simposio lettori copertina

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lunedì 31 dicembre 2018

RECENSIONE: GRAZIA DELEDDA - IL DIO DEI VIVENTI


Sinossi:
Questo romanzo è stato poco fortunato, vittima della disattenzione di critici e giornalisti. La vicenda è incentrata sulle figure che compongono la famiglia Barcai. Alla morte del figlio maggiore, padre di un figlio illegittimo, il minore, Zebedeo, fa sparire il suo testamento, lasciando senza diritti il piccolo Salvatore. Zebedeo non riesce però a liberarsi del senso di colpa e incontra quindi Lia, la madre di Salvatore e ex-amante del fratello defunto, per offrirle un sostentamento economico per lei ed il figlio, pur non confessando fino alla fine il suo crimine.

Commento:
Lia è additata e guardata con sospetto e timore perché si è separata dal marito ed ha dato alla luce un figlio con Basilio, il maggiore dei fratelli Barcai, senza essere sposata con lui. In paese tutti cercano di evitarla perché credono che sia fattucchiera e portatrice di male, anche Zebedeo, il fratello minore di Basilio che alla morte di questi però non esita a sottrargli il testamento, di fatto privando il nipotino dell'eredità.
Da questo momento sulla famiglia di Zebedeo sembra cadere un'ombra di sventura: in particolare il figlio, Bellia, si infortuna ad una mano e le cose sembrano peggiorare di giorno in giorno. C'è chi pensa che il male sia stato causato da una qualche vendetta o fattura della vedova Lia, ma in cuor suo Zebedeo sa che sono state le sue azioni a generarlo. Ed è proprio questa la morale al centro di questo breve romanzo: il male genera altro male. I pregiudizi verso Lia, le cattive azioni di Zebedeo e la sua malacoscenza provocano il male nella sua famiglia, quasi che Dio, che non è solo il Dio dei morti, ma anche dei viventi, volesse punirla. Una buona lettura che non mi ha coinvolto da subito come "Canne al vento" o "Il segreto dell'uomo solitario", ma comunque piacevole, istruttiva ed intrisa del lirismo descrittivo e del trionfo dell'Italia popolare che tanto caratterizzano la scrittura di Grazia Deledda. Consigliato.

Opera recensita: "Il Dio dei viventi" di Grazia Deledda
Editore: Ilisso
Genere: letteratura italiana
Ambientazione: non definita, ma presumibilmente Sardegna
Pagine: 161
Prezzo: 11,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


domenica 30 dicembre 2018

RECENSIONE: RUTA SEPETYS - AVEVANO SPENTO ANCHE LA LUNA


Sinossi:
Lina ha appena compiuto quindici anni quando scopre che basta una notte, una sola, per cambiare il corso di tutta una vita. Quando arrivano quegli uomini e la costringono ad abbandonare tutto. E a ricordarle chi è, chi era, le rimangono soltanto una camicia da notte, qualche disegno e la sua innocenza. È il 14 giugno del 1941 quando la polizia sovietica irrompe con violenza in casa sua, in Lituania. Lina, figlia del rettore dell'università, è sulla lista nera, insieme alle famiglie di molti altri scrittori, professori, dottori. Sono colpevoli di un solo reato, quello di esistere. Verrà deportata. Insieme alla madre e al fratellino viene ammassata con centinaia di persone su un treno e inizia un viaggio senza ritorno tra le steppe russe. Settimane di fame e di sete. Fino all'arrivo in Siberia, in un campo di lavoro dove tutto è grigio, dove regna il buio, dove il freddo uccide, sussurrando. E dove non resta niente, se non la polvere della terra che i deportati sono costretti a scavare, giorno dopo giorno. Ma c'è qualcosa che non possono togliere a Lina. La sua dignità. La sua forza. La luce nei suoi occhi. E il suo coraggio. Quando non è costretta a lavorare, Lina disegna. Documenta tutto. Deve riuscire a far giungere i disegni al campo di prigionia del padre. E l'unico modo, se c'è, per salvarsi. Per gridare che sono ancora vivi.

Commento:
C'è un capitolo della storia del Novecento di cui si conosce e si parla poco, un capitolo doloroso e struggente che riguarda milioni di persone: sono i deportati di Stalin, gente rispettabile dei Paesi baltici che, per i motivi più disparati ed insignificanti, veniva definita antisovietica, iscritta in una lista nera e, se non riusciva a fuggire, veniva prelevata ed ammassata su un treno diretto in Siberia. E' la storia che ci viene raccontata in questo romanzo attraverso le vicende di personaggi inventati che ricalcano da vicino quelli reali. E' la storia di Lina, che parte dalla Lituania viziata, egoista, pronta a sputare sentenze su tutto e tutti e lungo il viaggio imparerà ad essere donna, ad aiutare gli altri, a chiedere scusa, ad amare. E' la storia di Jonas, suo fratello, che partirà bambino e diventerà uomo dopo aver combattuto la morte da molto vicino; è la storia della loro madre, Elena, tenace e coraggiosa, che dovrà fare scelte difficili e non perdere mai la speranza; è la storia di tante persone costrette a convivere con altre che non conoscono, a rinunciare a tutto, anche alla dignità per un tozzo di pane, ad essere trattate da criminali per una colpa che non hanno e non sanno nemmeno quale sia. E tanti non sopravvivono, vittime dell'inverno polare, delle malattie, della denutrizione, della disperazione, della crudeltà umana. Ma c'è chi, come Lina, ha un unico obiettivo: sopravvivere per ritrovare i propri cari, continuare a sperare, raccontare ciò che è stato e per farlo si aggrappa a ciò che sa fare. Per Lina, per esempio, l'ancora di salvezza sono i suoi disegni che le permettono di non soccombere al dolore e di lasciare traccia di ciò che è stato.
"Avevano spento anche la luna" è un libro bellissimo, molto molto toccante, dal quale si fa fatica a staccarsi nonostante l'atrocità, l'angoscia, lo sgomento. E' una lettura che consiglio caldamente a tutti.

Opera recensita: "Avevano spento anche la luna" di Ruta Sepetys
Editore: Garzanti, 2011
Genere: narrativa europea
Ambientazione: Lituania-Siberia-Artide, 1941-1943
Pagine: 298
Prezzo: 18,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


sabato 29 dicembre 2018

RECENSIONE: BANANA YOSHIMOTO - LE SORELLE DONGURI


Sinossi:
Guriko, rimasta orfana da ragazzina, nella solitudine della sua stanza gestisce, insieme alla sorella Donko, un sito di posta per persone in difficoltà che si chiama «Donguri shimai» (Le sorelle Donguri). Donko è tanto energica e indipendente quanto la sorella è solitaria e taciturna. Questo fino a quando il messaggio di una donna che lamenta la perdita del marito induce Guriko a ripensare a Mugi, il suo primo amore, incontrato ai tempi della scuola e poi sparito nel nulla. Segretamente cova da sempre il desiderio e la speranza di ritrovarlo, decide allora di interrompere la propria clausura e di andare a cercarlo. Banana Yoshimoto, attraverso la delicata voce narrante di Guriko, ci parla di temi quali la morte, il superamento del dolore, il potere salvifico della condivisione della sofferenza e del motivo del sogno che scioglie tensioni e problemi.

