venerdì 31 maggio 2019

RECENSIONE: HENRIK IBSEN - SPETTRI


Sinossi:
Gengangere è il titolo originale di Spettri, uno dei drammi più significativi del teatro di Ibsen: uno dei testi che più fortuna ha avuto in ogni paese, e soprattutto in Italia, dove è stato a lungo rappresentato. Ibsen lo scrisse a Sorrento e a Roma nell’estate del 1881, cioè dopo Casa di bambola. Vi narrò le vicende di Helene Alving, una delle numerose figure femminili del suo teatro, che vivono passionalmente la loro esistenza. E Spettri è ancora una volta il dramma di una donna che non ha saputo sin dalla giovinezza ribellarsi alla menzogna. Si è sposata senza trasporto, ha tenuto celata agli occhi degli altri, in un segreto terribile, la corruzione del consorte: ed ora sconta nella maturità il peccato di non aver abbracciato, a suo tempo, la verità. Nell’etica di Ibsen chi non si batte per la verità contro l’ipocrisia è destinato a cadere: e a una sorta di fato inarrestabile lo colpisce, insieme ai propri congiunti, che pagano lo scotto di quella iniziale debolezza.

Commento:
"I peccati dei padri ricadono sui figli". E' questo il corollario della diagnosi che un eminente medico francese fa al giovane Oswald Alving. La diagnosi è sifilide e il giovane, sebbene provato, potrebbe anche capirla, consapevole di aver compiuto una vita dissoluta. Però quella sentenza riguardante i propri avi no, quella gli risulta proprio incomprensibile: suo padre era un sant'uomo, filantropo e venerato da anni in paese. Tornato a casa, in Norvegia, proprio per il decennale della morte del padre, però, il giovane si ritrova, suo malgrado, a scoprire una realtà ben diversa da quella che gli era sempre stata raccontata…
Un'opera teatrale che Ibsen scrisse due anni dopo la più celebre Casa di bambola e che richiama lo stesso filone concettuale: chi non si ribella ad un destino già scritto, poi dovrà pagarne le conseguenze insieme a chi gli è più caro. E' ciò che accade ad Helene, la madre di Oswald e moglie del defunto donnaiolo Alving, che per non essersi ribellata ad una decisione non sua vivrà una vita di sofferenze trascinando con sé anche il figlio.
Devo dire di aver apprezzato molto quest'opera, ben più di Casa di bambola: la trovo più lineare sia nell'esposizione che nella consequenzialità dei concetti. Si legge in pochissimo tempo e non risente, nello stile, del passare dei secoli… inoltre fa riflettere su temi e comportamenti tutt'altro che datati o superati. Dunque… consigliato.

Opera recensita: "Spettri" di Henrik Ibsen
Editore: vari, prima ed. 1881
Genere: opera teatrale
Ambientazione: Norvegia
Pagine: 83 (ed. Einaudi)
Prezzo: 10,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - LA BAMBOLA CHE DORME (CICLO DI KATHRYN DANCE 01)


Sinossi:
California, 1999. Daniel Raymond Pell per i media è il "figlio di Manson": affascinante e sinistramente carismatico, al pari del suo predecessore ha incantato, sedotto e plagiato i giovani adepti della sua setta. E con la complicità di uno di essi ha sterminato un'intera famiglia. Nessuno dei due però si è accorto che la notte del massacro, confusa in mezzo alle bambole, una bambina dormiva tranquilla nel suo lettino. Otto anni dopo Pell sta scontando la condanna a vita in un carcere di massima sicurezza per l'efferata carneficina e deve essere processato di nuovo perché vari indizi lo collegano a un altro delitto del passato rimasto irrisolto. Condotto in tribunale, è interrogato dall'agente del California Bureau of Investigation Kathryn Dance, esperta in cinesica. Kathryn è uno dei pochi poliziotti in grado di interpretare il linguaggio non verbale e di capire se testimoni e sospetti dicono la verità. E non sbaglia mai. Questa volta, però, il suo compito è davvero arduo, perché deve confrontarsi con un osso duro, un killer dall'intelligenza quasi sovrumana, un abile manipolatore della volontà altrui. E quando, dopo un sottile gioco di parole, sguardi, gesti, Kathryn scalfisce l'assoluta compostezza di Pell e intuisce un diabolico trucco, è troppo tardi: il "figlio di Manson" è evaso dal tribunale. Comincia la caccia.

Commento:
Primo del ciclo che vede come protagonista l'agente Kathryn Dance, questo thriller dimostra ancora una volta la versatilità e la competenza narrativa di Jeffery Deaver. Anche a voler tralasciare i suoi stand-alone e concentrarci solo sui seriali, è sorprendente vedere con quale perizia Deaver riesce a spostarsi da prove scientifiche, indizi, microscopi ed armamentari degni del miglior laboratorio, ad un campo totalmente diverso, quello del corpo umano con tutti i suoi gesti, volontari e non. Se Lincholn Rhyme era il re della scienza, Kathryn Dance è un'esperta di cinesica, un asso nell'interpretare i comportamenti e le reazioni di chi ha di fronte e non si tratta solo di capire se l'interrogato sta mentendo o sviando l'attenzione, ma di entrare – talvolta non invitata – nell'inferno privato del suo interlocutore. Non è sempre facile e talvolta può incontrare criminali con capacità affini alle sue, come Daniel Pell, l'antagonista di questo libro, con le sue manie di controllo, sottomissione, ma anche con le sue debolezze. Un caso in cui i colpi di scena sono dietro l'angolo, in cui il confine tra vittima e colpevole non è mai stato così labile. Un thriller veloce, con una protagonista umana nella sua forza o forse forte proprio per la sua umanità: Kathryn Dance è madre, vedova, ama la musica e i cani, è capace di coordinare una difficile indagine e starsene a bere birra con un caro amico imbracciando una chitarra. E' una donna forte, ma che non rinuncia ad una vita privata con tutte le difficoltà che comporta conciliarla con un lavoro rischioso. Una serie, questa, che forse non sarà sbalorditiva come quella di Rhyme – almeno per la sottoscritta – ma che comunque è interessante ed appassionante… oltre ad essere ottimamente congegnata, ma questo era ovvio: è scritta da Deaver!

