simposio lettori copertina

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giovedì 30 gennaio 2020

RECENSIONE: JESSICA ANDREWS - ACQUA SALATA


Sinossi:
“Quando il presente comincia a sgretolarsi, c’è spazio per scrivere il futuro”
La vita di Lucy è cambiata molte volte: con le sfuriate e le assenze del padre alcolizzato, con l’ansia e la pena per il fratello sordo, con la bellezza
dei viaggi in Irlanda a casa del nonno. E sembra cambiare definitivamente quando si trasferisce a Londra, per studiare e per vivere lontana dalla provincia,
libera da ogni legame. Ma appena laureata, Lucy volta le spalle a tutto: va in Irlanda, nel Donegal, nella vecchia casa che il nonno le ha lasciato. Si
affida al cielo, al vento, al mare per ritrovare se stessa, e intanto la sua memoria si snoda in racconti brevi e impetuosi come corsi d’acqua. Rivive
l’infanzia, il rapporto profondo che la unisce alla madre, gli amori sbadati, le grandi, fameliche ambizioni della giovinezza. Nella sua corsa verso l’età
adulta Lucy ha scoperto ciò che non vuole essere. E sceglie di ricostruirsi altrove, su fondamenta fatte di ricordi. Brillante, ispirato, poetico, Acqua
salata esplora la complessità dei desideri, la voglia di affermarsi e l’impossibilità di farlo rinunciando alle proprie radici; è il diario intimo e sincero
di una giovane donna che si è persa inseguendo i sogni degli altri e che decide di fermarsi a recuperare i propri, cercando in se stessa la forza di ricominciare,
senza rimpianti.
Questo libro è per chi si disegna le mappe stradali sulla mano prima di uscire, per chi avrebbe fatto carte false per un concerto di Pete Doherty, per
chi beve succo d’arancia in un calice da champagne, e per chi ha scelto di perdere l’equilibrio scoprendo un mondo nuovo nell’ebbrezza della caduta, senza
più rinnegare i propri desideri.

Commento:
Essere donna è difficile, ma diventarlo lo è ancora di più: è arduo, si rischia di perdersi, di non trovare la strada, di trasformarsi in altro da sé, in qualcuno che non conosciamo, in qualcosa di diverso da tutto ciò che sognavamo. E diventando donna, crescendo, ci si lascia dietro pezzi di vita, pezzi di sé, pezzi importanti, fondamentali, di ciò che siamo state. E si cambia tanto, in questa metamorfosi, si ha il tempo di perdere la bussola e di imboccare un altro sentiero, ripido, ma sempre con gli occhi e il cuore al passato, perché se c'è qualcosa da cui nessuna di noi riesce a staccarsi davvero è, volente o nolente, quel ventre caldo che ci ha dato sicurezza quando ancora non dovevamo difenderci dal mondo. Di tutto questo parla, in modo intimo, sincero, spiazzante, sublime, Jessica Andrews: dando voce alle parole di un'ipotetica Lucy che potrebbe anche chiamarsi Maria, Anna, Francesca, Rossella, parla di ciò che alberga - o ha albergato almeno per un po' – in tutte noi. Lo fa creando con parole cristalline immagini evocative che sembrano sgorgare da dentro, da un punto profondo che ci collega con la terra; con forza e poesia descrive la quotidianità della vita di ogni donna – sia essa madre o figlia – con le sue insicurezze, i colpi di testa, il profondo, innato senso di responsabilità che ci induce a farci carico degli altri ed anche con quella forza che, giunte al limite, ci induce a dire No, basta, ed a preservare quell'ultimo scampolo di forza vitale. In tante abbiamo sperimentato la necessità di fuggire da noi stesse per ritrovarci, e fa quasi piacere, quasi rincuora vedere una comunanza di metodi, rifugi, antidoti all'autodistruzione cui vorrebbe condurci il mondo: e così ritroviamo anche in queste pagine il silenzio, il vento, il sole, la terra, l'acqua, la luna… la necessità fisica di cambiare tutto, di spostare il proprio baricentro, di sottrarsi alla frenesia per rifugiarsi nelle piccole cose, di vivere alla giornata, sebbene per un tempo limitato. Acqua salata, in sintesi, è un libro profondo, poetico e dolorosamente vero; un libro per le donne e delle donne, in cui ognuna può trovare qualcosa di sé, fosse anche una frase, di quelle lapidarie e vere, che la Andrews ci lascia lì come sassi per aiutarci a ritrovarci. Lo consiglio? Certo che sì, e lo ripeto, lo consiglio soprattutto alle donne.

Opera recensita: "Acqua salata" di Jessica Andrews
Editore: NN editore, 2020
Genere: narrativa straniera
Ambientazione: Inghilterra-Irlanda
Pagine: 272
Prezzo: 18,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


martedì 28 gennaio 2020

RECENSIONE: LJUDMILA PETRUSEVSKAJA-C'ERA UNA VOLTA UNA DONNA CHE CERCò DI UCCIDERE LA FIGLIA DELLA VICINA


Sinossi:
Tra crudo realismo e senso del fantastico una raccolta di storie che reinventa la tradizione di Gogol' e Poe e racconta la Russia contemporanea come se fosse un atroce, fiabesco scherzo del destino.
Una città messa in ginocchio da una violenta epidemia; un colonnello visitato in sogno dalla moglie defunta che gli intima di non sollevarle il velo dal viso; una donna pedinata da un tale che sostiene di essere suo marito. Apparizioni, interventi sovrannaturali, incubi e scherzi del destino. Dai Canti degli slavi orientali, le Allegorie, i Requiem e le Fiabe prorompe una galleria di personaggi sulfurei e vibranti. Tratteggiati col piglio inimitabile dell’enfant terrible della letteratura russa.
Commento:
Sono approdata a questo libro per una pura casualità. Non sapevo davvero cosa aspettarmi, non avevo mai sentito nominare l'autrice… ed è stata davvero una piacevole scoperta. In questa raccolta di racconti Ljudmila Petrusevskaja, una delle maggiori scrittrici russe viventi, ci offre una panoramica di situazioni in divenire, in bilico tra gotico e fiabesco, tra fantasticheria, allucinazione e realtà, con le quali scandaglia senza giudizi né pregiudizi la natura umana e la società di oggi. Lo fa in modo particolare, con la franchezza e insieme l'enigmaticità dei migliori scrittori russi: ci racconta molto, ma lo fa esponendo fatti nudi e crudi, concatenati in evoluzioni imprevedibili e finisce per non dirci, in realtà, nulla di prescritto: tocca a noi interpretare, giungere alle conclusioni, sempre ammesso che ci siano.
Racconti brevi, situazioni intime e grottesche, brividi e risvolti sociologici, con un'abbondante dose di spregiudicatezza narrativa degna di un visionario. La sua è una prosa dinamica, ironica, acuta, tutta da interpretare. Non so perché, ma credo che un'ipotetica conversazione con una donna come la Petrusevskaja sarebbe decisamente illuminante. Non potendo parlarci, però, è stato piacevolissimo leggerla… ovviamente la consiglio a chi cerchi una lettura non scontata e non convenzionale, magari da spezzettare e rimaneggiare nel pensiero.


Opera recensita: "C'era una volta una donna che cercò di uccidere la figlia della vicina" di Ljudmila Petrusevskaja
Editore: Einaudi, 2016
Genere: raccolta di racconti
Ambientazione: Russia
Pagine: 200
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


lunedì 27 gennaio 2020

RECENSIONE: WILLIAM FAULKNER - MENTRE MORIVO


Sinossi:
Un viaggio folle su un barroccio sgangherato, tra inondazioni e fienili in fiamme, sotto i cerchi sempre più stretti degli avvoltoi che accompagnano speranzosi il grottesco funerale di Addie Bundren. Attorno alla bara, ingobbiti nei loro truci destini, assorti ciascuno nel proprio segreto, il marito e i cinque figli. Faulkner scrive questo suo quinto romanzo in sei settimane: è l’estate del 1929, ha trentadue anni, lavora di notte come operaio in una centrale elettrica e ha appena pubblicato una delle sue opere più alte e composite, L’urlo e il furore. E Mentre morivo è un nuovo, ancor più vertiginoso azzardo, poiché in esso Faulkner riesce a ordire una rara, tetra polifonia di voci monologanti, nella quale riconosciamo il suono di un’America primordiale e sino allora muta.
Mentre morivo è apparso per la prima volta nel 1930.

