simposio lettori copertina

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venerdì 31 luglio 2020

RECENSIONE: ELVIRA DONES - VERGINE GIURATA


Sinossi:
Hana abbandona gli studi universitari che, piena di curiosità e di entusiasmo, aveva da poco iniziato all'Università di Tirana per tornare a vivere sulle montagne del Nord dell'Albania, nella casa dello zio che l'ha cresciuta dopo la morte dei genitori e che adesso è vedovo e malato. Un atto d'amore e di gratitudine che assume i tratti di uno spaventoso olocausto di sé quando Hana, che si rifiuta di accettare il matrimonio combinato che permetterebbe allo zio di morire in pace ma che costringerebbe lei a rinunciare alla propria indipendenza, pensa che l'unico modo per risolvere i suoi problemi sia diventare una vergine giurata: una di quelle donne, cioè, che a un certo punto della propria vita decidono di farsi uomini e di rinnegare la propria femminilità. Lo zio è fiero di lei, l'onore della famiglia è salvo e lui è finalmente libero di arrendersi alla malattia che lo divora. Nella cupa solitudine delle montagne si abbrutisce e si imbruttisce per sopravvivere alla fatica, al freddo, allo sconforto, finché la cugina Lila, emigrata tanti anni prima negli Stati Uniti, non riesce a convincerla a infrangere il giuramento per raggiungerla a Washington. Qui Hana riesce con grande sforzo - grazie al sostegno della cugina e della sua famiglia, ma soprattutto alla propria tenacia - a trovare la consapevolezza di sé e del suo corpo mortificato, e ad accettare l'amore di un uomo che la aiuta ad appropriarsi di una femminilità rinnegata.

Commento:
Ana è sempre stata una ragazza indipendente, amante dei libri, della cultura, del bello. Lo era anche nell'86, quando, dai monti del Nord dell'Albania, era giunta a Tirana per studiare, ma fu strappata a quell'ambiente corroborante dalla malattia di suo zio e dall'improvvisa morte della zia, gli unici parenti che le fossero rimasti al paese. Più si avvicina la morte dell'anziano e buono zio, però, più crescono i rischi per Ana: una donna sola è in pericolo, deve sposarsi, ha bisogno della tutela e della protezione dell'uomo, così, per fermare un destino che le strapperebbe inesorabilmente l'indipendenza, Ana compie un giuramento: diventa una vergine giurata, assume le sembianze, gli atteggiamenti, i pensieri di un uomo e da quel momento tutti lo tratteranno e lo rispetteranno come uomo. Il suo compito sarà curare gli interessi della famiglia, i beni, l'onore. Quattordici sono gli anni che Ana passa in quell'abbrutimento, negandosi di essere donna anche nel pensiero, ma giunge un momento in cui il suo corpo, il suo essere, la sua femminilità rinnegata reclamano attenzione. Così Ana infrange il giuramento e vola in America, dalla cugina Lila e dalla sua bella famiglia, per provare a tornare ad essere di nuovo una donna, per tornare ad essere di nuovo se stessa. Non sarà affatto facile.
Il tema chiave di questo interessante romanzo di Elvira Dones è proprio la femminilità negata, la dirompente sensualità, il bisogno fisico di essere se stesse, che si sia mogli, madri, adolescenti, studentesse, semplicemente donne. È questa libertà che manca di più ad Ana quando si era ritrovata a fare l'uomo; la libertà di essere donna, con aspirazioni, sogni, obiettivi, desideri, non solo braccia, corpo, schiava e succube di un uomo. Una libertà che, dopo aver provato a rinunciarvi, scoprirà di desiderare ardentemente e che lotterà per conquistare. Una lettura consigliata perché pone lo sguardo su tradizioni poco note, ma ancora vive, sulle vite di donne ancora oppresse, su condizioni femminili tanto diverse dalla nostra.


Opera recensita: "Vergine giurata" di Elvira Dones
Editore: Feltrinelli, 2007
Genere: narrativa
Ambientazione: Albania, Stati Uniti
Pagine: 204
Prezzo: 15,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


giovedì 30 luglio 2020

RECENSIONE: GIACOMO LEOPARDI - OPERETTE MORALI


Sinossi:
Libro poetico e, per questo, morale, le "Operette" leopardiane sono, insieme, teatro filosofico e narrazione fantastica, trattato sull'infelicità dei viventi, ma anche rappresentazione di quella leggerezza, e ironia, e persino letizia, che la storia della civiltà - tra violenza e astrazione - ha disperso o negato. Sui modi del comico - dallo straniamento all'antifrasi, dal burlesco al fiabesco - trascorre l'onda di un pensiero tragico. Come nel riso c'è il riverbero di una saggezza fatta esperta degli inganni del mondo, del vanire delle cose. La critica della restaurazione, di ogni forma di restaurazione e di conformismo, l'indagine sulla natura, sulla sua prossimità e indifferenza, lo sguardo sulla materia, sul suo circuito perpetuo di produzione e distruzione, il pensiero della finitudine, dell'irreversibile, del limite si fanno, in questo libro, affabulazione e dialogo, racconto e finzione teorica: ma il "deserto della vita", il silenzio della speranza, le ombre stesse del nulla hanno qui un fremito, una loro irripetibile lingua, e passione.

Commento:
Lettura certamente non facile, tanto complessa quanto interessante, oserei dire, non propriamente adatta alla calura estiva. Nelle Operette morali, Leopardi affronta, in prosa, molti dei temi da lui già trattati in altre opere: la natura indifferente quando non ostile e intransigente; il mondo, la sua storia e le sue sorti; l'uomo in quanto creatura del mondo, misera rispetto alla grandezza dell'universo; la letteratura e la filosofia e così via. Lo fa in modo singolare, composito, adottando diversi stili di narrazione, ora dialoghi, ola monologhi, ora racconti… sempre, rigorosamente in prosa. Le operette morali sono un'opera variegata sotto molti punti di vista, dunque, non ultimo quello della complessità: alcuni componimenti sono molto gradevoli, brevi, comprensibili anche ad una lettura superficiale, altri, invece, richiedono un'attenzione e una concentrazione non indifferenti. Una lettura suggestiva e per certi versi attuale, nonostante sia stata scritta quasi duecento anni fa.

Opera recensita: "Le operette morali" di Giacomo Leopardi
Editore: vari
Genere: letteratura italiana
Pagine: 380 (ed. Super Bur Classici, 2000)
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


mercoledì 29 luglio 2020

RECENSIONE: CARLO LEVI - CRISTO SI è FERMATO A EBOLI


Sinossi:
"Eboli - dicono i lucani tra cui Levi fu mandato al confino dal fascismo - e l'ultimo paese di cristiani. Cristiano è uguale a uomo. Nei paesi successivi, i nostri, non si vive da cristiani, ma da animali". Dice Italo Calvino in uno dei due testi che introducono questo volume: "La peculiarità di Carlo Levi sta in questo: che egli è il testimone della presenza di un altro tempo all'interno del nostro tempo, è l'ambasciatore d'un altro mondo all'interno del nostro mondo. Possiamo definire questo mondo il mondo che vive fuori della nostra storia di fronte al mondo che vive nella storia. Naturalmente questa è una definizione esterna, è, diciamo, la situazione di partenza dell'opera di Carlo Levi: il protagonista di "Cristo si è fermato a Eboli" è un uomo impegnato nella storia che viene a trovarsi nel cuore di un Sud stregonesco, magico, e vede che quelle che erano per lui le ragioni in gioco qui non valgono più, sono in gioco altre ragioni, altre opposizioni nello stesso tempo più complesse e più elementari".

Commento:
In Cristo si è fermato a Eboli Carlo Levi, medico del Nord confinato in Lucania per la sua attività antifascista, raccoglie impressioni, descrizioni, fatti e misfatti di una terra molto lontana e diversa da quella da cui proviene. Prima a Grassano e poi a "Gagliano", Levi ha modo di comprendere la mentalità, le abitudini, i complessi e i vanti di un popolo – quello lucano – che rispecchia l'immagine, neanche tanto stereotipata, di un Sud gattopardiano, clientelare, stregonesco, legato alla terra, con un profondo, atavico complesso di inferiorità che talvolta sfocerà anche in vittimismo ed incapacità di reagire, ma che purtroppo poggia su basi storicamente oggettive.
Nella Lucania degli anni '30, dove non arrivano progresso e cambiamento, dove Roma sembra lontana e ostile, dove l'egoismo e l'interesse personale sembrano essere l'unico motore trainante, i contadini, l'ultimo stadio del tessuto sociale, il più numeroso, sono vittime consapevoli ma impotenti, con un fardello di ignoranza, lavoro e sfruttamento che tuttavia li rende fieri e, quando serve, ribelli nella disperazione. Con un lirismo che ricorda da vicino quello di Grazia Deledda in Canne al vento, Levi descrive con l'occhio di un osservatore attento e partecipe, la realtà difficile con cui si ritrova a convivere, una realtà fatta di lavoro, umiltà e ospitalità. Una lettura da consigliare e su cui tornare, un'opera importante che descrive un Meridione non troppo diverso da quello di oggi.

