenti, “Notti in bianco, baci a colazione” e “Sono puri i loro sogni”, Matteo Bussola ci parla del suo bellissimo rapporto con le figlie, di come gli abbiano cambiato la vita e le priorità. In quest’ultimo libro, invece, la sua attenzione si concentra sul percorso, sentimentale e personale, che l’ha portato alla vita fino a qui, al rapporto con la compagna ed alla creazione di una famiglia. Un percorso fatto di abbandoni, fughe, paure, scelte, rischi, piccole vittorie e grandi perdite; un percorso che lo ha reso consapevole di se stesso, della realtà che lo circonda, un percorso di un uomo normale, non dissimile a quello di tanti di noi. Il pregio dei libri di Matteo Bussola è proprio questo: racconta storie normali vissute da persone normali che, nelle sue mani e con i suoi occhi, diventano piccole cose straordinarie.

Il mio personale consiglio è: prima di leggere questo libro, per capirne a pieno l’evoluzione, leggete almeno il primo romanzo, “Notti in bianco, baci a colazione”. Non si tratta di una saga, capirete lo stesso anche partendo dall’ultimo, però secondo me, se non avete mai letto nulla di Bussola, il primo libro può esservi utile ad entrare nella sua “dimensione”.

Detto questo, buona lettura, anzi… buon viaggio.

 

Opera recensita: “La vita fino a te” di Matteo Bussola

Editore: Einaudi, 2018

Genere: narrativa italiana

Pagine: 202

Prezzo: 17,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

venerdì 1 giugno 2018

RECENSIONE: ARUNDHATI ROY - IL DIO DELLE PICCOLE COSE


Sinossi:

"Il dio delle piccole cose" narra la vicenda di una donna che lascia il marito violento e torna a casa con i suoi due bambini, i gemelli Estha e Rahel,

maschio e femmina. Ma nell'India meridionale dei tardi anni Sessanta, una donna divorziata come Ammu si ritrova priva di una posizione sociale riconosciuta;

a maggior ragione se commette l'errore imperdonabile di innamorarsi di un paria. Non è dunque una vita facile quella toccata ai due gemelli, legati nel

profondo da "un'unica anima siamese". Attraverso lo sguardo di Estha e Rahel, prende forma la storia di un grande amore, in cui si riflette il tema universale

dei sentimenti in conflitto con le convenzioni.

 

Commento:

Non è la prima volta, purtroppo, che un libro da molti definito “capolavoro” poi finisce per non piacermi. E’ il caso di “Il Dio delle piccole cose”, primo, famosissimo libro di Arundhati Roy, ambientato nell’India degli anni 60. In realtà i presupposti perché apprezzassi questo libro c’erano: c’è la cultura e la società indiana con tutte le sue contraddizioni, c’è l’ambientazione che di per sé è un’esperienza multisensoriale da fare, c’è la storia d’amore con differenza di classe, c’è anche un po’ di mistero.

Eppure, ciò che mi ha reso davvero indigesta questa lettura è stato, probabilmente, lo stile in cui è stata scritta: ho trovato il romanzo estremamente confuso, con una trama forse volutamente frammentata, difficile da seguire e da ricostruire, anche per via dei frequentissimi salti temporali spesso privi di alcuna indicazione per orientarsi. Risultato: ho fatto molta fatica per tre quarti del libro. Salverei, probabilmente, il finale, che però non basta per farmi consigliare questa lettura, neanche con il beneficio del dubbio.

Probabilmente è un mio limite personale, ma a me piacciono i libri con una trama visibile, magari con flash-back e salti temporali, ma comunque devo poter seguire la storia. Quindi, in questo caso, a malincuore non consiglio questo libro sul quale pure avevo buone aspettative. Peccato.

 

Opera recensita: “Il Dio delle piccole cose” di Arundhati Roy

Editore: Guanda, 1997

Genere: narrativa internazionale

Ambientazione: India

Pagine: 360

Prezzo: 16,50 €

Consigliato: no

Voto personale: 5.