venerdì 19 gennaio 2018

RECENSIONE: WILLIAM MAKEPEACE THACKERAY - LA FIERA DELLA VANITA'


Sinossi:

Il romanzo ha come titolo completo "Vanity Fair: a novel without a hero", ovvero "La fiera della vanità: un romanzo senza un eroe". La vera protagonista

della storia è infatti la società con le sue contraddizioni: apparentemente si esalta la condotta secondo moralità, ma in realtà di ogni cosa si reclama

solo l'apparenza e vittorioso è sempre il più furbo, mai il più buono. A rappresentare i due tipi di condotta due personaggi femminili: l'ingenua, pura

e ricca Amelia Sedley e l'arrivista, povera e intelligente Becky Sharp. Il filo dell'ipocrisia legherà la scalata sociale della prima all'esistenza inutilmente

votata alla rispettabilità della seconda.

 

Commento:

Chi di noi, leggendo i romanzi inglesi del primo Ottocento, non ha pensato almeno una volta che la società di quell’epoca fosse piena di ipocrisia e disturbante, falso perbenismo? Beh, è proprio su questo concetto semplice che si basa il lungo romanzo di William Makepeace Thackeray che in quella società ci viveva e che poté osservarla con occhio critico e deplorarne la falsa moralità con acume.

In questa storia gli apparenti protagonisti sono i Sedley, i Crawley, gli Osbourne e tutti coloro che, a vario titolo, hanno a che fare con loro; ma la vera, indiscussa e dileggiata protagonista è niente meno che l’intera società inglese di cui queste famiglie facevano parte, sottoposta ad un giudizio impietoso ed imparziale: “La fiera della vanità” è senza dubbio la definizione che meglio riassume il pensiero dell’autore di questo libro sulla società in cui vive, che premia la furbizia, l’arrivismo, la scaltrezza a discapito della bontà di cuore e dei buoni sentimenti. In questa società, infatti, gli intriganti come Mrs Rebecca trovano sempre il modo di spuntarla, i parvenues come gli Osbourne hanno più denaro che cervello e considerano un posto in società più importante di un matrimonio d’amore; una famiglia d’alto lignaggio come i Crawley preferisce nascondere sotto il tappeto le magagne e i dissapori tra i suoi membri piuttosto che dare esempio di tolleranza ed apertura sociale.

Tutti questi comportamenti ed atteggiamenti hanno, indiscutibilmente, delle forti ripercussioni sociali e sono forieri di conseguenze spesso nefaste per chi li pone in essere e chi lo circonda. Sono queste le critiche, per nulla velate, che il narratore esterno ed onnisciente di questa vicenda intricata rivolge al proprio mondo: “La fiera della vanità” è una critica mordace, ironica e conclamata di una società viziata e corrotta dal prevalere dell’apparenza sulla nobiltà d’animo.

Uno spaccato veritiero ed impietoso della società britannica dell’Ottocento che, a mio avviso, vale la pena leggere nonostante sia talvolta troppo prolisso e minuzioso. Forse non consiglierei questo libro a chi proprio non sopporta i romanzi della Austen o simili, perché pur criticando il perbenismo dilagante, questo libro ne è intriso: l’autore, suo malgrado, ha dovuto servirsene a piene mani per spiegarne le criticità.

 

 

Opera recensita: “La fiera della vanità” di William Makepeace Thackeray

Editore: Bur, prima ed. originale 1848

Genere: letteratura inglese

Ambientazione: Inghilterra, prima metà dell’Ottocento

Pagine: 874 (ed. Bur 2007)

Prezzo: 13,00 €

Consigliato: sì

Voto personale: 8.

 

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