giovedì 26 dicembre 2019

RECENSIONE: CLARA USòN - LA FIGLIA


Sinossi:
Una famiglia unita e felice, un padre affettuoso che ha cresciuto con amore la sua bambina, la sua prediletta, una  ragazza seria e di talento con un futuro brillante davanti a sé. Ignara che quell’uomo, il padre adorato, è considerato il «Boia dei Balcani». Epico, emozionante, di intollerabile verità, tra i maggiori romanzi spagnoli del 2012.
Ana è una ragazza estroversa, allegra, brillante. È la migliore alunna del corso di medicina a Belgrado, è amata dagli amici, è l’orgoglio di suo padre, il generale Ratko Mladić, che lei ricambia con una devozione assoluta. Un viaggio a Mosca è l’occasione per passare alcuni giorni in giro per una grande città con il solo pensiero di divertirsi. Invece al ritorno Ana è cambiata. È triste e taciturna. Una notte afferra una pistola, quella a cui il padre tiene di più, e prende una decisione definitiva. Ha solo ventitré anni.
Cosa è successo a Mosca, tra corteggiamenti e feste, in compagnia degli amici più cari? Nelle allusioni e nelle accuse dirette Ana ha intravisto nel padre una figura spaventosa. Quello che per lei è un eroe e un genitore premuroso, per tutti gli altri è un criminale responsabile dei maggiori eccidi del dopoguerra: l’assedio di Sarajevo, la pulizia etnica in Bosnia, il massacro di Srebrenica. Crimini che lo porteranno a essere accusato di genocidio, in un processo che dopo una lunga latitanza ha avuto inizio nel maggio 2012.
Pochi casi come quello di Ana rivelano in tutta la sua oscura profondità una condizione, la perdita dell’innocenza, al tempo stesso individuale e collettiva. E Clara Usón, in un romanzo potentissimo che la consacra come una delle grandi autrici europee, si immerge in una vicenda di forza shakespeariana mantenendo un perfetto equilibrio tra i dati storici e la creatività letteraria, per scrutare nella follia del male, dell’amore, e orientarsi nel labirinto di un’infinità di voci e congetture raccolte in tre anni di ricerche. Memore della lezione di Javier Cercas, La figlia è un originalissimo ibrido di romanzo e documento con un’ampia galleria di personaggi storici come Slobodan Milošević e Radovan Karadžić, in cui la scrittrice riesce a combinare linguaggi narrativi diversi e a coniugare l’indagine rigorosa e l’arte della narrazione, la tradizione dell’epopea e la storia recente, per riflettere sul nazionalismo estremo, sulla manipolazione politica, sul mistero della malvagità umana. 