Commento:
Dopo aver letto Luce d'agosto (piaciuto molto) e L'urlo e il furore (piaciuto per niente) avevo bisogno di capire, di farmi un'impressione personale più circostanziata su Faulkner. Così ho letto Mentre morivo… e ho capito che Faulkner non fa per me, non mi piace, non incontra il mio gusto, mi annoia. Mi dispiaccio molto di questo, ma sebbene sia stato più gradevole (di poco) rispetto a L'urlo e il furore, Mentre morivo non mi ha conquistata. La storia è, nei fatti che la compongono, tutto sommato semplice: una famiglia, i Bundren, sgangherata e complicata, è alle prese con un grave lutto e con il conseguente funerale: Addie Bundren, madre e moglie, è dapprima in fin di vita (in apertura del libro), poi trapassa e infine deve essere condotta a Jackson per poter essere sepolta, perché questa era stata la promessa strappata al marito quando ancora Addie era viva e vegeta. C'è, palpabile, lo strazio dei familiari che in alcuni casi si tramuta in ossessione; c'è chi si dà da fare, chi non capisce, chi resta pressoché inerte. Tutti, a loro modo, partecipano e sono coinvolti nel lutto. Ma, come anticipato, i Bundren sono tutt'altro che una famiglia normale e piatta… basti leggere il resoconto del viaggio che da casa li ha portati a Jackson con bara al seguito… qualcosa di folle e grottesco. Ora, sebbene la storia in sé sia stata in qualche misura interessante, ciò che proprio non digerisco è la narrazione, la prosa confusa e frammentata di Faulkner, la sua narrazione corale che, mentre è osannata da pubblico e critica, per i miei gusti opinabilissimi, è un minus per il romanzo. Ripeto, mi dispiace per me perché so di perdermi un autore di valore, ma non riesco ad apprezzare Faulkner. Non so davvero, ad oggi, se leggerò altro di suo. Tuttavia, chi lo conosce ignorerà il mio parere com'è giusto che sia, ma a chi non conosce ancora quest'autore dico di provare, di leggerlo.

Opera recensita: "Mentre morivo" di William Faulkner
Editore: Adelphi, ed. originale 1930
Genere: letteratura americana
Ambientazione: Stati Uniti
Pagine: 231
Prezzo: 16,00 €
Consigliato: sì/no
Voto personale: 5,5.

domenica 26 gennaio 2020

RECENSIONE: AVA ÓLAFSDóTTIR AUðUR - MISS ISLANDA


Sinossi:
Nell’Islanda degli anni Sessanta una donna dovrebbe solo gestire la casa e occuparsi dei figli. O, al massimo, ambire al titolo di Miss Islanda. E questo vale anche per Hekla, la splendida ragazza che è appena arrivata a Reykjavík da un angolo remoto dell’isola. In tanti le suggeriscono di partecipare al prestigioso concorso di bellezza, ma i suoi sogni non prevedono fornelli, pannolini o coroncine: Hekla vuole diventare una scrittrice. Non basteranno un buon impiego, un gatto o l’amore di un poeta a farle cambiare idea. Perché Hekla, che porta il nome di un vulcano, ha un cuore inquieto e in sé la forza di un fiume di lava incandescente.
Cielo in fiamme, pioggia di cenere, macigni di lava: Hekla è solo una bambina quando suo padre la conduce lontano da casa, fino alle pendici del vulcano di cui porta il nome. È un’eruzione spettacolare che interrompe un secolo di quiete, quella del 1947. Un evento eccezionale per l’Islanda, ma anche per Hekla, che da allora ha negli occhi la meraviglia di chi ha scoperto il mondo e guarda sempre in alto, sperando di scorgere altri cieli. Con quello stesso sguardo sognante, a ventun anni Hekla decide di lasciare i prati di Dalir, tanto vasti quanto sterili per un desiderio come il suo. Perché Hekla vuole diventare una scrittrice, e solo nella capitale potrà frequentare gli ambienti letterari e avere contatti con le case editrici. Hekla ha talento, ma c’è un ostacolo insormontabile: è una donna, e «i poeti sono maschi». Come tutte, Hekla dovrebbe sposarsi e occuparsi dei figli. E soffocare ogni ambizione, come ha fatto Ísey, l’amica d’infanzia sua coetanea, che si è trasferita a Reykjavík per il marito ed è già madre. Quando arriva in città, Hekla va a vivere da DJ Johnsson, il suo piú caro amico, con cui condivide la fame di sogni e libertà. DJ è omosessuale, e sente di non avere un posto in quell’Islanda ottusa degli anni Sessanta, che lo disprezza e lo respinge. Mentre lui lavora come marinaio, la ragazza trova un impiego all’Hotel Borg. Qui la sua bellezza non passa inosservata: uno dei clienti recluta candidate per Miss Islanda e le offre a piú riprese di partecipare al concorso; un altro è il poeta Starkaður, che di lei si è innamorato perdutamente. Ma Hekla ha il coraggio che serve a rifiutare una fascia da Miss o un destino imposto. Perché sa che solo attraverso la scrittura può essere libera, e trovare finalmente una «stanza tutta per sé».

Commento:
Hekla porta il nome di un vulcano, e come un vulcano il suo essere erompe con forza in ogni momento della sua vita: Hekla non è una donna come le altre, non è succube di nessun uomo, non accetta passivamente il destino che tocca in sorte ad ogni donna islandese. Hekla non ci sta a soffocare le sue aspirazioni nella vita da casalinga, né a farsi usare come reginetta di bellezza, palpata, valutata, osservata come la frutta al mercato. Hekla ama i libri, le parole, la libertà: lei non vuole diventare qualcuno, è già una scrittrice. Macina frasi, appunta versi, immagina paesaggi e storie in ogni momento del giorno e della notte, anche mentre è con un uomo. Nessuno se ne accorge, non perché lei nasconda ciò che è, ma perché intorno a lei la società maschilista e intollerante verso qualunque forma di diversità è troppo cieca per vedere. Vedere ed accettare che lei non è come le altre, che non passa le giornate alla finestra con una nidiata di figli accontentandosi di guardare il mondo da dietro un vetro, vedere tutto questo costa troppa fatica… e con chi potrebbe mai affiancarsi una donna come Hekla se non con un'altra anima affetta dal suo stesso cruccio? Se è vero che le anime affini si trovano, sarà questo il motivo per cui Hekla non riesce a staccarsi da DJ Johnsson, il suo migliore amico, un giovane omosessuale: anche e più di Hekla, DJ soffre la sua condizione, soffre per non essere accettato, soffre per non poter vivere la propria sessualità in modo aperto, normale. E come potrebbe non soffrirne? Lo chiamano "l'invertito", quello a cui piacciono i bambini, l'"anormale". Ma Hekla e DJ non ci stanno a sopprimere le proprie inclinazioni senza provare a cambiare le cose: prendono il coraggio a due mani e partono. Non sarà facile, ma loro non faranno come Isey, l'amica di Hekla, che pure ama scrivere, ma che è troppo debole per non sottomettersi all'ottusità del marito. Non sarà facile, no, ma almeno loro due, il vulcano e il marinaio, ci avranno provato.
Un libro ricercato, singolare, studiato. Una prosa fatta di continui richiami colti, alla poesia, alla storia nazionale, alla musica… Ava Ólafsdóttir Auður riesce, in questo libro, a trasmetterci tutta la forza di un'idea di femminilità anticonformista e controcorrente in un periodo in cui esserlo era realmente difficile; lo fa con le parole, con i sottintesi. Non è tutto scritto, in queste pagine: bisogna immedesimarsi, andare al di là delle parole, scavare nel non detto per trovare l'essenza di ciò che l'autrice, raccontando la storia di Hekla, ha voluto dire a tutte noi.


Opera recensita: "Miss Islanda" di Ava Ólafsdóttir Auður
Editore: Einaudi, 2019
Genere: narrativa straniera
Ambientazione: Islanda, anni Sessanta
Pagine: 208
Prezzo: 18,50 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


SEGNALAZIONE: CLAUDIO SPINOSA - QUORE


Sinossi:
Alchimia e poesia o meglio poesia alchemica questo ciò che quore offre al lettore. Versi dal sapore ermetico a volte criptico che inducono ad un arduo lavoro di introspezione e di sgrossamento. Un percorso alchemico appunto fatto di varie fasi fino alla scoperta e la conoscenza del proprio vero se'. Un libro peculiare nel suo genere.