Opera recensita: "La bambola che dorme" di Jeffery Deaver
Editore: Bur, 2007
Genere: thriller, serie
Ambientazione: California, Stati Uniti
Pagine: 503
Prezzo: 10,90 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


mercoledì 29 maggio 2019

RECENSIONE: STEPHEN KING - LE NOTTI DI SALEM


Sinossi:
Una casa abbandonata, un paesino sperduto, vampiri assetati di sangue. Quando il giovane Stephen King decise di trapiantare Bram Stoker nel New England sapeva che la sua idea, nonostante le apparenze, era buona, ma forse neanche la sua fervida immaginazione avrebbe saputo dire quanto. Era il 1975 e, da allora, il racconto dell'avvento del Male a Jerusalem's Lot, meglio conosciuta come 'Salem's Lot, non ha mai cessato di terrorizzare milioni di lettori, consacrando il suo autore come maestro dell'horror. Protagonista della storia è Ben Mears, uno scrittore che torna ai luoghi della sua infanzia – la buona, vecchia provincia americana – per esorcizzare una terribile esperienza avuta da ragazzino a Casa Marsten, il tetro e minaccioso edificio che domina il villaggio. Ora la spettrale dimora l'accoglie a occhi aperti, o meglio, a finestre illuminate. Ma chi è il sedicente signor Barlow, il nuovo proprietario? Perché la sua presenza è percepibile solo dopo il tramonto? E che cosa sta succedendo ai pacifici abitanti del Lot? Un geniale connubio tra orrore soprannaturale e quotidianità, un omaggio alle nostre paure più profonde, sconfinate e irrazionali e, come i mostri sotto il letto, così improbabili ma così... reali. 

Commento:
L'ho già scritto tante volte: ciò che mi piace dei libri di Stephen King è che, per quanto siano terrorifici, folli, assurdi, apparentemente irrealistici, sono sempre calati in una profonda, verace quotidianità. King, per quanto sembri assurdo, è l'autore che meglio ha saputo dipingere la normalità squarciata da eventi fuori dall'ordinario e tracciarne le conseguenze. Lo fa anche qui, in questo libro in cui un paesino normale della provincia americana viene ridotto al silenzio, in un tempo sorprendentemente rapido, dall'accadere di strani fenomeni. Dall'arrivo in paese di alcuni nuovi inquilini, una serie di sparizioni turbano la superficie di Salem's lott e la scuotono gradualmente fino alle fondamenta. Sono in pochi a capire ciò che sta accadendo e, sebbene cerchino di opporsi, c'è una forza antica e assetata con cui è molto difficile combattere… Un romanzo sul male, sulla fede, sulla tentazione… ma anche sulla facilità con cui si dimentica, ci si volta dall'altra parte finché le cose finiscono per precipitare. Ma d'altronde il paese sa mantenere i suoi segreti, esso può vivere o morire, ripiegarsi su se stesso e rinascere, e i suoi segreti saranno sempre lì, in attesa che qualcuno li risvegli.

Opera recensita: "Le notti di Salem" di Stephen King
Editore: Sperling & Kupfer, prima ed. 1975
Genere: Horror
Ambientazione: Stati Uniti
Pagine: 672
Prezzo: 12,90 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


martedì 28 maggio 2019

RECENSIONE: TIZIANO TERZANI - LETTERE CONTRO LA GUERRA


Sinossi:
Il volume raccoglie una serie di lettere inedite e alcune comparse sul "Corriere della Sera". Con queste corrispondenze - da Kabul, Peshawar, Quetta, ma anche da Orsigna, Firenze, Delhi e dal suo rifugio sull'Himalaya - Tiziano Terzani comincia un pellegrinaggio di pace tra Oriente e Occidente. Secondo l'autore infatti "non basta comprendere il dramma del mondo musulmano nel suo confronto con la modernità, il ruolo dell'Islam come ideologia antiglobalizzazione, la necessità da parte dell'Occidente di evitare una guerra di religione", bisogna soprattutto capire, convincersi, credere che l'unica via d'uscita possibile dall'odio, dalla discriminazione, dal dolore è la non-violenza.

Commento:
Lettere contro la guerra. Un titolo che mi attirava da un po', specialmente perché scritto da un autore che stimo e con cui spesso concordo. E' diventato per me imprescindibile leggere questo libro dopo la lettura di La rabbia e l'orgoglio di Oriana Fallaci… i più attenti ne ricorderanno la recensione. Lì scrivevo, fra le altre cose, che di solito diffido dalle verità assolute e che non mi piacciono le generalizzazioni. Ecco, qui, nel libro di Terzani, non ci sono verità assolute, non ci sono neppure riflessioni personali spacciate per verità assolute, non ci sono neppure giudizi né incitamenti all'"armiamoci e partite!". Ci sono invece, com'è consuetudine per questo grande conoscitore del mondo, riflessioni personali trasportate come tali e come tali consegnate al lettore per invitarlo a riflettere. C'è, soprattutto, la volontà di conoscere e capire l'altro, intenderne le ragioni, andare al di là dei fatti fino alla radice delle cose. C'è, in queste lettere scritte subito dopo l'11 settembre, una riflessione su cosa possa aver portato i musulmani ad attaccare l'America e, attenzione, Terzani non li giustifica, non li assolve per nulla, ma si pone con l'atteggiamento che gli è tipico e che lo ha condotto per decenni al cospetto di poveri e potenti: l'ascolto, il dialogo, la comprensione, il discernimento, la piena libertà di pensiero e giudizio. E quest'atteggiamento non può che essere dettato dalla volontà di convivere con chi la pensa diversamente, che è poi, in estrema sintesi, un profondo desiderio di pace e pacificazione. Ecco perché Terzani, in questa come in ogni altra sua opera, ci ricorda che non esiste una guerra che possa porre fine alle altre guerre, che non c'è una guerra giusta e che non c'è mai un vincitore e un vinto, che i torti sono sempre difficili da individuare e le ragioni mai davvero definitive. E ci ricorda, una volta di più, che a noi spetta decidere quale atteggiamento usare verso il nostro futuro: a noi spetta decidere se porci in contrasto con l'altro o se volerlo conoscere con spirito di parità. Un altro libro importante, da tenere a monito per i momenti in cui l'ira sembra debordare ed accecarci. L'odio non genera altro che odio… ricordiamocelo sempre.

