sabato 30 luglio 2016

RECENSIONE: STEPHEN KING - MISERY


Sinossi:

Paul Sheldon, un celebre scrittore, viene sequestrato in una casa isolata del Colorado da una sua fanatica ammiratrice. Affetta da gravi turbe psichiche, la donna non gli perdona di aver "eliminato" Misery, il suo personaggio preferito, e gli impone tra terribili sevizie di "resuscitarla" in un nuovo romanzo. Paul non ha scelta, pur rendendosi conto che in certi casi la salvezza puo' essere peggio della morte...

 

Oggi vi parlo di un romanzo che è considerato tra i migliori del celebre scrittore Stephen King: si tratta di Misery, da cui è stato tratto anche un film con l’attrice Katy Bates come protagonista femminile.

La storia è ambientata in casa di Annie Wilkes, una grottesca ex infermiera squilibrata che soccorre e cura Paul Sheldon, il suo scrittore preferito, vittima di un brutto incidente stradale.

E’ qui che, proprio in apertura del libro, Paul si sveglia dalla nube densa causatagli dai farmaci che Annie gli ha somministrato dopo il trauma. E’ in questa casa che Paul resta per mesi, prigioniero della follia di Annie. La donna, dopo aver appreso della morte del suo personaggio letterario preferito, la trovatella Misery, costringe lo scrittore a resuscitarla. A questo scopo Annie sottopone il povero Paul ad una serie sempre più macabra di sevizie, avvantaggiata dal fatto che, avendo subito gravi traumi alle gambe in seguito all’incidente, l’uomo dipende totalmente da lei. Via via che il numero delle pagine del manoscritto cresce accanto alla macchina da scrivere, cresce in Paul anche la rabbia e il desiderio di vendetta.

 Il romanzo si sviluppa quindi in un’escalation di scene crudeli, macabre, ai limiti del reale, fino all’epilogo tragico ed insieme liberatorio.

Ora, è il momento delle considerazioni personali: so di andare controcorrente rispetto al resto dei siti, blog, forum che parlano di questo libro, ma a me Misery non è piaciuto! O meglio, mi è piaciuto molto meno di quanto mi aspettassi. L’ho trovato lento, troppo statico, per buona parte del libro ho fatto fatica a trovare interesse nei personaggi e nella sorte di Paul. Solo verso la fine il ritmo ha cominciato ad alzarsi e  mi è risultato più facile finire la lettura. Non nego che sia un buon libro, stiamo pur sempre parlando di Stephen King, ma ho letto di meglio anche dello stesso autore. Soprattutto, non mi sento di definirlo “thriller, ma piuttosto lo inquadrerei nel genere noir.

La mia, comunque, è un’opinione personale e, visto che mi ritrovo ad essere una voce fuori dal coro, non mi sento di non consigliarlo a fatto… perciò lo consiglio con molte remore.  

 

Opera recensita: “Misery” di Stephen King

Editore: Sperling & Cupfer, prima ed. 1987

Genere: noir

Ambientazione: Colorado (U.S.A.)

Pagine: 382

Consigliato: sì/no.

 

RECENSIONE: STEPHEN KING - MISERY


Sinossi:

Paul Sheldon, un celebre scrittore, viene sequestrato in una casa isolata del Colorado da una sua fanatica ammiratrice. Affetta da gravi turbe psichiche, la donna non gli perdona di aver "eliminato" Misery, il suo personaggio preferito, e gli impone tra terribili sevizie di "resuscitarla" in un nuovo romanzo. Paul non ha scelta, pur rendendosi conto che in certi casi la salvezza puo' essere peggio della morte...

 

Oggi vi parlo di un romanzo che è considerato tra i migliori del celebre scrittore Stephen King: si tratta di Misery, da cui è stato tratto anche un film con l’attrice Katy Bates come protagonista femminile.

La storia è ambientata in casa di Annie Wilkes, una grottesca ex infermiera squilibrata che soccorre e cura Paul Sheldon, il suo scrittore preferito, vittima di un brutto incidente stradale.

E’ qui che, proprio in apertura del libro, Paul si sveglia dalla nube densa causatagli dai farmaci che Annie gli ha somministrato dopo il trauma. E’ in questa casa che Paul resta per mesi, prigioniero della follia di Annie. La donna, dopo aver appreso della morte del suo personaggio letterario preferito, la trovatella Misery, costringe lo scrittore a resuscitarla. A questo scopo Annie sottopone il povero Paul ad una serie sempre più macabra di sevizie, avvantaggiata dal fatto che, avendo subito gravi traumi alle gambe in seguito all’incidente, l’uomo dipende totalmente da lei. Via via che il numero delle pagine del manoscritto cresce accanto alla macchina da scrivere, cresce in Paul anche la rabbia e il desiderio di vendetta.

 Il romanzo si sviluppa quindi in un’escalation di scene crudeli, macabre, ai limiti del reale, fino all’epilogo tragico ed insieme liberatorio.

Ora, è il momento delle considerazioni personali: so di andare controcorrente rispetto al resto dei siti, blog, forum che parlano di questo libro, ma a me Misery non è piaciuto! O meglio, mi è piaciuto molto meno di quanto mi aspettassi. L’ho trovato lento, troppo statico, per buona parte del libro ho fatto fatica a trovare interesse nei personaggi e nella sorte di Paul. Solo verso la fine il ritmo ha cominciato ad alzarsi e  mi è risultato più facile finire la lettura. Non nego che sia un buon libro, stiamo pur sempre parlando di Stephen King, ma ho letto di meglio anche dello stesso autore. Soprattutto, non mi sento di definirlo “thriller, ma piuttosto lo inquadrerei nel genere noir.

La mia, comunque, è un’opinione personale e, visto che mi ritrovo ad essere una voce fuori dal coro, non mi sento di non consigliarlo a fatto… perciò lo consiglio con molte remore.  

 

Opera recensita: “Misery” di Stephen King

Editore: Sperling & Cupfer, prima ed. 1987

Genere: noir

Ambientazione: Colorado (U.S.A.)

Pagine: 382

Consigliato: sì/no.

