Sinossi:
Io ho
ricominciato a lavorare. In altri luoghi scrivo, succhio gamberi, respiro
foglie balsamiche, faccio l'amore, ma una parte di me è qui, sempre qui,
impigliata a un fil di ferro o ha una paura mai vinta, inchiodata per sempre:
il puzzo di brodaglia del carrello del vitto, quello pungente dei
disinfettanti, il bip del segnalatore del fine-flebo, la porta che si chiude
alle mie spalle quando termina l'ora della vita
Così si sente chi di noi vive l'esperienza di una perdita incolmabile: impigliato, inchiodato. Dalle pagine di questo libro affiora il volto vivissimo di una giovane donna, Giovanna De Angelis, madre di tre figli e di molti libri, editor di professione, che si ammala e muore. Il suo compagno la cerca, con la speranza irragionevole degli innamorati, attraverso le stanze - dell'ospedale, della casa, dei ricordi - fino a perdersi. Solo un ragazzo non si sottrae alla fratellanza profonda cui ogni dolore ci chiama e come un Caronte buono gli tende una mano verso la vita che continua a scorrere, che ci chiama in avanti, pronta a rinascere sul ciglio dell'assenza. Yari Selvetella dà voce a un addio che sembra continuamente sfuggire al tentativo di essere pronunciato, come Moby Dick nel fondo del mare, e scrive un kaddish laicissimo eppure pervaso del mistero che ci unisce a coloro che abbiamo amato. Attraverso il labirinto al neon degli ospedali, le stanze chiuse del lutto, il filo tracciato da una penna sul foglio bianco è ancora di salvezza, celebrazione commossa della forza vitale delle parole.
Così si sente chi di noi vive l'esperienza di una perdita incolmabile: impigliato, inchiodato. Dalle pagine di questo libro affiora il volto vivissimo di una giovane donna, Giovanna De Angelis, madre di tre figli e di molti libri, editor di professione, che si ammala e muore. Il suo compagno la cerca, con la speranza irragionevole degli innamorati, attraverso le stanze - dell'ospedale, della casa, dei ricordi - fino a perdersi. Solo un ragazzo non si sottrae alla fratellanza profonda cui ogni dolore ci chiama e come un Caronte buono gli tende una mano verso la vita che continua a scorrere, che ci chiama in avanti, pronta a rinascere sul ciglio dell'assenza. Yari Selvetella dà voce a un addio che sembra continuamente sfuggire al tentativo di essere pronunciato, come Moby Dick nel fondo del mare, e scrive un kaddish laicissimo eppure pervaso del mistero che ci unisce a coloro che abbiamo amato. Attraverso il labirinto al neon degli ospedali, le stanze chiuse del lutto, il filo tracciato da una penna sul foglio bianco è ancora di salvezza, celebrazione commossa della forza vitale delle parole.
Commento:
Un compagno, tre figli, un lavoro gratificante, vacanze al
mare, libri, dischi, cene… vita. Poi un giorno, una bolla sulla tempia,
un'altra… codice esenzione 048. E così se ni spegne una donna attiva, vitale,
amata. E cosa resta a chi l'amava? Restano i ricordi, il rapporto con la paura,
forse i rimorsi; resta tutto ciò che non si è detto, non si è fatto, si sarebbe
potuto fare diversamente. E soprattutto resta un grande, gigantesco vuoto e
l'impossibilità di rassegnarsi alla perdita. Allora il tempo, la persona, la
vita si sdoppia: si riprende a lavorare, ad uscire, a conoscere, ma si cerca
ancora, si torna ancora lì dove tutto è finito. Eppure arriva un momento in cui
si sente il bisogno di amare, si rivendica il diritto di amare di nuovo. E si
accetta quella mano tesa, una fra tante, che inconsapevolmente ritraghetta
verso la vita.
Di rado mi è capitato di leggere la perdita raccontata con
tanto trasporto: aprendo questo libro ho avuto quasi l'impressione di entrare
in una dimensione diversa, fatta di sofferenza, ricordi felici, ricordi dolci e
amari, dolori difficili da mandar giù. Una dimensione sofferta, sì, ma viva: le
emozioni, i sentimenti provati dall'autore si avvertono tutti, forzano la
cortina di distacco che ognuno di noi costruisce verso il dolore altrui,
bruciano e segnano. E diventa quasi necessaria la catarsi finale che,
inevitabilmente, di riflesso viviamo anche noi. Le stanze dell'addio non è un
libro facile, non solo per i temi trattati – la malattia, la morte, la perdita –
ma perché è tutto fuorché un libro finto, costruito, pensato per affascinare.
Qui i sentimenti sono tanto autentici quanto forti e come tali esigono tempo, cura
e rispetto anche da parte di chi crede di star solo leggendo un libro. Una
lettura che consiglio proprio per la sua autenticità, oltre che per il fatto
che – dal punto di vista meramente letterario - è scritta magnificamente,
aspetto tutt'altro che trascurabile.
Opera recensita: "Le stanze dell'addio" di Yari
Selvetella
Editore: Bompiani, 2018
Genere: autobiografia
Ambientazione: Roma, Italia
Pagine:
Prezzo: 15,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.