Più info:
Il libro è acquistabile da amazon, Ibs, La Feltrinelli e tutti gli altri stores.
Si tratta di una raccolta di poesie (non la prima di Claudio Spinosa), perciò il miglior commento non può che essere, appunto, una poesia.

   ANISCAC

Tu
Corpo ammantato di grigio
Beatrice sublime
Nei campi spenti d'inverno
Ci vedremo ostentare
In un cielo
Che a volte volteggia
In vano.

Opera recensita: "Quore" di Claudio Spinosa
Editore: Officina poetica, 2019
Genere: raccolta di poesie
Pagine: 132
Prezzo: 11,00 €


venerdì 24 gennaio 2020

RECENSIONE: ALAFAIR BURKE - SORELLE SBAGLIATE


Sinossi:
Chloe è la più giovane delle sorelle Taylor, ma è sempre stata la più amata, forse perché nella sua vita tutto è sempre apparso sotto controllo. Invece Nicky… La scapestrata Nicky. Quella che ha sempre combinato tanti casini. Che ha sempre bevuto un po' troppo. Che ha sposato d'impulso il giovane avvocato Adam Macintosh e ha avuto un bambino, ma non sa essere né moglie né madre.
Oggi, Chloe e Nicky sono due perfette estranee. Nicky è rimasta a Cleveland, sola. Chloe lavora a New York in un importante giornale di moda. Ce l'ha fatta. Non solo: si è presa qualcosa che apparteneva a Nicky. È stato più forte di loro: lei e Adam si sono innamorati. D'altra parte Nicky, quella volta, l'aveva fatta grossa, e quando Adam ha visto il suo bambino in pericolo, ha deciso che era troppo.
Adesso Chloe e Adam sono sposati, e insieme stanno crescendo Ethan, il figlio che Nicky non ha saputo amare. Ma quando Adam viene trovato morto sul pavimento della loro casa di vacanza negli Hamptons, una serie di dubbi comincia ad affacciarsi nella vita di Chloe. Dubbi sul marito, che ultimamente era sempre più reticente a parlare del proprio lavoro. Dubbi sul figlio, che l'adolescenza ha decisamente messo in crisi. E perfino dubbi su se stessa. Perché la verità è molto più di quello che l'apparenza lascia credere. E la vita troppo spesso ci fa dimenticare le cose più vere.
Il nuovo grande thriller dell'autrice de La ragazza nel parco è semplicemente un vortice di sorprese, da cui non saprete staccarvi.

Commento:
Sorelle sbagliate è un thriller che definirei cauto: non eccede mai in niente, né nel suscitare tensione, né nell'approfondire questioni scottanti che pure tratta o vorrebbe trattare, ma lo fa in modo superficiale. Quali? Sicuramente la questione della violenza sulle donne che pervade tutto il romanzo, ma che viene affrontata, a mio parere, in modo poco incisivo, viene quasi sommersa dagli altri temi affrontati. E quindi, violenza sulle donne, adolescenza difficile, odio sui social, rapporto conflittuale tra sorelle, crisi coniugale, uomini insoddisfatti, alcolismo… tutto insieme in un unico libro. Detto questo, sicuramente Sorelle sbagliate non è un brutto thriller: è solo un thriller in cui non succede quasi niente e ciò che succede passa quasi come evento normale… tensione zero, colpo di scena non pervenuto, brivido neanche a parlarne. È un'ottima lettura estiva, questo sì, perché scorre e tiene accesa l'attenzione senza però stancare il lettore o fargli aumentare la sudorazione per qualche scena di panico assoluto. È un thriller che parla di troppe cose, con personaggi tutto sommato ben delineati, ma che non si fa ricordare per nulla di particolare. Lo consiglio? Sì e no… dipende da cosa cercate in un thriller! Per quanto mi riguarda, è il primo che leggo di quest'autrice e non mi ha fatto venire voglia di conoscerla meglio. Vedremo, questo è discreto, niente di più.

Opera recensita: "Sorelle sbagliate" di Alafair Burke
Editore: Piemme, 2019
Genere: thriller
Ambientazione: Stati Uniti
Pagine: 304
Prezzo: 19,50 €
Consigliato: sì/no
Voto personale: 7.


mercoledì 22 gennaio 2020

RECENSIONE: VIOLA ARDONE - IL TRENO DEI BAMBINI


Sinossi:
È il 1946 quando Amerigo lascia il suo rione di Napoli e sale su un treno. Assieme a migliaia di altri bambini meridionali attraverserà l'intera penisola e trascorrerà alcuni mesi in una famiglia del Nord; un'iniziativa del Partito comunista per strappare i piccoli alla miseria dopo l'ultimo conflitto. Con lo stupore dei suoi sette anni e il piglio furbo di un bambino dei vicoli, Amerigo ci mostra un'Italia che si rialza dalla guerra come se la vedessimo per la prima volta. E ci affida la storia commovente di una separazione. Quel dolore originario cui non ci si può sottrarre, perché non c'è altro modo per crescere.

Commento:
Ho divorato questo libro in mezza giornata e per molte ore dopo averlo terminato non sono riuscita a buttar giù nulla, né le parole da scrivere qui, né il groppo pesantissimo delle emozioni che mi ha suscitato. Il treno dei bambini è un libro commovente e folgorante: commovente perché racconta una storia quasi sconosciuta che, invece, ha molto da dire sull'Italia del secondo dopoguerra e sul senso vero delle parole accoglienza, solidarietà, dignità, povertà, rete e impegno politico; folgorante perché dalla prima all'ultima parola ci regala una scossa salutare di energia positiva, senso di comunità, stimoli di riflessione. Con la sicurezza che viene dalla conoscenza e dalla necessità di tirar fuori una storia bruciante, Viola Ardone ci racconta le vicende di Amerigo e di tanti bambini come lui che, dai vicoli di Napoli, partono in treno verso il Nord più ricco ed ospitale. Si trattò di un'iniziativa solidale creata dal Partito Comunista e sviluppatasi a livello nazionale in una rete di accoglienza organizzata: per alcuni mesi diverse famiglie dell'Emilia-Romagna accolsero bambini provenienti dal Sud, perché anche loro potessero avere l'opportunità di godere dei diritti basilari come la corretta alimentazione, l'istruzione elementare, una possibilità di trovare le loro inclinazioni, il calore di una famiglia allargata e unita. Non che quei bambini una famiglia non ce l'avessero, anzi era molto difficile per i genitori lasciar partire i figli, ma con coraggio queste donne e questi uomini si privavano del calore dei figli per qualche tempo pur di garantire loro, se pure per un tempo limitato, quel benessere che è ben lungi dall'essere ricchezza, ma fa vivere meglio, più caldi e più felici. Alcuni bambini, poi, decisero anche di rimanere su, nelle case che li avevano ospitati, altri tornarono a casa prima del previsto perché la nostalgia era troppo forte, tutti però conservarono nel cuore quell'esperienza meravigliosa e anche a distanza di decenni avrebbero ricordato il buon cuore, l'accoglienza, il calore di chi li aveva ospitati spesso trattandoli come figli propri. La storia di Amerigo, poi, è particolare e merita da sola una lettura e una riflessione più profonda… basti sapere, per ora, che sarà lui a raccontarci sensazioni, paure, stupore, gioia e dolore di un bambino che dapprima non capisce perché debba andarsene, poi scopre di trovarsi bene e poi di avere il cuore spezzato in due, mezzo a Modena e mezzo a Napoli.
Non è facile dire poco su questo libro, vorrei poter dire di più, ma sarebbe veramente un peccato rovinarvi il piacere della lettura… dico solo questo: questo libro parla di noi, dell'Italia, degli italiani veri, quelli che troppo spesso dimentichiamo di essere. Leggetelo, non ve ne pentirete.

