martedì 31 maggio 2016

GEISHA=ARTISTA! 4 LIBRI A CONFRONTO!


Attenzione attenzione! Il post di oggi è atipico: non è una recensione, ma piuttosto un “articolo”, un insieme di riflessioni personali su quattro libri che trattano lo stesso argomento in modi diversi.

Premessa: amo l’Oriente… mi affascina e mi inquieta allo stesso tempo, perché è l’incontro di tante culture, alcune profondamente diverse dalle nostre. Adoro leggere libri ambientati in India, Cina, Afganistan ecc. Ma c’è un Paese, in particolare, che mi attrae con tutto il suo fascino: è il Giappone. Un aspetto particolare della cultura e della società giapponese che mi ha sempre affascinato è la figura delle Geishe, queste donne tanto belle quanto misteriose, delle quali si sa tutto e niente. Su di loro si sono dette tante cose, alcune vere, altre assurdamente false ed offensive… perciò ho deciso di documentarmi leggendo quanti più libri possibile sull’argomento.

Tutto è cominciato quando, pochi anni fa, ho visto il meraviglioso film “Memorie di una Geisha” che al momento è uno dei miei preferiti in assoluto. Visto che il film mi era tanto piaciuto ho deciso di leggere il libro da cui è tratto… stesso risultato! Romanzo stupendo, storia raccontata con vibrante passione ed ardore. Peccato che, per quanto bello, il libro in realtà contenga delle inesattezze… inoltre è stato scritto da un americano che, talvolta, non riesce a staccarsi dal modo occidentale di vedere determinate cose. Queste sono state le principali critiche mosse al romanzo di Arthur Golden e, da quel che ho letto, la prima a discostarsi dal libro è stata proprio la ex Geiko che è stata la fonte di Golden, Mineko Iwasaki che ha a sua volta scritto un suo libro. Spinta dalla curiosità ho letto anche questo, si intitola “storia proibita di una Geisha” ed è proprio l’autobiografia di Mineko Iwasaki. Differenze tra i due libri? Memorie di una geisha è un romanzo ed è affascinante per la trama (a volte distante dalla realtà) e per l’approccio, appunto, romanzato, con cui la storia viene raccontata. Storia proibita di una geisha, invece, non è un romanzo, ma piuttosto un saggio in forma di autobiografia, pertanto ha richiami storici e culturali più puntuali e precisi. Senza contare che si tratta di una storia vera raccontata in prima persona dalla protagonista.

Una storia vera è anche quella raccontata in “la virtù femminile” della monaca giapponese Harumi Setouchi che, in forma di romanzo, racconta la storia lunga e travagliata della sua vita. La Geisha Tami, bella, sensuale, ammirata da uomini e donne, ha il coraggio di seguire i propri desideri, di uscire dal sistema per seguire l’amore, fino alla sconvolgente decisione di ritirarsi, ancora giovane, in un tempio diventando monaca e ponendo fine ai turbamenti del corpo. Potremmo dire che questo libro è una via di mezzo tra i primi due: racconta la realtà del mondo del fiore e del salice con l’ardente sensualità che si può trovare solo in un romanzo.

L’ultimo libro che ho letto è stato, invece, “Diario di una maiko”, che porta la firma dell’italiana Miriam Bendia. Si tratta del diario di Sotori, una quindicenne dei giorni nostri (il racconto è ambientato tra il 2005 e il 2007) che decide di diventare una Geisha e racconta in queste pagine l’inizio del suo apprendistato come Maiko, le incertezze, i sacrifici, le perplessità che stanno dietro alla decisione di diventare Geisha… perché, come sembra volerci dire Sotori, non è tutto oro quel che luccica. Diventare Geisha vuol dire fare sacrifici, sottostare a regole ferree, ore ed ore di lezioni e preparativi interminabili, non cedere alla stanchezza, non lasciarsi abbattere da nulla, nascondere i propri desideri e le proprie emozioni dietro una maschera bianca.

Potremmo dire che con questi libri è possibile fare un excursus temporale della cultura e della società giapponese dagli inizi del Novecento ad oggi: “La virtù femminile” infatti abbraccia il periodo dal 1912 agli anni 90; “Memorie di una Geisha” narra il periodo pre e post seconda guerra mondiale; “Storia proibita di una Geisha” invece è ambientato negli anni 50 e 60 (Mineko è nata nel 1949) mentre “Diario di una Maiko” è ambientato tra il 2005 e il 2007.

