Sinossi:
Fino ad allora Hajime aveva vissuto in un universo abitato
solo da lui: figlio unico quando, nel Giappone degli anni Cinquanta, era
rarissimo non avere
fratelli o sorelle, aveva fatto della propria eccezionalità
una fortezza in cui nascondersi, un modo per zittire quella sensazione costante
di non essere
mai lì dove si vorrebbe veramente. Invece un giorno scopre
che la solitudine è solo un'abitudine, non un destino: lo capisce quando, a
dodici anni, stringe
la mano di Shimamoto, una compagna di classe sola quanto
lui, forse di più: a distinguerla non c'è solo la condizione di figlia unica,
ma anche il suo
incedere zoppicante, come se in quel passo faticoso e
incerto ci fosse tutta la sua difficoltà a essere una creatura di questo mondo.
Quando capisci che
non sei destinato alla solitudine, che il tuo posto nel
mondo è solo là dove è lei, capisci anche un'altra cosa: che sei innamorato. Ma
Hajime se ne rende
conto troppo tardi - è uno di quegli insegnamenti che si
imparano solo con l'esperienza - quando ormai la vita l'ha separato da lei.
Come il dolore di
un arto fantasma, come una leggera zoppia esistenziale,
Hajime diventerà uomo e accumulerà amori, esperienze, dolori, errori, ma sempre
con la consapevolezza
che la vita, la vita vera, non è quella che sta dissipando,
ma quell'altra, quella che sarebbe potuta essere con Shimamoto, quella in un
altrove indefinito,
a sud del confine, a ovest del sole. Una vita che forse,
venticinque anni dopo, quando lei riappare dal nulla, diventerà realtà.
Commento:
Non so perché, ma quando penso ai libri ambientati in
Giappone, mi viene sempre in mente l’immagine della pioggia scrosciante. E
infatti in molti libri di Muracami la pioggia viene citata frequentemente,
anche in questo. E’ nelle sere di pioggia che, solitamente, in uno dei locali
gestiti dal trentasettenne Hajyme, ricompare Shimamoto, la sua antica compagna
di scuola che Hajyme non vede da quando entrambi avevano dodici anni e che non
è mai riuscito a dimenticare. E’ con Shimamoto, infatti, che Hajyme ha provato
il legame più vero ed importante, quello di due amici che passavano i pomeriggi
ad ascoltare dischi, quello della prima, innocente, stretta di mano. Nonostante
gli amori, i dolori, la bella vita, Hajyme non ha mai scordato Shimamoto e, pur
essendo apparentemente soddisfatto della vita che ha, non può far a meno di
pensare a come sarebbe potuto essere con lei. Quando la rivede, Hajyme capisce
che, nonostante i suoi misteri, neanche Shimamoto lo ha mai dimenticato. Non
sarà facile, però, riuscire a recuperare
ciò che sembrava perduto.
Questo libro mi è piaciuto, senza se e senza ma. E’
certamente lento per i canoni occidentali, ma è il meno lento ed il più “occidentale”
tra i libri giapponesi che io abbia letto. Hajyme è un ragazzo normale, non
troppo brillante, ma nemmeno un inetto; Shimamoto è… è raffinata, ma eterea… è
un personaggio enigmatico, da scoprire. Ma ciò che ho apprezzato maggiormente
in questo libro è l’interrogativo che pone fra le righe: quanto le nostre
scelte condizionano la nostra vita? Una domanda apparentemente semplice, ma la
risposta è tutt’altro che scontata.
Lettura consigliata, dunque, a chi ha già letto qualcosa di Muracami,
ma anche a chi non lo conosce: questo è uno dei suoi libri meno visionari.
Opera recensita: “A sud del confine, a ovest del sole” di
Haruki Muracami
Editore: Einaudi, 2013
Genere: romanzo
Ambientazione: Giappone
Pagine: 204
Prezzo: 20,00 €
Consigliato: sì.
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