Opera recensita: "Il treno dei bambini" di Viola Ardone
Editore: Einaudi, 2019
Genere: romanzo di formazione
Ambientazione: Napoli-Modena, 1946-1994
Pagine: 248
Prezzo: 17,50 €
Consigliato: assolutamente sì
Voto personale: 10.


martedì 21 gennaio 2020

RECENSIONE: KATE QUINN - FIORI DALLA CENERE


Sinossi:
La guerra è finita da due anni e Charlie St Clair non ha ancora notizie della cugina Rose, dispersa in Francia. Stanca di quell’incertezza e dell’atteggiamento rassegnato della famiglia, per cui l’intraprendenza di Rose è sempre stata motivo d’imbarazzo, Charlie scappa di casa per andare a cercarla. Con sé ha un unico indizio: l’indirizzo di una donna di Londra. Tuttavia Eve Gardiner si rifiuta di collaborare. Sta per mettere alla porta quella ragazzina insolente, quando Charlie fa il nome di René, l’uomo per cui lavorava Rose. Allora Eve ci ripensa. Perché, cercando Rose, potrebbe finalmente trovare la vendetta che aspetta da trent’anni… Nel 1915, Eve Gardiner arriva a Lille con un documento falso e con l’entusiasmo dei suoi diciassette anni. Con quel faccino innocente, è la spia perfetta. Infatti viene subito assunta in un bistrot e gli ufficiali tedeschi che lo frequentano non si fanno remore a discutere i loro piani davanti a lei. L’unico che sembra accorgersi della sua presenza è il proprietario, René Bordelon, un collaborazionista scaltro e spregevole, che inizia a corteggiarla. Eve ancora non lo sa, ma René segnerà il suo trionfo e la sua rovina…
Charlie ed Eve sono molto diverse, eppure condividono la stessa determinazione, lo stesso coraggio nel combattere per quello in cui credono. Facendo affidamento l’una sull’altra, intraprenderanno un cammino costellato di tradimenti e di segreti e, insieme, riusciranno finalmente a scoprire la verità e, così, a trovare la pace.

Commento:
Sta prendendo piede sempre di più un nuovo filone narrativo che unisce romanzo storico a spy story: un modo nuovo ed inedito di raccontare aspetti e personaggi poco noti di importanti periodi storici. Anche Fiori dalla cenere di Kate Quinn rientra a pieno titolo in questo genere di romanzi che magari non brilleranno per originalità o perfezione stilistica, magari presenteranno qualche lacuna su entrambi i lati della medaglia (non hanno l'accuratezza della ricerca storica né il ritmo forsennato delle vere spy stories), ma assolvono a un compito utile: ci presentano sotto una luce appassionante fatti e persone che altrimenti non avremmo conosciuto.
Fiori dalla cenere, in particolare, si sofferma attorno a due figure importanti e spesso trascurate nelle storie di guerra: le spie e i delatori. Le prime, molto spesso donne, da sempre svolgono una funzione chiave nelle azioni di guerra: famose per le loro capacità mimetiche, per l'improvvisazione e il sangue freddo, sono pedine importanti per chi svolge l'attività di pianificazione e combattimento vero e proprio, poiché con le loro informazioni può prevenire le mosse del nemico, organizzare attacchi mirati o sventarne altri ai propri danni. I secondi, i delatori o collaboratori, sono tra le figure più odiate di ogni guerra: sono i "normali" e "tranquilli" cittadini che familiarizzano col nemico per proprio tornaconto e non esitano a denunciare anche per pretesti futili. Il coraggio delle spie si contrappone sempre alla codardia dei delatori e lo fa prepotentemente anche nelle pagine accorate di questo romanzo: la giovane Charlie St Clair, alla disperata ricerca della cugina Rose, giunge in Inghilterra dove incontra la disillusa, segnata e burbera Eve Gardiner. Dopo le diffidenze iniziali, la donna, un'ex spia, scopre di avere in comune con Charlie molto più di quanto sembrava: in comune c'è René, l'uomo spregevole che le ha letteralmente distrutto la vita oltre trent'anni prima, durante la Prima guerra mondiale. Da questo momento in poi, non senza peripezie e colpi di scena, la storia si sviluppa in Francia, dove veniamo a conoscenza degli effetti di due guerre sulle città, sulla popolazione, ma soprattutto conosciamo la storia di Eve e di altre coraggiose eroine come lei che hanno rischiato la vita e l'hanno persa per la patria proprio come i soldati uomini, figure di cui si parla poco, ma che sono state un immenso valore aggiunto durante la guerra. La storia di Eve è molto più di questo: è la storia di una ragazza che, per via di un problema fisico, veniva ritenuta un'idiota e che ha cercato di superarlo sfruttandolo per servire il proprio Paese; è la storia di una vendetta dettata dal senso di colpa e dal dolore, sentimenti che non si spengono perché non si spegne l'affetto per chi ne ha patito le conseguenze. Poi c'è la storia di Charlie, anche questa importante, con i problemi di una ragazza americana ricca, ma diversa dalle altre, non disposta ad accontentarsi di una vita disegnata per lei. Una ragazza intelligente che porta su di sé gli effetti di un'altra guerra, la Seconda guerra mondiale, non meno devastanti della prima.
Un libro interessante, appassionante, forse con qualche pecca, ma sicuramente una lettura non banale.


Opera recensita: "Fiori dalla cenere" di Kate Quinn
Editore: Nord, 2019
Genere: romanzo storico, spy story
Ambientazione: Francia, Inghilterra, 1915-1947
Pagine: 464
Prezzo: 19,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


domenica 19 gennaio 2020

RECENSIONE: JING-JING LEE - STORIA DELLA NOSTRA SCOMPARSA


Sinossi:
Wang Di ha soltanto sedici anni quando viene portata via con la forza dal suo villaggio e dalla sua famiglia. È poco più che una bambina. Siamo nel 1942 e le truppe giapponesi hanno invaso Singapore: l’unica soluzione per tenere al sicuro le giovani donne è farle sposare il più presto possibile o farle travestire da uomini. Ma non sempre basta. Wang Di viene strappata all’abbraccio del padre e condotta insieme ad altre coetanee in una comfort house, dove viene ridotta a schiava sessuale dei militari giapponesi. Ha inizio così la sua lenta e radicale scomparsa: la disumanizzazione provocata dalle crudeltà subite da parte dei soldati, l’identificazione con il suo nuovo nome giapponese, il senso di vergogna che non l’abbandonerà mai. Quanto è alto il costo della sopravvivenza?
Sessant’anni più tardi, nella Singapore di oggi, la vita dell’ormai anziana Wang Di s’incrocia con quella di Kevin, un timido tredicenne determinato a scoprire la verità sulla sua famiglia dopo la sconvolgente confessione della nonna sul letto di morte. È lui l’unico testimone di quell’estremo, disperato grido d’aiuto, e forse Wang Di lo può aiutare a far luce sulle sue origini. L’incontro fra la donna e il ragazzino è l’incontro fra due solitudini, due segreti inconfessabili, due lunghissimi silenzi che insieme riescono finalmente a trovare una voce.
Con una scrittura poetica e potente, in questo romanzo d’esordio Jing-Jing Lee attinge alla sua storia familiare raccontando la memoria dolorosa e a lungo taciuta di una generazione di donne delle quali è stata per decenni negata l’esistenza: una pagina di storia che troppo a lungo è stata confinata all’oblio.