Opera recensita: "Cristo si è fermato a Eboli" di Carlo Levi
Editore: Einaudi, prima ed. 1945
Genere: letteratura italiana
Ambientazione: Lucania
Pagine: 272
Prezzo: 12,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


martedì 28 luglio 2020

RECENSIONE: MARIOLINA VENEZIA - LA VOLPE MECCANICA


Sinossi:
Una donna racconta di sé. E della passione bruciante per un uomo più giovane di lei, che finalmente lascia il segno in un'esistenza grigia, imprigionata in un matrimonio deciso a sangue freddo. Descrive nei dettagli i loro incontri, i baci, i più riposti segreti della loro intimità. Lasciando sullo sfondo lo scenario in cui si svolge la storia, ripercorre la sua vita e le sue molte ombre alla ricerca del punto di non ritorno. Voleva fare l'attrice, un tempo, e ne avrebbe avuto tutti i numeri, se non fosse intervenuta a sbarrarle la strada un'inesorabile vocazione al fallimento. Testimoni o complici, la seguiamo nei labirinti della sua mente, attraverso le ambigue proiezioni dell'arte e dell'amore. Assistiamo come dal buco della serratura a giochi erotici sempre più mozzafiato, in uno sconcertante thriller dei sentimenti, all'inseguimento di una verità che trascende i fatti e diventa un'indagine esistenziale. Ma il giovane commissario incaricato di risolvere il caso nel quale la protagonista si trova coinvolta arriverà a conclusioni inattese. Mariolina Venezia costruisce un noir dal ritmo incalzante, con una scrittura precisa come una lama che seziona eventi e caratteri riducendoli all'osso, in un tango freddo e appassionato di amore e morte.

Commento:
La volpe meccanica è un racconto che tramortisce ed investe i sensi. È il monologo, trasognato e spietato, di una donna che racconta la sua storia, il suo disagio, i suoi fallimenti, la sensazione di essere nata per perdere, la ricerca della sconfitta, l'intorpidimento delle ambizioni, il risveglio e l'urgenza nell'amore famelico e travolgente per un uomo che al di là della conoscenza dei corpi, rimane a tutti gli effetti uno sconosciuto. Non è semplice descrivere le sensazioni vividissime che dà l'esperienza di lettura di questo breve, ma intensissimo racconto: si prende fiato alla prima riga e si resta col respiro mozzo, sospeso, fin quasi alla fine, in una corsa inarrestabile verso una catastrofe prevedibile quanto inevitabile. Sfiancati e svuotati di tutte le energie, si assiste ad un finale non scontato, beffardo eppure, in un certo senso, giusto e sperato. Non un racconto che si legge in un'ora scarsa, ma un'esperienza di lettura in piena regola, fisica, corporea, totalizzante.

Opera recensita: "La volpe meccanica" di Mariolina Venezia
Editore: Bompiani
Genere: racconto noir
Pagine: 94
Prezzo: 10,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


lunedì 27 luglio 2020

RECENSIONE: SIMONA TANZINI - CONOSCI L'ESTATE?


Sinossi:
Viola, romana trapiantata a Palermo per un combinarsi di caso e di scelta, è un «volto televisivo», una giornalista tv. Ha un disturbo della percezione (lei preferisce «una particolarità»), la sinestesia: ogni cosa, ogni luogo, ogni persona che guarda si unisce, per lei, a una musica e la musica a un colore; ma non tutti, alcuni non hanno musica e quindi colore, «meglio tenersi lontani». A questo si accompagna una più grave malattia degenerativa, «neuroni bucati» che, senza disabilitarla, determinano il suo modo di muoversi e l’approccio alla realtà.
Nel pieno di un’ondata di scirocco è morta strangolata Romina, una ventenne di buona famiglia. È immediatamente sospettato Zefir, un popolarissimo cantautore.
Viola vaga per tutti i luoghi coinvolti dal crimine, conducendo la sua vita movimentata, curiosando nelle case e nelle giornate di ogni tipo di gente. Santo, l’ex caporedattore, trincerato dietro tenaci silenzi la mette in contatto con un suo amico, un poliziotto che lei chiama Zelig perché cangiante di colore, il quale sembra sfruttare le sue intuizioni, le sue visioni, l’abilità di profittare del caso. L’inchiesta diventa una storia in una prima persona insolita, né flusso di coscienza né descrizione; un registrare emozioni, eventi e coincidenze lontani, mischiati a pensieri contemporanei su se stessa, sulla città, su fatti e persone, con spirito ironia sarcasmo pena cinismo amore, sentimenti tutti orientati all’obiettivo di rubare la verità a una realtà frammentaria. Conosci l’estate? scandaglia senza trovare fondo il tema della colpa e dell’innocenza. E dietro la vicenda gialla traspare il vero cuore del romanzo: il ritratto commovente, quasi un diario, di una donna che avverte che in lei «si sta allargando il buio», che è lei «quella diversa» e perciò attraversa la vita in modo totale con tristezza e divertimento, malinconia ed entusiasmo, dolore e godimento. Di queste contraddizioni Palermo è il simbolo oltre che il luogo, «città ossimoro»: i suoi odori, la sua compassione e ferocia; e l’Altra Palermo disillusa, «più ipocrita e indifferente di prima». Ma è a Viola che non si può non voler bene.

Commento:
Leggendo la presentazione e soprattutto l'incipit di questo romanzo, reso noto da Sellerio qualche gorno prima della pubblicazione, mi ero convinta che mi sarebbe piaciuto molto, che avrei trovato una nuova protagonista con cui empatizzare, in un'ambientazione che – Palermo e la Sicilia – che di per sé mi affascina. A lettura ultimata posso dire che l'unica cosa che ha soddisfatto pienamente le mie aspettative è stata, per l'appunto, l'ambientazione, il che, vista l'importanza che ha nel romanzo, non è per niente una cosa negativa. Il problema – e ciò che mi porta a non promuovere a pieni voti questo giallo – è che Viola, così si chiama la protagonista, non mi ha colpita quanto mi sarei aspettata, non ho legato con lei, ho trovato irritante il suo modo quasi preterintenzionale di indagare, di seguire la storia, persino di muoversi per la città… troppo spesso mi è sembrato che le sue azioni, per quanto abbiano poi portato ad un qualche risultato, fossero fortuite, poco più che casuali, prive di intenzione investigativa, di metodo. Sì, lo so che Viola non è una detective tout court, che è una giornalista, e infatti quando parla di giornalismo risulta interessante e competente, ma qui siamo in un giallo, una ragazza è stata uccisa e lei, nel bel mezzo delle sue pseudo-ferie, tra una dormita, un MH scambiato col gatto e un aperitivo, si interessa alla vicenda con un approccio tra l'annoiato e il fatalista; segue i colleghi, si informa, prende contatti con la Questura, s'interroga, ma lo fa sempre come se non avesse di meglio da fare. Anche le peculiarità della sinestesia e della malattia neurodegenerativa intervenuta successivamente, poi, sebbene interessanti, sono delineati in un modo che crea confusione più che destare vera curiosità. Se poi a questo aggiungiamo i continui andirivieni in una Palermo caldissima e asfissiante che si suda solo leggendoli, il fatto che di Viola sappiamo troppo poco per avere di lei una visione tridimensionale che non sia solo quella presente, il fatto che la vicenda gialla, sebbene pure questa potenzialmente interessante, non è trattata con sufficiente mordente… beh, non rimane molto da consigliare. Tuttavia, cosa salvare? Sicuramente, come anticipavo all'inizio, l'ambientazione, il contesto sociale, i cenni storici, folcloristici, culturali: Palermo, la città ossimoro che incanta, seduce ed inganna, ha un ruolo di primo piano in questa storia. Sono le sue contraddizioni, le peculiarità, la sua bellezza, i silenzi e le mille voci, il caleidoscopio di suoni e colori a mantenere vivo l'interesse nella lettura. Un esordio letterario da cui mi aspettavo di più, ma che comunque consiglio a chi avesse voglia di un buon giallo italiano – anzi mediterraneo – per l'estate.