Opera recensita: "Lettere contro la guerra" di Tiziano Terzani
Editore: Longanesi, prima ed. 2002
Genere: raccolta di lettere
Ambientazione: Europa-Asia
Pagine: 196
Prezzo: 13,60 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


venerdì 24 maggio 2019

RECENSIONE: MATT HAIG - COME FERMARE IL TEMPO


Sinossi:
Neil Gaiman Pensate a un uomo che dimostra quarant’anni, ma che in realtà ne ha più di quattrocento. Un uomo che insegna storia nella Londra dei giorni nostri, ma che in realtà ha già vissuto decine di vite in luoghi e tempi diversi. Tom ha una sindrome rara per cui invecchia molto lentamente. Ciò potrebbe sembrare una fortuna… ma è una maledizione. Cosa succederebbe infatti se le persone che amate invecchiassero normalmente mentre voi rimanete sempre gli stessi? Sareste costretti a perdere i vostri affetti, a nascondervi e cambiare continuamente identità per cercare il vostro posto nel mondo e sfuggire ai pericoli che la vostra condizione comporta. Così Tom, portandosi dietro questo oscuro segreto, attraversa i secoli dall’Inghilterra elisabettiana alla Parigi dell’età del jazz, da New York ai mari del Sud, vivendo tante vite ma sognandone una normale. Oggi Tom ha una buona copertura: insegna ai ragazzi di una scuola, raccontando di guerre e cacce alle streghe e fingendo di non averle vissute in prima persona. Tom deve ad ogni costo difendere l’equilibrio che si è faticosamente costruito. E sa che c’è una cosa che non deve assolutamente fare: innamorarsi.

Commento:
Come si fa ad imparare il modo giusto di vivere? E' una questione di tempo, di esperienze vissute, di atteggiamento, di incontri? E' fondamentalmente questo il tema centrale di questo libro: nel 2018 Tom ha l'aspetto di un quarantenne, ma in realtà ha 436 anni. La sua è una disfunzione che ritarda notevolmente l'invecchiamento, portando lui e quelli come lui a vivere più vite e di conseguenza più ingiustizie, più orrori, più dolore. Dolore, soprattutto perché non è facile separarsi da chi si ama, non è facile continuare a vivere per molti, molti anni, dopo che le persone a cui tieni sono invecchiate e poi morte. E non è facile neppure costruire qualcosa di duraturo se si deve sempre scomparire dopo un determinato numero di anni per non creare sospetti. E' in quest'incertezza, segnata da dolori antichi e perdite mai sopite, che vive Tom; ma Tom è stanco di fuggire, vuole solo una vita banale, tranquilla, defilata e soprattutto vuole ritrovare una persona cara che ha la sua stessa disfunzione e che lui ha dovuto abbandonare secoli fa. E' questo che lo spinge a sopravvivere ancora in una società profondamente cambiata.
Come fermare il tempo è un libro originale, che, però, mi ha coinvolto poco: i concetti espressi, soprattutto sul finale, sono profondi e degni di riflessione, ma la storia, per quanto ben scritta, non mi ha catturato e mi è sembrata, nel complesso, poco credibile. Una lettura gradevole, in definitiva, ma che non ricorderò.


Opera recensita: "Come fermare il tempo" di Matt Haig
Editore: E/O, 2018
Genere: fantascienza
Ambientazione: Inghilterra-Australia
Pagine: 360
Prezzo: 18,00 €
Consigliato: sì/no
Voto personale: 7.


giovedì 23 maggio 2019

RECENSIONE: HARUKI MURAKAMI - KAFKA SULLA SPIAGGIA


Sinossi:
Un ragazzo di quindici anni, maturo e determinato come un adulto, e un vecchio con l'ingenuità e il candore di un bambino, si allontanano dallo stesso quartiere di Tokyo diretti allo stesso luogo, Takamatsu, nel Sud del Giappone. Il ragazzo, che ha scelto come pseudonimo Kafka, è in fuga dal padre, uno scultore geniale e satanico, e dalla sua profezia, che riecheggia quella di Edipo. Il vecchio, Nakata, fugge invece dalla scena di un delitto sconvolgente nel quale è stato coinvolto contro la sua volontà. Abbandonata la sua vita tranquilla e fantastica, fatta di piccole abitudini quotidiane e rallegrata da animate conversazioni con i gatti, dei quali parla e capisce la lingua, parte per il Sud. Nel corso del viaggio, Nakata scopre di essere chiamato a svolgere un compito, anche a prezzo della propria vita. Seguendo percorsi paralleli, che non tarderanno a sovrapporsi, il vecchio e il ragazzo avanzano nella nebbia dell'incomprensibile schivando numerosi ostacoli, ognuno proteso verso un obiettivo che ignora ma che rappresenterà il compimento del proprio destino. Diversi personaggi affiancano i due protagonisti: Hoshino, un giovane camionista di irresistibile simpatia; l'affascinante signora Saeki, ferma nel ricordo di un passato lontano; Òshima, l'androgino custode di una biblioteca; una splendida prostituta che fa sesso citando Hegel; e poi i gatti, che sovente rubano la scena agli umani. E infine Kafka. "Uno spirito solitario che vaga lungo la riva dell'assurdo".

Commento:
Hurrah! Ce l'ho fatta, 10 punti in più per me! Sono riuscita a portare a termine, con soddisfazione, questa lettura cominciata un paio d'anni fa e poi interrotta. E dire che stavo per lasciar perdere anche stavolta e la causa sarebbe stata la stessa del primo tentativo: una sopraggiunta, insopprimibile noia. Però, nonostante l'abbiocco, avvertivo che in questo libro c'era qualcosa di bello, che sarebbe valsa la pena di continuare… così mi sono fatta forza ed eccomi qui… ed è stato più piacevole del previsto!
Kafka sulla spiaggia non è un libro consueto: la vicenda raccontata è assolutamente assurda e particolare, come d'altronde accade in quasi tutti i libri di narrativa giapponese. Parallelamente si sviluppano due storie, quella di Tamura Kafka – un quindicenne che scappa da casa e si ritrova nella cittadina di Takamatzu dove incontra Sakura, Oshima e la signora Saeki – e quella del vecchio Nakata – un uomo con disturbi mentali dovuti ad un misterioso incidente avvenuto durante la guerra. Due storie destinate a sovrapporsi inesorabilmente, legate a doppio filo come sono. Un viaggio, per entrambi, costellato di incontri fortuiti e fortunati: Nakata incontra tante persone che lo aiuteranno nel suo peregrinare e trova un amico sincero nel giovane camionista Hoshino; Kafka incontra il signor Oshima che lo aiuterà fraternamente nella fuga e nel difficile periodo che seguirà, e la signora Saeki con la quale nascerà un rapporto decisamente sui generis. Un libro in cui vita e morte si fondono, si corteggiano e si respingono; spazio, tempo, dimensionalità sono concetti labili e relativi; sogno, realtà, concretezza, astrattismo si mescolano in una storia da non comprendere, ma da gustare come viene, così come ce la racconta Murakami. E a forza di star dietro a gatti, pietre e strane apparizioni, si arriverà a fine lettura con un senso di nostalgia per coloro che ci hanno accompagnato fino alla fine del racconto. Non so se questo sia il migliore dei romanzi di Murakami: non è quello che mi è piaciuto di più, però è un libro denso di concetti filosofici e di insegnamenti di vita, perciò merita davvero di essere letto, anche più volte per gustarne al meglio il fondo. Consigliato… nonostante la falsa partenza.