 

RECENSIONE: STEPHEN KING - MISERY


Sinossi:

Paul Sheldon, un celebre scrittore, viene sequestrato in una casa isolata del Colorado da una sua fanatica ammiratrice. Affetta da gravi turbe psichiche, la donna non gli perdona di aver "eliminato" Misery, il suo personaggio preferito, e gli impone tra terribili sevizie di "resuscitarla" in un nuovo romanzo. Paul non ha scelta, pur rendendosi conto che in certi casi la salvezza puo' essere peggio della morte...

 

Oggi vi parlo di un romanzo che è considerato tra i migliori del celebre scrittore Stephen King: si tratta di Misery, da cui è stato tratto anche un film con l’attrice Katy Bates come protagonista femminile.

La storia è ambientata in casa di Annie Wilkes, una grottesca ex infermiera squilibrata che soccorre e cura Paul Sheldon, il suo scrittore preferito, vittima di un brutto incidente stradale.

E’ qui che, proprio in apertura del libro, Paul si sveglia dalla nube densa causatagli dai farmaci che Annie gli ha somministrato dopo il trauma. E’ in questa casa che Paul resta per mesi, prigioniero della follia di Annie. La donna, dopo aver appreso della morte del suo personaggio letterario preferito, la trovatella Misery, costringe lo scrittore a resuscitarla. A questo scopo Annie sottopone il povero Paul ad una serie sempre più macabra di sevizie, avvantaggiata dal fatto che, avendo subito gravi traumi alle gambe in seguito all’incidente, l’uomo dipende totalmente da lei. Via via che il numero delle pagine del manoscritto cresce accanto alla macchina da scrivere, cresce in Paul anche la rabbia e il desiderio di vendetta.

 Il romanzo si sviluppa quindi in un’escalation di scene crudeli, macabre, ai limiti del reale, fino all’epilogo tragico ed insieme liberatorio.

Ora, è il momento delle considerazioni personali: so di andare controcorrente rispetto al resto dei siti, blog, forum che parlano di questo libro, ma a me Misery non è piaciuto! O meglio, mi è piaciuto molto meno di quanto mi aspettassi. L’ho trovato lento, troppo statico, per buona parte del libro ho fatto fatica a trovare interesse nei personaggi e nella sorte di Paul. Solo verso la fine il ritmo ha cominciato ad alzarsi e  mi è risultato più facile finire la lettura. Non nego che sia un buon libro, stiamo pur sempre parlando di Stephen King, ma ho letto di meglio anche dello stesso autore. Soprattutto, non mi sento di definirlo “thriller, ma piuttosto lo inquadrerei nel genere noir.

La mia, comunque, è un’opinione personale e, visto che mi ritrovo ad essere una voce fuori dal coro, non mi sento di non consigliarlo a fatto… perciò lo consiglio con molte remore.  

 

Opera recensita: “Misery” di Stephen King

Editore: Sperling & Cupfer, prima ed. 1987

Genere: noir

Ambientazione: Colorado (U.S.A.)

Pagine: 382

Consigliato: sì/no.

 

martedì 26 luglio 2016

RECENSIONE: WULF DORN - LA PSICHIATRA


Sinossi:

Lavorare in un ospedale psichiatrico è difficile. Ogni giorno la dottoressa Ellen Roth si scontra con un'umanità reietta, con la sofferenza più indicibile, con il buio della mente. Tuttavia, a questo caso non era preparata: la stanza numero 7 è satura di terrore, la paziente rannicchiata ai suoi piedi è stata picchiata, seviziata. È chiusa in se stessa, mugola parole senza senso. Dice che l'Uomo Nero la sta cercando. La sua voce è raccapricciante, è la voce di una bambina in un corpo di donna: le sussurra che adesso prenderà anche lei, Ellen, perché nessuno può sfuggire all'Uomo Nero. E quando il giorno dopo la paziente scompare all'ospedale senza lasciare traccia, per Ellen incomincia l'incubo. Nessuno l'ha vista uscire, nessuno l'aveva vista entrare. Ellen la vuole rintracciare a tutti i costi ma viene coinvolta in un macabro gioco da cui non sa come uscire. Chi è quella donna? Cosa le è successo? E chi è veramente l'Uomo Nero? Ellen non può far altro che tentare di mettere insieme le tessere di un puzzle diabolico, mentre precipita in un abisso di violenza, paranoia e angoscia. Eppure sa che, alla fine, tutti i nodi verranno al pettine...

 

Chi può dire cosa è vero e cosa non lo è? E chi ci assicura che sapere la verità sia sempre la cosa migliore? Sono questi gli interrogativi davanti ai quali ci pone questo thriller psicologico.

E’ lunedì mattina e la giovane psichiatra Ellen Roth arriva al lavoro in ritardo. Ha appena accompagnato in aeroporto il suo collega e compagno Chris che parte per una lunga vacanza in Australia con un amico. Ellen è turbata perché prima di partire Chris le ha strappato una promessa: occuparsi di una nuova paziente, giunta da poco in clinica, alla quale lui tiene molto perché pensa che sia in pericolo. Ellen va a farle visita e trova una donna in evidente stato di choc, chiusa in se stessa, con chiari segni di maltrattamenti che, a suo dire, le sono stati procurati dall’uomo nero, il temibile personaggio delle fiabe. Ellen nota che la donna parla con una voce infantile, come se fosse regredita allo stato di bambina. Anche quando si allontana da lei Ellen non riesce a non pensare alle sue condizioni e a cosa o chi possa averla ridotta così. Il giorno successivo, però, la paziente senza nome è scomparsa e nessuno sembra averla mai vista, a parte Ellen e Chris che però è irraggiungibile in Australia. Ellen comincia a cercarla e contemporaneamente riceve strane telefonate ed avvertimenti di vario tipo da un uomo che sembra essere collegato alla donna sconosciuta. Da qui comincerà un percorso pericoloso ed oscuro che porterà Ellen ad una sconvolgente, remota ed amara verità dalla quale le sarà molto difficile venire fuori indenne. Ad aiutarla in questo percorso c’è solo il suo collega Mark che si rivelerà la sua unica ancora di salvezza.

Il libro è scritto con stile scorrevole, la tensione è palpabile ad ogni pagina e cresce di pari passo con il baratro buio verso cui si ha sempre l’impressione di precipitare. Un thriller psicologico in piena regola con tanto di colpi di scena finali, non uno, ma molti in rapida successione. La storia, che per buona parte del libro sembra essere quasi ordinaria, “normale”, assume connotati assolutamente imprevisti. Mi è piaciuto? Sì, molto, l’ho letto d’un fiato e ve lo consiglio!