Commento:
Guriko, introversa e tormentata, ci racconta qui con estrema delicatezza la vita sua e di sua sorella Donko, così diversa da lei. Le due ragazze ne hanno passate tante: sono rimaste orfane in seguito ad un incidente automobilistico, hanno vissuto da diversi zii e poi dal nonno, si sono infine ritrovate sole ed hanno dovuto imparare a badare a se stesse. Ciò che le ha salvate è stato il legame fortissimo che le unisce da sempre, sin da quando sono stati decisi i loro nomi che, insieme, formano una parola per loro significativa.
Proprio questo legame così intenso le porta a comprendersi e ritrovarsi anche quando le loro vite sono sul punto di dividersi, anche quando l'amore e le scelte di vita sembrerebbero allontanarle. Ancora una volta, come in ogni tipico romanzo giapponese ed ancor di più in quelli della Yoshimoto, ritroviamo temi come il sogno, la morte, il legame fra consanguinei, tutto trattato con estrema naturalezza e delicatezza. Un buon libro che parla di come sia necessario accettare se stessi de il proprio passato, per meglio accettare gli altri e ciò che il destino ha in serbo per noi.

Opera recensita: "Le sorelle Donguri" di Banana Yoshimoto
Editore: Feltrinelli, 2018
Genere: narrativa giapponese
Ambientazione: Giappone
Pagine: 110
Prezzo: 12,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 7,5


RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - LA FIGLIA SBAGLIATA


Sinossi:
Megan Collier è una ragazzina "difficile": timida, solitaria, piena di rabbia. Rabbia soprattutto nei confronti dei genitori, Bett e Tate, divorziati da poco e troppo presi da se stessi per accorgersi di lei. Fortuna che ora c'è il dottor Peters, il suo nuovo psicanalista. Gli sono bastate poche sedute per stregare Megan: con il suo sguardo magnetico e la voce ferma e suadente, è il solo che riesca a far crollare le barriere della ragazza. Finché un giorno, all'improvviso, Megan scompare. Adesso i suoi genitori dovranno per forza accorgersi di quella figlia che non si erano mai preoccupati di conoscere, e che forse ha voluto fuggire proprio da loro. Ma Megan non è scappata: ben presto, infatti, dietro la sua sparizione si profila una lucida trama di ricatto e vendetta, ordita da qualcuno in grado di tenere in scacco Megan, e abilissimo a scavare nel passato della famiglia Collier. Se vogliono salvare la figlia, e scoprire chi li ricatta e perché, Tate e la sua ex moglie dovranno scendere negli inferi del proprio passato, camminando loro stessi, insieme al misterioso ricattatore, in bilico sul sottile confine tra realtà e follia.

Commento:
E' sabato mattina e Megan parcheggia la sua Tempo per recarsi a quell'inutile seduta con lo psicoterapeuta che sostituisce il suo medico consueto. E' convinta che sarà una perdita di tempo come i precedenti incontri, ma ben presto capisce che forse qualcosa di diverso e di buono c'è: ad accoglierla nello studio c'è un giovane medico dalla voce straordinaria: suadente, consolatoria, rassicurante. Un medico molto diverso dal vecchio e noioso predecessore, che sembra scavarle nei pensieri, sembra riuscire a tirar fuori la sua rabbia e soprattutto sembra conoscerla meglio di chiunque altro. Ma la realtà non è mai rosea come può sembrare: ormai, quando Megan si accorge che quest'uomo l'ha drogata, è troppo tardi. Riusciranno Beth e Tate, i suoi genitori separati, a capire che non è scappata come potrebbe sembrare e a trovarla in tempo? E soprattutto… chi l'ha rapita? E perché?
Un thriller psicologico non originalissimo, ma ansiogeno sin dalla prima pagina. Non è uno dei libri migliori di Deaver, ma è comunque ben scritto e ben congegnato. Come dico sempre: è comunque un libro di Deaver! Lo consiglio come lettura "leggera", se avete voglia di qualche buon brivido e comunque di una morale: sì, perché anche i thriller – checché ne pensino alcuni – insegnano qualcosa, e qui si parla di incomunicabilità tra genitori e figli e dell'importanza vitale delle parole.

Opera recensita: "La figlia sbagliata" di Jeffery Deaver
Editore: Rizzoli, 2010
Genere: thriller psicologico
Ambientazione: Virginia-Stati Uniti
Pagine: 358
Prezzo: 18,50 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


venerdì 28 dicembre 2018

RECENSIONE: FRANK MCCOURT - LE CENERI DI ANGELA


Sinossi:
Non capita spesso che la passione, condivisa da innumerevoli lettori, per il libro di uno sconosciuto si manifesti con tanta, travolgente, immediatezza. E dire che Frank McCourt, un sessantenne al suo esordio letterario, aveva previsto che Le ceneri di Angela sarebbe stato definito «come per lo più avviene con i libri irlandesi di memorie, “incantevole e lirico”» e che avrebbe avuto come unico esito un certo numero di «brevi e simpatiche recensioni».
Ma che cosa incontriamo nelle pagine delle Ceneri di Angela? La storia di «un’infanzia infelice irlandese», il che «è peggio di un’infanzia infelice qualunque, e un’infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora». Siamo negli anni fra le due guerre e le travagliate vicende coinvolgono una famiglia così misera che può guardare dal basso alla povertà, fra un padre perennemente ebbro e vociferante contro il mondo e gli inglesi e i protestanti e una madre che sbrigativamente trascina la sua tribù verso la sopravvivenza. Materiale pregiato per ogni sorta di patetismo. E invece qui avviene uno stupendo rovesciamento. Tutto ci arriva attraverso gli occhi e la voce del protagonista mentre vive le sue avventure. Questo ragazzino indistruttibile, sfrontato, refrattario a ogni sentimentalismo, implacabile osservatore – come solo certi bambini sanno esserlo –, crea con le sue parole, con il suo ritmo, un prodigio di comicità e vitalità contagiose, dove tutte le atrocità, pur senza perdere nulla della loro spesso lugubre asprezza, diventano episodi e apparizioni di un viaggio battuto dal vento verso una terra promessa che sarà, nei sogni infantili di quegli anni come in quelli del Karl Rossmann di Kafka, l’America.
Le ceneri di Angela è apparso per la prima volta nel 1996.