Opera recensita: "Conosci l'estate?" di Simona Tanzini
Editore: Sellerio, 2020
Genere: giallo
Ambientazione: Palermo
Pagine: 280
Prezzo: 14,00 €
Consigliato: sì/no
Voto personale: 7.


domenica 26 luglio 2020

RECENSIONE: NICCOLò AMMANITI - ANNA


Sinossi:
In una Sicilia diventata un'immensa rovina, una tredicenne cocciuta e coraggiosa parte alla ricerca del fratellino rapito. Fra campi arsi e boschi misteriosi, ruderi di centri commerciali e città abbandonate, fra i grandi spazi deserti di un'isola riconquistata dalla natura e selvagge comunità di sopravvissuti, Anna ha come guida il quaderno che le ha lasciato la mamma con le istruzioni per farcela. E giorno dopo giorno scopre che le regole del passato non valgono più, dovrà inventarne di nuove. Con "Anna" Niccolò Ammaniti ha scritto il suo romanzo più struggente. Una luce che si accende nel buio e allarga il suo raggio per rivelare le incertezze, gli slanci del cuore e la potenza incontrollabile della vita. Perché, come scopre Anna, la "vita non ci appartiene, ci attraversa".

Commento:
è il 2020. Un virus misterioso denominato La rossa ha colpito il mondo portando alla morte tutti gli adulti. Nella Sicilia settentrionale, nel paesino di Castellammare, da ben quattro anni due fratelli, la tredicenne Anna e il fratellino Astor, cercano di sopravvivere preservando la casa, il bosco e loro stessi dagli incendi, le razie, i cani affamati, le orde di bambini incattiviti e pronti a tutto. Ma un giorno Astor si ammala, non ha la rossa perché è troppo presto, ma ha un febbrone che non accenna a scendere. Nel quaderno delle cose importanti che la mamma le ha lasciato prima di morire, Anna legge che servono gli antibiotici. Li cerca per giorni, ma quando torna col prezioso bottino, la casa è a soqquadro e il fratellino è sparito. Anna non può perdere anche lui, ha promesso alla madre che se ne sarebbe presa cura, perciò parte alla sua ricerca e giura a se stessa che, quando l'avrà trovato, partirà con lui per il continente, attraverserà lo Stretto e cercherà i grandi e il loro vaccino, sempre ammesso che qualcuno, al di là del mare, sia sopravvissuto. Ma la sua missione si rivela tutt'altro che facile. Ad accompagnarla in quest'avventura di sopravvivenza estrema ci sono Pietro, un ragazzino con la passione per i motori e l'ossessione per un determinato tipo di scarpe, e un nuovo amico a quattro zampe la cui storia ha quasi dell'incredibile. In questo bel romanzo di formazione, Niccolò Ammaniti affronta, con apparente semplicità, tematiche importantissime del vivere: l'affetto, la famiglia, la sopravvivenza ad ogni costo, l'amicizia, l'altruismo, l'amore per e degli animali, l'adolescenza, la malattia, la perdita di persone care… un romanzo distopico che, letto in un tempo in cui un virus ha veramente invaso il mondo, appare ancor più potente nel suo realismo. Non si può dire che sia un libro originale, non è un capolavoro, ma coinvolge e cattura: di certo è una buona lettura.

Opera recensita: "Anna" di Niccolò Ammaniti
Editore: Einaudi, 2015
Genere: distopico, narrativa italiana
Ambientazione: Sicilia, 2020
Pagine: 314
Prezzo: 13,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


sabato 25 luglio 2020

RECENSIONE: MAZO DE LA ROCHE - IL GIOCO DELLA VITA


Sinossi:
È trascorso un anno da quando abbiamo lasciato la turbolenta Jalna. Eden è scomparso e non si hanno più notizie di lui, Alayne è tornata a New York, Pheasant ha avuto un figlio da Piers e lo ha chiamato Maurice, come suo padre. Ritroviamo la famiglia riunita attorno al tavolo davanti a un invitante soufflé al formaggio e una bottiglia di rum di quelle buone per gli uomini. Manca solo Adeline. La nonna ormai passa la maggior parte del tempo a letto: quello stesso letto che è stato testimone di concepimenti, nascite e addii, e che ora sembra attendere un commiato. Difficile credere che la complicata trama tessuta da Adeline nelle stanze di Jalna possa squarciarsi. Ma una preoccupazione domina su tutte: a chi andrà l’eredità? Per tenere tutti in pugno, la furbissima nonna ha dichiarato che sarà destinata a una sola persona. Così, fra gelosie e sospetti reciproci, scatta la rincorsa all’ingente patrimonio: finirà forse nelle mani di Renny, per cui tutte le donne, nonna compresa, perdono la testa? O il fortunato sarà Nicholas, il più anziano, il figlio preferito? O l’adorabile piccolo Wakefield? Nel frattempo, il giovane Finch ha ben altro a cui pensare e coltiva in gran segreto la sua passione per le arti nell’attesa di entrare finalmente a far parte del gruppo degli uomini Whiteoak, mentre Renny non riesce a dimenticare l’affascinante Alayne, che tornerà a rimescolare le carte.
Il gioco della vita è il secondo capitolo della saga di Jalna: una saga familiare amatissima che, a partire dagli anni Venti, conquistò generazioni di lettori, con undici milioni di copie vendute e centinaia di edizioni in tutto il mondo, seconda solo a Via col vento fra i bestseller all’epoca della prima uscita.

Commento:
è un vero piacere ritornare, dopo un anno, nella maestosa, affascinante, animatissima Yalna e ritrovare tutti i suoi abitanti, alle prese con le gioie, le difficoltà, i turbamenti della vita. La vasta proprietà con l'antica dimora al centro, perfettamente incastonata negli sconfinati e meravigliosi paesaggi del Canada è un ventre accogliente per chi vi è nato e cresciuto, un ventre dal quale è difficile staccarsi. Famiglia e casa sono un corpo unico, una muraglia compatta che non tollera distacchi, diserzioni, diaspore: il concetto di unione familiare è sacro per questo clan Adelinocentrico. Sì, perché al centro del progetto, a dominare tutti con dispotico, affettuoso piglio tirannico c'è lei, la nonna ultracentenaria, l'indistruttibile, testarda, arguta Adeline Court che settant'anni prima, insieme al suo capitano Philip Whitehoak, ha creato la proprietà e fondato la famiglia. Tutto ruota sempre intorno a lei, al suo volere, alle sue decisioni. Tutti i membri della famiglia con le loro personalità più o meno forti, con le ambizioni, gli errori, i colpi di testa, i guai, orbitano intorno a questa donna tenace e volitiva che è una calamita naturale. Ma Adeline è sempre più provata, la fine della sua vita si sta approssimando, nello sgomento generale e una questione ben più venale sta per interessare tutta la famiglia: già da tempo Adeline ha dichiarato che, alla sua morte, il patrimonio spetterà ad una sola persona perché non vuole che sia fatto a fette come una torta. Chi, dunque, si aggiudicherà questa lauta eredità? A scapito di chi? E sarà poi, davvero, una fortuna questo lascito ingombrante? Nelle more, però, la vita a Yalna continua, con le angustie, i dissapori e i tanti non detti che pure affliggono una famiglia unita. Sapranno, i Whitehoak, sopravvivere agli scossoni e agli imprevisti rimanendo uniti, senza lasciare indietro nessuno? Una storia affascinante raccontata con una prosa ammaliante, elegante, vibrante… tutti aggettivi con cui si può descrivere anche Yalna stessa. Il gioco della vita è il giusto seguito ad un primo volume denso e ricco come Yalna, ed entrambi i capitoli vanno a comporre una saga familiare che si delinea preziosa e imperdibile. Spero di leggere presto le nuove vicende dei Whitehoak, spero di tornare presto anch'io nel ventre accogliente, anche se talvolta opprimente, di Yalna.


Opera recensita: "Il gioco della vita" di Mazo de la Roche
Editore: Fazi, 2020
Genere: letteratura americana, saga familiare in più capitoli
Ambientazione: Canada, anni '20
Pagine: 480
Prezzo: 18,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


giovedì 23 luglio 2020

RECENSIONE: JUNOT DìAZ - LA BREVE FAVOLOSA VITA DI OSCAR WAO


Sinossi:
"La breve e favolosa vita di Oscar Wao": già dal titolo si capisce che il romanzo non avrà un lieto fine classico. Ma non importa. Perché la vita di Oscar - ribattezzato Wao da un amico dominicano che storpia il nome di Wilde è davvero favolosa. Da favola. Da favola letteraria, magica e realistica al tempo stesso. Nasce e cresce nel New Jersey, il grasso, poco attraente, intelligente e parecchio eccitato Oscar. Sua madre Belicia è una ex reginetta di bellezza scappata da Santo Domingo perché perseguitata dal clan del dittatore Trujillo, la sorella, Lola, è una ragazza dolce, assennata e insieme spericolata come tutte le dominicane di Diaz. L'intero albero genealogico di Oscar, come quello di altre migliaia di dominicani, è composto da figure torturate, espropriate, martirizzate.