Opera recensita: "Kafka sulla spiaggia" di Haruki Murakami
Editore: Einaudi, prima ed. originale 2002
Genere: narrativa giapponese
Ambientazione: Giappone
Pagine: 518
Prezzo: 15,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 7,5.


martedì 21 maggio 2019

RECENSIONE: GABRIELLA GENISI - PIZZICA AMARA


Sinossi:
Nel cimitero di un paesino vicino a Lecce, terra incantata battuta dal vento e incendiata dal sole, viene profanata la tomba di Tommaso Conte, un ragazzo morto qualche anno prima per un sospetto incidente. Poco tempo dopo, lì vicino, vengono trovati due cadaveri: una ragazza di origini balcaniche dall'identità sconosciuta e la liceale Federica Greco, figlia di un senatore. Annegata sulla spiaggia la prima e impiccata a un albero la seconda. A indagare c'è il maresciallo Chicca Lopez, giovanissima salentina e carabiniera ribelle. Appassionata di moto e fidanzata con Flavia, una compagna piuttosto esigente che, come i più genuini mariti pugliesi, la aspetta a casa pretendendo la cena, Chicca ogni giorno lotta per farsi spazio in un ambiente di soli uomini come quello della caserma. Determinata, cocciuta, sfrontata, è alla ricerca della verità costi quel che costi, anche la vita. Cosa lega quei cadaveri e la serie di inspiegabili sparizioni degli adolescenti della zona? E chi è quella donna che si dice possegga gli antichi poteri delle macare, le streghe del Salento? Combattendo l'omertà di una comunità che non vuole incrinare l'immagine di terra da sogno, Chicca Lopez si troverà invischiata in una vicenda dai contorni sempre più inquietanti, tra rituali sanguinosi, magia e loschi traffici.

Commento:
Cosa c'è sotto la patina di lustrini e belletto che rende una terra ricca di storia, tradizioni e cultura, un ambito sogno di cui ubriacarsi e stordirsi una settimana all'anno? Chi può non distogliere lo sguardo davanti ai rifiuti sotterrati nei terreni dell'entroterra o agli ulivi espiantati senza ritegno? Solo chi questa terra la ama veramente, la capisce, ne interpreta sussulti e ferite, la vive davvero anno dopo anno, giorno dopo giorno, chi con questa terra fatta di contraddizioni e compromessi lotta e combatte da quando è nato. Chi, se non Francesca-Chicca Lopez, il maresciallo di Santa Maria di Leuca che, dopo giornate infinite di lavoro a Lecce, torna a Gallipoli a preparare la cena alla sua esigente fidanzata? Chi, se non una giovane donna tosta ed agguerrita che non ha paura di dar fastidio e scomodare qualcuno pur di andare al fondo delle cose? Solo lei poteva davvero trovare il bandolo di un'intricata e pericolosa matassa che scuote le alte sfere e rischia di far crollare la facciata dorata della Lecce-bene. E poteva mai sottrarsi al rischio, Chicca Lopez, se in quest'indagine erano coinvolti dei giovani morti in circostanze a dir poco sospette ed inquietanti? No, a costo di rischiare la vita. Tra un calice di Negroamaro, una corsa in moto fino a Punta Pizzo e svariati caffè, scopriamo in queste pagine l'anima vera di un Salento vivo, tenebroso, pulsante di segreti e credenze mai del tutto abbandonate, in una spirale inarrestabile di scoperte macabre, dolore e depravazione a danno dei più indifesi.
E per chi il Salento lo conosce, lo vive quotidianamente da più di trent'anni, ce l'ha nel Dna, non è facile recensire questo libro: con il piglio diretto di chi non le manda a dire, Gabriella Genisi riesce a tratteggiare, con i tempi giusti di chi vuole fare le cose per bene e ad una storia vuole dare la giusta attenzione, i contorni di una terra non facile da decifrare, con tutte le sue sfaccettature e le sue mille anime. Tra macare e macarie, simbolismi, leggende, delitti e tarantate, un mondo di empatia, superstizione, magia viene fuori da queste pagine con tutta la forza dirompente delle sue radici antiche. E nei colori di un tramonto a picco sul mare, tutto si confonde, e vita e morte, magia e realtà, amore e sacrificio non hanno più contorni così netti. Pizzica amara è un libro affascinante ed appassionante, che fa rabbrividire di sgomento e traboccare l'anima di calore: il racconto di una terra magica attraverso una guida amorevole e per questo severa e determinata. Stupendo, davvero consigliato a chi vuole conoscere qualcosa che non sia solo mare, rustici e pasticciotti.


Opera recensita: "Pizzica amara" di Gabriella Genisi
Editore: Rizzoli, 2019
Genere: noir
Ambientazione: Salento
Pagine: 360
Prezzo: 18,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9,5.


venerdì 17 maggio 2019

RECENSIONE: MARIA PIA ROMANO - GEOGRAFIE MINIME


Sinossi:
Quella di Maria Pia Romano è poesia della Natura, che è benigna e avvolgente e protettiva, e ci sa dare la meritata carezza. Poesia del ricordo. Commovente è il passaggio che rammemora la figura della nonna sognata, "che impasta polpette e cuoce cantando". Poesia del sogno. I sogni sono fanciulle con i capelli di grano. In "Geografie minime" viene celebrata con dolcezza, più che mai, la terra del Sud. Il Salento, Otranto, Gallipoli, luogo dell'anima. E ancora Santa Maria al Bagno, Santa Caterina. L'Appenino, luogo d'origine, Ruvo di Puglia. (Marcello Buttazzo)

Commento:
Una raccolta di poesie che coinvolge l'anima e i sensi, proprio come i luoghi, i paesaggi, le atmosfere, le situazioni, i ricordi che racconta. Geografie minime è un viaggio spazio-temporale nei luoghi e nelle fasi della vita; ogni poesia è un piccolo cristallo lucente attraverso il quale guardiamo con occhi diversi ciò che ci circonda e ciò che viviamo. Questo breve libro è intriso di mare, di colori, di suoni, d'aamore per il Sud, da Gallipoli a Leuca, da Otranto a Santa Maria al bagno; un tributo ai luoghi di nascita e d'infanzia (l'Appennino, il Sannio, la Murgia); un dono alla terra prescelta in cui restare (il Salento). Un libro prezioso, da tenere con sé e sfogliare con un occhio al mare, lasciandosi cullare dall'alchimia di versi e suoni della natura.