Commento:
Nessuno credeva che la guerra fra Cina e Giappone sarebbe arrivata sin lì… in fondo, cosa importa ai giapponesi di un'isoletta come Singapore? E invece, inesorabile, la guerra arriva, miete le sue vittime e porta con sé il suo carico di miseria, sofferenza, umiliazioni. Nel cielo di Singapore si vedono sempre meno aerei alleati e sempre più bombe giapponesi; i poveri diventano sempre più poveri, disoccupati e affamati; i soldati invadono città e villaggi e li depredano di cose e persone… donne, soprattutto. È proprio così che il destino avverso porta via la sedicenne Wang Di alla sua famiglia: un giorno, i soldati arrivano al villaggio a bordo di camion, intimano a tutti di uscire di casa e prendono con sé le donne più giovani… il loro destino? Diventare donne di conforto, meri strumenti di soddisfazione sessuale dei soldati giapponesi, segregate in cubicoli con sempre meno cibo e nessuna possibilità di scappare. Poi la guerra finisce e, a quelle di loro che tornano a casa, tocca anche sopportare l'onta del disprezzo altrui, dell'emarginazione, della damnatio: agli occhi della brava gente, famiglie comprese, sono donne di malaffare, sarebbe stato meglio che fossero morte. E a cosa serve, allora aver sofferto? Se lo chiede spesso Wang Di, il cui nome indica già da solo il suo non essere desiderata (significa speranza di un fratellino), se lo chiede a cos'è servito sopportare stringendo i denti, non abbandonarsi al dolore, ma dopo un po' smette di farsi domande, si chiude nel silenzio, china la testa e sposa un uomo buono, anche lui segnato dalla guerra. E qui la ritrova Kevin, un tredicenne introverso che ha appena perso la nonna cui era legatissimo; la trova sola e smarrita, proprio come lui: due anime affini con una storia da raccontare e molti fili da riannodare. È proprio grazie a Kevin, infatti, che Wang Di riuscirà a redimersi da se stessa.
Storia della nostra scomparsa racconta una storia semisconosciuta e lo fa con la delicatezza della sobrietà: Jing-Jing Lee non si fa mai prendere la mano da sentimentalismi che renderebbero artefatta la storia: non ne ha bisogno, perché con il suo fluire pacato e intimo, questa storia ci entra nel cuore in punta di penna ed è destinata a rimanerci a lungo.

Opera recensita: "Storia della nostra scomparsa" di Jing-Jing Lee
Editore: Fazi, 2019
Genere: romanzo storico
Ambientazione: Singapore
Pagine: 400
Prezzo: 17,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


giovedì 16 gennaio 2020

RECENSIONE: DAVID FOENKINOS - CHARLOTTE


Sinossi:
Per puro caso, David Foenkinos scopre l'opera di Charlotte Salomon. Una mattina qualunque, ad Amsterdam. Le sue tele sono una folgorazione. La sintonia è subito precisa, spontanea: la strana sensazione di conoscere già qualcuno che si sta scoprendo. È l'inizio di un'ossessione. Charlotte Salomon diventa la sua stessa scrittura, la sola storia che è necessario scrivere. Partendo dall'inizio, dall'infanzia a Berlino e dalle tragedie familiari che sembrano ripetersi come un ritornello malvagio e fatale nella vita della giovane pittrice, ma attraversando anche gli artisti e l'euforia portata nelle stanze di casa dal talento musicale della seconda, adorata moglie di suo padre. E poi di colpo, irresistibile, la scoperta della pittura, durante un viaggio in Italia sotto le prime ombre del nazismo. La nascita prorompente di una vocazione che non l'abbandonerà più, così grandiosa da farla ammettere, unica studentessa ebrea, all'Accademia delle Belle Arti, dove l'eccezionalità del suo talento sembra per un breve momento avere la meglio sulle leggi razziali. E poi l'amore, la passione assoluta per l'uomo che per primo sa vedere la straordinarietà della sua pittura e la incoraggia al punto tale da costringerla a lasciarlo, a fuggire in Francia per cercare la salvezza Charlotte deve vivere, deve creare. Devi dipingere, Charlotte. Dipingere per non impazzire. Ma è troppo tardi, la guerra incombe da tutte le parti.

Commento:
Una lettura breve, ma intensissima, questo Charlotte dello scrittore francese David Foenkinos: un libro scritto con una prosa sciorinata in forma di poesia, ma incisiva, diretta, didascalica ed efficace. Con frasi che sembrano scorrere via come immagini in sequenza, Foenkinos racconta la vita della pittrice tedesca Charlotte Salomon, vissuta a Berlino, poi fuggita in Francia fino a morire per mano dei nazisti nel 1943, a ventisei anni, al quinto mese di gravidanza.
La vita di Charlotte non è stata facile: una madre morta suicida – come molti membri della sua famiglia – e un padre che, per sopportare il dolore, annega nel lavoro; una matrigna buona, attenta, ma a sua volta oppressa dall'impossibilità di esibirsi per le leggi razziali (era una celebre cantante), un amore acerbo che costituirà la sua nemesi fin quasi alla morte. Charlotte trova finalmente salvezza, sfogo, modo di esprimere ciò che ha dentro attraverso la pittura: è così brava che viene ammessa, unica ebrea in quegli anni, all'Accademia di pittura di Berlino. La pittura sarà la sua unica compagna anche nei momenti più bui, più difficili, quelli del distacco, della prigionia, dell'isolamento. Sarà con la pittura che Charlotte riuscirà a raccontare la sua vita. E tanti anni dopo, come è accaduto a tanti, lo scrittore David Foenkinos viene letteralmente folgorato dalle opere di Charlotte che non conosceva, ma di cui si innamora al punto che Charlotte diventa la sua ossessione. In questo libro, ispirato all'opera Vita o teatro della stessa pittrice, Foenkinos ci racconta la storia di questa ragazza fragile, eppure testardamente, pervicacemente attaccata alla vita mentre intorno a lei c'era solo morte.

Opera recensita: "Charlotte" di David Foenkinos
Editore: Mondadori, 2015
Genere: narrativa straniera, romanzo storico, biografia
Ambientazione: Germania-Francia
Pagine: 200
Prezzo: 16,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


RECENSIONE: STEFANO MASSINI - EICHMANN. DOVE INIZIA LA NOTTE


Sinossi:
Nel 1960 viene arrestato in Argentina Adolf Eichmann, il gerarca nazista responsabile di aver pianificato, strutturato e dunque reso possibile lo sterminio di milioni di ebrei. Dai verbali degli interrogatori a Gerusalemme, dagli atti del processo, dalla storiografia tedesca ed ebraica oltre che dai saggi di Hannah Arendt, Stefano Massini trae questo dialogo di feroce, inaudita potenza. Il testo è un atto unico, un’intervista della stessa Arendt a colui che più di tutti incarna la traduzione della violenza in calcolo, in disegno, in schema effettivo. In un lucidissimo riavvolgere il nastro, Eichmann ricostruisce tutti i passaggi della sua travolgente carriera, dagli albori nella piccola borghesia travolta dalla crisi fino all’ebbrezza del potere, con Hitler e Himmler raccontati come mai prima, fra psicosi e dolori addominali, in un tripudio di scuderie, teatri e salotti. Da una promozione all’altra, in un crescendo di poltrone, prestigio e denaro, si compone lentamente il quadro della Soluzione Finale, qui descritta nel suo aspetto più elementare di immane macchina organizzativa: come si sperimentò il gas? Quando fu deciso (e comunicato) l’inizio dello sterminio? Come si gestiva in concreto l’orrore di Auschwitz? Ed ecco prendere forma, passo dopo passo, una prospettiva spiazzante: Eichmann non è affatto un mostro, bensì un uomo spaventosamente normale, privo di alcun talento se non quello di trarsi d’impaccio, capace di stupire più per la bassezza che per il genio. Incalzato dalle domande della filosofa tedesca, egli si rivela il ritratto squallidissimo dell’arrivismo, della finzione, del più bieco interesse personale, ma niente di più. È mai possibile che l’uomo più temuto da milioni di deportati, il cui solo nome incuteva terrore, fosse un essere così vicino all’uomo medio? Contraddittorio, superficiale, perfino goffo, Eichmann assomiglia a noi più di quanto si possa immaginare. Ma è proprio qui, in fondo, che prende forma il male: nella più comune e insospettabile piccolezza umana.