Commento:
La breve favolosa vita di Oscar Wao non è quello che si definirebbe "capolavoro della letteratura", però è un libro originale, acuto, vibrante e tremendamente ironico; è un ottimo esempio di quella letteratura latinoamericana che io trovo meravigliosa perché sa raccontare, in un modo peculiare e inimitabile, le brutture della vita, della società, le delusioni e le ingiustizie senza mai – e qui meno che mai – cadere nel sentimentalismo o cedere alla tristezza.
Oscar è un ragazzo che ama i giochi di ruolo, la fantascienza, libri e fumetti, che siano quelli altrui o quelli che prova a scrivere lui stesso. Ma c'è una cosa che Oscar ama più di tutto: le ragazze. Solo che loro proprio non amano lui. Ci prova da tanto, Oscar, ad avere una ragazza, un bacio, qualcosa di più… ma l'approccio è sempre quello sbagliato e se poi ci mettiamo che non è proprio un Marcantonio, anzi tutt'altro, i risultati sono disastrosi: a dispetto dei suoi innamoramenti totalizzanti e distruttivi, Oscar sembra proprio destinato ad essere l'unico dominicano a rimanere vergine. Così, tra un amore e un crollo, un dimagrimento e una fool immersion di scrittura, si sviluppa la breve favolosa vita di Oscar il dominicano-statunitense e della sua famiglia, il racconto della quale è affidato a Junior, un narratore-osservatore che della vita di questo sfortunato ragazzo ha fatto parte per un po'. Il racconto della vita di Oscar, però, non è l'unico tema del romanzo: parlandoci dei famigliari di Oscar, infatti, Dìaz narra anche la storia di una dittatura lunga, violenta, oppressiva, quella dell'erotomane e sanguinario Trujillo. Le vicende subite da Abelar, Belicia e gli altri parenti di Oscar, incluso il ragazzo stesso sul finale, sono forse la parte più interessante di un romanzo che riesce a raccontare con ironia, un pizzico di fatalismo e spirito di rivalsa, pagine di storia poco note eppure importanti. Il tutto, poi è condito di superstizione, credenze popolari, citazioni storiche, letterarie e cinematografiche e mille altre curiosità che rendono la narrazione variopinta e gustosa. Davvero una lettura consigliata a chi è disposto a lasciarsi stupire, guidare, sorprendere.

Opera recensita: "La breve favolosa vita di Oscar Wao" di Junot Dìaz
Editore: Mondadori, prima ed. originale 2007
Genere: narrativa latinoamericana
Ambientazione: Santo Domingo, Stati Uniti
Pagine: 346
Prezzo: 10,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


martedì 21 luglio 2020

RECENSIONE: ALICE BASSO - IL MORSO DELLA VIPERA


Sinossi:
Il suono metallico dei tasti risuona nella stanza. Seduta alla sua scrivania, Anita batte a macchina le storie della popolare rivista Saturnalia: racconti gialli americani, in cui detective dai lunghi cappotti, tra una sparatoria e l'altra, hanno sempre un bicchiere di whisky tra le mani. Nulla di più lontano dal suo mondo. Eppure le pagine di Hammett e Chandler, tradotte dall'affascinante scrittore Sebastiano Satta Ascona, le stanno facendo scoprire il potere delle parole. Anita ha sempre diffidato dei giornali e anche dei libri, che da anni ormai non fanno che compiacere il regime. Ma queste sono storie nuove, diverse, piene di verità. Se Anita si trova ora a fare la dattilografa la colpa è solo la sua. Perché poteva accettare la proposta del suo amato fidanzato Corrado, come avrebbe fatto qualsiasi altra giovane donna del 1935, invece di pronunciare quelle parole totalmente inaspettate: ti sposo ma voglio prima lavorare. E ora si trova con quella macchina da scrivere davanti in compagnia di racconti che però così male non sono, anzi, sembra quasi che le stiano insegnando qualcosa. Forse per questo, quando un'anziana donna viene arrestata perché afferma che un eroe di guerra è in realtà un assassino, Anita è l'unica a crederle. Ma come rendere giustizia a qualcuno in tempi in cui di giusto non c'è niente? Quelli non sono anni in cui dare spazio ad una visione obiettiva della realtà. Il fascismo è in piena espansione. Il cattivo non viene quasi mai sconfitto. Anita deve trovare tutto il coraggio che ha e l'intuizione che le hanno insegnato i suoi amici detective per indagare e scoprire quanto la letteratura possa fare per renderci liberi.

Commento:
Quella che inaugura la seconda serie nata dalla vulcanica mente di Alice Basso, è una storia bellissima. Al di là della trama interessante, della crescita narrativa e stilistica dell'autrice (che era già brava, ma qui supera se stessa), delle implicazioni storico-culturali raccontate, Il morso della vipera è una storia bellissima in primo luogo perché è contro gli stereotipi, in secondo luogo perché come al solito Alice Basso compie un gran bel lavoro di divulgazione letteraria che, di questi tempi di conformismo narrativo, è preziosissimo.
Quanto agli stereotipi, beh, ci metterete poco a capire che Anita, la protagonista di questa storia, smonta a piè pari quello della ragazzetta bella e oca, perché è bella, Anita, e si fa passare per svenevole, ma solo quando le conviene, perché altrimenti è pratica, sveglia, curiosa, irriverente. Altro stereotipo smontato è quello della bella che si accompagna con la brutta ma intelligente per opportunismo o peggio, pietà: Anita si accompagna a Clara – la sua migliore amica non proprio avvenente – perché insieme queste due ragazze intelligenti sono una forza, ma separate sarebbero niente, perse, finite. E poi c'è Corrado, il fidanzato di Anita, e Sebastiano Satta Ascona, forse il personaggio più interessante dell'intero romanzo insieme alla professoressa Candida Fiorio… e poi ci sono i genitori di Anita, la signora Metella, la sua vicina… tutti personaggi che, a loro modo, abbattono stereotipi e rendono la Torino dei tempi del Duce una città un po' più vivibile, pur nelle difficoltà. Quanto al lavoro di divulgazione letteraria cui accennavo sopra, invece, beh, attraverso la conversione di Anita ai libri, ai gialli, alla poesia – che di per sé ha qualcosa di magico e meravigliosamente reale – Alice Basso permette anche a noi, lettori del 2020 che poco conosciamo la storia della letteratura gialla, gli autori che popolavano il panorama letterario dell'epoca, le restrizioni imposte dal regime fascista al giallo, di saperne di più. E fidatevi, anche per chi come me è un appassionato dell'argomento, è una lettura interessantissima e ricchissima di spunti. Poi, a parte stereotipi e divulgazione, Anita ha una voce tutta sua, incantevole nella sua schiettezza, affascinante come tutte le voci dei personaggi che riempiono queste pagine. La freschezza di una giovane donna che vuole emanciparsi, fare esperienza, rendersi indipendente contrasta e stride con un sistema che la vorrebbe relegata in casa, angelo del focolare, madre e moglie devota e dedita solo alla casa e alla prole. Tante, varie e profonde le riflessioni sulla condizione della donna nel ventennio, che anche da sole meriterebbero la lettura. Infine, da lettrice della prima ora di Alice Basso, dopo le remore e il dispiacere per la fine della serie di Vani Sarca, non posso dire di non essere soddisfatta da questa nuova serie, da questi nuovi personaggi, da un'ambientazione così stimolante. Sarà davvero un piacere leggere ancora di Anita e Sebastiano e della loro avventura per rendere più libera e pulita la nostra società.