Opera recensita: "Geografie minime" di Maria Pia Romano
Editore: il grillo, 2018
Genere: poesia
Prezzo: 10,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


giovedì 16 maggio 2019

RECENSIONE: CATENA FIORELLO - TUTTE LE VOLTE CHE HO PIANTO


Sinossi:
Nell'autunno tiepido di una Messina dalle spiagge ormai deserte, Flora corre ogni mattina sul bagnasciuga: il vento, il sole, la pioggia, le nuvole, il rumore del mare sono divenuti per lei compagni indispensabili. Una disciplina che le dona calma, adesso che, a quasi quarant'anni, sta cercando di riprendere le redini della sua vita. Il matrimonio con Antonio, sposato da giovanissima, è andato in frantumi dopo l’ennesimo tradimento di lui, sempre in cerca di nuove avventure che non approdano mai a nulla. Eppure Flora non riesce a dimenticarlo e vacilla ogni volta che lui torna a corteggiarla, alimentando le illusioni della figlia quindicenne Bianca. Ma la sua vita è già abbastanza complicata, con un bar da gestire e una madre anziana che non ha mai superato la morte del marito e, soprattutto, la perdita di Giovanna, la sorella maggiore di Flora: bellissima, indomabile e carismatica, uccisa a vent'anni in un tragico incidente. E adesso Flora trema vedendo che la figlia Bianca, per uno strano destino, coltiva il sogno di diventare attrice proprio come un tempo Giovanna. Ma a scombinare di nuovo le carte, un giorno arriva Leo, con la sua aria da James Dean e un passato che lo lega a quei luoghi, dove sta per produrre un film. E con i suoi modi affascinanti, si insinua pericolosamente nei pensieri di Flora... Ma perché Leo sembra sapere tante cose su di lei? Cosa si nasconde dietro il suo interesse per Flora? Può realmente fidarsi di quest’uomo così misterioso? Commovente e carico di passione: un romanzo per chi non ha mai smesso di credere nella vita e nell'amore.

Commento:
Qualche sera fa, guardando il telegiornale, ho ascoltato di sfuggita l'intervista in cui Catena Fiorello – autrice che non avevo mai letto prima d'ora, ma che mi incuriosiva da tempo – presentava il suo ultimo libro, Tutte le volte che ho pianto. Il titolo in altri tempi mi avrebbe scoraggiata o quantomeno fuorviata, ma, sarà che sono in un momento di particolare sensibilità, sarà che mi ha attirato l'ambientazione, sarà stato qualcosa che ha detto l'autrice… fatto sta che l'ho cercato… e l'ho divorato in una notte.
Tutte le volte che ho pianto è un romanzo intenso, che racconta la storia di Flora, una donna normale perché eccezionale, come tante altre donne. Flora ha trentasei anni, una figlia adolescente - Bianca -, un cane – Pulce -, una madre da accudire e un matrimonio dal quale sta cercando di liberarsi; è proprietaria di un bar vicino al tribunale di Messina che gestisce con Mauro, il collaboratore che tutti i titolari vorrebbero. Proprio nel suo bar, una mattina, capita uno strano cliente che la guarda fisso, la chiama per nome senza che si siano presentati e che dice di conoscerla… Flora non sa chi sia, però le capita di pensarlo sempre più spesso. Ecco, ora starete pensando "ok, il classico romanzetto rosa da due soldi zeppo di clichés e banalità varie"… e invece no, perché le cose si complicano: Leo – così si chiama l'uomo del mistero – mostra di sapere cose sul passato di Flora che in pochi conoscono e le rivelazioni che le farà sono destinate a cambiare più di una vita. Al contrario di ciò che lascerebbe presagire il titolo, Flora non è una a cui piaccia frignare, eppure piange abbastanza spesso, perché la sua vita è stata costellata da dolori da cui è difficile staccarsi, da perdite che non si possono superare indenni… e sarà passando attraverso la sofferenza, attraverso il dolore e la mancanza che questa giovane madre dovrà cambiare ancora le proprie prospettive, imparando di nuovo ad affidarsi, a mettere da parte le paure e le ansie, a pensare un po' di più a se stessa senza colpevolizzarsi per le proprie manchevolezze. Sarà solo con l'appoggio di chi la ama che Flora potrà comprendere che il dolore è inevitabile, ma che ci rende più forti e che da esso qualche volta può nascere anche qualcosa di buono. In Tutte le volte che ho pianto, Catena Fiorello affronta con tatto, sensibilità e decisione temi importanti come l'amore, la morte, gli errori giovanili, l'adolescenza, la malattia, la famiglia, la vecchiaia, l'omosessualità, la perdita di una persona cara. In una Sicilia bellissima, ammantata di modernità eppure intrisa di saggezza popolare, spicca la figura di Flora che ha concesso poco a se stessa e tanto alla vita, di una madre, moglie, amica, imprenditrice, ma soprattutto donna, con la paura di sbagliare, di togliere agli altri, di fare passi avventati, di tornare ad amare. Ma, anche se sembra una frase fatta, l'amore trionfa sempre e c'è un tempo per ogni cosa: basta saper cogliere le occasioni e lasciarsi cullare dalle onde della vita.