Commento:
Qual è il limite alla povertà? Quando si può davvero dire di aver toccato il fondo della miseria? Leggendo questo romanzo autobiografico sembrerebbe proprio che non ci sia fondo all'ingiustizia ed alla sfortuna dell'uomo. Ormai adulto ed al sicuro in America, Frank McCourt ci racconta la sua infanzia ed adolescenza con gli occhi e con le parole di un bambino nato in America da genitori irlandesi, trasferitosi in Irlanda con tutta la famiglia, un ragazzino che ha visto morire i suoi fratelli di fame e di stenti, un ragazzo dei vicoli abituato a fare di tutto per sopravvivere e inseguire il suo sogno: tornare in America. Un racconto straziante di povertà, stenti, rifiuto e porte sbattute in faccia da chi avrebbe dovuto accogliere, alcoolismo, sopraffazione, incapacità di rimboccarsi le maniche e rialzare la testa… il tutto raccontato con un'ironia commovente che a tratti fa ridere e a tratti tocca nel profondo. "Le ceneri di Angela" è un libro angosciante e tristissimo che racconta l'estremo: l'estrema povertà, l'estremizzazione dell'ideale patriottico, la divisione della fede in fazioni, l'estremo abbrutimento di uomini e donne incapaci di reagire e di non soccombere. Se devo essere sincera, avrei tagliato qua e là qualche scena ripetitiva che non fa altro che appesantire un racconto già non leggero di suo… tuttavia questo è un libro che consiglio, non foss'altro che per il fatto che, anche attraverso un libro, anche tramite il racconto delle sventure altrui, bisogna imparare dagli errori, di qualunque natura siano.


Opera recensita: "Le ceneri di Angela" di Frank McCourt
Editore: Adelphi, prima ed. 1996
Genere: autobiografia
Ambientazione: America-Irlanda, tra le due guerre
Pagine: 377
Prezzo: 18,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 7,5.


mercoledì 26 dicembre 2018

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - IL GIARDINO DELLE BELVE


Sinossi:
New York, 1936. L'America e il mondo intero guardano con apprensione l'inarrestabile ascesa di Hitler. A Paul Schumann, killer di origine tedesca, è stato catturato dall'FBI e gli viene fatta una strana proposta: le autorità federali gli offrono l'immunità per i suoi crimini in cambio dell'omicidio di Reinhard Ernst, uomo di fiducia del Führer. Paul ha quarantotto ore per individuare il suo obiettivo, eliminarlo, e intanto difendersi dall'apparato di sicurezza nazista. Intanto a Berlino, il detective Willy Khol lavora per fermare la scia di sangue che Schumann si lascia alle spalle.

Commento:
Quando uno scrittore di thriller può davvero definirsi "bravo"? A mio parere quando scrive un romanzo accurato, dettagliato, appassionante riuscendo ad adattare la sua scrittura al contesto in cui si svolge la vicenda; quando riesce ad essere pressocché perfetto, ma anche solo credibile, in un contesto diverso da quello che tratta abitualmente; quando riesce a far parteggiare il lettore per il "cattivo", senza fargli detestare il "buono". Stando a questi personalissimi parametri di giudizio, non posso che affermare che Jeffery Deaver non è solo bravo: è magnificamente geniale.
"Il giardino delle belve" è un appassionante thriller storico ambientato fra l'America e la Germania nazista poco prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale. Paul Schumann è un sicario tedesco-americano che viene assoldato dal Bureau per uccidere un alto papavero del Reich, il colonnello responsabile del riarmo, un essere tanto intelligente quanto spregevole. Sulla sua strada, però, Schumann incontrerà di tutto: SS, SA, giovani della gioventù hitleriana, traditori che credeva collaboratori, poliziotti molto zelanti come l'ispettore Khol, un bravissimo membro della Cripo che a sua volta si rivelerà una vittima del sistema. E incontrerà anche degli amici, come Kate e Otto… e dovrà improvvisare, mantenere il suo cuore di ghiaccio, fare delle scelte talvolta vitali. Tutto questo in un Paese in continua, rapida evoluzione, in cui la malattia più grave sembra essere la cecità mentale. Un thriller davvero ben scritto, a tratti un po' lento, ma questa lentezza invece che demotivare fa pregustare le scene di tensione narrativa.
Come al solito Deaver rivela la sua maestria nel sorprendere, dosare la tensione, colpire con uno stravolgimento: nei suoi romanzi nulla e nessuno è mai ciò che sembra; i buoni non sono mai completamente buoni, i cattivi mai troppo cattivi e comunque tutti sono dotati di un grado di intelligenza ed astuzia invidiabili che non permettono mai all'attenzione di calare. Un altro romanzo che vale la pena leggere… Deaver colpisce ancora!


Opera recensita: "Il giardino delle belve" di Jeffery Deaver
Editore: Rizzoli, 2008
Genere: thriller storico
Ambientazione: New York-Berlino, 1936
Pagine: 485
Prezzo: 10,90 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


martedì 25 dicembre 2018

RECENSIONE: ZORAN ZIVKOVIC - L'ULTIMO LIBRO


Sinossi:
Che cosa terribile! Purtroppo alla libreria "Il Papiro" si è verificato un triste incidente. Il signor Todorovic, uno dei clienti più affezionati, è morto improvvisamente, mentre stava leggendo un libro seduto su una poltrona. Vera Gavrilovic, una delle due libraie, è costernata, e quando arriva l'ispettore Dejan Lukic, per un semplice controllo, gli comunica a cuore aperto tutto il suo sconcerto e la sua preoccupazione. Non è che l'inizio, ahimè, perché al primo si sussegue un altro decesso, e poi un altro. Le morti sono inspiegabili, l'unica traccia è che tutte le vittime stavano leggendo un libro. Per Dejan, poliziotto amante dei libri, e Vera, libraia appassionata, comincia una strana indagine, sempre più incalzante, che si allargherà e si complicherà fino a coinvolgere addirittura la polizia segreta. Finché non s'imbatteranno nell'ultimo libro...

Commento:
"L'ultimo libro" è un giallo inconsueto, dai tratti onirici/fantascientifici, che coinvolge un ispettore letterato, una libraia, una serie di strani individui e… un libro… o meglio, un'intera libreria: Il Papiro. E' qui che avvengono alcuni decessi inspiegabili, apparentemente si tratta di morti naturali, di persone assolutamente in salute che muoiono improvvisamente mentre leggono un libro sedute in poltrona o lo sfogliano distrattamente davanti ad uno scaffale della libreria. Sarà difficile ed oltremodo pericoloso scoprire quale sia la causa di queste morti… ma la scoperta è adirittura sorprendente quanto inspiegabile.
"L'ultimo libro" è un giallo piacevole e godibile, tuttavia mi ha lasciato molto perplessa, soprattutto nel finale, per la sua stranezza: l'autore, lo scrittore serbo Zoran Zivkovic, intreccia la narrativa con il giallo e la fantascienza, immaginando sette segrete, storie d'amore e intrecci polizieschi niente male. Il risultato è qualcosa di indefinito, di certo particolare. Per gran parte della lettura avrei detto che questo romanzo mi è piaciuto; arrivata alla fine, però, non saprei se confermare il giudizio. Di certo questo è un giallo sui generis che va letto, poi si potrà giudicarne il gradimento.