 

Opera recensita: “La psichiatra” di Wulf Dorn

Editore: Corbaccio, 2010

Genere: triller psicologico

Ambientazione: Germania

Pagine: 399

Consigliato: sì.

 

domenica 24 luglio 2016

RECENSIONE: SARA RATTARO - SPLENDI PIù CHE PUOI


Sinossi:

L'amore non chiede il permesso. Arriva all'improvviso. Travolge ogni cosa al suo passaggio e trascina in un sogno. Così è stato per Emma, quando per la prima volta ha incontrato Marco che da subito ha capito come prendersi cura di lei. Tutto con lui è perfetto. Ma arriva sempre il momento del risveglio. Perché Marco la ricopre di attenzioni sempre più insistenti. Marco ha continui sbalzi d'umore. Troppi. Marco non riesce a trattenere la sua gelosia. Che diventa ossessione. Emma all'inizio asseconda le sue richieste credendo siano solo gesti amorevoli. Eppure non è mai abbastanza. Ogni occasione è buona per allontanare da lei i suoi amici, i suoi genitori, tutto il suo mondo. Emma scopre che quello che si chiama amore a volte non lo è. Può vestire maschere diverse. Può far male, ferire, umiliare. Può far sentire l'altra persona debole e indifesa. Emma non riconosce più l'uomo accanto a lei. Non sa più chi sia. E non sa come riprendere in mano la propria vita. Come nascondere a sé stessa e agli altri quei segni blu sulla sua pelle che nessuna carezza può più risanare. Fino a quando nasce sua figlia, e il sorriso della piccola Martina che cresce le dà il coraggio di cambiare il suo destino. Di dire basta. Di affrontare la verità. Una verità difficile da accettare, da cui si può solo fuggire. Ma il cuore, anche se è spezzato, ferito, tormentato, sa sempre come tornare a volare. Come tornare a risplendere. Più forte che può.

 

Da qualche mese è uscito, per Garzanti, l’ultimo libro della scrittrice genovese Sara Rattaro, intitolato “splendi più che puoi”.

Il titolo farebbe pensare ad un romanzo leggero, da ombrellone, magari una storia sentimentale da “e tutti vissero felici e contenti”, di quelle che piacciono tanto alle donne perché le fanno piangere e sognare. Beh, non è proprio così, ma qualcosa di vero in questa descrizione c’è: questo libro fa piangere le donne, ma di rabbia e di dolore. Sara Rattaro, infatti, racconta la storia di Emma, una ragazza come tante che sposa l’uomo sbagliato e che questo errore lo paga caro, fino in fondo.

Marco, suo marito, quello che la ricopriva di attenzioni e sembrava sempre sapere ciò di cui lei avesse bisogno, proprio lui la picchia, la tiene segregata in una casa di montagna per sei anni, la chiude al freddo di una cantina buia, le impedisce di parlare con i genitori e con l’ufficio. Ma Emma, dopo sofferenze indicibili riesce a liberarsi da questa prigione privata. Lo fa per Martina, la figlia nata da questo matrimonio infelice, perché lei non debba subire ciò che sta passando lei, perché Martina si salvi ed abbia una vita vera, come le altre bambine.

Il dramma di Emma è privato, interiore, lei lo nasconde a se stessa ed agli altri, dapprima perché si illude che sia passeggero, poi per paura. Ma la follia di un uomo malato è più forte di una donna sola, impaurita e debilitata. Così la vita di Emma non sarà facile neppure quando, finalmente, riuscirà a venirne fuori: sarà sempre spaventata, perseguitata dall’ombra di Marco, della famiglia di lui che sa e non vuole vedere, del passato e anche del futuro. Non sarà facile per Emma e per Martina superare quegli anni durissimi e ricominciare a splendere.

Il libro è ben scritto, si legge d’un fiato sia per la prosa scorrevole ed intensa dell’autrice, sia per l’importanza e l’attualità del tema trattato. Tuttavia, ho letto altri due romanzi di Sara Rattaro e quest’ultimo è quello che mi ha coinvolto meno: è come se l’autrice, che pure ci ha abituati a storie forti raccontate con grande intensità e sensibilità, non fosse qui riuscita a tirar fuori tutte le emozioni della storia. E’ come se ci fosse qualcosa che non è ancora uscito dalla mente di Emma e che quindi non è arrivato sulle pagine. Mi ha emozionato meno, nonostante fossi molto toccata dal tema. Ad ogni modo questa è una valutazione soggettiva, quindi comunque ve lo consiglio.

 

Opera recensita: “splendi più che puoi” di Sara Rattaro

Editore: Garzanti, narratori moderni, 2016

Genere: narrativa italiana

Ambientazione una città italiana e il paesino di San Biagio

Pagine: 250

Consigliato: sì.

 

giovedì 21 luglio 2016

RECENSIONE: STEPHEN KING - CUJO


Sinossi:

A Castle Rock, una sonnolenta cittadina del Maine, la vita scorre sui soliti binari. Cujo, il docile San Bernardo del meccanico, scorrazza libero per la campagna, finché una notte il suo padroncino, aprendo la porta del ripostiglio, non vede emergere dalle tenebre due occhi infuocati. Chi è la creatura diabolica che da quel momento comincia a seminare ovunque terrore e desolazione? È forse Cujo che, diventato idrofobo, si è trasformato nell'incarnazione stessa del male?

 

Non senza imbarazzo, confesso che questo è il primo libro di King che leggo. Finora i suoi romanzi hanno sempre suscitato in me una certa diffidenza reverenziale mista ad un poco celato terrore… era come se fossi consapevole del fatto che leggerli non sarebbe stata proprio una passeggiata. E infatti non mi sbagliavo: questo primo romanzo, Cujo, non ha smentito i miei timori iniziali, ma ciò che mi ha piacevolmente colpita è stato il fatto che questo terrore mi sia piaciuto. Mi sono piaciuti gli autentici brividi che l’orribile storia di Donna e Tad mi ha fatto provare.

Chi sono Donna e Tad? E chi è Cujo? Eh, avete ragione, forse è meglio partire dall’inizio.