Commento:
Ce lo siamo chiesto tutti, ascoltando le testimonianze dei sopravvissuti, leggendo libri, guardando film e documentari… come si generò la Soluzione finale? Cosa portò, negli anni della Seconda guerra mondiale, Hitler e i suoi sodali a sterminare milioni di ebrei, zingari, omosessuali, disabili, oppositori? Ce lo chiediamo davanti a ogni guerra, discriminazione, manifestazione di odio, intolleranza, barbarie: dove, come, quando, perché, da chi comincia il male? Il dialogo-intervista che Stefano Massini inscena in queste pagine può essere un buon punto da cui partire nel rispondere a questi interrogativi. A fronteggiarsi sono, in un botta e risposta immaginario, ma plausibilissimo, la filosofa Hannah Arendt e il… - funzionario? Gerarca? Aguzzino? Impiegatucolo? – nazista Adolf Eichmann. Scopriamo, in queste pagine, il ritratto di un uomo che, ben lungi dall'icona di genialità e potenza che vorrebbe ispirare, è profondamente, meschinamente, spaventosamente umano: sì, perché il male mostra qui, nelle parole di quest'uomo, nelle ragioni che lo muovevano, tutta la sua più profonda ed evidente banalità. E forse avremmo preferito che Eichmann fosse un genio del male, un uomo malvagio, mosso dall'odio raziale, avremmo forse preferito vedere in lui un signore oscuro perfino più simile al suo Fuhrer, invece di ritrovarci davanti quest'omuncolo coi complessi di inferiorità. Un uomo che finge di essere ciò che non è, un uomo che orchestra e pianifica una macchina burocratica complessa e funzionale, uno che firma il verbale per introdurre il gas… per cosa? Per l'ansia di essere qualcuno, di ricevere approvazione, di non essere come suo padre. Fa rabbia leggere le sue parole, però serve. Serve a non agire come lui, a non voltarsi dall'altra parte, a non distogliere lo sguardo, a guardare in faccia l'origine del male che spesso è molto più vicina, molto più alla portata di quel che crediamo.
Dai verbali dei processi, dai documenti, dai saggi della Arendt, Stefano Massini con la sua prosa sincopata e d'effetto, crea un'opera d'impatto fortissimo, quasi una pièce teatrale, un dibattito a scena aperta, un processo ex post, implacabile e serrato come può essere la voce della coscienza, la voce di un Dio – semmai Eichmann ne adorasse uno – dinanzi al quale confessare i propri peccati, mettere a nudo le proprie meschinità. Un libro da leggere e rileggere, per non dimenticare mai che il male è molto più banale, molto più umano di quanto ci sembri.

Opera recensita: "Eichmann. Dove inizia la notte" di Stefano Massini
Editore: Fandango, 2020
Genere:
Pagine: 114
Prezzo: 12,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


martedì 14 gennaio 2020

RECENSIONE: ELVIRA DONES - PICCOLA GUERRA PERFETTA


Sinossi:
Forse per la prima volta in un romanzo la guerra ci appare vicinissima alla nostra normalità: di persone che vivono nell'Occidente moderno, dove si può telefonare a una amica a New York, a un parente in Svizzera. E dove, se manca la luce, non è detto che sia perché stanno per venirci a prendere, uno per uno, casa per casa. La "piccola guerra perfetta" del titolo è quella dichiarata dalla Nato il 24 marzo 1999 in seguito alla feroce politica di "pulizia etnica" di Milosevic. Si concluse il 12 giugno. Una guerra aerea, dai cieli del Kosovo. Doveva essere piccola e perfetta perché nessun soldato americano sarebbe tornato a casa in una bara, fu promesso. Ma vista da terra fu purtroppo tutt'altra cosa. Che cosa, lo racconta Elvira Dones in questo libro scritto oggi e basato su anni di ricerche sulle violenze subite dalle donne del Kosovo in ottanta giorni di orrore, a opera dei miliziani serbi. Dones riesce a rendere terribile, commovente e umana l'epica della sopravvivenza di tre donne assediate in una casa di Pristina: Rea, Nita e Hana. E insieme al loro assedio, alla loro disperata e vitale giovinezza, seguiamo increduli l'odissea verso la libertà di due indimenticabili ragazzini, della tredicenne bellissima Blerime, che da grande vuole studiare Poe come zia Nita, e del quattordicenne asso del calcio Fatmir. Elvira Dones ha scritto i suoi primi sette libri in albanese e gli ultimi due in italiano, sua lingua d'adozione. Prefazione di Roberto Saviano.

Commento:
L'avevano definita "piccola" e "perfetta", perché avrebbe dovuto durare pochissimo e colpire obiettivi precisi. Così pensavano gli occidentali con la loro superiorità e le loro boriose strategie da liberatori del mondo. Ma può, una guerra, essere piccola e perfetta? Si può controllare una bomba dopo che è stata lanciata? Si può, onestamente, stabilire in anticipo il numero e l'identità delle vittime? Si può prevedere cosa accadrà dopo un primo atto di forza, specie in un territorio – i Balcani – già martoriato da anni di inutili guerre? No, no e no. Lo grida forte, Elvira Dones, in queste pagine strazianti. Lo grida, ma non con un inutile urlo che sgorga dalla gola, lo fa con un urlo lacerante che viene da dentro, uno di quegli urli muti che hanno imparato bene le donne kosovare… quelle che sono rimaste, almeno, e che hanno ancora voglia di urlare il loro orrore al mondo. Ci racconta qui, la Dones, una guerra drammatica, fatta di soprusi, distruzione, carneficina, orrore: lo fa raccontandoci, mentre avvengono, le esecuzioni sommarie, la paura, la reclusione, i tentativi vani di fuggire, le case sventrate, ossa, sangue, brandelli di carne… ci racconta la storia di tre donne, di tante donne che prima ancora di pensare a se stesse, proteggono l'uomo, si sacrificano, vengono annientate dalla vista della morte davanti agli occhi e dal peso di dover restare in vita. Ci racconta, di contro, le reazioni dell'occidente saggio nel caldo delle case e delle redazioni giornalistiche con tutti i confort, di quell'occidente di gente che si lamenta per la pena di di una guerra altrui mentre chi ascolta, dall'altro capo della cornetta, intorno ha cadaveri e abbandono. Ci racconta, Elvira Dones, di tradimenti, di popoli afflitti e di popoli amici che, fratelli nel sangue e nella miseria, tendono la mano.
Piccola guerra perfetta è un piccolo libro, ma di un impatto emozionale fortissimo: testimonianze, queste, che lasciano il segno e dovrebbero far chinare la testa a chi blatera di guerra, sovranismi, nazioni e orgoglio patriottico. Una storia da leggere, proprio perché dura, resa ancora più glaciale dall'uso, nella narrazione, del tempo presente che dà al racconto quell'immediatezza che colpisce allo stomaco. Un libro sulla guerra, uno dei tanti? No, un libro che è, in sé, la guerra.


Opera recensita: "Piccola guerra perfetta" di Elvira Dones
Editore: Einaudi, 2011
Genere: narrativa straniera
Ambientazione: Kosovo, marzo-giugno 1999
Pagine: 164
Prezzo: 17,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


domenica 12 gennaio 2020

RECENSIONE: GORE VIDAL - GIULIANO


Sinossi:
Pubblicato per la prima volta nel 1964, Giuliano è uno dei romanzi di maggiore successo di Gore Vidal. La fortuna ininterrotta che i lettori gli hanno tributato dalla sua uscita e gli apprezzamenti favorevoli della critica letteraria lo fanno annoverare tra le opere di narrativa più importanti della letteratura americana del Novecento. Il romanzo racconta la vita privata e politica di Giuliano, l’imperatore romano del quarto secolo, nipote di Costantino, che durante i brevi anni del suo regno tentò di soffocare la diffusione del cristianesimo e di restaurare il culto degli dèi, passando per questo motivo alla storia con l’appellativo di “Apostata”. Morirà assassinato nel 363, tre anni dopo essere diventato imperatore, avendo completamente fallito la realizzazione del suo progetto. Il racconto di Vidal comincia diciassette anni dopo la morte di Giuliano e prende le mosse dalla corrispondenza tra due potenti e influenti uomini politici del tempo. Senza scrupoli, portati a privilegiare gli intrighi della politica e del potere, non esitano a farcire le loro lettere di osservazioni malevole, pettegolezzi e maliziose digressioni che interpolano al diario scritto dall’imperatore, destinato a essere la sua autobiografia. Nelle pagine di Giuliano troviamo così l’affascinante rappresentazione di un conflitto politico e religioso in cui già si profila il declino dell’Impero Romano; ma troviamo, soprattutto, il sentimento di un’epoca, raffigurato con maestria e con l’inconfondibile stile di Gore Vidal. Nella lotta senza speranza contro il cristianesimo ormai trionfante, nel tentativo – che egli stesso sa essere destinato a fallire – di restaurare una religione che lo spirito del tempo non sente più sua, si nasconde il tormento di un’anima spaventata e smarrita di fronte al futuro. Un sentimento che appartiene a ogni epoca e che fa della tragica parabola dell’imperatore romano una storia attuale anche ai giorni nostri.