Opera recensita: "L'ultimo libro" di Zoran Zivkovic
Editore: Tea, 2010
Genere: giallo
Ambientazione: Belgrado
Pagine: 232
Prezzo: 10,00 €
Consigliato: sì/no
Voto personale: 7.


domenica 23 dicembre 2018

RECENSIONE: GEORGES SIMENON - IL BORGOMASTRO DI FURNES


Sinossi:
Furnes è un borgo fiammingo dove, accanto alle opulente dimore in cui si perpetuano opachi rituali borghesi, cominciano ad apparire i primi segni di una modernizzazione strisciante. Domina sulla piccola città la figura di Joris Terlinck, il borgomastro, che tutti chiamano Baas e che di Furnes è effettivamente il padrone: un padrone autorevole, arrogante, inflessibile, temuto. Intorno a lui, un tessuto di sguardi, chiacchiere, delazioni, subdole manovre. E una ragazza nascosta, in condizioni abiette. Ma, una sera come tante altre, persino nel borgomastro, in questo imperturbabile monolite, si apre una crepa. Simenon ci mostra, fino alle estreme conseguenze, che cosa accade quando l’implacabile e sinistro ordine quotidiano si lacera all’improvviso facendo affiorare per un attimo l’illusione di un’altra possibile esistenza. Quando lesse questo romanzo (steso, secondo le parole dello stesso autore, «in un vero e proprio stato di allucinazione»), Gaston Gallimard, che non usava essere indulgente con i suoi autori, scrisse a Simenon: «È un libro notevolissimo. Uno dei suoi romanzi migliori. Glielo dico con entusiasmo, non solo per amicizia, da vero lettore disinteressato».
Il borgomastro di Furnes, scritto nell’autunno del 1938, apparve nel 1939.

Commento:
Joris Terlinck è un uomo tutto d'un pezzo. E' alto, autorevole, duro, inflessibile, egoista, cinico. E' il borgomastro (il sindaco) della piccola città di Furnes ed il padrone di una delle aziende più fiorenti, la fabbrica di sigari, qualifica che gli è valsa l'appellativo di Baas (padrone). E' rispettato e temuto, non amato da cittadini e collaboratori, poiché con la sua arroganza impone la sua autorità e il suo rigore a tutti, persino alla sua famiglia non così perfetta ed unita. Su di lui è incentrato questo libro, il primo che leggo di Simenon, che sembra volerci mostrare una sorta di eroe al contrario, non proprio un antieroe, ma un uomo con molti difetti, anche gravi, che eroicamente persegue ogni giorno, con la massima coerenza e il più stretto rigore, le sue idee di come dovrebbe andare il mondo. La figura di Joris Terlinck sembra essere un neanche troppo discreto elogio del non cambiamento, della stasi e della conservazione di cose, situazioni, dinamiche. Ma cosa succede quando, per una sua decisione dettata dal rigore, un uomo muore e una ragazza vede la sua vita stravolgersi radicalmente? La prospettiva non cambia, ma le certezze e l'equilibrio si incrinano pericolosamente.
Un libro, questo, davvero singolare ed inconsueto: non si comprende con chiarezza il messaggio che Simenon vuole lanciarci, ma si giunge alla fine facendosi comunque un'idea di fondo, maturando comunque delle riflessioni personali. Perciò ritengo che questo libro valga una lettura, possibilmente due per cercare di comprenderne il senso più profondo. Consigliato, non il solito romanzo.

Opera recensita: "Il borgomastro di Furnes" di Georges Simenon
Editore: Adelphi, prima ed. 1939
Genere: letteratura europea
Ambientazione: Belgio
Pagine: 227
Prezzo: 10,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 7,5


sabato 22 dicembre 2018

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - IL BACIO D'ACCIAIO


Sinossi:
Amelia Sachs è sulle tracce di un killer. Lo ha individuato, anche se ancora non ne conosce l'identità, e lo sta cercando in un affollato centro commerciale di Brooklyn. Pochi, pochissimi istanti prima che la detective entri in azione, però, accade qualcosa: il pannello di una delle scale mobili cede improvvisamente, un uomo cade tra gli ingranaggi e muore stritolato dai denti metallici. Mentre Sachs si precipita in aiuto della vittima, il killer riesce a fuggire. Si è trattato davvero di una fatalità? Lincoln Rhyme, dimessosi dopo una missione andata storta, torna al lavoro nel tentativo di aiutare la famiglia della vittima a ottenere un risarcimento. Le indagini confluiranno però in un unico caso: un killer sabota i dispositivi di controllo di macchinari industriali ed elettrodomestici di uso comune, trasformandoli in armi letali. Come prevedere le prossime mosse dell'assassino? Mentre la conta delle vittime minaccia di aumentare, Sachs e Rhyme devono correre contro il tempo per svelare l'identità dell'uomo e scoprire quale sia il suo obiettivo ultimo. A coadiuvare la coppia di detective c'è anche Juliette Archer, affascinante tirocinante del celebre criminologo, come lui costretta su una sedia a rotelle. Con le sue intuizioni Juliette offrirà un contributo decisivo alla soluzione del caso.

Commento:
Un altro caso per Lincoln Rhyme, stavolta non consulente del NYPD, ma coadiutore di un avvocato per un risarcimento in una causa civile… almeno all'inizio. Stavolta il caso riguarda l'"internet delle cose", ossia l'utilizzo dei dispositivi intelligenti o integrati che tanto vanno di moda ai giorni nostri: bello, bellissimo poter controllare a distanza i nostri dispositivi elettronici, accendere il riscaldamento poco prima di tornare a casa, mettere a scaldare la cena sul nostro piano di cottura I-tech, controllare cosa fa nostra figlia a due case di distanza tramite il baby monitor… ma siamo davvero certi di avere il pieno controllo su questi dispositivi e, conseguentemente, sulla nostra vita? Deaver immagina uno scenario verosimile nel quale un killer akera il controller di alcuni dispositivi integrati e provoca morti atroci e dolorose. Come al solito, quindi, ci ritroviamo a fare i conti con le dinamiche della nostra società, caratteristica peculiare di tutti i thriller di Deaver. Tante sono, però, le situazioni parallele, professionali e private, che si intrecciano al caso e al lavoro dei nostri detectives. In particolare, questo thriller vede un bel po' di tensione fra Lincoln e Amelia, in parte provocata dalle dimissioni di Rhyme dal lavoro con la polizia, in parte causata dalla comparsa di due personaggi finora marginali nella vita di Amelia e di una nuova tirocinante di Rhyme, Juliette Archer, molto competente ed attiva, che sembra avere un ottimo feeling con il criminalista.
Venendo alle considerazioni personali, ho trovato questo thriller un po' sottotono rispetto agli standard cui Deaver ci ha abituati, in particolare nelle scelte linguistiche: non so se sia un "problema" di traduzione, ma ho provato più volte, durante la lettura, un senso di smarrimento, quasi di decadimento del linguaggio sempre preciso, accurato e mordace nei precedenti thriller della serie. Questo particolare, unito a qualche ridondanza nella storia, mi ha fatto apprezzare meno questo libro rispetto ad altri… sebbene, come dico spesso, si tratti sempre di Deaver, quindi parliamo sempre di ottimi thriller. In ogni caso… che il nostro Jeffery fosse un po' stanco? Vedrò nel prossimo caso e vi saprò dire presto.