Una notte di giugno del 1980 il quattrenne Tad Trenton viene svegliato dall’impellente stimolo di fare pipì e, una volta a letto, vede due occhi fiammeggianti emergere dal suo armadio, nel buio della sua stanza. Il mostro rivela a Tad di essere l’incarnazione di Frank Dodd, il poliziotto che pochi anni prima aveva scosso la tranquilla cittadina uccidendo diverse persone. I genitori, Donna e Vic, prontamente accorsi alle sue urla di terrore, non vedono nessun mostro e non gli credono, ma ben presto cominciano ad accadere strane cose in casa. Poco tempo dopo questa strana storia Vic, il padre di Tad, parte per un viaggio di lavoro molto importante e lascia Donna e Tad da soli. La Pinto di Donna ha qualche problema così la donna la porta all’officina di Joe Camber, un burbero meccanico che vive fuori città. E’ così che Donna e Tad incontreranno Cujo, il grande Sanbernardo di cento chili da tutti descritto come un cane docilissimo, ma che, per effetto della rabbia, si trasformerà in un mostro crudele e spietato che ucciderà quattro persone. Cujo è da cinque anni con Brett, il figlio del meccanico, ma appare chiaro tra le righe che nella sua vita precedente era proprio Frank Dodd, morto a Castle Rock esattamente cinque anni prima. L’estenuante duello di nervi che Donna Trenton ingaggia con la bestia è tanto straziante quanto coinvolgente: non si può fare a meno di stare incollati alle quasi quattrocento pagine di questo romanzo provando un misto di sensazioni: orrore, paura, angoscia crescente, partecipazione per il dolore di Vic e per l’ansia di Donna, affetto e tenerezza per il piccolo Tad, comprensione per Charity, la moglie di Joe Camber e un costante, crescente brivido che gela il corpo ad ogni assalto del cane-mostro, nonostante la torrida estate descritta da King. La canicola estiva è un elemento importante nell’evolversi di tutta la storia: è quel dettaglio che fa da collante, accomunando e spiegando tutte le situazioni, le scelte, a dirittura i pensieri. Il tutto è condito da una scrittura magistrale, una suspense sapientemente dosata, con momenti di autentico panico alternati a pagine di calma piatta, ricordi, considerazioni che non fanno altro che accrescere la curiosità. Lettura assolutamente consigliata a chi non abbia paura di affrontare i mostri che attaccano dall’esterno ma soprattutto quelli che si annidano dentro di noi, nelle nostre paure ed insicurezze.

  

 

Opera recensita: “Cujo” di Stephen King

Editore: Sperling Paperback 1992

Genere: horror, fantasy

Ambientazione: Castle Rock (Maine, Stati Uniti) 1980

Pagine: 376

Consigliato: sì.

 

martedì 19 luglio 2016

RECENSIONE: PATRICK MCGRATH - FOLLIA


Sinossi:

Le storie d'amore contraddistinte da ossessione sessuale sono un mio interesse professionale ormai da molti anni". Inghilterra, 1959. Dall'interno di un tetro manicomio criminale vittoriano uno psichiatra comincia a esporre, con apparente distacco, il caso clinico più perturbante che abbia incontrato nella sua carriera - la passione letale fra Stella Raphael, moglie di un altro psichiatra dell'ospedale, e Edgar Stark, un artista detenuto per un uxoricidio particolarmente efferato. È una vicenda cupa e tormentosa, che fin dalle prime righe esercita su di noi una malìa talmente forte da risultare quasi incomprensibile - finché lentamente non ne emergono le ragioni nascoste.

 

Il tema della follia è stato affrontato da svariati punti di vista sia nella letteratura che nelle arti visive o nel cinema; il libro di cui vi parlo oggi lo tratta dal punto di vista dell’ossessione sessuale morbosa.

Siamo in Inghilterra nel 1959. In un manicomio vittoriano poco distante da Londra è rinchiuso Edgar, un uomo che ha ucciso la moglie deturpandone il corpo. Prima di essere rinchiuso nell’istituto, Edgar era un artista, uno scultore ed è proprio grazie a questa sua particolarità che entra in contatto con Stella Raphael, la bella moglie del vicedirettore dell’ospedale, che trascorre le sue giornate sola ed insoddisfatta del suo ruolo, vagando per l’orto che Edgar sta risistemando. Non appena l’uomo, consapevole del proprio fascino, si rende conto di suscitare l’attrazione di Stella, architetta un piano che gli permetta dapprima di rabbonire il marito psichiatra, poi a dirittura di evadere. Stella non si accorge del secondo fine di Edgar e cade nella trappola: si innamora di lui di un amore imprudente, spregiudicato ed irrinunciabile. Da qui comincerà per lei una discesa inesorabile verso il baratro: gradualmente Stella perderà tutto, la famiglia, il rispetto degli altri ed infine la ragione.

La lenta ed angosciante distruzione della vita di Stella ci viene raccontata posteriori da Peter, l’anziano psichiatra che ha in cura Edgar e che è da tempo amico di Stella: sarà lui a curarla quando, dopo mesi di crescente disagio, Stella toccherà il fondo e sarà ricoverata nello stesso ospedale dove aveva conosciuto Edgar.

L’analisi clinica di Peter è minuziosa, il racconto viene riportato fedelmente, con molti dettagli che consentono di imaginare visivamente la scena e di immedesimarsi nei pensieri dei protagonisti. Il narratore non ci risparmia neppure le sue considerazioni a margine del racconto che contribuiscono a riportare chi legge ad un accenno di obiettività, scongiurando il rischio di perdersi nel delirio dei comportamenti e dei pensieri insani dei personaggi.

Ciò che mi ha colpito maggiormente durante la lettura è stata la capacità di McGrath di entrare contemporaneamente nella mente malata di Stella ed Edgar analizzandone con sorprendente lucidità il fluire dei pensieri e contemporaneamente di vestire i panni dello psichiatra-narratore che affronta il racconto senza dare mai giudizi morali. Peter è, in particolare, il mio personaggio preferito, la chiave di volta di tutto il romanzo, a dispetto delle apparenze: a lettura terminata, infatti, mi ritrovo a riflettere sul suo modus operandi, sulle ripercussioni personali che la storia ha avuto su di lui e sul grado di obiettività da lui effettivamente tenuto durante la cura di Stella e la narrazione.