Commento:
Ho appena terminato la lettura di questo corposo volume di Gore Vidal, un autore che non conoscevo, e in me albergano sensazioni diverse, confuse, contrastanti. Comincio col dirvi che si tratta di un romanzo storico non facile da leggere, non perché l'argomento sia complesso, ma perché richiede un'attenzione pressoché costante e una buona dose di volontà ed interesse per il periodo storico trattato, ossia la fase dell'Impero romano successiva a Costantino e precedente a Graziano e Teodosio (tardo Impero, quindi). Aggiungiamo che l'imperatore di cui si narra qui la vita è – a torto - uno dei meno conosciuti e studiati… ma perché dico "a torto"? Perché Giuliano l'Apostata, stando a quanto ci dice qui Vidal che si è ampiamente documentato, fu un uomo interessante sia per le vicissitudini che ne condizionarono la vita e il pensiero, sia per l'apporto filosofico alla discussione religiosa che portò ai suoi tempi. Andiamo con ordine: fin da quando Giuliano era bambino, l'Imperatore regnante, Costanzo, uccise suo padre e rinviò ad un secondo momento la morte sua e di suo fratello Gallo. Capite bene che per tutta la prima parte della sua vita, per parecchi anni, Giuliano aveva sulla testa la spada di Damocle della sentenza di Costanzo, che, essendo peraltro suo famigliare, lo controllava da vicino e determinava l'andamento della sua vita quotidiana. Per questo Giuliano dovette abbracciare la fede cristiana, salvo poi discostarsene appena possibile per rivolgersi al culto dei "Veri dèi", dapprima segretamente, poi sempre più apertamente. Fu questo suo sconfessare la fede cristiana a valergli la nomea di Apostata, nonché non poche rimostranze da parte dei galilei, senza contare l'impossibilità di professare la propria fede pubblicamente per molto tempo. Quando poi, insospettatamente per lui, divenne imperatore furono proprio le diatribe religiose l'unico motivo di ostilità e fonte di complotti e tentativi di attentare alla sua vita. Per il resto Giuliano fu studioso di filosofia, ma anche valente ed assennato generale; fu un uomo mite e un Augusto clemente, giusto e deciso; cercò di cambiare molti usi dissennati della Corte e ridurre sprechi e favoritismi; non ebbe mai tentennamenti nelle sue idee, né paura di essere diverso, di tirar dritto per la sua strada, secondo la sua morale irreprensibile. Sono questi alcuni dei tratti che lo rendono così interessante e che fanno del libro di Gore Vidal un'opera pregevole ed assolutamente da consigliare. Se poi aggiungiamo che si tratta di un libro tutto sommato scorrevole (tolte le difficoltà che evidenziavo all'inizio) e che la scrittura è di valore, ironica, elegante, acuta, direi che Giuliano è davvero un buon libro. Per quanto mi riguarda, purtroppo, non è scattata l'intesa che mi porterà a leggere altro di Vidal – almeno per il momento – però ciò non toglie che abbia apprezzato molto i tantissimi stimoli che questa lettura mi ha dato per approfondimenti futuri: importante è, infatti, la discussione sulle origini del cristianesimo e le tante visioni e interpretazioni fornite da Giuliano-Vidal sulla sua dottrina. Insomma, consigliatissimo!

Opera recensita: "Giuliano" di Gore Vidal
Editore: Fazi, prima ed. originale 1964
Genere: romanzo storico
Ambientazione: Impero Romano
Pagine: 586 (Ed. Fazi 2017)
Prezzo: 19,50 € (ed. Fazi 2017)
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


giovedì 9 gennaio 2020

RECENSIONE: CAMILLA LACKBERG - IL PREDICATORE (I DELITTI DI FJALLBACKA VOL. 2)


Sinossi:
Da più di vent'anni una dolorosa faida lacera la famiglia Hult: Ephraim, il predicatore che infiammava le folle promettendo guarigione e salvezza, ha lasciato ai suoi discendenti un'eredità molto controversa. Il peso del sospetto continua a gravare su un ramo del clan, coinvolto suo malgrado nella sparizione di due ragazze risalente a molti anni prima. Una vicenda che nel delizioso paesino di Fjallbacka, sulla costa occidentale della Svezia invasa dai turisti per la bella stagione, torna a essere sulla bocca di tutti dopo l'omicidio di una giovane donna, quando in una splendida gola naturale, sotto quel corpo martoriato, la polizia scopre anche i resti di due scheletri. La calda estate di Erica Falck e Patrik Hedstròm, che presto avranno un bambino, viene cosi sconvolta da un'indagine che, in un'angosciosa lotta contro il tempo, cerca di sviscerare i meccanismi della seduzione del potere, sfidando la malevolenza di una piccola comunità di provincia carica di segreti. In questo secondo episodio della serie di Erica Falck, Camilla Lackberg si conferma maestra nel tessere gli intrighi di una società chiusa, dove l'apparenza conta sopra ogni cosa e scoprire cosa accade realmente nella vita degli altri si rivela un'impresa alquanto complessa.

Commento:
Ve lo immaginereste voi che in Svezia possa fare caldo? Ebbene, è questa la prima cosa che ci colpisce sin dalle prime pagine di Il predicatore di Camilla Lackberg: in questo secondo episodio della serie di Erica Falck e Patrik Hedstrom ambientata a Fjallbacka, imperversa un luglio opprimente e un caldo spossante. Spossante è anche, per Erica, l'invasione di parenti che le affollano la casa a ondate in cerca di vacanze gratis; spossante è per lei anche l'apatia di non poter fare nulla con un pancione ingombrante e un bimbo in arrivo. Spossante e lacerante è, per il suo compagno Patrik, l'indagine che lo strappa alle ferie e lo costringe a ore ed ore di lavoro e a non pochi foschi pensieri: una ragazza è stata ritrovata morta con fratture multiple alle ossa e tagli sul corpo; accanto a lei due scheletri di donne risalenti a decenni prima; un'altra ragazza, ad indagine in corso, scompare. Dietro a tutto quest'orrore inconsueto per un paesino turistico come Fjallbacka, c'è indubbiamente un legame con la controversa famiglia Hult… ma qual è questo legame? Si limita al passato o si estende pericolosamente anche all'oggi? E nel frattempo, dov'è la ragazza scomparsa?
Un'asfissiante e disarmante corsa contro il tempo tra colleghi poco collaborativi, strani guaritori ed insondabili segreti di famiglia è quella che impegna Patrik Hedstrom in questo giallo con cui Camilla Lackberg consolida e imprime una direzione a questa fortunata serie. C'è Erica – che ufficialmente resta la protagonista -, ma c'è soprattutto tanto Patrik che, contrariamente a quanto avremmo immaginato leggendo La principessa di ghiaccio, è ben lungi dall'essere relegato in un ruolo marginale. Una serie ben avviata, dunque, che continuerò a leggere senza dubbio durante questo lungo 2020.

Opera recensita: "Il predicatore" di Camilla Lackberg
Editore: Marsilio, ed. originale 2004, ed. italiana 2010
Genere: giallo, seriale
Ambientazione: Fjallbacka, Svezia
Pagine: 462
Prezzo: 19,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


lunedì 6 gennaio 2020

RECENSIONE: JEAN-MICHEL GUENASSIA - IL CLUB DEGLI INCORREGGIBILI OTTIMISTI


Sinossi:
Parigi, 1959. Sono anni vertiginosi: la Seconda guerra mondiale è finita da troppo poco tempo per essere Storia, la guerra d'Algeria segna le vite dei francesi d'oltremare. Michel Marini, undici anni, figlio di immigrati italiani, esce dall'infanzia e si affaccia a un'adolescenza inquieta e piena di emozioni. Vagabonda per il quartiere, si ritrova con gli amici a giocare a calcio balilla; un giorno entra in un bistrò, il Balto. È attratto da una stanza sul retro dove si ritrova un gruppo di uomini, che parlano un francese a volte approssimativo e portano dentro di sé storie e passioni sconosciute. Sono profughi dei Paesi dell'Est, uomini traditi dalla Storia, ma visionari che ancora credono nel comunismo. Incorreggibili ottimisti. Frequentare il Balto vuol dire scoprire il mondo. Michel cresce con Igor, Leonid, Imré, Pavel, Tibor, Sasha; impara a conoscere l'amicizia, l'amore, la complessità degli ideali. Nel retro di un bistrò si litiga, si beve, si gioca a scacchi, si raccontano barzellette su Stalin, si offre se stessi e le proprie storie, storie terribili di esilio che si intrecciano sullo sfondo di un decennio epocale, tra filosofia e rock'n'roll, Sartre e Kessel, la conquista dello spazio e l'inizio della Guerra fredda. Nella tradizione del grande romanzo francese, un affresco indimenticabile di un'epoca. Un libro di cui, una volta iniziato, non si può più fare a meno, capace di trascinare e di suscitare emozioni intense, e che lascia pieni di nostalgia per i suoi eroi.