Opera recensita: "Il bacio d'acciaio" di Jeffery Deaver
Editore: Rizzoli, 2016
Genere: thriller
Ambientazione: New York
Pagine: 559
Prezzo: 20,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


lunedì 17 dicembre 2018

RECENSIONE: FRANCO DI MARE - NON CHIEDERE PERCHé


Sinossi:
Serve un pizzico di follia per inseguire, nella vita, quello che a tutti appare un sogno irragionevole. Questa storia si sviluppa a Sarajevo, in piena guerra fratricida della ex Jugoslavia, nell'estate del 1992, quando i cecchini sono appostati dietro ogni persiana, le granate dilaniano interi quartieri, persino arrampicarsi su un albero può essere letale: c'è chi muore perché non ha saputo resistere alla tentazione delle ciliegie. Con la ferita di un matrimonio fallito ancora aperta, Marco De Luca è l'unico fra i suoi colleghi giornalisti ad aver accettato l'incarico di inviato per la televisione italiana in questo inferno. Raccontare la complessità dei Balcani in novanta secondi al Tg è impossibile, perciò non resta che denunciare l'inaudita barbarie. Come quella del bombardamento sull'orfanotrofio, dove Marco si precipita a realizzare un servizio. Ma questa volta il filmato, paradossalmente, non ha nulla di drammatico. Come è possibile? In quella camerata piena di culle, Marco è rimasto colpito da un particolare che nessuno ha notato: c'è un'unica bimba bruna, mentre tutti gli altri sono biondi. E proprio quella bimba bruna lo spinge a inseguire, con un pizzico di follia, quello che a tutti appare un sogno irragionevole. Questa storia, ispirata a vicende realmente accadute, ruota attorno a un formidabile atto d'amore che, a dispetto delle bombe e della burocrazia, si è potuto compiere grazie all'aiuto provvidenziale di due donne e alla determinazione incrollabile di un uomo.

Commento:
"Non chiedere perché" è un romanzo delicato eppure fortissimo, ispirato da una storia vera e autobiografica, che racconta la guerra e la potenza di un incontro fortuito che genera amore.
E' proprio questo incontro, in una Sarajevo distrutta dalle granate, dagli spari degli snipers e dall'odio instillato goccia a goccia dai suoi governanti, che sconvolgerà la vita dell'inviato speciale Marco De Luca, giunto lì col suo passato pesante e le incertezze di una vita ancora da decidere. Marco è a Sarajevo per raccontare la guerra, ma non ripartirà da solo, con lui ci sarà Malina, l'unica bimba bruna fra i tanti biondi di un orfanotrofio bombardato. E' stata Malina, a soli 10 mesi, a sceglierlo: gli si è affidata da subito e gli sconvolgerà la vita.
Un romanzo da leggere, ben scritto e dal forte impatto emozionale, che permette di capire un po' meglio le ragioni di un conflitto terribile perché insensato. Consigliato a tutti.

Opera recensita: "Non chiedere perché" di Franco Di Mare
Editore: Rizzoli, 2011
Genere: narrativa italiana
Ambientazione: Bosnia-Erzegovina
Pagine: 304
Prezzo: 11,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


venerdì 14 dicembre 2018

RECENSIONE: HERMAN KOCH - LA CENA


Sinossi:
Due coppie sono a cena in un ristorante di lusso. Chiacchierano piacevolmente, si raccontano i film che hanno visto di recente, i progetti per le vacanze. Ma non hanno il coraggio di affrontare l'argomento per il quale si sono incontrati: il futuro dei loro figli.
Michael e Rick, quindici anni, hanno picchiato e ucciso una barbona mentre ritiravano i soldi da un bancomat. Le videocamere di sicurezza hanno ripreso gli eventi e le immagini sono state trasmesse in televisione. I due ragazzi non sono stati ancora identificati ma il loro arresto sembra imminente, perché qualcuno ha scaricato su Internet dei nuovi filmati, estremamente compromettenti.
Paul Lohman, il padre di Michael, si sente responsabile. Si riconosce nel figlio perché hanno molto in comune, non ultima l'attrazione per la violenza. Non può lasciare che trascorra la sua vita in galera.
Serge, il fratello di Paul, è il padre dell'altro ragazzo, il complice. Secondo i sondaggi Serge Lohman è destinato a diventare il nuovo Primo ministro olandese. Se l'omicidio verrà rivelato, sarà la fine della sua carriera politica.
Babette, la moglie di Serge, sembra più interessata ai successi del marito che al futuro del proprio ragazzo.
Claire, la moglie di Paul, vuole proteggere il figlio a ogni costo. Ma quanto sa di ciò che è realmente accaduto?
Due coppie di genitori per bene durante una cena in unbel ristorante. Cosa saranno capaci di fare per difendere i loro figli...?
Una storia dura, emozionante, provocatoria, con la suspense di un thriller d'autore. Un dramma contemporaneo che racconta l'intimità di una famiglia e lo sconvolgente attrito tra le necessità del cuore e quelle della morale, la scelta a volte impossibile tra l'amore verso un figlio e il rispetto per la vita degli altri.

Commento:
Comincio subito col dire che la quarta di copertina ci trae qui – almeno in parte – in inganno: le due coppie sedute al tavolo di un lussuoso ristorante non chiaccherano piacevolmente, non c'è nulla di piacevole in questa cena, per nessuno dei protagonisti. Tutto, sin dalla prima riga, appare volutamente forzato, teso, cupo, minaccioso. Anche il gesto più normale come uno sguardo, un ammiccamento fra coniugi, in questo romanzo assume una valenza sospetta, anche la portata più gustosa o il vino più caro possono essere forieri di uno scossone al già teso equilibrio della tavola. Perché? Perché fra i commensali, oltre alle tante incomprensioni precedenti, aleggia lo spettro della colpa, del sospetto, dell'incertezza delle intenzioni: un delitto è stato commesso dai figli adolescenti dei due fratelli Serge e Paul… chi ne pagherà il prezzo? Tutto è ancora da decidere e nulla può essere dato per scontato. Fino a che punto possiamo spingerci per proteggere e difendere chi amiamo? Quanto di noi penetra nella mente di chi ci è vicino, dei nostri figli ad esempio, ed influenza il loro modo di pensare e di agire? Come si declina l'amore per un figlio? E quando, a che età, questi deve essere considerato adulto? A che età smette di essere bambino e pertanto scusato nelle sue malefatte?
Questo thriller angoscioso ed inquietante, eppure attuale ed estremamente sincero, ci obbliga a porci queste domande senza sconti. Le risposte non sono per nulla facili.