Va sottolineata, ad ogni modo, la straordinaria maestria dimostrata dall’autore nello scandagliare gli animi di tutti e i coinvolti e nel descriverli così chiaramente. Al di là della trama, che in effetti non brilla per originalità, ciò che realmente mi ha colpita è proprio la struttura e lo stile del romanzo. Un’avvertenza: come potrete immaginare in questo romanzo non si respira un’aria gioiosa e calda. Si percepisce, nel grigiore suscitato dai toni e dalle ambientazioni, un senso di ineluttabilità che fa chiaramente presagire situazioni di pieno disagio ed eventi funesti. Quando vi appresterete a leggerlo, perciò, saprete cosa aspettarvi, ma credo che questa sia una caratteristica comune alla maggior parte dei romanzi psicologici.

Mi sento di consigliare questo libro? Sì… perché l’animo umano non smette mai di stupirci: sembra imprevedibile, eppure ha dei meccanismi precisi che, a ben guardare, sono simili per ognuno di noi… solo che non ne siamo coscenti finchè non ci capita di sfiorare da vicino certe situazioni difficili.

 

Opera recensita: “Follia” di Patrick McGrath

Editore: Adelphi, 1998

Genere: romanzo psicologico

Ambientazione: Inghilterra, 1959

Pagine: 294

Consigliato: sì.

Consigli correlati:

Film: “M’ama, non m’ama”.

 

venerdì 15 luglio 2016

RECENSIONE: ALICE OZMA - LA LETTRICE DI MEZZANOTTE


Sinossi:

Alice, figlia di un bibliotecario di una scuola elementare, ha nove anni quando, durante un viaggio in treno, fa un patto con suo padre Jim: ogni sera, per cento giorni, prima che scocchi la mezzanotte, lui leggerà per lei ad alta voce. Da allora, la vita che scorre veloce intorno a loro si ferma quando, la sera, iniziano quel rito, soprannominato «la Serie», in cui padre e figlia viaggiano insieme sulle ali dei libri, scambiandosi pensieri ed emozioni. Ma, una volta raggiunto il traguardo, Alice e Jim non riescono a fermarsi. Basta uno sguardo ed entrambi capiscono che il loro rituale deve andare avanti perché è diventato un momento irrinunciabile, l'unica costante in una quotidianità semplice e complicata, in una vita fatta di sogni, cambiamenti e scoperte. Leggere insieme diventa così una medicina contro la tristezza, un modo per ritrovarsi e conoscersi, un angolo di cielo in cui le nuvole non possono arrivare. Una certezza che li accompagnerà ogni sera, senza eccezioni, fino alla vigilia della partenza della ragazza per il college. In questo libro straordinario, Alice racconta il suo profondo legame con il padre, le speranze, le paure, i trionfi che hanno vissuto e le lezioni di vita che hanno imparato dalle letture condivise. Una dolcissima storia vera sulla magia dei libri.

 

Comincio subito col dirvi che mi aspettavo qualcosa in più da questo libro… o forse mi aspettavo qualcos’altro.

Non so bene cosa mi fossi immaginata, ma credevo di leggere un libro che parlasse di libri, invece non è propriamente così, come peraltro conferma l’autrice proprio in apertura.

La piccola Alice fa un patto con suo padre, un bibliotecario paziente e grande amante dei libri: ogni sera l’uomo leggerà ad alta voce qualcosa per la figlia. I due si danno un obiettivo, 100 sere consecutive, ma una volta raggiunto questo primo step l’obiettivo si alza, arrivando a 1000 sere. In pratica la “serie” (così Alice ed il padre hanno soprannominato il loro appuntamento quotidiano) prosegue per più di 3000 sere, da quando Alice ha 9 anni fino ai 18 ed alla sua partenza per il college. E fin qui tutto ok… se non fosse che, invece di parlarci dettagliatamente delle sue letture condivise, Alice approfitta della presunta straordinarietà della sua impresa per raccontarci in prima persona molti episodi della sua vita, della sua infanzia, poi dell’adolescenza, fino agli anni del college. Ci parla del funerale del suo pesciolino, della C presa in inglese, la sua materia preferita, poi della madre che va via da casa… tanti episodi più o meno comuni ai quali io, francamente, non ero molto interessata, visto che a mio parere non c’è nulla di così eccezionale né nella “serie” né nella vita di Alice. D’accordo, ci sono tanti ragazzi che non leggono oggigiorno ed è encomiabile il lavoro di questo genitore che ha spinto la figlia verso i libri e li ha a dirittura letti con lei. E importante è anche la battaglia che il padre di Alice compie per difendere le biblioteche e la lettura dall’avvento della tecnologia… ma sinceramente, al di là di questo non ho trovato nulla di particolarmente coinvolgente in questo libro… se possibile lo definirei “senza infamia e senza lode”, né bello né brutto. Tuttavia, proprio perché non posso dire che sia brutto e potrei sbagliarmi non mi sento di non consigliarvelo apriori… ognuno di noi ha gusti differenti dal resto del mondo, perciò decidete voi… a me non è piaciuto, ma ciò non vuol dire che per voi potrebbe risultare interessante.

 

Opera recensita: “La lettrice di mezzanotte” di Alice Ozma

Editore: Sperling & Cupfer, 2015

Genere: narrativa americana

Ambientazione: Nord America

Pagine: 264

Consigliato: sì/no

 

martedì 12 luglio 2016

RECENSIONE: CAMILLA BARESANI - IL SALE ROSA DELL'HIMALAYA

Sinossi:

Duro, incalzante, corrosivo "Il sale rosa dell'Himalaya" racconta la disavventura di Giada Carrara, una trentenne milanese. Tutto ha inizio il 13 febbraio, in una sera di pioggia, mentre la ragazza aspetta un ospite molto importante, anzi, decisivo. La cena è pronta, ma, poco prima che l'uomo arrivi, mossa dall'assurda necessità di aggiungere una nota esotica ai sapori della serata, Giada esce di casa per comprare del sale rosa dell'Himalaya. I tacchi, il telefono, i capelli lisci, la fretta, l'attesa di un uomo che potrebbe cambiare il corso delle cose... All'improvviso entrano in scena due sconosciuti che stravolgeranno i suoi programmi, cambiandole la vita in modo ben diverso dalle aspettative. Giada vuole farsi strada. È furba, ma purtroppo scopre di esserlo molto meno della somma delle furbizie altrui. La sua lotta per affermarsi nel lavoro diventa, dopo quella sera di pioggia, la lotta della "biondina di via Massena" contro il mondo. Un conflitto non solo contro i cattivi conclamati, i mostri espliciti: anche contro i nemici sottotraccia che sono ovunque, dove meno te li aspetti, impliciti. "Il sale rosa dell'Himalaya" racconta l'avventura di Giada a partire dal momento in cui nulla potrà più essere come prima. Un romanzo sul tradimento e la sopraffazione, descritti con il tono distaccato e beffardo di Camilla Baresani, in un continuo contrappunto tra il dentro e il fuori di Giada.