Opera recensita: "Il morso della vipera" di Alice Basso
Editore: Garzanti, 2020
Genere: giallo storico, seriale
Ambientazione: Torino, anni '30
Pagine: 302
Prezzo: 16,90 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


lunedì 20 luglio 2020

RECENSIONE: CAMILLA LACKBERG - IL GUARDIANO DEL FARO


Sinossi:
In una notte d’inizio estate, un’auto percorre a gran velocità la strada che collega Stoccolma alla costa occidentale. La donna al volante ha le mani sporche di sangue. Insieme al fi glio, Annie sta fuggendo verso Gråskär, nell’arcipelago di Fjällbacka. Quell’isola scabra, con il faro bianco e la vecchia casa del guardiano dove crescono le malvarose, appartiene alla sua famiglia, ed è l’unico posto in cui lei si sente al sicuro, lontano da tutto. La leggenda popolare vuole che lì si aggirino gli spiriti dei morti, ma questo non la turba, anzi, in quel luogo così solitario, dove il suo sguardo può spaziare solo su scogli e mare salato, ad Annie piace pensare che i fantasmi siano rimasti per farle compagnia. Intanto, a Fjällbacka, Erica Falck è totalmente assorbita dai suoi gemelli di pochi mesi, tanto più che Patrik, da poco rientrato in servizio, è alle prese con un’indagine piuttosto spinosa: il dirigente del settore fi nanze del comune è stato ucciso nel suo appartamento con un colpo di pistola alla nuca. Il movente dell’omicidio sfugge e la vittima, che poco prima di morire aveva fatto visita ad Annie all’isola degli spettri, sembra essere stato un uomo dai mille segreti. Sfi dando un muro di silenzi, la polizia di Tanum scava nel suo passato e trova un collegamento con un’associazione di sostegno a donne maltrattate. Una pista che permetterà a Patrik, sostenuto dal calore di una famiglia solida e sempre più numerosa, di portare alla luce i mondi calpestati di persone a cui la parola casa desta soltanto il ricordo di cicatrici, deboli ombre che solo nell’amore per un fi glio possono trovare la forza per continuare la loro fuga dal dolore che annienta ogni emozione, da caos e distruzione.

Commento:
Dovevo riappacificarmi con quest'autrice dopo la débagle del secondo romanzo della serie con Faye Adelheim, quindi sono tornata al porto sicuro e accogliente della serie di Erica e Patrik.
Dopo il drammatico finale del romanzo precedente, ritroviamo tutti i personaggi che tanto abbiamo a cuore, ormai, in questa serie, tutti alle prese con gli strascichi legati all'aver chiesto troppo a se stessi. Mentre Patrik si riprende dal malore che l'aveva colpito, Erica cerca di godersi i suoi gemelli, non senza sensi di colpa per quanto accaduto alla sorella Anna che sta vivendo un altro momento difficile. In questo trantràn familiare si inserisce un'indagine che, come sempre, non coinvolge solo Patrik, ma tutta la famiglia. Mats Sverin, giovane e solitario dirigente finanziario del Comune di Fjallbacka di recente tornato in città da Goteborg, è stato trovato morto nel suo appartamento, ucciso da un colpo di pistola nella nuca. Trovare l'assassino si rivela oltremodo complesso, giacché dell'uomo si sa veramente pochissimo: i suoi pochi effetti personali, così come le sue frequentazioni, rivelano quel tanto che basta per farsi un'immagine abbastanza buona di lui, ma chi può dirlo? Sono tanti gli elementi sconosciuti della vita di Mats. Si sa, però, che conosceva Annie, la giovane donna recentemente tornata sull'isola di Graskar – a due passi da Fjallbacka – con il figlioletto di cinque anni. Nel silenzio dell'isola, la donna si sta chiedendo perché Matte, con cui era legatissima in passato e con cui, dopo la sua visita recente, sembrava aver ritrovato la perduta intimità,  se ne sia andato in piena notte senza neppure salutarla. Tante le domande, i dubbi, i punti interrogativi. Di che natura era, realmente, il motivo che aveva riportato Mats a Fjallbacka? Che attività lo legava all'associazione che si occupa di donne maltrattate per cui lavorava? Troppe ombre che, come al solito, toccherà a Patrik e ai suoi colleghi dissipare… con qualche ostacolo dall'interno e qualche buon aiuto dall'esterno.
Un giallo ben costruito, lento ed equilibrato come al solito, ma più interessante e piacevole dei precedenti della serie. Una lettura interessante e godibile, nonostante gli argomenti trattati non suggeriscano certo leggerezza. Ad ogni modo, un buon modo per ridare corpo ad una serie che stava rischiando di appiattirsi su se stessa.


Opera recensita: "Il guardiano del faro" di Camilla Lackberg
Editore: Marsilio, 2014
Genere: giallo, seriale
Ambientazione: Svezia
Pagine: 446
Prezzo: 18,50 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


sabato 18 luglio 2020

RECENSIONE: BANANA YOSHIMOTO - IL DOLCE DOMANI


Sinossi:
Sayoko e Yōichi hanno avuto un incidente, lei è rimasta gravemente ferita, lui invece non c'è più. La loro era una storia bellissima, in cui la scarsa volontà di impegnarsi era compensata da un amore profondo e libero, e senza di lui Sayoko si sente vuota, o forse, come le dice l'amico okinawano Shingaki, deve solo andarsi a riprendere il suo mabui. È proprio la ricerca del mabui, di una cosa che somiglia molto all'anima e che Sayoko non sa nemmeno se la rivuole per davvero, il tema centrale di un romanzo che, con profondità e delicatezza, racconta il dolore e la rinascita di chi è sopravvissuto alla morte di qualcuno che amava. Ambientato fra i templi e gli onsen di Kyoto, con riferimenti a Frankenstein e agli zombie, Il dolce domani, scritto dopo l'incidente di Fukushima, sembra suggerire la nostalgia per ciò che si è perduto come mezzo per superare il trauma di aver vissuto il disastro di Fukushima e le sue conseguenze.

Commento:
Ancora una volta, leggendo questo libro, non posso non rimanere stupita ed ammirata dalla capacità dei giapponesi di affrontare temi difficili e strazianti come la morte e la perdita con tanta levità. E per levità non si intende qui leggerezza, superficialità: tutt'altro. Nella vicenda raccontata in queste pagine Banana Yoshimoto evidenzia la centralità della morte, della perdita, del dolore, tutti sentimenti a cui non bisogna sottrarsi, che non bisogna sminuire o aggirare, ma che al contrario bisogna guardare in faccia. Fare i conti con ciò che si è perso, venire a patti col dolore, favorisce l'accettazione e, di conseguenza, la rinascita, il ritorno alla vita. Un ritorno alla vita che, qualunque cosa ci sia successa, è necessario. Così la giovane donna che ha perso il ragazzo ed il cui corpo non tornerà più come prima, non sarà più la stessa persona di prima dell'incidente. Eppure, rimanendo sulla terra, troverà la sua dimensione, il suo nuovo equilibrio, il suo nuovo modo di vivere. Dovrà farlo, si riapproprierà piano piano della sua vita.
La sensazione più forte che si prova leggendo è il conforto, la consolazione: queste pagine, con tutti i riferimenti soprannaturali, le atmosfere oniriche tipiche della letteratura giapponese e la mentalità tutta nipponica di approcciarsi alla vita, regalano benessere e pace. E viene da pensare che Banana Yoshimoto sia ben riuscita nel suo intento: questo libro è dedicato a tutte le persone che soffrono, in particolare a quelle che vissero il disastro di Fukushima nel 2011, ma a chiunque possa trovarne conforto, trarne giovamento. E sì, è proprio quello che si prova non solo nel finale, ma per tutta la durata del racconto.

Opera recensita: "Il dolce domani" di Banana Yoshimoto
Editore: Feltrinelli, 2020
Genere: narrativa giapponese
Ambientazione: Giappone
Pagine: 112
Prezzo: 12,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


RECENSIONE: VALERIO AIOLLI - NERO ANANAS


Sinossi:
Tutto comincia un secondo dopo il botto. Il botto che ha cambiato l’Italia, che ha chiuso l’età dell’innocenza e aperto la strategia della tensione. Il botto del 12 dicembre 1969, Piazza Fontana. Gli estremisti di destra, invisibili, si incontrano, commentano, ricordano, tramano. Un anarchico si trascina di città in città, di nazione in nazione, di sconfitta in sconfitta, in attesa del momento del riscatto. Un politico, così devoto da essere soprannominato il Pio, comincia la sua lenta ma inesorabile scalata al potere. Poi ci sono i servizi segreti che provano a capire, sapere, influenzare. E c’è un ragazzino, che quel giorno ha visto sparire sua sorella e farà di tutto per riuscire a ritrovarla. Quattro anni di destini intrecciati, di fughe, ritorni, di amore e di odio. Quattro anni incandescenti della storia d’Italia, dal 1969 al 1973, raccontati con precisione e sorprendente capacità evocativa.
Nero ananas è tra i dodici candidati al Premio Strega 2019.