Opera recensita: "La cena" di Herman Koch
Editore: Neripozza
Genere: thriller
Ambientazione: Olanda
Pagine: 288
Prezzo: 16,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 7,5.


mercoledì 12 dicembre 2018

RECENSIONE: STEFAN ZWEIG - NOVELLA DEGLI SCACCHI


Sinossi:
Stefan Zweig scrisse "Novella degli scacchi" nel 1941, pochi mesi prima di suicidarsi, insieme con la seconda moglie, nella città brasiliana di Petropolis, il 22 febbraio 1942. La notizia della sua morte fu soffocata da quelle provenienti dai fronti di guerra e così anche la sua ultima, disperata protesta, non fu che un flebile grido, quasi inudibile nel frastuono di quegli anni. Nella "Novella degli scacchi" lo stato d'animo di abbandono, di infinita stanchezza, di rinuncia alla lotta, è prefigurato nella sconfitta di colui che rappresenta la sensibilità, l'intelligenza, la cultura per opera di un semianalfabeta, ottuso uomo-robot. E, a rendere ancora più crudele la disfatta dello spirito, Zweig scelse come terreno dello scontro una scacchiera. Prefazione di Daniele Del Giudice.

Commento:
"Novella degli scacchi" è un breve racconto nel quale, con la metafora neanche troppo velata della partita a scacchi, Stefan Zweig vuole raffigurare e mostrarci la decadenza e l'inesorabile declino del mondo. Se il "gioco" degli scacchi – che non è un gioco, ma la sublimazione dell'intelligenza, l'arte del calcolo e della pianificazione – può essere praticato anche da un ignorante zotico che vince sostituendo la meccanica al ragionamento, allora tutto va a rotoli e il mondo è finito.
L'abbrutimento è qui rappresentato proprio dal campione del mondo di scacchi, un giovane russo incapace di scrivere una frase senza errori di grammatica, assolutamente privo dell'immaginazione e della creatività di gioco, incapace di immaginare e vivere le partite senza una scacchiera davanti agli occhi. A contrapporglisi c'è il dottor B, un eminente avvocato che, dopo molte traversie, ha dovuto abbandonare la patria – l'Austria – per via delle persecuzioni naziste. Potremmo dire che a quest'uomo gli scacchi hanno salvato la vita, eppure ha posato le mani sulla scacchiera solo rarissime volte… Questo breve racconto è un elogio all'intelligenza, all'arte, alla ragione e alla filosofia; un racconto nel quale ritroviamo tanto del vissuto e delle emozioni dello stesso Zweig che l'ha scritto pochi mesi prima di soccombere alla depressione e suicidarsi. Una breve considerazione a margine: Hitler ordinò che i libri di Zweig fossero dati alle fiamme… leggendo questo breve testo non si fa fatica a capirne il perché.

Opera recensita: "Novella degli scacchi" di Stefan Zweig
Editore: Garzanti, prima ed. 1941
Genere: racconto
Ambientazione: nave tra New York e Buenos Aires-Austria, periodo nazista
Pagine: 107
Prezzo: 8,50 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


RECENSIONE: ROBERTO COSTANTINI - DA MOLTO LONTANO


Sinossi:
1990, le calde notti magiche del mondiale in Italia, il figlio di un ricco imprenditore e una ragazza povera: sembra l'inizio di un sogno, ma i due giovani spariscono nel nulla. Michele Balistreri indaga svogliatamente, stretto tra affaristi e malavitosi, donne troppo determinate o troppo emancipate, un magistrato nordista e un collaboratore meridionale che litigano su tutto, pure sulle colpe dei napoletani nell'eliminazione degli azzurri da parte di Maradona. Poi tutto precipita e alla fine un uomo viene arrestato. Ma è davvero lui il colpevole? 2018. Un macabro ritrovamento riapre il caso mentre l'unico condannato, uscito di galera, va in cerca di verità e vendetta. Balistreri è in pensione e non ricorda, o non vuole ricordare. L'indagine è condotta dal suo ex vice Corvu e dalla giornalista Linda Nardi. Si scatena una lotta all'ultimo sangue tra uomini molto potenti e donne molto forti.

Commento:
Sesto volume della saga che ha per protagonista il commissario Michele Balistreri. Chi ha letto i precedenti romanzi sa che Balistreri non è né un poliziotto né un uomo comune: ha un passato tutt'altro che immacolato, i rapporti familiari sono stati e sono a dir poco controversi, ha sempre avuto un carattere difficile, pieno di rabbia, irruenza, inquietudine. E come scrive Roberto Costantini, Balistreri è forse l'uomo meno condivisibile del mondo, il più solo e per questo mai solo: accanto a sé ha una schiera di amici – Graziano Corvu, Giulia Piccolo, il fratello Alberto  – una compagna e una figlia entrate tardi nella sua vita, ma diventate insostituibili. In questo libro lo ritroviamo diverso, certamente invecchiato, in pensione anticipata, ma ancora profondamente stimato ed estremamente utile alla polizia: un complicato caso solo in apparenza risolto riaffiora dopo 28 anni e Balistreri deve sforzarsi di ricordare fatti ed impressioni perse nel tempo. Ma i ricordi proprio non vogliono ritornare… è come se la sua mente ne rifiutasse alcuni… e mentre l'indagine torna alla ribalta scuotendo il sistema, Balistreri dovrà riprendere le armi e condurre la sua personale battaglia tra coscienza e memoria. A differenza del passato, al suo fianco ora ha due preziose alleate in più. Quanto al libro in sé, anche qui ritroviamo tutte le caratteristiche tipiche della saga che ci hanno fatto appassionare alle vicende raccontate ed apprezzare tanto questo commissario così sui generis: ci sono i salti temporali, ci sono le indagini mai banali, gli intrighi di potere messi in luce e scardinati, ma in questi romanzi c'è anche – sempre – una profonda e sottile riflessione su alcuni aspetti della nostra società. In quest'ultimo caso, ad esempio, attraverso le vicende dei personaggi possiamo soffermarci sulla violenza domestica, sulla considerazione della donna in un mondo ancora profondamente al maschile nonostante gli anni, sulla criminalità organizzata, sull'arrivismo di alcuni personaggi chiave della politica e della magistratura che pur di fare carriera non si fanno scrupoli a manipolare, insabbiare, alterare indagini a scapito della verità, della giustizia e di altre vite.
Quelli di Roberto Costantini sono libri densissimi di storie, particolari, intrighi e non si allontanano mai troppo da una plausibile realtà… e forse è per questo che ci piacciono tanto: non sono storie vere, ma verosimili.