 

“Il sale rosa dell’Himalaya”. Quando l’ho scelto mi sono detta: “titolo interessante, esotico, fa pensare a spezie, luoghi lontani ed idilliaci, colori, sapori, odori che portano calma, meditazione e pace interiore”.

Beh, niente di più sbagliato! Non aspettatevi niente del genere: questo libro è molto interessante, ma di idilliaco non ha proprio niente. A lettura ultimata, però, posso dire che anche la scelta del titolo ha un suo perché: il sale rosa dell’Himalaya è l’ingrediente in più, il tocco esotico che Giada, trentenne bergamasca che lavora a Milano, vuole aggiungere alla sua cena. Aspetta un uomo, un ricco industriale che, se tutto va come lei spera, diventerà il primo cliente della sua prima agenzia di comunicazione. Però Giada, troppo impegnata per cucinare e, a volte, anche per mangiare, non ce l’ha in casa il sale dell’Himalaya… così, nonostante la pioggia, esce a comprarlo, già agghindata per la cena, tacchi alti, vestito da sera, borsa, immancabile smartphone… non ci sono taxi disponibili, perciò decide di prendere il metro, ma a pochi passi dalla fermata un mendicante dall’alito cattivo e dalla faccia deturpata la avvicina per chiedere una sigaretta. Lei lo scaccia con brutalità, ma quello si aggrappa alla borsa. Il telefono di Giada cade, lei si china a raccoglierlo e l’uomo ne approfitta… da quel momento per Giada comincerà una disavventura che mai, nella sua vita frenetica, rigorosamente organizzata, nella moderna, ordinata, sicura Milano, mai Giada avrebbe pensato che potesse capitarle. Viene rapita e condotta nella degradata periferia milanese, in balia di due personaggi così disperati da non avere neanche un piano, un’idea di cosa fare di lei dopo averla brutalmente violentata ed umiliata.

Con uno stile duro, distaccato, assolutamente privo di fronzoli, coinvolgimenti emotivi o considerazioni soggettive, Camilla Baresani analizza spietatamente i pensieri di Giada che vede la sua vita cambiare radicalmente, il suo futuro sgretolarsi rapidamente insieme al suo passato ed a tutto quello che credeva di aver costruito con arguzia, calcolo e freddezza. Ma non basta! La Baresani ci offre anche un’analisi altrettanto acuta della psicologia dei personaggi che ruotano o ruotavano intorno a Giada, i cui comportamenti denotano la mutevolezza dei sentimenti, delle opinioni, persino dei fatti se estrapolati dal contesto ed osservati da punti di vista differenti.

Così, paradossalmente, quando qualcuno finalmente si accorge della scomparsa di Giada, nessuno pensa all’ipotesi di un incidente, di un rapimento, ma tutti si affannano a cercare una falla nella sua immagine perfetta, un amore proibito, una fuga coi soldi, una “storia di corna”… ma nessuno, in fondo, cerca veramente lei. Mentre Giada è prigioniera in un rudere a due passi dalla città, la sua vita viene messa in piazza, analizzata, smontata e rimontata più volte da chi non l’ha mai conosciuta eppure si erge a giudice della sua moralità. E i cosiddetti amici e familiari? Apparentemente sembrano preoccupati per lei, ma in realtà ciò che li assilla è invariabilmente il desiderio di apparire, di avere pubblicità o di non essere danneggiati dalla sua scomparsa. L’esempio lampante è fornito proprio dall’uomo che Giada avrebbe dovuto incontrare quella sera: quando si accorge che Giada non risponde né al cellulare né al citofono, non pensa di dare  l’allarme, ma la maledice perché è come tutte le altre e se ne torna beato alla sua bella villa, con la moglie servizievole, i figli e la pasticceria dove fa colazione ogni mattina.

Beh, vi ho detto molto, è vero, ma vi consiglio di leggere questo libro perché fa riflettere sul nostro mondo così iperinformato, sempre alla ricerca della notizia bomba, ma distratto dai particolari importanti, dalla verità e poco attento alla vita delle persone, quella vera, non quella dei rotocalchi e dei pettegolezzi da bar. Credo, poi, che lo stile della Baresani dia quel tocco di disillusione che rende il tutto più drammaticamente reale.

 

Opera recensita: “Il sale rosa dell’Himalaya” di Camilla Baresani

Editore: Bompiani, 2014

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Milano

Pagine: 179

Consigliato: sì.

 

venerdì 8 luglio 2016

RECENSIONE: ELISABETTA RASY - LE REGOLE DEL FUOCO


Sinossi:

È la primavera di un anno terribile, il 1917, quando Maria Rosa Radice a poco più di vent’anni lascia gli agi della sua casa a Napoli. Scappa da sua madre, dal salotto aristocratico che fino ad allora è stato il suo unico, soffocante orizzonte. La destinazione è la sola possibile per una donna non sposata e in fuga: il fronte. L’impatto della guerra è brutale. In un piccolo ospedale sul Carso cura centinaia di feriti, li vede soffrire e morire. Ma c’è una luce nelle sue giornate, una scintilla di cui si accorge poco a poco. È la sua silenziosa compagna di stanza Eugenia Alferro, una provinciale del Nord che sogna di diventare medico. Giorno dopo giorno, le insegna a sopravvivere in corsia e a superare la paura. La guerra regala alle due ragazze una libertà altrimenti impossibile. Così, nel tempo, avvertono una passione inattesa crescere tra loro e a mezza voce, la notte, si dichiarano l’amore. Non sanno se il futuro permetterà loro di rimanere vicine, entrambe però sentono di essere cambiate. Ora sono pronte a lottare per restare se stesse. In un romanzo vibrante, che appassiona e scuote, Elisabetta Rasy racconta la guerra dalla prospettiva misconosciuta delle donne al fronte. Ritraendo un’intimità limpida ma circondata dalle tenebre, ci mostra come l’amore non abbia mai avuto confini, perché i sentimenti esplodono sempre senza chiederci il permesso.