Opera recensita: "Tutte le volte che ho pianto" di Catena Fiorello
Editore: Giunti, 2019
Genere: narrativa italiana
Ambientazione: Messina, Sicilia
Pagine: 272
Prezzo: 18,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


mercoledì 15 maggio 2019

RECENSIONE: CAMILLA LACKBERG - LA GABBIA DORATA


Sinossi:
Faye sembra avere tutto. Un marito perfetto, una figlia adorabile e un lussuoso appartamento nel quartiere più elegante di Stoccolma. Ma, al di là della superficie scintillante, è una donna tormentata dai ricordi legati al suo oscuro passato a Fjällbacka, una donna che sempre più si sente prigioniera di una gabbia dorata. Un tempo era forte e ambiziosa. Poi è arrivato Jack, il marito, e lei ha rinunciato alla sua vita. Jack non è un uomo fedele, però, e quando Faye lo scopre, il suo mondo va in pezzi. Non le resta più niente, è distrutta. Fino al momento in cui decide di passare al contrattacco e di vendicarsi in modo raffinato e crudele... Faye non è certo la prima donna al mondo a essere stata umiliata dal marito, trattata come una stupida e costretta a lasciare il posto a una più giovane e piacente. Ma per lei è arrivato il momento di dire basta: «Unite siamo forti, non ci rassegneremo mai più al silenzio».

Commento:
A prima vista, questo libro potrebbe sembrare scontato, la classica storia al femminile di donne che si ribellano e trovano se stesse. Beh, in linea di massima è di questo che si parla, ma, fidatevi, c'è di più. Faye è tutto tranne che una donna convenzionale e Camilla Lackberg è riuscita a tirar fuori una protagonista credibile nel suo tormento. Sì, tormento, perché al di là della vita agiata, del bel mondo, della patina di madre giovane e solo un po'  appesantita, Faye rivela da subito qualcos'altro, qualcosa di oscuro, che sin dal suo approdo a Stoccolma per l'università, lei farà di tutto per celare… ma che riguarda il suo passato a Fjallbacka, la sua famiglia e le tenebre che, ognittanto, tornano ad avvolgerla. Le scoprirà presto anche Jack, suo marito, colui per il quale lei ha rinunciato alla propria indipendenza, realizzazione, femminilità, dignità… colui che ora vorrebbe gettarla via come un calzino bucato per un'altra più giovane… lo scoprirà, Jack, cosa succede quando la rabbia covata per anni erompe con forza distruttiva… specialmente se, oltre che bella, una donna è molto intelligente ed in grado di coinvolgere altre donne.
La gabbia dorata è un libro molto piacevole, nonostante sia un noir con tratti di grande crudezza; è scritto molto bene: Camilla Lackberg ha saputo imprimere alla vicenda ed ai personaggi un grado di realismo che, sebbene molte cose siano portate all'estremo, rende la storia credibile e per questo ancora più toccante. E' un libro che consiglio alle donne perché, anche se non ai livelli di Faye, è capitato a tutte di vivere situazioni – anche piccole o occasionali - di pressione, sfruttamento, violenza fisica o psichica, e di non riuscire ad uscirne. Ma lo consiglio anche agli uomini… può essere un ottimo modo per osservare i rapporti con l'altro sesso in modo differente e forse porsi in modo più obiettivo verso il proprio vissuto personale.


Opera recensita: "La gabbia dorata" di Camilla Lackberg
Editore: Marsilio, 2019
Genere: noir
Ambientazione: Svezia
Pagine: 410
Prezzo: 19,90 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


domenica 12 maggio 2019

RECENSIONE: S. S. VAN DINE - IL CASO DEL TERRIER SCOZZESE/LA TRAGEDIA IN CASA COE


Sinossi (da Wikipedia):
La tragedia in casa Coe, pubblicato in Italia anche con il titolo Il caso del terrier scozzese (titolo originale The Kennel Murder Case)  è un romanzo poliziesco del 1933 di S.S. Van Dine, il sesto della serie dove ad indagare troviamo Philo Vance, investigatore dilettante dai poliedrici interessi.
In una mattina di ottobre il procuratore distrettuale Markham si presenta in casa del suo amico Philo Vance con la notizia che il famoso collezionista di ceramiche cinesi Archer Coe si è suicidato, dopo essersi chiuso a chiave nella sua camera da letto. Markham, sapendo che Vance conosceva Coe, ha pensato di chiedergli assistenza nell'indagine. Apparentemente non dovrebbero esserci dubbi sul suicidio, ma Vance intuisce immediatamente che la faccenda è più complicata di quanto appaia a prima vista. Coe stringe in pugno una rivoltella e ha un proiettile nel cranio, ma il colpo è stato sparato quando l'uomo era morto da ore. Il medico legale accerta infine che Coe è stato pugnalato alla schiena. I frammenti di un prezioso vaso cinese macchiati di sangue puntano verso un'altra scena del delitto, la biblioteca a piano terra. Ma se l'omicidio è avvenuto in quella stanza, come ha fatto l'assassino a portare il cadavere al piano di sopra e poi a chiudere e sprangare la porta dall'esterno? La chiave per la soluzione del mistero sarà infine un terrier scozzese  ferito, ritrovato in casa, che condurrà Vance alla scoperta del colpevole, non prima che la scia di sangue si allunghi, con un altro omicidio e un tentato omicidio.

Commento:
Beh, non c'è molto da dire: chi conosce Van Dine e soprattutto Philo Vance saprà già a cosa va incontro, un protagonista elegante, saccente, di un'antipatia istintiva (che al sesto libro a me è divenuta più che tollerabile), ma incredibilmente sagace, colto e intelligente nonché incredibilmente portato per la soluzione psicologica di casi complicati. Questo non fa affatto eccezione: il classico delitto della camera chiusa in cui è davvero arduo stabilire colpevole, movente e dinamiche del delitto. Proprio in queste ultime il nostro Vance è maestro e qui non perde occasione per dimostrarlo. Consigliato, insieme agli altri della serie.