Veniamo ora alle mie considerazioni personali: quelli che ho apprezzato di più sono stati, indubbiamente, i due romanzi perché, sebbene presentino qualche “licenza letteraria” sono molto coinvolgenti e trasmettono quel patos che fa entrare il lettore dentro quel mondo, dentro le case da thè, le case di Geisha, per le strade di Kioto o di Osaka, nonché nella stessa mente e nel cuore delle protagoniste.

“Storia proibita di una geisha”, invece, mi è risultato più indigesto, ma solo perché Mineko proprio non riesce a starmi simpatica: è arrogante, presuntuosa, riservata ed altera e questo non ha nulla a che vedere con il fatto di essere Geisha, era così da quand’era piccola! Ma, badate bene,  queste sono solo idee personali che mi sono venute leggendo. Tuttavia il libro ha il pregio di spiegare e chiarire molti aspetti tecnici sul mondo delle Geiko che nei romanzi sono a volte inesatti o travisati. Lo stesso merito deve darsi a “Diario di una Maiko” che, tuttavia, è il libro che mi ha convinto meno. Perché? Innanzitutto perché sì, è un diario nel quale Sotori raccoglie le sue sensazioni, ma si capisce subito che è stato scritto per essere letto dal pubblico. Quale ragazza, infatti, riporterebbe nel suo diario personale alcune digressioni sul teatro o sulle diverse danze tradizionali degne di una guida turistica?

E poi non so… mi sembra più impreciso ed incompiuto, specie sul sistema interno delle Geishe e delle Maiko, aspetto che è trattato meglio in altri libri. Tuttavia quest’ultimo libro fornisce una chiusura temporale sui cambiamenti del sistema nei nostri giorni, molto meno rigido e chiuso rispetto al passato, e chiarisce definitivamente alcuni dubbi, come ad esempio quello sul discussissimo Misuage, ossia la vendita della verginità della Maiko al miglior offerente, che sancirà poi il suo passaggio da Maiko a Geisha. Non vi dico di più altrimenti non leggete il libro.

Ciò che, però, posso dire in linea generale è che Geisha vuol dire artista, la parola è formata da Gei=arte e Sha=donna… donna d’arte. Perché la Geisha non va ASSOLUTAMENTE MAI confusa con la prostituta? Perché la seconda vende il suo corpo, la prima il suo TALENTO ARTISTICO e per questo ci vuole tanta, ma tanta preparazione e anni di sacrificio!

Ora, tornando ai libri… io vi ho detto la mia… a voi la scelta… io, fossi in voi, li leggerei tutti e quattro!

domenica 29 maggio 2016

RECENSIONE: SIMONETTA AGNELLO HORNBY - LA MENNULARA


Sinossi:

Roccacolomba. Sicilia. 23 settembre 1963. È morta la Mennulara, al secolo Maria Rosalia Inzerillo, domestica della famiglia Alfallipe, del cui patrimonio è stata da sempre – e senza mai venir meno al ruolo subalterno – oculata amministratrice. Tutti ne parlano perché si favoleggia sulla ricchezza che avrebbe accumulato, forse favorita dalle relazioni con la mafia locale. Tutti ne parlano perché sanno e non sanno, perché c’è chi la odia e la maledice e chi la ricorda con gratitudine. Senza di lei Orazio Alfallipe, uomo sensuale e colto, avrebbe dissipato proprietà e rendite. Senza di lei Adriana Alfallipe, una volta morto il marito, sarebbe rimasta sola in un palazzo immenso. Senza di lei i figli di Orazio e Adriana, Lilla, Carmela e Gianni, sarebbero cresciuti senza un futuro.
Eppure i tre fratelli, tornati nel deserto palazzo di famiglia, credono di avere tutti dei buoni motivi per sentirsi illusi e beffati dalla donna, apparentemente rozza e ignorante, che ora ha lasciato loro uno strano testamento. Voci, testimonianze e memorie fanno emergere un affresco che è insieme uno straordinario ritratto di donna e un ebbro teatro mediterraneo di misteri e passioni, di deliri sensuali e colori dell’aria, di personaggi e di visioni memorabili. Un grande romanzo. Una grande storia siciliana.