Opera recensita: "Da molto lontano" di Roberto Costantini
Editore: Marsilio, 2018
Genere: giallo
Ambientazione: Roma, 1990-2018
Pagine: 597
Prezzo: 19,90 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


sabato 8 dicembre 2018

RECENSIONE: JOHN STEINBECK - LA LUNA è TRAMONTATA


Sinossi:
Seconda guerra mondiale. Un piccolo paese della Norvegia viene occupato dall'esercito tedesco senza che gli abitanti riescano a capire la gravità della situazione e senza che possano organizzare qualche forma di opposizione. Dopo lo shock iniziale la piccola comunità imparerà una lezione fondamentale: la forza dell'individuo si basa sull'unione del gruppo. Dopo aver assistito a violenze e tradimenti dell'invasore, si farà strada e si consoliderà lo spirito di indipendenza e rivalsa del gruppo. Prima con sporadiche esecuzioni dei soldati occupanti, poi con una guerriglia sistematica e organizzata, la comunità dimostrerà agli altri e a se stessa che nessuno è vinto finché non si arrende.

Commento:
Questo è uno dei rari casi in cui non ho voglia di dire molto su un libro: non voglio sminuirne con le mie parole la bellezza e la perfezione. Dirò solo, quindi, che "La luna è tramontata" è una delle cose più belle che io abbia mai letto: è breve, ma folgorante, scuote l'anima dall'interno, è un inno alla libertà nella sua essenza più vera.
Sono stati scritti fior di romanzi sulla guerra, pagine e pagine, milioni di parole per analizzarla, raccontarla, spiegarla… ma per capirla veramente basta un libricino di 160 pagine, la storia di un paesino conquistato e dei suoi invasori che ne sono diventati vittime, una vicenda senza luogo e senza tempo che non può lasciare indifferenti. Cosa ci insegna? Che nessuno può mai considerarsi vinto finché non si arrende, sì, ma soprattutto che la guerra vera non è tra le idee, ma tra la gente: riguarda gli uomini, non le strategie militari; si combatte nella quotidianità, non nei piani ad ampio raggio e di  lungo periodo.
Un libro meraviglioso che consiglio a tutti.

Opera recensita: "La luna è tramontata" di John Steinbeck
Editore: Bompiani, prima ed. 1942
Genere: narrativa straniera
Ambientazione: Norvegia (anche se nel romanzo non si fa mai riferimento ad un luogo o un tempo preciso)
Pagine: 159
Prezzo: 10,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 10.


RECENSIONE: CHRISTINA DALCHER - VOX


Sinossi:
Jean McClellan è diventata una donna di poche parole. Ma non per sua scelta. Può pronunciarne solo cento al giorno, non una di più. Anche sua figlia di sei anni porta il braccialetto conta parole, e le è proibito imparare a leggere e a scrivere. Perché, con il nuovo governo al potere, in America è cambiato tutto. Jean è solo una dei milioni di donne che, oltre alla voce, hanno dovuto rinunciare al passaporto, al conto in banca, al lavoro. Ma è l'unica che ora ha la possibilità di ribellarsi. Per se stessa, per sua figlia, per tutte le donne. Limite di 100 parole raggiunto.

Commento:
Ho letto pareri contrastanti su questo libro: c'è chi lo esalta e chi lo stronca, e sono passati solo pochi mesi dalla pubblicazione. Forse già questo è emblematico, perché è un libro che comunque vada lascia il segno. La mia opinione è intermedia: riconosco che ha dei difetti, ma mi è piaciuto abbastanza da consigliarlo senza riserve. In molti lo paragonano al ben più noto "Il racconto dell'ancella" di Margareth Atwood ed in effetti il paragone regge, ma – dirò un'eresia per i più – a me questo ha preso di più. Di cosa si parla? Di donne, donne alle quali è stato impedito di parlare (possono pronunciare solo 100 parole al giorno), leggere, scrivere, lavorare. Il "movimento per la purezza", salito al potere con il nuovo presidente-bamboccio degli Stati Uniti, vede la donna come l'angelo del focolare; ha colonizzato tutto, dalla scuola, alle aziende, alle frontiere divenute invalicabili per le donne, ai mezzi di comunicazione… tutto. E ormai non ci si può più ribellare. O forse sì? O forse si può ancora? Jean, la voce narrante e protagonista di questo libro, ben presto capisce di sì, che qualcosa si può ancora fare, e che a pensarla come lei sono in tanti, anche i più insospensabili. Ma sarà pericoloso e potrebbe costare caro.
"Vox" è un libro ben scritto, che sorprende, anche se in qualche punto mi è sembrato stiracchiato e portato un po' per le lunghe; ha un finale discutibile ma comunque apprezzabile e non troppo bislacco in relazione col resto del libro. In definitiva, non sarà il nuovo Pulitzer, ma è una buona lettura per non dimenticare che, mentre noi siamo troppo presi da noi stessi, intorno si decide il futuro nostro, dei nostri cari, del mondo intero… tutto comincia piano, a piccoli passi, ma poi arriva un momento nel quale vorremmo ribellarci ma non potremo più farlo. Perciò bisogna agire finché si è in tempo.

Opera recensita: "Vox" di Christina Dalcher
Editore: Nord, 2018
Genere: narrativa americana, fantascientifico
Ambientazione: Stati Uniti
Pagine: 416
Prezzo: 19,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


giovedì 6 dicembre 2018

RECENSIONE: PIERRE LEMAITRE - L'ABITO DA SPOSO


Sinossi:
Chi è veramente Sophie? Sappiamo che ha trent’anni ed è la babysitter di Léo, il figlio di una coppia di ricchi parigini. La giovane donna sembra non avere una vita privata, si dedica al bambino e nient’altro. Il resto è un mistero. Ma sappiamo che è ossessionata da una doppia identità, dimentica cosa ha fatto poche ore prima e vive in un costante stato di oblio. Una sera la mamma di Léo rientra tardi e trova Sophie addormentata davanti alla tv, le propone di restare a dormire e lei accetta. Il mattino dopo la ragazza si risveglia sola in casa e fa la terribile scoperta: nella notte Léo è stato strangolato nel sonno, proprio accanto a lei. Da lì una lunga fuga, un sentiero che condurrà Sophie fin negli abissi del crimine per salvarsi da un omicidio che non ha commesso ma per il quale è l’imputato perfetto, un percorso lungo il quale sceglierà di uccidere e di mentire. Assumerà altre identità e per questo dovrà confinare la propria esistenza dentro miseri giorni anonimi. Fino al giorno in cui scoprirà cosa è davvero accaduto quella notte e chi è l’uomo che l’ha condannata alla sofferenza. Pierre Lemaitre ha costruito un noir dove la follia, tanto spaventosa quanto incomprensibile, riesce miracolosamente a trovare un perché.