 

Maria Rosa ed Eugenia, due infermiere volontarie, due donne molto diverse tra loro, si ritrovano a condividere una stanzetta e una corsia in un ospedale sul Carso, nell’estate del 1917.

Maria Rosa viene da Napoli, scappa da una famiglia agiata, opprimente, piena di clichés, strane regole da rispettare ma scarsa di affetto. Maria Rosa è pigra, viziata, disordinata, una schiappa nei lavori manuali e soprattutto non ha mai visto nulla di simile ai corpi martoriati da una guerra.

Eugenia, invece, viene da un paesino vicino a Como, è ordinata, taciturna, stacanovista e vuole diventare medico. Sotto la guida di Eugenia, Maria Rosa migliorerà nel lavoro di infermiera e capirà che la realtà è ben diversa da quella a cui lei era abituata: la guerra cambia le persone, le prospettive, le vite; alla fine Maria Rosa supererà le diffidenze iniziali di chi non crede alle capacità delle donne in guerra e comincerà ad essere apprezzata in corsia, da medici e feriti.

Anche Eugenia, spronata da Maria Rosa, riuscirà ad aprirsi e perderà un po' del suo naturale riservo. Ma ciò che finalmente accomunerà le due ragazze sarà l’amore, un amore sbocciato tra sangue, fango, corpi martoriati e bombardamenti… un amore nato dalla guerra, che sopravvive alla luce fioca di una candela durante la notte e che esploderà fortissimo, più forte della distanza e delle convenzioni sociali.

Maria Rosa ed Eugenia non sanno cosa sarà di loro e del loro amore, ma si promettono fiducia, fedeltà e paziente attesa, determinate a stare insieme dopo la guerra ed a far sopravvivere un sentimento tanto vero e tanto forte. Ed anche quando l’attesa sarà spezzata da un plico di lettere con versi sdolcinati, l’eredità di quell’amore resterà in eterno, magari in una fotografia perduta chissà dove.

Ispirandosi ai tanti diari delle infermiere al fronte, Elisabetta Rasy racconta la vita delle donne durante la prima guerra mondiale. Lo fa usando il tono intimo e confidenziale di una lettera, una lunga lettera scritta da Maria Rosa ad Eugenia, una di quelle lettere che si sa che non saranno mai lette e che per questo contengono le confidenze più profonde e le verità che non si ha il coraggio di dire ad alta voce.

La quotidianità della guerra, il lavoro in corsia e la forza di un sentimento condiviso sono raccontati in un tono così naturale, intimo, delicato e al contempo vibrante, che tutto si fonde in un flusso di emozioni. Una lettura assolutamente consigliata a tutti, data l’importanza dei temi trattati e la semplicità con cui gli stessi vengono affrontati.

 

 

Opera recensita: “Le regole del fuoco” di Elisabetta Rasy

Editore: Rizzoli, 2016

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Carso, estate 1917

Pagine: 192

Consigliato: sì.

 

martedì 5 luglio 2016

RECENSIONE: MARIO DESIATI - TERNITTI


Sinossi:

È il 1975. Mimì Orlando ha quindici anni quando è costretta a lasciare la Puglia dorata per seguire il padre nella grande fabbrica svizzera che produce lu ternitti: l'eternit, promessa di ricchezza per migliaia di emigranti. Per Mimì quelli al Nord sono gli anni del vetro, del freddo che ghiaccia le cose e le persone. Ma anche quelli della passione segreta per Ippazio, diciotto anni, tra le dita già corrose dall'amianto un fiammifero acceso nella notte per rubare uno sguardo, un istante d'amore... Anni Novanta. Mimì è di nuovo in Puglia. Ha una figlia adolescente, Arianna, poco più giovane di lei. Ma accanto a loro non ci sono uomini, per Arianna non c'è un padre. Madre anticonformista e leale, compagna indomita per le sue colleghe in fabbrica e per tutti coloro che accompagna fino alla soglia dell'ultimo respiro roso dal mesotelioma da amianto, è una donna che sa parlare con le proprie inquietudini e paure ma anche - ascoltando le voci degli antenati che sempre la accompagnano - guardare al futuro senza piegarsi mai. "Ternitti" in dialetto significa anche tetto, e il destino vorrà che questa parola sia il sigillo di una vita intera: proprio su un tetto, finalmente a contatto col cielo, Mimì saprà riscattare la sua gente e forse anche il suo amore. La vicenda di un popolo tenace, la tragedia del lavoro che nutre e uccide, la meschinità di un uomo e la fierezza di una donna: tutto si compone con la semplice necessità delle umane cose in un romanzo luminoso e maturo.

Oggi vi parlo di un libro ambientato nella mia terra, il Salento, in particolare nella zona del capo di Leuca.

E’ qui che vive Mimì, al secolo Domenica Orlando; è da qui che è costretta a partire con la famiglia, nel 1975, alla volta della Svizzera. Il padre, Antonio, andrà a lavorare “allu ternitti” in una fabbrica vicino a Zurigo insieme a tantissimi altri italiani.

Ternitti in dialetto salentino significa eternit ed è una parola che evoca tante cose: amianto, lavoro, casa, morte. Parole così diverse, anche opposte fra loro: con l’amianto qui le case sono state costruite per anni, forse per decenni; e c’è chi per l’amianto la casa ha dovuto lasciarla, alla volta di un paese straniero, per lavoro. E c’è pure chi per quel lavoro è morto… tanti sono stati gli italiani che hanno contratto l’asbestosi, un male lento ed inesorabile che colpisce i polmoni di chi è stato a contatto costante con l’eternit. Il Salento ha pagato un caro prezzo a questa malattia, un prezzo di emigrazione prima e di morte poi. Ed è proprio questa la storia raccontata in “Ternitti” dallo scrittore pugliese Mario Desiati. E’ la storia di Mimì, colei che ha il nome di Domenica, una santa tenace rappresentata con una spada; Mimì, una bambina diventata presto donna, che torna a casa sua dalla Svizzera con una figlia e senza un uomo fisso accanto. E’ la storia degli Orlando, di Vope, di Pati e di tanti altri.