Opera recensita: "La tragedia in casa Coe" o "Il caso del terrier scozzese" di S. S. Van Dine
Editore: Crescere, ed. originale 1933
Genere: giallo classico
Ambientazione: New York
Pagine: 248
Prezzo: 4,90 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


venerdì 10 maggio 2019

RECENSIONE: VALENTINA D'URBANO - ISOLA DI NEVE


Sinossi:
2004. A ventotto anni, Manuel sente di essere già al capolinea: un errore imperdonabile ha distrutto la sua vita e ricominciare sembra impossibile. L’unico luogo disposto ad accoglierlo è Novembre, l'isola dove abitavano i suoi nonni. Sperduta nel mar Tirreno insieme alla sua gemella, Santa Brigida – l’isoletta del vecchio carcere abbandonato –, Novembre sembra a Manuel il posto perfetto per stare da solo. Ma i suoi piani vengono sconvolti da Edith, una giovane tedesca stravagante, giunta sull’isola per risolvere un mistero vecchio di cinquant’anni: la storia di Andreas von Berger – violinista dal talento straordinario e ultimo detenuto del carcere di Santa Brigida – e della donna che, secondo Edith, ha nascosto il suo inestimabile violino. Del destino di Andreas e del suo prezioso e antico strumento si sa pochissimo.L’unico indizio che Edith e Manuel hanno è il nome di una donna: Tempesta. 1952. A soli diciassette anni, Neve sa già cosa le riserva il futuro: una vita aspra e miserabile sull’isola di Novembre, senza alcuna possibilità di fuggire. Figlia di un padre violento e nullafacente, Neve è l’unica in grado di provvedere alla sua famiglia. Tutto cambia quando un giorno, nel carcere di Santa Brigida viene trasferito uno straniero. Sull’isola non si fa che parlare del nuovo prigioniero, ma la sua cella si affaccia su una piccola spiaggia bianca e isolata sui cui è proibito attraccare. È proprio lì che sbarca Neve, contravvenendo alle regole, spinta da una curiosità divorante. Andreas è il contrario di come lo ha immaginato. È bellissimo, colto e gentile come nessun uomo dell’isola sarà mai, e conosce il mondo al di là del mare, quel mondo dove Neve non è mai stata. Separati dalle sbarre della cella di Andreas, i due iniziano a conoscersi, ma fanno un patto: Neve non gli dirà mai il suo vero nome. Sarà lui a sceglierne uno per lei. Sullo sfondo suggestivo e feroce di un’isola tanto bella quanto selvaggia, una storia indimenticabile. Con la travolgente forza espressiva che da sempre le è propria, Valentina D’Urbano intreccia passato e presente in un romanzo che esalta il valore e la potenza emotiva dei ricordi, e invita a scoprire che, per essere davvero se stessi, occorre vivere il dolore e l’amore come due facce di una stessa medaglia.

Commento:
Quella di Neve, Andreas, Libero, Livia è una storia dura e toccante, una storia che poteva attecchire davvero solo su un'isola chiusa in se stessa, spigolosa come le sue rocce, corrosa come il mare che la lambisce, le dà da vivere e regola i ritmi dei suoi abitanti. E' proprio quel mare, che separa l'isola di Novembre dalle promesse della terraferma, a diventare ponte tra due persone, Neve e Andreas, che più diverse non potrebbero essere. E quello che fu lo sussuravano in tanti, ma nessuno poteva saperlo davvero o anche solo provare a capirlo. Ci è voluta l'ostinazione di una giovane ragazza tedesca, Edith, e del provato e sconvolto Manuel, più di cinquant'anni dopo, per smuovere la polvere e far risuonare di nuovo la melodia di due anime. Questa potrebbe essere una storia comune, piena di musica, sì, ma non particolarmente originale, se a scriverla non fosse stata un'autrice con la determinazione, l'acume e la forza narrativa di Valentina D'urbano: solo la ruvida lucidità del suo stile impedisce a questa storia di scadere nel melodrammatico e le dà la tempra giusta per risultare non solo credibile, ma anche commovente. La scrittura di Valentina D'urbano è cresciuta, si sente in questo libro tutta la sua maturità, tuttavia qui, a mio parere, manca qualcosa: manca quel graffio che, sin dal primo libro, ha sempre reso inconfondibile la penna tagliente di Valentina D'urbano. Ecco perché personalmente non posso annoverare Isola di Neve tra i migliori libri di quest'autrice, sebbene sia un ottimo libro scritto benissimo. I personaggi – pochi, ben delineati e con una caratterizzazione forte -, l'ambientazione, la musica, però, li ricorderò a lungo… lettura, comunque, assolutamente consigliata.


Opera recensita: "Isola di Neve" di Valentina D'urbano
Editore: Longanesi, 2018
Genere: narrativa italiana
Ambientazione: Isola di Novembre
Pagine: 320
Prezzo: 19,90 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


mercoledì 8 maggio 2019

RECENSIONE: ALICE BASSO - UN CASO SPECIALE PER LA GHOSTWRITER


Sinossi:
Ha scelto i libri come amici. Anche se a volte sono pieni di segreti.
Per Vani le parole sono importanti. Nel modo in cui una persona le sceglie o le usa, Vani sa leggere abitudini, indole, manie. E sa imitarlo. Infatti Vani è una ghostwriter: riempie le pagine bianche di scrittori di ogni genere con storie, articoli, saggi che sembrino scaturiti dalla loro penna. Una capacità innata che le ha permesso di affermarsi nel mondo dell’editoria, non senza un debito di gratitudine nei confronti dell’uomo che, per primo, ha intuito la sua bravura: Enrico Fuschi, il suo capo. Non sempre i rapporti tra i due sono stati idilliaci, ma ora Vani, anche se non vorrebbe ammetterlo, è preoccupata per lui. Da quando si è lasciato sfuggire un progetto importantissimo non si è più fatto vivo: non risponde al telefono, non si presenta agli appuntamenti, nessuno sa dove sia. Enrico è sparito. Vani sa che può chiedere l’aiuto di una sola persona: il commissario Berganza. Dopo tante indagini condotte fianco a fianco, Vani deve ammettere di sentirsi sempre più legata all’uomo che l’ha scelta come collaboratrice della polizia per il suo intuito infallibile. Insieme si mettono sulle tracce di Enrico. Tracce che li porteranno fino a Londra, tra le pagine senza tempo di Lewis Carroll e Arthur Conan Doyle. Passo dopo passo, i due scoprono che Enrico nasconde segreti che mai avrebbero immaginato e, soprattutto, che ha bisogno del loro aiuto. E non solo lui. Vani ha di fronte a sé un ultimo caso da risolvere e fra le mani, dalle unghie rigorosamente smaltate di viola, le vite di tutte le persone cui ha imparato a volere bene.
Alice Basso ha creato un personaggio fantastico. Una protagonista originale che i suoi lettori chiamano per nome come un’amica. Una protagonista che vive in mezzo ai libri, da cui ha imparato quasi tutto quello che sa. Intorno a lei, altri personaggi indimenticabili cui affezionarsi romanzo dopo romanzo. Un universo in cui calarsi per ricordarsi che il piacere della lettura è questo: una storia che incanta e uno stile impeccabile.