Commento:
La figlia, romanzo-documento storico di Clara Usòn, racconta una delle guerre più assurde, insensate, incomprensibili della storia europea da un punto di vista inedito: quello dei "vincitori", quello di coloro che quella guerra, almeno in parte, l'hanno istigata, voluta, pianificata, i governanti e capi militari serbi. Il punto di vista descritto dalla Usòn è di prim'ordine: una dei protagonisti è nientemeno che Ana, la giovane e promettente figlia di Ratko Mladik, il "boia dei Balcani", il terribile generale carnefice considerato uno dei peggiori criminali di guerra. Ma parliamo di Ana. Il libro si apre con un gruppo di studenti belgradesi in viaggio a Mosca, tra noiose visite ai musei, frivolezze, sbronze e scaramucce. I ragazzi sono tutti diversi – come in ogni gruppo di studenti universitari uniti dalle circostanze e dalla prossimità – e, come nella migliore tradizione balcanica, tutti di provenienze e origini famigliari diverse (chi ha la madre croata e il padre serbo, chi è bosniaco, chi ha origini turche, chi è serbo fino al midollo) e tutto va bene finché – come nella realtà geopolitica di quegli anni – non si tocca l'argomento "guerra". I ragazzi sono, al netto delle differenze caratteriali, tutti simili finché non si tira fuori l'inevitabile tema delle origini, della situazione politica, della guerra, di chi ha ragione e chi ha torto. La cosa puntualmente accade anche in quel viaggio a Mosca, in un McDonald's, ed è questa l'occasione per noi di conoscere meglio una dei ragazzi, Ana: ancora non sappiamo chi è, ma già la scopriamo fervente, orgogliosamente serba e profondamente legata al padre che letteralmente venera, del quale si fida ciecamente, pendendo dalle sue labbra, osservando la vita con il filtro dei suoi occhi. La seguiamo in camera d'albergo mentre rimugina sull'offesa subita da chi la pensa diversamente da lei, sulla sua fallita relazione con un uomo sposato e su quella neppure cominciata con un ragazzetto poi morto in guerra. Costanti, queste, che impareremo ad "accettare" nel nostro viaggio con Ana. Ciò che, man mano che proseguiremo, sarà sempre più difficile da accettare – soprattutto quando avremo scoperto chi è, in realtà, il padre mite, saggio e festosamente patriota di Ana – sarà la mansueta accettazione, da parte della ragazza che stupida non è, della versione dei fatti prospettatale dal genitore, la sua difficoltà nel guardare la situazione con ggli occhi degli altri. Sarebbero tutte cose scusabili, accettabili in fin dei conti, se non fosse che Ana neanche ci prova a documentarsi, neanche si pone il dubbio che forse le cose non stanno come le fanno credere, anzi considera un'offesa personale il fatto che altri la pensino come lei, vive come un oltraggio il fatto che giornalisti esteri e suoi stessi compatrioti ordiscano macchinazioni per deformare la realtà, non contempla neppure la possibilità che a sbagliarsi sia lei o meglio suo padre. Poi, però, le cose cambiano: Ana, dopo quel viaggio, non sarà più la stessa.
Parallelamente alla vicenda di Ana, scorre nel romanzo un'interessante galleria di eroi, principi, politici serbi, presidenti: tutti hanno contribuito, direttamente o indirettamente a questa guerra e tutti vengono posti in fila al posto che loro compete da Danilo, un ragazzo che racchiude in sé tutte le anime di un balcanico: è un po' serbo un po' bosniaco, ebreo, è uno straniero, uno che non prende posizione, uno che sta dalla parte della verità. È Danilo a condurci, con lo sguardo disincantato di chi riesce ad astrarsi e guardare la follia dal di fuori pur dovendoci sguazzare dentro, attraverso il massacro delle bombe, dell'artiglieria, nell'ammassarsi dei cadaveri, nel crescendo della follia di Mladik, dell'indifferenza dell'Occidente… è sempre lui a raccontarci del suo incontro con quell'Ana che una volta era sua amica e che corteggiava, è sempre lui a raccontarci dei loro rispettivi padri, è sempre lui a gettare un po' di luce di verità in un marasma di incomprensioni, piani, mistificazioni. Danilo è in realtà un personaggio immaginario, tracciato da Clara Usòn per guidarci come la voce della ragione guida chi voglia ascoltarla; Ana Mladik invece no, lei è esistita davvero ed è stata la notizia della sua morte, reperita per caso, a condurre Clara Usòn a cercare notizie, risposte, documenti il cui lavoro di rielaborazione ha portato a questo libro. La figlia non è un libro facile, né per contenuti né per stile: la parte iniziale, infatti, scoraggia il lettore che si aspetta una narrazione impegnata, epica; proseguendo, però, tutto si delinea, l'epicità attesa arriva, la comprensione si fa strada e la lettura diventa – sebbene straziante – comunque più agevole. In definitiva, consiglio a chi decida di intraprendere questa lettura, di non scoraggiarsi dopo i primi capitoli: sebbene all'inizio tutto vi sembri assurdo, fidatevi che le parole sapranno trovare la strada. Il libro va letto perché è utile, soprattutto a chi come me di questa guerra ha vissuto echi e vaghi riflessi perché troppo piccolo all'epoca dei fatti per comprendere ciò che accadeva a un tiro di schioppo da noi. Utile, dicevo, per conoscere questa guerra, le sue origini, e per focalizzarne meglio alcuni tra gli artefici. Insomma, lettura consigliata.

Opera recensita: "La figlia" di Clara Usòn
Editore: Sellerio, 2013
Genere: narrativa europea
Ambientazione: ex-Jugoslavia, 1992-1995
Pagine: 496
Prezzo: 16,00 €
Consigliato: sì
Voto personale:7.


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