Questo libro è un condensato di sentimenti: l’amore celato, schivo ed infine prorompente; la morte che aleggia come un fantasma sugli operai e le loro famiglie; la fierezza e l’indipendenza di Mimì, l’alcolismo di Biagino, la viltà di Pati, l’intraprendenza di Arianna… è un libro intriso di Sud, di Salento, della terra e del mare, del dialetto, dei sapori e degli odori di una terra magica, sempre sospesa tra passato e futuro, tra culti antichi e modernità.

Ecco cosa troverete in questo libro: descrizioni minuziose e realistiche della natura, dei luoghi, dei sentimenti e dei comportamenti dei personaggi… un tuffo nella vita di Mimì e nella storia di tanti salentini ed italiani emigrati e poi tornati a casa.

 

Opera recensita: “Ternitti” di Mario Desiati

Editore: Mondadori, 2011

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Salento, Svizzera

Pagine: 258

Consigliato: sì

Libri simili: “Acciaio” di Silvia Avallone.

 

sabato 2 luglio 2016

RECENSIONE: J. D. ROBB (NORA ROBERTS) - CODICE CINQUE


Sinossi:

New York, 2058. Eve Dallas, tenente del dipartimento di polizia e sicurezza, si trova ad affrontare un caso scottante. Una prostituta d'alto bordo, Sharon DeBlass, nipote di un senatore ultraconservatore, viene brutalmente uccisa all'interno di un elegante palazzo. Il delitto è accompagnato da un biglietto inquietante e minaccioso: "Una di sei." L'arma che ha ucciso la donna è una Smith & Wesson, un vero pezzo d'antiquariato che può appartenere solo a un facoltoso collezionista. Decisa, coraggiosa, sprezzante, Eve arriverà presto a una lista di indiziati, in cui il sospettato numero uno è il proprietario di una collezione di armi antiche nonché del palazzo in cui la vittima è stata uccisa, il miliardario irlandese Roarke. Un uomo ironico, sexy, brillante, che sembra non avere passato, capace di far breccia anche nel cuore ormai indurito di Eve. Proprio lei, che ha sempre potuto contare su un infallibile intuito, ora si trova a fare i conti con qualcosa di altrettanto istintivo, ma decisamente destabilizzante. Un'indagine serrata, una detective determinata, un sospettato affascinante ed enigmatico. La strada verso la verità nasconde la più pericolosa delle insidie: l'attrazione.

 

 

Oggi vi parlo della mia ultima scoperta, “Codice cinque”, il primo bellissimo libro della serie “In death” pubblicata da J. D. Robb. Chi è J. D. Robb? E’ presto detto: è uno dei vari pseudonimi utilizzati dalla famosissima e prolifica scrittrice Nora Roberts, autrice statunitense che ha pubblicato più di 150 libri. La serie “In death” ne conta 39, solo cinque finora pubblicati in italiano, e a quanto si vocifera la scrittrice ha ancora molta voglia di portarla avanti!

I protagonisti, come già si può capire da questo primo libro, sono il tenente Eve Dallas e Roarche, un uomo tanto ricco quanto affascinante, che si innamora della fredda e controllata Eve sin dal primo incontro.

Ma andiamo con ordine, parliamo un po’ di questo “codice cinque”. Siamo a New York city nel 2058. Il tenente Eve Dallas si trova di fronte ad un omicidio contrassegnato dal codice cinque, ossia riservatissimo. Ad essere stata assassinata è Sharon De Blas, elegante, sofisticata, avida professionista del sesso e… nipote di un senatore arciconservatore. L’assassino, che per ucciderla ha usato un’arma da fuoco (che per il 2058 è un raro oggetto da collezione), ha lasciato un messaggio inquietante: 1/6. Eve dovrà cercare di scoprire chi è ed impedirgli di commettere gli altri 5 omicidi. Per una serie di ragioni, in cima alla lista degli indiziati c’è Roarche, un multimiliardario di origini irlandesi, un uomo affascinante, elegante, gentile e privo di passato, proprio come lei.

I due si incontrano, si piacciono e, nonostante le tante resistenze di Eve, instaurano un rapporto quantomeno inusuale tra un poliziotto ed un sospettato di omicidio. Tra intrighi politici, lotte di potere a vari livelli e strane fughe di notizie l’assassino commette altri due delitti, che programma meticolosamente ed esegue senza intoppi… Ma la tenacia di Eve, l’aiuto di Roarche ed un provvidenziale colpo di fortuna porteranno a scoprire l’inaspettato colpevole.

“Codice cinque” mi ha emozionato perché, oltre alla tensione crescente dovuta ai delitti ed alle indagini, tratta temi importanti come gli abusi sui minori e la prostituzione. E poi… c’è una componente importante in questo libro, che difficilmente si trova nei thriller in misura così rilevante: l’amore, l’amore quello vero, intenso, passionale, che occupa una parte importante della storia.

Confesso che all’inizio della lettura ero un po’ titubante: lo stile della Roberts non mi prendeva, troppo stringato, freddo, asettico… ma poi con lo scorrere delle pagine il ritmo è cresciuto, la trama si è fatta interessante, il linguaggio più caldo come l’atmosfera e le vicende vissute dai personaggi! Insomma… alla fine mi ha conquistata e non avrei più voluto staccarmene! Direi proprio che si tratta di un buon libro, assolutamente consigliato a chi ama il thriller, ma non disdegna i romanzi rosa!

Una piccola annotazione: il fatto che il libro sia ambientato nel futuro è rilevante, ma non disturba il lettore. L’ambientazione è abbastanza vicina al presente, salvo alcune curiose differenze: il caffè è un lusso per pochi, lo zucchero ha un costo esorbitante, le armi da fuoco sono oggetti da collezione, i computer rispondono ai comandi vocali togliendo agli esseri umani tante piccole incombenze quotidiane…insomma ci si abitua in fretta ed il tutto risulta anche piuttosto divertente!

 

Opera recensita: “Codice cinque” di J. D. Robb (Nora Roberts)

Editore: Nord, 2004

Genere: romantic suspense-futuristic thriller

Ambientazione: New York, anno 2058

Pagine: 351

Consigliato: sì.