sabato 30 marzo 2019

RECENSIONE: YARI SELVETELLA - LE STANZE DELL'ADDIO


Sinossi:
Io ho ricominciato a lavorare. In altri luoghi scrivo, succhio gamberi, respiro foglie balsamiche, faccio l'amore, ma una parte di me è qui, sempre qui, impigliata a un fil di ferro o ha una paura mai vinta, inchiodata per sempre: il puzzo di brodaglia del carrello del vitto, quello pungente dei disinfettanti, il bip del segnalatore del fine-flebo, la porta che si chiude alle mie spalle quando termina l'ora della vita
Così si sente chi di noi vive l'esperienza di una perdita incolmabile: impigliato, inchiodato. Dalle pagine di questo libro affiora il volto vivissimo di una giovane donna, Giovanna De Angelis, madre di tre figli e di molti libri, editor di professione, che si ammala e muore. Il suo compagno la cerca, con la speranza irragionevole degli innamorati, attraverso le stanze - dell'ospedale, della casa, dei ricordi - fino a perdersi. Solo un ragazzo non si sottrae alla fratellanza profonda cui ogni dolore ci chiama e come un Caronte buono gli tende una mano verso la vita che continua a scorrere, che ci chiama in avanti, pronta a rinascere sul ciglio dell'assenza. Yari Selvetella dà voce a un addio che sembra continuamente sfuggire al tentativo di essere pronunciato, come Moby Dick nel fondo del mare, e scrive un kaddish laicissimo eppure pervaso del mistero che ci unisce a coloro che abbiamo amato. Attraverso il labirinto al neon degli ospedali, le stanze chiuse del lutto, il filo tracciato da una penna sul foglio bianco è ancora di salvezza, celebrazione commossa della forza vitale delle parole.

Commento:
Un compagno, tre figli, un lavoro gratificante, vacanze al mare, libri, dischi, cene… vita. Poi un giorno, una bolla sulla tempia, un'altra… codice esenzione 048. E così se ni spegne una donna attiva, vitale, amata. E cosa resta a chi l'amava? Restano i ricordi, il rapporto con la paura, forse i rimorsi; resta tutto ciò che non si è detto, non si è fatto, si sarebbe potuto fare diversamente. E soprattutto resta un grande, gigantesco vuoto e l'impossibilità di rassegnarsi alla perdita. Allora il tempo, la persona, la vita si sdoppia: si riprende a lavorare, ad uscire, a conoscere, ma si cerca ancora, si torna ancora lì dove tutto è finito. Eppure arriva un momento in cui si sente il bisogno di amare, si rivendica il diritto di amare di nuovo. E si accetta quella mano tesa, una fra tante, che inconsapevolmente ritraghetta verso la vita.
Di rado mi è capitato di leggere la perdita raccontata con tanto trasporto: aprendo questo libro ho avuto quasi l'impressione di entrare in una dimensione diversa, fatta di sofferenza, ricordi felici, ricordi dolci e amari, dolori difficili da mandar giù. Una dimensione sofferta, sì, ma viva: le emozioni, i sentimenti provati dall'autore si avvertono tutti, forzano la cortina di distacco che ognuno di noi costruisce verso il dolore altrui, bruciano e segnano. E diventa quasi necessaria la catarsi finale che, inevitabilmente, di riflesso viviamo anche noi. Le stanze dell'addio non è un libro facile, non solo per i temi trattati – la malattia, la morte, la perdita – ma perché è tutto fuorché un libro finto, costruito, pensato per affascinare. Qui i sentimenti sono tanto autentici quanto forti e come tali esigono tempo, cura e rispetto anche da parte di chi crede di star solo leggendo un libro. Una lettura che consiglio proprio per la sua autenticità, oltre che per il fatto che – dal punto di vista meramente letterario - è scritta magnificamente, aspetto tutt'altro che trascurabile.


Opera recensita: "Le stanze dell'addio" di Yari Selvetella
Editore: Bompiani, 2018
Genere: autobiografia
Ambientazione: Roma, Italia
Pagine:
Prezzo: 15,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


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