Commento:
Nero ananas è un romanzo corale, una narrazione a più voci di quattro anni che cambiarono per sempre la faccia pulita dell'Italia. Un'Italia instabile, apparentemente ferma, cristallizzata in un immobilismo immutabile, in un'incapacità di cambiare, di scuotersi di dosso problemi e inadeguatezze, ma in realtà in continuo (som)movimento, in perenne assestamento tra correnti mutevoli e imprevedibili.
Gli attori sul palco sono pochi, di registi e comparse, dietro le quinte, ce ne sono tanti e con interessi e mire diverse. L'ambito trofeo si chiama, di volta in volta, potere, dominio, riscatto personale, affermazione individuale o di squadra. Sul campo di battaglia (l'Italia) si va al di là dell'ideologia, si superano le divergenze e pur di raggiungere il proprio personale obiettivo che talvolta coincide con l'obiettivo di questo o quell'altro attore, si passa senza problemi per  la bomba inesplosa con messaggio allegato, la bomba che esplode ed uccide tre carabinieri, gli attentati sui treni, il "botto" di Piazza Fontana, quello di Piazza della Loggia, l'"accidentale" caduta nel vuoto di un anarchico, la bomba Ananas nelle mani di un folle davanti alla Questura di Milano. E poi le armi meno plateali, più sottili, più subdole, ma forse più incisive: gli accordi, le spartizioni, le ingerenze straniere, la politica… e chi non si adegua deve pagare. E intanto si muore, si versa sangue innocente, si sfigura il volto di un Paese piombato nella paura, nella tensione. E, spettatore di tutto questo e molto altro, un bambino che diventa adulto, che ha visto sua sorella partire per non tornare più, la sua famiglia sfaldarsi, la spensieratezza ridursi ad un miraggio. Un bambino, testimone inconsapevole del volto peggiore di un'Italia in subuglio.
Nero Ananas è un romanzo complesso, che necessita di più livelli di lettura: una lettura d'impulso, emotiva, che tramortisca e induca a riflettere; una lettura ragionata, circostanziata, con alla mano articoli di giornale, saggi, documenti. Alternando tratti freddi e lucidi a pagine di vita familiare di grande tenerezza, Nero Ananas ci fornisce un'ottima testimonianza su una pagina della nostra storia recente su cui c'è ancora tanto da dire. Un buon punto di partenza per chi voglia approfondire la Strategia della tensione, i depistaggi, gli accordi, le dinamiche politiche dell'Italia dal dopoguerra alla metà degli anni Settanta.


Opera recensita: "Nero ananas" di Valerio Aiolli
Editore: Voland, 2019
Genere: romanzo storico
Ambientazione: Italia, 1969-1973
Pagine: 352
Prezzo: 17,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


venerdì 17 luglio 2020

RECENSIONE: HANS FALLADA - OGNUNO MUORE SOLO


Sinossi:
"Ognuno muore solo" (uscito nel 1947) è una rielaborazione letteraria dell'inchiesta della Gestapo che portò alla decapitazione due coniugi berlinesi di mezz'età. Una spietata caccia all'uomo, con tanto di bandierine sulle carte, guidata da investigatori tanto tecnicamente capaci quanto irrazionalmente mossi da un fanatismo assurdamente sproporzionato agli scopi. E probabilmente le ragioni dell'oblio e della riscoperta stanno appunto nel fatto che è un romanzo sulla resistenza. Un romanzo sulla resistenza e sulla disperazione. Contrastante, quindi, con il luogo comune di un Hitler che non conobbe oppositori tra la gente ordinaria, unita nella colpa collettiva. Fallada racconta di poveri eroi. Anna e Otto Quangel, lui caporeparto lei casalinga, come tutti i loro pari soli e addormentati e poco prima ancora abbagliati dal Fiihrer, conoscono un risveglio dopo la notizia della morte del figlio al fronte, e cominciano a riempire alcuni caseggiati della loro Berlino con cartoline vergate in modo incerto di appelli ingenui di ribellione. Lo fanno per comportarsi con decenza fino alla fine, ben sapendo che morranno e sicuri che nel vicino incontreranno più facilmente il delatore. L'autore li illumina, scorgendo in loro una specie di coscienza della nazione, rappresentata dai tanti volti intorno, espressioni di un popolo spaccato in due, chi opprime e chi è sepolto nella sua paura.

Commento:
Ognuno muore solo non è solo un romanzo molto bello e profondo. Ognuno muore solo è un romanzo importante, perché è l'espressione della resistenza interna, della coscienza e della disobbedienza civile, quel senso di giustizia che si oppone alla violenza con la protesta tacita, ma inarrestabile.
Una mattina del 1940, una mattina uguale alle altre, in un anonimo condominio di Berlino, la postina Eva Cluge porta una lettera. È una lettera scritta a macchina e questo – lei lo sa – non è buon segno: la famiglia cui è destinata apprenderà presto della morte di qualcuno che è al fronte. Poco dopo, in un appartamento di quel medesimo condominio, l'avaro, burbero, retto capo officina Otto Quangel porgerà la lettera alla moglie, la tranquilla signora Anna, che apprendendo della morte dell'unico figlio, non scoppierà in pianti disperati, non cederà all'ira o al dolore scomposto: dirà solo poche frasi, una delle quali rivolta al marito. "Tu e il tuo Fuhrer!". Ebbene, sentirsi rivolgere quell'accusa dalla moglie è, per Otto Quangel, uno smacco, un'ingiustizia intollerabile: lui non è iscritto al partito, vuole assolutamente tenersi lontano dalla politica, il più lontano possibile. E lo sa anche lui che il figlio non voleva andare in guerra, lo sa pure lui che avrebbe preferito perdere una mano piuttosto che andare al fronte, ma è arrivata la convocazione ed ha dovuto andare. E comunque, qualunque cosa abbia deciso Otto Quangel, l'ha decisa insieme alla moglie, perciò proprio non ci sta che lei definisca Hitler il "suo Fuhrer". Non ci sta, Otto Quangel, che proprio lui che non vuol saperne niente di politica, debba perdere suo figlio, ucciso in una guerra che lui non ha voluto, ma che il Fuhrer ha voluto. Pian piano si instilla in Otto la necessità di fare qualcosa, di non restare indifferente come prima… perché suo figlio è morto, l'ha ucciso il Fuhrer, e più niente è uguale a prima. Ma Otto e Anna Quangel non sono persone potenti né violente, la loro sarà un'azione pacifica, che aprirà gli occhi alla gente, che agiterà le menti obnubilate dal fanatismo nazista. Un sabotaggio silenzioso di chi si oppone, come può, con tenacia, ad un regime. Scrivere cartoline e distribuirle per tutta la città. Questa sarà la lotta pervicace e silenziosa dei Quangel, di quegli operai umili e consapevoli del loro ruolo in società, eppure profondamente consci di dover, in qualche modo, contribuire alla lotta. L'effetto delle cartoline, però, non sarà esattamente quello sperato da Quangel.
Sin dal primo rigo di questo romanzo, con una maestria non comune, Hans Fallada ci introduce in una casa, in un condominio, un quartiere, una città di rara vividezza; egli dipinge per noi personaggi così realistici da essere perfetti nella loro imperfezione, meschinità, bontà d'animo, credulità, furbizia, ingordigia, crudeltà… sono rappresentati, qui, tutti i sentimenti umani, dal più alto al più infimo. Ognuno muore solo è un atto di resistenza interna perché scritto da un tedesco fra i tedeschi, con personaggi tedeschi che si oppongono al regime tedesco. Gli ebrei, i comunisti, tutti i perseguitati dal nazismo hanno qui un ruolo importante, ma comunque marginale, paritario nella loro comprimarietà. Qui va in scena lo spettacolo della grettezza, crudeltà, abiezione di pochi, calato nell'ordinarietà di un Paese in guerra. Se è accaduto ciò che è accaduto, la responsabilità è di tutti, nessuno escluso: è di chi non ha impedito, non ha denunciato, si è reso delatore, si è approfittato, ha marciato, si è voltato dall'altra parte, non ha capito, ascoltato, visto, non ha voluto farlo. Nessuno escluso.
Capita spesso, quando si parla dell'Olocausto, di chiedersi cosa sapessero o facessero i tedeschi. Ecco una risposta. Un libro meraviglioso, da leggere assolutamente.




