giovedì 26 marzo 2020

COMMENTO: JONATHAN BAZZI - FEBBRE


Sinossi:
Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue. Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test dell’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato. A partire dal d-day che ha cambiato la sua vita con una diagnosi definitiva, l’autore ci accompagna indietro nel tempo, all’origine della sua storia, nella periferia in cui è cresciuto, Rozzano – o Rozzangeles –, il Bronx del Sud (di Milano), la terra di origine dei rapper, di Fedez e di Mahmood, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per lavori da poveri, dei tamarri, dei delinquenti, della gente seguita dagli assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano. Dai cui confini nessuno esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche furto e nel peggiore dei casi si muore. Figlio di genitori ragazzini che presto si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di salvezza e di riscatto, dalla predestinazione della periferia, dalla balbuzie, da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e che lo rendono diverso. Un libro spiazzante, sincero e brutale, che costringerà le nostre emozioni a un coming out nei confronti della storia eccezionale di un ragazzo come tanti. Un esordio letterario atteso e potente.


Commento:
Sono una lettrice. Di più, sono una blogger. Nel recensire i libri, da tempo ormai ho (o dovrei aver) imparato a non far debordare le emozioni personali. Stavolta, però, non ci riesco, non posso farlo, non posso recensire questo libro. Perché? Perché prima che lettrice, blogger, consigliera all'occorrenza, sono una persona, sono Rossella… e questo libro ha parlato direttamente a me. No, non è retorica e ve lo dimostro.
"L’HIV è una mia caratteristica reale, incontrovertibile. Una delle tante. Un metro e settantanove, occhi marroni, capelli (pochi) castani, molti peli sul corpo, piede numero 43, balbuzie, ernia inguinale – forse sparita da sola (i medici dicevano: impossibile, bisogna operare) –, canino inferiore sinistro spinto in avanti dal dente del giudizio (mi storta la bocca), setto nasale un po’ sporgente da un lato, miope, lievemente intollerante all’alcol (quando bevo più di un bicchiere mi riempio di macchie), sieropositivo.
E allora?
Condizione corporea, oggettiva. Non decisa, scelta, voluta: il virus in realtà non dice niente di me, non dice niente di chi ce l’ha. Sempre lo stesso, uguale per tutti. Semmai conta il modo in cui chi ce l’ha assume su di sé la sua diagnosi, lo stile con cui sceglie o riesce ad attraversarla. Ci avete mai pensato? Ve ne frega davvero qualcosa?
Ho deciso di essere un sieropositivo che si lascia individuare, che racconta più che lasciarvi immaginare.
La precisione è l’arma di cui mi sono munito.
La compagnia degli altri, la soluzione che ho scelto."
Prendete questa citazione, sostituite Hiv con Cecità, sieropositivo con non vedente, le caratteristiche fisiche di Jonathan con le mie e il risultato sarò io: stesso pensiero - la cecità non mi definisce, è solo una delle caratteristiche che mi compongono –, stessa arma – la precisione – stesso atteggiamento – rassicurare gli altri e affrontare tutto di petto -, stessa soluzione – la compagnia degli altri. Raccontare invece che glissare, parlare, informare invece che suscitare pietismo e compassione. E no, nessun eroismo, ma semplice normalità.
In Febbre Jonathan Bazzi racconta la sua storia, in modo diretto, catartico, liberatorio. Ci racconta di quella febbricola che da gennaio 2016 ha cambiato prima le sue giornate, poi la sua vita; ci racconta dell'ansia prima della diagnosi, della serenità una volta ottenuto il responso, del successivo crollo mentale e quindi fisico, della ripresa data dalla nuova consapevolezza di sé. Ma non solo, Jonathan Bazzi ci racconta la sua vita, il luogo dov'è cresciuto, i problemi familiari, il Sud che non è Sud, ricostruito nell'interland milanese (e anche qui per me sono state stilettate continue), poi la scuola, l'adolescenza, le esperienze sessuali, il bisogno di primeggiare per essere qualcosa, per essere degno di attenzione, per essere amato… Non si diventa ciò che si è così, da un momento all'altro. Lo si diventa giorno dopo giorno, fallimento dopo fallimento, vittoria dopo vittoria. L'importante, però, è sapersi accettare, prendersi le misure, liberarsi dall'oppressione del giudizio altrui ed imparare ad amarsi.
Impossibile non essere toccati dal linguaggio diretto, dalla schiettezza, dalla sincerità di Jonathan che, davvero, sembra parlare proprio a chi lo legge. Impossibile non ritrovare qualcosa di sé in queste pagine, fosse anche un dettaglio, una parola, un'esperienza…
L'ho scritto all'inizio, non posso recensire questo libro con obiettività… posso solo consigliarvelo, spassionatamente. E mi scuserà, Jonathan, se sono stata tanto presuntuosamente autoreferenziale, ma io ci ho ritrovato una parte consistente di me… e voi?

Opera recensita: "Febbre" di Jonathan Bazzi
Editore: Fandango, 2019
Genere: autobiografico, narrativa italiana
Ambientazione: Milano-Rozzano (MI)
Pagine: 328
Prezzo: 18,50 €
Consigliato: sì
Voto personale: 10
Colonna sonora sperimentata: Bryan Heno.


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