Commento:
"L'abito da sposo" è il primo romanzo che leggo di Pierre Lemaitre e non credo di sbagliare se affermo di aver avuto a che fare con un ottimo, davvero ottimo scrittore: rari sono ormai gli autori di thriller che riescono a sorprendermi e Lemaitre ci è riuscito alla grande. Volutamente non svelerò molto della trama, perché la sorpresa (e lo shock) sta proprio lì: sin da subito entriamo nel confuso mondo di Sophie, questa ragazza trentenne che negli ultimi anni sembra aver vissuto l'equivalente di quattro vite per quante cose le sono capitate. Impariamo a conoscerla attraverso le sue dimenticanze, intuiamo che si porta dietro un fardello di traumi che metterebbe a dura prova la mente più salda, veniamo in contatto con il suo ultimo luogo di lavoro, la casa di Leo, il bambino che, in un raptus di rabbia cieca, sembra proprio aver strangolato. Sophie fugge, è sconvolta e semina evidenti tracce del suo passaggio… eppure la polizia per anni non riesce a catturarla. Perché? Perché lei ha una grande capacità di improvvisare, di risalire la china, di inventarsi sempre nuove strategie per fuggire, ma sarà proprio quando crederà di avercela fatta che incontrerà il suo insospettabile torturatore…. E noi scopriamo tutto con lei: l'avremmo già condannata per l'atrocità di ciò che lascia dietro di sé, se non fosse che… niente è come sembra.
Una storia intricata ed affascinante, in cui la follia gioca un ruolo fondamentale; un noir imprevedibile, scritto e congegnato in modo magistrale. Davvero stupendo: consigliato" Lemaitre è un autore che approfondirò.

Opera recensita: "L'abito da sposo" di Pierre Lemaitre
Editore: Fazzi, 2012
Genere: noir-Ambientazione: Francia
Pagine: 335
Prezzo: 16,50 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9,5.


martedì 4 dicembre 2018

RECENSIONE: GIOVANNI VERGA - STORIA DI UNA CAPINERA


Sinossi:
"Storia di una capinera" è il primo romanzo di Verga. Pubblicato nel 1871 e scritto due anni prima, tramite una forma epistolare dominata alla perfezione ci tuffa nel cuore pulsante di un'anima prigioniera. Maria, una ragazza costretta dal padre a chiudersi in convento in assenza di qualsiasi vocazione, trova il modo durante una fugace vacanza in campagna di intrattenere con l'amica Marianna una corrispondenza che diviene per lei l'unico modo di dar sfogo ai suoi molti turbamenti. Respirando finalmente un'aria non compressa all'interno delle mura del convento, Maria scopre l'esistenza di un mondo più ampio, più inebriante, più vivo. E, soprattutto, scopre l'esistenza e l'essenza dell'amore, un sentimento che, costretto a nuotare controcorrente, la sconvolgerà per sempre. Prefazione di Federico De Roberto.

Commento:
Maria ha quasi vent'anni, è chiusa in un convento da quando ne aveva sette e – abituata a vivere da sempre in quel luogo chiuso protettivo ma limitante - non conosce nulla delle cose del mondo. Così, quando a causa del colera che si diffonde a Catania, viene allontanata dal convento e trascorre alcuni mesi in campagna ha modo di gioire del rigoglio della natura, della libertà dell'aria aperta, del calore della famiglia e della piacevole amicizia dei vicini. Proprio fra questi si annida colui che per Maria sarà la causa di infinita gioia e di tremendo dolore: è Nino, il giovane figlio dei signori Valentini, che fa scoccare nel cuore dell'ingenua educanda la prima, dirompente scintilla dell'amore. Maria è scossa da questo sentimento, ne è sconvolta, completamente assorbita, ma quando l'amore le viene precluso con ogni mezzo il suo corpo e la sua mente si ribellano. Tornata in convento non ancora del tutto ristabilita viene presa per pazza e questo contribuirà in modo definitivo alla sua fine.
E' impressionante la capacità di Verga, bravissimo scrittore ma pur sempre un uomo, di calarsi nel sentire più profondo di una giovane donna e di rendercelo con pagine così vivide e piene di ardimento, impressione acuita poi dalla forma epistolare del romanzo che ne accresce il pathos e la tragicità. La vicenda ci viene, infatti, narrata sottoforma di racconto che la stessa Maria scrive per lettera all'amica e compagna Marianna; attraverso le sue stesse parole possiamo quindi cogliere tutto il crescendo della sua sofferenza. "Storia di una capinera" è un libro d'amore, ma è anche una denuncia sociale riguardo alla condizione della donna nell'Italia di fine Ottocento, obbligata dalle circostanze e dalla sorte avversa a chiudersi in convento senza neppure sapere se si avesse o meno la vocazione; impossibilitata a scegliere della sua vita, a vivere i propri sentimenti e le proprie inclinazioni. E' un romanzo breve, tristissimo, eppure semplicemente meraviglioso. Una lettura da fare assolutamente.



Opera recensita: "Storia di una capinera" di Giovanni Verga
Editore: Feltrinelli, prima ed. 1869
Genere: romanzo epistolare
Ambientazione: Sicilia, metà Ottocento
Pagine: 168
Prezzo: 8,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 10.


lunedì 3 dicembre 2018

RECENSIONE: JOHN STEINBECK - L'INVERNO DEL NOSTRO SCONTENTO


Sinossi:
Lo Steinbeck del dualismo poveri-ricchi con "L'inverno del nostro scontento" muove decisamente verso la satira di ambiente sociale. Il libro racconta infatti l'avventura morale di un piccolo uomo di provincia, pago del suo modesto destino, che d'improvviso, quasi invasato dalla religione del successo, tesse una trama sottile e tenace attraverso la quale muove alla conquista del potere e della ricchezza, mascherando il proprio arrivismo sotto le più nobili e conformistiche virtù del cittadino medio americano. Incorniciando le gesta di questo eroe in una tipica cittadina marittima del New England, con un altrettanto tipica popolazione di "indigeni" e immigrati di varia origine e ancor più varia mentalità, Steinbeck ci offre un vero e proprio spaccato di quell'America di provincia, gretta e invischiata nel mito del benessere come conquista della felicità, che tanta parte ha avuto nella letteratura statunitense del Novecento.

Commento:
"L'inverno del nostro scontento" racconta la storia di Ethan Hawley e della sua famiglia, una storia fatta di quotidianità sconvolte da un'idea, quella degli affari e del successo – o fortuna come viene spesso chiamata nel libro – che in pochi mesi si impossessa della mente integerrima ed onestissima di Ethan, un commesso di bottega con antenati onorati.
Da uomo retto e incapace della minima irregolarità, Ethan diventa un uomo con una missione: elaborare un piano perfetto per commettere un crimine che gli porterà l'agoniata ricchezza e per porlo in essere semina azioni poco onorevoli lungo la via dell'illegalità. Al momento cruciale, però, qualcosa va storto…
Nel leggere questo libro non si deve commettere l'errore – che io ho commesso – di paragonarlo ad altri capolavori di Steinbeck perché ne esce molto sottotono. Preso di per sé è un buon libro, sottile nell'intreccio e nello stile di scrittura che si adatta e cambia a seconda delle traversie del protagonista. Buon libro, purché non lo si confronti con – faccio per dire – "Furore" o "La valle dell'Eden". Nel complesso direi discreto, una buona caratterizzazione della provincia americana. Comunque consigliato.

Opera recensita: "L'inverno del nostro scontento" di John Steinbeck
Editore: Bompiani, prima ed. 1961
Genere: narrativa americana
Ambientazione: Stati Uniti
Pagine: 200
Prezzo: 11,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 7,5.