Commento:
La bellezza di questo libro non è folgorante, dirompente… per coglierla bisogna addentrarvisi, leggere, scoprire pian piano storie, risvolti, non detti… proprio come accade al protagonista nonché voce narrante, il giovanissimo Michel Marini, che un giorno viene in contatto con il club degli incorreggibili ottimisti e, prima che possa conoscere le storie di quegli uomini così singolari e gli spettri che si portano sulle spalle, dovranno passare anni di frequentazione assidua. Ci sono tante cose in queste pagine, c'è storia, filosofia, ideologie superate in cui gli irriducibili continuano a credere; c'è l'adolescenza, l'esilio forzato, i rapporti familiari travagliati, le guerre, la separazione, l'amicizia… è un romanzo non facile, ma che sa catturare pagina dopo pagina, che sa fare compagnia, far riflettere, affezionare, commuovere. Il personaggio che ho amato di più, fra i tanti belli, è stato Sasa… chi leggerà il libro fino in fondo potrà capire perché. A chi vorrà farlo dico: provate ad immergervi in queste pagine senza aspettarvi niente, senza sapere cosa aspettarvi… ne sarete conquistati.


Opera recensita: "Il club degli incorreggibili ottimisti" di Jean-Michel Guenassia
Editore: Salani, 2010
Genere: romanzo storico
Ambientazione: Francia-Russia
Pagine: 704
Prezzo: 18,60 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


sabato 4 gennaio 2020

RECENSIONE: TRACY CHEVALIER - LA DAMA E L'UNICORNO


Sinossi:
È un giorno della Quaresima del 1490 a Parigi, un giorno davvero particolare per Nicolas des Innocents, pittore di insegne e miniaturista conosciuto a corte per la sua mano ferma nel dipingere volti grandi come un'unghia, e al Coq d'Or e nelle altre taverne al di qua della Senna per la sua mano lesta con le servette di bell'aspetto. Jean Le Viste, il signore dagli occhi come lame di coltello, il gentiluomo le cui insegne sono ovunque tra i campi e gli acquitrini di Saint-Germain-des-Prés, proprio come lo sterco dei cavalli, l'ha invitato nella Grande Salle della sua casa al di là della Senna e in quella sala disadorna, nonostante il soffitto a cassettoni finemente intagliato, gli ha commissionato non stemmi imponenti o vetrate colorate o miniature delicate ma arazzi per coprire tutte le pareti. Arazzi immensi che raffigurino la battaglia di Nancy, con cavalli intrecciati a braccia e gambe umane, picche, spade, scudi e sangue a profusione. Una commissione da parte di Jean Le Viste significa cibo sulla tavola per settimane e notti di bagordi al Coq d'Or, e Nicolas, che può resistere a tutto fuorché alle delizie della vita, non ha esitato un istante ad accettare. Non ha esitato, però, nemmeno ad annuire davanti alla proposta di Geneviève de Nanterre, moglie di Jean Le Viste e signora di quella casa.

Commento:
Davvero una buona lettura! Scritto molto bene, piacevolissimo da leggere, coinvolgente nella storia e nei personaggi molto ben delineati. Ho letto ed apprezzato anch'io "la ragazza con l'orecchino di perla" e non saprei dire quale dei due libri preferisco... entrambe le storie sono allo stesso livello, ma mentre "la ragazza con l'orecchino di perla" è più "pesante", questo ha tinte più fresche e leggiadre. I personaggi, come dicevo, sono ben definiti e ci si affeziona alle loro storie. Nutro simpatia per il pittore Nicolas, il classico "scupafemmine" dal cuore grande, ma per motivi personali la dolce, ma tenace Aliénore è il mio personaggio preferito: mi ci riconosco molto perchè, essendo anch'io non vedente dalla nascita, capisco a pieno e condivido quasi sempre il suo modo di ragionare e di agire! Anche la cecità in questo libro viene affrontata con un taglio grintoso e sbarazzino che mi piace molto! Assolutamente consigliato!

Opera recensita: "La dama e l'unicorno" di Tracy Chevalier
Editore: Neri Pozza
Genere: narrativa straniera
Pagine: 286
Prezzo: 16,50 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


venerdì 3 gennaio 2020

RECENSIONE: FRANCO FAGGIANI - IL GUARDIANO DELLA COLLINA DEI CILIEGI


Sinossi:
Il guardiano della collina dei ciliegi, ispirato a una storia vera, ripercorre le vicende di Shizo Kanakuri, il maratoneta olimpico che, dopo una serie di vicissitudini e incredibili avventure, ottenne il tempo eccezionale di gara di 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti e 20 secondi.
Nato a Tamana, nel Sud del Giappone, Shizo venne notato giovanissimo per l’estrema abilità nella corsa. Grazie al sostegno dell’Università di Tokyo e agli allenamenti con Jigoro Kano, futuro fondatore del judo, Shizo ebbe modo di partecipare alle Olimpiadi svedesi del 1912 dove l’imperatore alla guida del paese, desideroso di rinforzare i rapporti diplomatici con l’Occidente, inviò per la prima volta una delegazione di atleti. Dopo un movimentato e quasi interminabile viaggio per raggiungere Stoccolma, Shizo, già dato come favorito e in buona posizione nella maratona, a meno di sette chilometri dal traguardo, mancò il suo obiettivo e, per ragioni misteriose anche a se stesso, sparì nel nulla dandosi alla fuga. Da qui ha inizio la storia travagliata di espiazione e conoscenza che porterà il protagonista di questo libro dapprima a nascondersi per la vergogna e il disonore dopo aver deluso le aspettative dell’imperatore, poi a trovare la pace come guardiano di una collina di ciliegi. Intrecciando realtà e fantasia, il romanzo di Franco Faggiani descrive la parabola esistenziale di un uomo che, forte di una rinnovata identità, sarà pronto a ricongiungersi con il proprio destino saldando i conti con il passato.

Commento:
Ho voluto cominciare il nuovo anno con questo libro per due motivi, del tutto slegati tra loro, ma simbolici e ben augurali per me: questo libro mi è stato donato e questo libro, pur essendo stato scritto da un autore italiano, ha in sé tutta la calma del Giappone. E proprio questa calma saggia e posata cercavo io all'inizio di quest'anno, la stessa calma che Shizo Kanakuri, il protagonista, cerca e trova sotto la protezione della collina dei ciliegi. Shizo viene fuori da un'esperienza traumatica, porta sulle spalle un'oppressione, un senso di colpa, di sconfitta difficile da sostenere: un ragazzo abituato alla natura, che ama correre a perdifiato nelle sue montagne, in mezzo ai boschi, nel silenzio, viene all'improvviso catapultato alle olimpiadi. Un peso non indifferente, soprattutto per chi è abituato all'obbedienza, alla disciplina e a non deludere mai le aspettative di nessuno. Shizo manca l'obiettivo, fallisce miseramente e per la vergogna fugge passando per esperienze travagliate, fino ad approdare per caso in quell'oasi dei sensi che è la collina dei ciliegi. Qui passa decenni, si costruisce una vita, finché qualcuno non torna a stanarlo.
Il libro è una storia di fantasia, ispirata però da una storia vera, quella – appunto – di Shizo Kanakuri: il maratoneta nella realtà non andrà in nessuna collina dei ciliegi, ma probabilmente se l'avesse fatto ne avrebbe senza dubbio tratto giovamento. Il guardiano della collina dei ciliegi è un libro che sa di libertà, di tempo ben speso, di viaggi col pensiero e serena accettazione e conoscenza di sé e del mondo. Bellissima esperienza di lettura che consiglio.

Opera recensita: "Il guardiano della collina dei ciliegi" di Franco Faggiani
Editore: Fazi, 2019
Genere: narrativa
Ambientazione: Giappone-Svezia, 1912-1967
Pagine: 232
Prezzo: 16,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.