Opera Recensita: "Ognuno muore solo" di Hans Fallada
Editore: vari (Einaudi, Sellerio), ed. originale 1947
Genere: letteratura tedesca
Ambientazione: Germania
Pagine: 590 (ed. Einaudi)
Consigliato: sì
Voto personale: 10

giovedì 16 luglio 2020

RECENSIONE: GABRIELLA GENISI - UVA NOIR (LOLITA LOBOSCO 03)


Sinossi:
In una Bari sonnolenta e distratta, dove i tanti scandali scuotono il perbenismo della città, un bambino scompare, e qualche giorno dopo viene ritrovato senza vita nel giardino della villa di famiglia. Le indagini di polizia si rivelano subito piuttosto complesse. Tra i sospettati c'è la mamma del bimbo, donna molto bella e inquieta, meglio conosciuta con il soprannome di Uva 'gnura, Uva nera. Separata dal marito, un farmacista assai noto e rispettato, la donna risulta essere invischiata in affari loschi e frequentazioni malavitose. Ma il caso si ingarbuglia terribilmente, un vero rompicapo per Lolita Lobosco, Commissario in servizio alla Questura di Bari, sezione Omicidi. Finalmente innamorata, per giunta, Lolì si divide tra le investigazioni, i pericoli del mestiere e la variopinta vita privata, fatta di cenette al lume di candela, manicaretti afrodisiaci, amicizie non sempre innocenti e maldicenze a tutto spiano. Un nuovo giallo per la scaltra ed esuberante Lolì.

Commento:
I delitti in cui sono coinvolti bambini fanno sempre impressione, suscitano sgomento, repulsione, incredulità, paura. Nessuno vorrebbe mai averci a che fare, tantomeno un commissario di Pubblica sicurezza, neanche se è forte e preparato ad affrontare qualunque cosa come Lolita Lobosco. Eppure, Lolita lo sa, è uno dei rischi del mestiere: siccome l'abiezione umana non ha limiti e tu ci devi lavorare ogni giorno, prima o poi ti capita di dover scoprire chi ha ucciso un bambino. Al di là della teoria, però, non si è mai preparati a certe situazioni, non si è mai pronti a un dolore così forte come quello che segue al ritrovamento di un bambino ucciso e chiuso in uno scatolone nel giardino della sua stessa casa. Perciò non si può fare molto per nascondere l'irritazione verso chi, pur mostrandosi afflitto, ha commesso delle leggerezze evidenti in questa storia. Lorena, Uva 'Gnura, la madre del piccolo Morris, per esempio, che ora se ne sta sdraiata in lacrime, eppure ammicca, consapevolmente provocante, perché non ha denunciato subito la scomparsa del bambino che mancava da casa da due giorni? Perché non ha smosso mari e monti per ritrovarlo? E il padre, quest'uomo ricco, debole, sudaticcio, perché non è qui a piangere suo figlio? In vacanza, irrintracciabile. Al suo posto, in questa famiglia sfasciata e allargata, troppe persone interessate e poco trasparenti… come i fratelli Labranca, amici speciali, intimi della madre che, però, non sembra trarre sollievo dalla loro presenza. Cos'è successo davvero a quel bambino? Quale conto ha inconsapevolmente pagato con la vita? A questo pensa Lolita, mentre cammina per i viali della Bari bene; questo è il pensiero di fondo che l'attanaglia per tutta la durata dell'indagine, mentre intanto deve affrontare questioni personali, diverse, decisamente più leggere, ma non meno indecifrabili. Per esempio, qual è l'algoritmo che vede in lei l'uomo di cui sembra che si stia innamorando? Qual è la variabile che risolve la funzione? E poi ci sono quelle scritte… quelle scritte sempre più grandi e sempre più rosse che compaiono davanti all'ingresso della Questura… quelle maldicenze che la feriscono, la addolorano profondamente? Perché Lolita sembra così, impulsiva, passionale, istintiva, ma in fondo è riflessiva e soprattutto sensibile. Non fa male a nessuno, lei.
Ed è tra questi pensieri e un chicco d'uva nera addentato di straforo che settembre si fa strada prendendo il posto dell'estate, e tra uno screzio con un'amica e una cena con un incontro inaspettato, sempre con l'appoggio di amici saggi e sinceri, che pian piano tutte le questioni si chiariscono, si accomodano, si risolvono. Anche quell'omicidio così inspiegabile, purtroppo, troverà una spiegazione, per quanto assurda, inaccettabile, dolorosa. E, col cuore più contento, pure Lolì potrà affrontare un nuovo anno di vita, più cresciuta, consapevole, esuberante, testarda, tosta e dolce che mai.

Opera recensita: "Uva noir" di Gabriella Genisi
Editore: Sonzogno 2012-Marsilio 2020Genere: giallo, seriale
Ambientazione: Bari
Pagine: 185
Prezzo: 21,20 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5
Colonna sonora sperimentata: Vinicio Capossela.

martedì 14 luglio 2020

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - GLI ELETTI (COLTER SHAW 02)


Sinossi:
Persone da ritrovare, vite da salvare. Su questo è incentrata la carriera - o meglio, l'intera esistenza - del cacciatore di ricompense Colter Shaw. Per chi lo ingaggia rappresenta un'ottima alternativa alla polizia, ma ti devi fidare dell'uomo, uno allergico alle burocrazie e capace di sovvertire le regole del buon senso. Come accade in una giornata estiva di giugno. C'è stata una vittima, un ragazzo che Colter doveva riportare a casa e che aveva inseguito fino alla zona selvaggia nel nord dello Stato di Washington. Qui, al riparo tra le valli delle Montagne Rocciose, ha sede la Fondazione Osiride, che promette felicità a chi ha sofferto. Farsi accettare al suo interno riesce facile a Colter perché, in fondo, è vero: anche lui ha un segreto che non lo fa dormire, un ricordo che brucia. Ma ben presto scopre che, una volta entrati nella schiera degli eletti di Osiride, è quasi impossibile uscirne. O almeno, uscirne vivi.

Commento:
Quando il tuo autore preferito sbaglia il colpo, pubblicando un libro che sarebbe stato meglio in un cassetto o nel cestino del computer e tu non puoi girarti dall'altra parte perché devi recensirlo, no, non sei felice. Se poi la defayance riguarda una serie, con un personaggio nebuloso, debole, inverosimile e dopo avergli dato fiducia, al secondo romanzo della serie capisci che non c'è speranza, beh, in quel caso non solo non sei felice, sei più che altro frustrata. Ecco con quale stato d'animo mi ritrovo seduta qui, in questo soffocante pomeriggio di luglio, a parlarvi de Gli eletti, il secondo romanzo della serie con protagonista il cacciatore di ricompense Colter Shaw, il temerario, survivalista, super intelligente, super osservatore, improbabilissimo Colter Shaw. Ci abbiamo provato, io ed altri recensori, a dargli fiducia quand'è uscito il primo capitolo, Il gioco del mai, ma già sentivamo che c'era qualcosa che non andava in Shaw: interessante, ma nebuloso, troppo vago il sostrato, troppo eterea la sua storia, troppo poco solida la base su cui si teneva in piedi… abbiamo sperato di saperne di più su di lui nel secondo romanzo, questo qui, ma purtroppo le informazioni che Deaver ha aggiunto sono scarse, poco concrete, sembrerebbe che le abbia inserite per fornirsi un aggancio facile alla prossima storia… ma non aggiungono nulla all'impianto narrativo del personaggio, non aggiungono solidità e concretezza ad un Colter Shaw che più che un uomo in carne e ossa sembra un ibrido, un'idea, un personaggio costruito su misura per questa serie. Se poi aggiungiamo che la trama del thriller in sé è alquanto prevedibile e che il tema affrontato, quello delle sette, è tutt'altro che innovativo… ahi… non ci siamo, e poco importa che la forma sia buona, che la lettura scorra, che tutto sommato la costruzione sia interessante. Se questo thriller l'avesse scritto un esordiente, un autore agli inizi, forse l'avrei incoraggiato, l'avrei consigliato, ma non se l'ha scritto uno che ha fatto decisamente di meglio, non se l'ha scritto uno come Deaver che, non per niente, è diventato il mio scrittore preferito in assoluto. Quindi, continuerò a leggere i prossimi romanzi della serie di Shaw perché non esiste che io non legga qualcosa che Deaver ha pubblicato, ma per ora, per me è no.