Commento:
Qualcuno scrisse che si capisce di aver letto un buon libro quando, girando l'ultima pagina, si sente di aver perso un amico… ecco, immaginate come ci si debba sentire dopo aver finito di leggere una buona, anzi un'ottima serie! Oggi sono triste perché ho finito di leggere l'ultimo capitolo di una serie, quella che vede protagonista la ghostwriter asociale, colta, ufficialmente psicopatica e misantropa ma in realtà buona (e nera) come un bignet al cioccolato, Silvana Sarca detta Vani. Però sono anche un po' felice perché la suddetta serie è finita bene, in un modo bello, in un modo che fa ancora ben sperare nel mondo. E sono anche un po' felice perché io lo so che, con la fine della serie, non ho perso un'amica, anzi ne ho guadagnati… vediamo, contiamo con le dita… almeno dieci e che, quando vorrò potrò sempre rileggere tutto di filato anche se non sarà più come la prima volta. E' questo, infondo, il bello dei libri: ci regalano emozioni vere, personali, autentiche e non ci tradiscono, sono lì con noi mentre piangiamo, ridiamo, ci inca**iamo! E, come nei libri precedenti, anche in quest'ultimo Un caso speciale per la ghostwriter io ho mi sono inca**ata poco, ma ho pianto abbastanza ed ho riso molto. Perché la serie di Vani Sarca è così: sin dal primo libro per me è stato un colpo di fulmine al quale non ho potuto/voluto sottrarmi ed ora siamo al quinto, Vani è cambiata ed ha scoperto cose strane ed interessanti su di sé, i personaggi e le storie sono cresciuti, Berganza è sempre Berganza e sempre più l'uomo ideale e Fuschi… ve lo ricordate l'exploit del quarto libro? Beh, per sapere di più su Enrico Fuschi, il (rompi)capo di Vani dovete leggere quest'ultimo libro… chissà che alla fine, conoscendolo meglio, anche quell'irriducibile testone non riveli delle sorprese…! Io, intanto mi rifiuto di dire addio a Vani: le darò un arrivederci con la prospettiva di rileggere tutto dall'inizio… non può finire così! Voi, se non la conoscete ancora, affrettatevi o almeno fateci un concreto pensierino… non ve ne pentirete… però mi raccomando, non fate i furbi e cominciate dal primo libro, se no non c'è gusto!

Opera recensita: "Un caso speciale per la ghostwriter" di Alice Basso
Editore: Garzanti, 2019
Genere: narrativa italiana, giallo, serie
Ambientazione: Torino-Londra
Pagine: 384
Prezzo: 17,90 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


martedì 7 maggio 2019

RECENSIONE: ISRAEL JOSHUA SINGER - I FRATELLI ASHKENAZI


Sinossi:
Israel Joshua Singer, fratello di Isaac Singer, affronta il tema dell'ascesa e della decadenza borghese, attraverso le vicende di una famiglia immerse nella storia dell'ebraismo polacco, lungo l'arco di quasi un secolo. Un romanzo di impianto pienamente ottocentesco in cui lo sviluppo borghese si accompagna alla miseria del proletariato, le prime e contraddittorie lotte sociali e la progressiva presa di coscienza da parte dei lavoratori ai dissidi nazionali dell'impero zarista e al suo sfacelo, per arrivare alla rivoluzione e alla costituzione dell'inquieta e caotica repubblica polacca. Singer ricrea in una folla di personaggi, di eventi e di vicende private tutta la fenomenologia culturale, storica e politica di una pagina importante della storia polacca.

Commento:
Di Israel Joshua Singer avevo letto da poco un altro meraviglioso romanzo, La famiglia Karnowski. Avendolo molto apprezzato, mi sono avvicinata a I fratelli Ashkenazi con fiducia, nonostante le oltre 700 pagine di lunghezza: non mi sbagliavo. Vi ho ritrovato tutta l'immediatezza e la franchezza di esposizione di Singer, nonché il suo modo di ragionare sempre onesto, schietto e diretto, il suo sarcasmo poco velato, la sua capacità di descrivere una città – in questo caso Lodz, nata da un villaggio addormentato e diventata il centro dell'industria polacca – e una società. In particolare, mentre La famiglia Karnowski partiva dalla situazione degli ebrei polacchi a inizio secolo e si spostava con loro nella terra dei gentili, qui Singer rimane a Lodz e si sofferma proprio nel descrivere quella comunità di chassidici chiassosi, pii, intraprendenti che sembrano essere in ogni dove, ma soprattutto sono i padroni del settore tessile. Da qui parte la narrazione di mpiù mezzo secolo di storia, di vita, di lotta. Sì, perché se La famiglia Karnowski era il romanzo delle emozioni, I fratelli Ashkenazi è proprio il romanzo della lotta, della rivoluzione operaia, della sollevazione di classe, dell'intraprendenza, del riscatto e delle sue conseguenze. Il tutto viene raccontato dettagliatamente seguendo – o prendendo quasi a pretesto, ad esempio – le vicissitudini di due fratelli, Simcha Meyer e Jacob Bunim Ashkenazi, due gemelli fra loro molto diversi ed entrambi protagonisti della vita di Lodz in quei decenni. Sarnno soprattutto le vicende del primo dei due, Simcha Meyer, a riempire pagine e pagine di racconto; conosceremo la sua ambizione sconfinata, la forza della sua determinazione e la crudeltà dell'uomo contro l'altro uomo… perché non basta, a volte, essere ricchi, industriali, potenti, guadagnarsi dal primo all'ultimo centesimo: se si appartiene al popolo che è stato puntato come capro espiatorio c'è poco da fare… è la guerra degli ultimi fra gli ultimi questa, è la guerra che strappa il fratello dalle braccia del fratello, che usa le idee per trionfare e poi le sotterra con l'ascia del potere.
Un libro complesso, non sempre facile, ma sicuramente un romanzo appassionante e di sconcertante attualità, che chiunque non sia accecato dall'ego ed abbia un minimo di coscienza sociale dovrebbe leggere. E una volta di più questo libro conferma che Israel Joshua Singer è un narratore eccezionale. Consigliato.


Opera recensita: "I fratelli Ashkenazi" di Israel Joshua Singer
Editore: Longanesi, prima ed. originale 1937
Genere: narrativa europea
Ambientazione: Polonia, Russia, prima metà del Novecento
Pagine: 761
Prezzo: 22,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9,5.