Opera recensita: "Gli eletti" di Jeffery Deaver
Editore: Rizzoli, 2020
Genere: thriller, seriale
Ambientazione: Stati Uniti
Pagine: 496
Prezzo: 20,00 €
Consigliato: no
Voto personale: 6.


sabato 11 luglio 2020

RECENSIONE: JANET SKESLIEN CHARLES - LA BIBLIOTECA DI PARIGI


Sinossi:
Parigi, 1940. I libri sono la luce. Odile non riesce a distogliere lo sguardo dalle parole che campeggiano sulla facciata della biblioteca e che racchiudono tutto quello in cui crede. Finalmente ha realizzato il suo sogno. Finalmente ha trovato lavoro in uno dei luoghi più antichi e prestigiosi del mondo. In quelle sale hanno camminato Edith Wharton ed Ernest Hemingway. Vi è custodita la letteratura mondiale. Quel motto, però, le suscita anche preoccupazione. Perché una nuova guerra è scoppiata. Perché l’invasione nazista non è più un timore, ma una certezza. Odile sa che nei momenti difficili i templi della cultura sono i primi a essere in pericolo: è lì che i nemici credono che si annidi la ribellione, la disobbedienza, la resistenza. Nei libri ci sono parole e concetti proibiti. E devono essere distrutti. Odile non può permettere che questo accada. Deve salvare quelle pagine, in modo che possano nutrire la mente di chi verrà dopo di lei, come già hanno fatto con la sua. E non solo. La biblioteca è il primo luogo in cui gli ebrei della città provano a nascondersi: cacciati dalle loro case, tra i libri si sentono al sicuro, e Odile vuole difenderli a ogni costo. Anche se questo significa macchiarsi di una colpa che le stritola il cuore. Una colpa che solo lei conosce. Un segreto che, dopo molto tempo, consegna nelle mani della giovane Lily, perché possa capire il peso delle sue scelte e non dimentichi mai il potere dei libri: luce nelle tenebre, spiraglio di speranza nelle avversità.

Commento:
Non tesserò lodi sperticate su questo romanzo che è stato pubblicato in Italia appena un mese fa e si preannuncia già un caso editoriale. Dirò che è un buon romanzo, questo sì, e di buoni romanzi che non hanno paura di parlare di guerra da vicino ce ne sono tanti. Questo, in particolare, si concentra sulla Seconda Guerra Mondiale in Francia, a Parigi, in una Ville Lumière occupata dai nazisti, mutata nella sua essenza di città accogliente, ospitale, viva. C'è un posto, in particolare, in cui il senso di appartenenza, accoglienza e parità tra culture si respira più che in ogni altro luogo: è l'American Library di Parigi. È qui che lavora Odile, la protagonista di questa storia, una giovane donna innamorata dei libri che lavora come bibliotecaria proprio all'ALP e proprio in quegli anni disastrosi. È lei che ci racconta le privazioni, l'ansia per i familiari, la solidarietà, l'amicizia, ma anche la delazione, la colpa, la vigliaccheria, la meschinità della gente. La biblioteca rimase aperta per tutta la durata della guerra, baluardo di cultura, sapere e condivisione, a protezione dei libri, della conoscenza, delle storie. Attraverso gli occhi di Odile viviamo la guerra nella Parigi quotidiana, la scarsità di cibo, la corrispondenza che non arriva, i tedeschi che si appropriano dei locali, i francesi che si accomodano in case non loro… e gli ebrei e gli stranieri che, nonostante le restrizioni sempre più pressanti, vogliono ancora leggere, come fosse la loro unica ancora di salvezza. Tutta questa storia Odile l'avrebbe seppellita nel suo cuore per non rivangarla mai più, se nella sua vita non fosse arrivata Lily, molti anni dopo. Una ragazzina che ha molto da imparare e una gran curiosità e una donna attempata, gentile ma riservata: un'accoppiata realistica e tenera.
La biblioteca di Parigi, come dicevo, è un buon romanzo, basato su fatti realmente accaduti, ricerche e fedeli ricostruzioni storiche sulle vite di chi all'American Library ci ha lavorato davvero in quel periodo: alcuni personaggi, come scopriamo con piacere nella postfazione, sono esistiti davvero. Tuttavia, l'impressione è che voglia trattare troppi argomenti, soprattutto nella parte ambientata in America, e finisca per farlo in modo superficiale… in ogni caso, non guizza mai, coinvolge ma non avvince. Una buona lettura, sicuramente consigliata per la valenza storica e gli spunti di approfondimento, ma non più di questo: non lo definirei né una storia unica, né un capolavoro, né un romanzo che fa sognare, come pure ho visto fare. Ma in fondo, questa è solo l'opinione di una lettrice, smentibile ed ignorabile.

Opera recensita: "La biblioteca di Parigi" di Janet Skeslien Charles
Editore: Garzanti, 2020
Genere: romanzo storico
Ambientazione: Parigi, 1939-1944; Stati Uniti, 1983
Pagine: 400
Prezzo: 17,90 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


venerdì 10 luglio 2020

RECENSIONE: CLAUDIA PETRUCCI - L'ESERCIZIO


Sinossi:
Giorgia incontra Filippo a una festa di laurea: lui si innamora della sua fragilità, lei si sente rassicurata dalla normalità di quel ragazzo laureato in Lettere, che ha dovuto rinunciare al giornalismo per dedicarsi al bar dei genitori. Come molti coetanei, la loro vita di coppia si scontra con ambizioni negate e costanti problemi economici, così Giorgia non riesce più a trattenere la sua inquietudine, che esplode quando ritrova per caso Mauro, il suo vecchio maestro di teatro. La recitazione era già stata per lei l'ancora di salvezza nei momenti più bui del suo passato, e il palco ora sembra finalmente riaccenderla. Ma incendiare un'anima irrequieta può diventare un esercizio rischioso se l'attrice protagonista perde di vista il confine tra realtà e finzione. Filippo e Mauro si troveranno complici e avversari al tempo stesso, sedotti da un gioco pericoloso per riconquistare Giorgia: scrivere il copione per la sua vita perfetta.

Commento:
Giorgia, Filippo, Mauro. Mauro, Giorgia, Filippo. Filippo, Mauro, Giorgia. Giorgia, Giorgia, Giorgia.
Giorgia è il fulcro di questa storia. Lei, la sua malattia, la sua esistenza, il suo essere è il perno delle vite dei personaggi di questo romanzo. Giorgia, che con le sue azioni e soprattutto le sue omissioni, condizionerà la vita di Filippo e cambierà quella di Mauro; Giorgia che, prima attrice della compagnia, si prende la scena col suo dolore, le sue stranezze, la sua fragilità, la sua forza. Giorgia che, divorata da un mostro che le cresce dentro, fa un gesto inconsulto, finisce in clinica e anche da lì impone l'attenzione su di sé al punto che Filippo, il suo ragazzo, e Mauro, il suo amico e maestro di teatro, inventano un piano, una prova, un esercizio per farla ritornare in vita, per farla ricordare, per far sì che torni quella che era prima. Ma una persona, per quanto si cerchi di plasmarla secondo il nostro sentire, non sarà mai ciò che era. Sarà solo la proiezione di ciò che noi vogliamo che sia, solo la proiezione dal vero di ciò che noi conosciamo di lei. Per quanto provino a tracciare i contorni della sua vita, Filippo e Mauro dovranno fare i conti con l'essenza di Giorgia, perché, accada quel che accada,  Giorgia è se stessa, corpo e mente unici e divergenti dall'immagine che gli altri hanno di lei. E spetta solo a lei decidere come gestire il suo personaggio.
L'esercizio è un ottimo esordio letterario, un'opera prima originale, scritta con penna sicura, senza giocare su sentimentalismi facili, luoghi comuni o stereotipi. Tuttavia – e da qui la valutazione personale non altissima – ne sono uscita oltremodo turbata, angosciata, stremata. Per tutta la durata della lettura non sono riuscita ad entrare nelle pagine, né ad empatizzare con nessuno dei personaggi: c'era sempre qualcosa che mi disturbava, che mi respingeva, senza per questo indurmi ad abbandonare la lettura. Credo sia, però, una mera questione di sensibilità diverse oltre che di gusto narrativo, ecco perché consiglio comunque la lettura. A prescindere dalle remore e dai gusti personali che non mi portano a promuoverlo a pieno, L'esercizio è un libro particolare e a suo modo audace, che si distingue in una narrativa italiana troppo uguale a se stessa. Perciò… se vi capita, dategli una possibilità, magari incontra il vostro gusto di lettori che può essere diverso dal mio.

Opera recensita: "L'esercizio" di Claudia Petrucci
Editore: La nave di Teseo
Genere: narrativa italiana
Ambientazione: Milano
Pagine: 333
Prezzo: 18,00 €
Consigliato: sì/no
Voto personale: 6,5.