 

Eccomi qua, scusate l'assenza! Oggi vi parlo di un libro di cui ho letto giudizi molto contrastanti: c’è chi lo ritiene meraviglioso e chi invece lo vede solo come un’imitazione dei grandi autori siciliani che hanno descritto l’essenza della Sicilia nelle loro opere.
Sto parlando de “la mennulara”, il romanzo corale di Simonetta Agnello Hornby uscito per Feltrinelli nel 2002. E’ la prima opera di questa scrittrice con cui mi confronto e devo dire che il suo stile narrativo mi è piaciuto; lo stesso non vale, però, per la trama.
Quindi fra le due fazioni mi schiererei nel mezzo. Ma cerchiamo di essere più chiari: la storia si sviluppa attorno alla morte di Maria Rosalia Inzerillo, anche conosciuta come la Mennulara o Mennù, come la chiamavano i pochi che la stimavano e provavano affetto e riconoscenza per lei.
Mennù era una donna forte, tenace, spigolosa, una vera “fimmina di panza”, come lei stessa si definiva. Il suo caratteraccio le aveva procurato molti nemici e molte invidie sia tra i suoi pari grado sia tra i signorotti del paese. Rocca Colomba è un piccolo borgo dell’entroterra siciliano, imperniato della cultura clientelare e a volte un po’ retrograda che accomuna la Sicilia a tutti i paesini del Sud negli anni 60, una cultura basata su rigide divisioni di classe, rispetto delle gerarchie, sottomissioni, occhi che guardano senza essere visti… ma la Mennulara andava oltre tutto questo, lei era parte del sistema, ma tendeva per natura a superarne le barriere: era una “criata” (serva) e sempre lo sarebbe rimasta, ma era anche intelligentissima e cosciente delle proprie doti di affarista e sapeva bene come metterle a frutto. Al momento della sua prematura dipartita tutto il paese discute di lei: c’è chi ne parla bene e chi male; c’è chi ne onora il ricordo e chi non perde occasione per rifarsi del suo caratteraccio. E dietro a tutto questo c’è l’ombra onnipresente della mafia che tutto vede e tutto sa. E poi ci sono gli Alfallipe, i suoi padroni, da lei serviti con devozione ed abnegazione, simbolo di stoltezza, alterigia ed ingordigia… L’astuzia della mennulara li porterà allo sfinimento e perderanno molto, ma solo per colpa loro.
Il libro è sicuramente ben scritto, con una prosa fluida e lineare, ma la trama lascia un po’ troppo a desiderare: si suscita tanto interesse per la figura enigmatica di Mennù, ma poi alla fine il tutto si riduce a qualcosa che si poteva capire già dalle prime pagine. Anche la scelta di non delineare con esattezza i personaggi per lasciarli solo intuire al lettore mi sembra azzeccata: la figura centrale è la mennulara, tutti gli altri sono di contorno, come se fossero suoi satelliti. Se abbinata ad una trama più completa, avvincente e plausibile, questa storia potrebbe essere perfetta, eppure le manca quel collante che faccia chiudere il cerchio senza sforzo, manca quel colpo di scena o quel finale a sorpresa che avrebbe dato un tocco in più alla storia ripagandoci dell’attesa. Per capirci, la Hornby suscita la nostra curiosità in ogni pagina, ma poi non la soddisfa e si finisce per restare delusi. Non mi sento, tuttavia, di non consigliare la lettura di questo libro, perché la figura di Mennù è molto significativa e comunque il quadro rappresenta benissimo uno spaccato socio-culturale della Sicilia e dell’Italia meridionale negli anni del dopoguerra.
Quindi, in definitiva, direi che lo consiglio, ma senza troppe aspettative.

 

Opera recensita: “la mennulara” di Simonetta Agnello Hornby

Editore: Feltrinelli, 2002

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Sicilia, anni 60

Pagine: 209

Consigliato: sì/no.

 

 

giovedì 26 maggio 2016

RECENSIONE: CORBAN ADDISON - L'ALTRA METà DEL SOLE


Sinossi:

Dall'altra parte del sole, forse, può esserci un mondo diverso. Ahalya, diciassette anni e due occhi nocciola profondi e luminosi, ci crede fermamente, anche se la vita le ha portato via tutto: uno tsunami si è abbattuto sul suo villaggio, nel sud dell'India, distruggendole la casa, la famiglia e il futuro, lasciando orfane lei e la sorellina Sita. Forse è proprio la piccola Sita, così innocente e spaventata, a dare ad Ahalya la forza di resistere, anche adesso che le due ragazzine si trovano a Mumbai,… prigioniere in un bordello. Ogni sera, Ahalya racconta alla bimba una favola: una delle mille storie che, in un tempo ormai lontano, la nonna sussurrava loro per farle addormentare, e che parlano di fi ori, magia e spiriti buoni. Finché un giorno, tornando come ogni sera nella loro stanza spoglia, Ahalya non trova più traccia della sorella...
Non c'è nulla di così impossibile da non poterlo almeno sognare. È per questo che Thomas Clarke, avvocato, ha scelto di lavorare nel campo della difesa dei diritti umani. Sarà un ingenuo, forse, eppure non ha mai smesso di credere in una cosa soltanto: la giustizia. Così, dopo che il suo studio legale lo ha licenziato senza tante spiegazioni, Thomas parte per l'India, per unirsi a un team internazionale di avvocati che, come lui, vogliono rendere il mondo un posto più bello. O almeno provarci. E quando Thomas incontra Ahalya, bellissima nonostante la tristezza negli occhi, e ascolta la sua storia, decide di mettersi in cerca della sorellina scomparsa. Ingaggiando una battaglia che si rivelerà molto più grande di lui. E che solo un vero sognatore può combattere fi no alla fi ne. L'altra metà del sole è una storia epica e potente, scritta con passione e bravura da un giovane avvocato americano, e diventata subito un caso suscitando l'ammirazione di John Grisham, che per la prima volta ha accettato di promuovere un autore esordiente.

 

Quando possiamo dire che un libro ci piace? Quando ci coinvolge, quando provoca una scossa dentro di noi, quando ci trasmette qualcosa di forte. Per questi motivi dico che “l’altra metà del sole”, romanzo d’esordio dello scrittore americano Corban Addison, mi è piaciuto, o meglio, è entrato nella top 10 dei miei libri preferiti: alla fine della lettura il mio mondo interiore aveva subito una scossa, si era come allargato.

Il tema, trattato con incredibile bravura, tatto e competenza dall’autore, è poco esplorato: si parla della tratta delle minorenni che spesso vengono usate come prostitute nei bordelli più malfamati, oggetti sessuali di insospettabili pervertiti, anche attraverso la diffusione del loro corpo in rete, a miliaia di chilometri di distanza.

Poche righe sopra ho detto che dopo aver letto questo libro il mio mondo si è allargato, sì, è vero, perché mi si è aperta di fronte una finestra di squallore, degrado e depravazione di portata enorme che conoscevo poco. Ma mentre leggevo di Sita e di sua sorella mi si è stretto il cuore. Il solo immaginare che le umiliazioni subite dalle due ragazze siano reali e che proprio in questo momento qualcuno potrebbe essere costretto a subirle fa male; ed il fatto che chi cerca di fare qualcosa per salvare queste anime sventurate venga ostacolato in tutti i modi possibili fa venire rabbia, frustrazione e tristezza. E tutto questo è assolutamente reale, succede a due passi dalla nostra bella società moderna.

Leggete questo libro, vi aprirà un mondo e vi affezionerete ai suoi protagonisti. Corban Addison poi è davvero bravo, scrive bene e trasmette tutta la drammaticità e la forza del difficile argomento trattato; peraltro si occupa personalmente, come avvocato, di difesa dei diritti umani, quindi sa bene di cosa parla e questo traspare dalle pagine del libro. Suo è un altro bellissimo romanzo, “i fiori di sabbia”, ambientato in Africa, che pure vi consiglio caldamente. E non vedo l’ora di leggere il suo prossimo libro, non ancora uscito in Italia, ma pubblicato in America qualche mese fa con il titolo “the tears of dark water”: sarà sicuramente un'altra emozione!

 

Opera recensita: “l’altra metà del sole” di Corban Addison

Editore: Sperling & Cupfer, 2012

Genere: narrativa internazionale

Ambientazione: India, Francia, America

Pagine: 396

Consigliato: decisamente sì

Consigli correlati:

Libri: “i fiori di sabbia” di Corban Addison.

 

mercoledì 25 maggio 2016

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - LO SCHELETRO CHE BALLA


Sinossi:

Ex detective dalla mente raffinatissima ma costretto su una sedia a rotelle, Lincoln Rhyme sta inseguendo un ingegnoso serial killer capace di trasformarsi con abilità camaleontica a mano a mano che uccide le sue vittime. Una sola di esse è vissuta abbastanza a lungo per offrire un indizio agli inquirenti: il tatuaggio dipinto sul braccio dell'assassino, che mostra uno scheletro nell'atto di ballare con una donna di fronte a una bara. Rhyme ha soltanto quarantott'ore prima che il diabolico criminale colpisca di nuovo, ma almeno può contare ancora sulla bella Amelia, l'instancabile poliziotta che sostituisce le sue braccia e le sue gambe inferme.


 Eccomi qui a parlarvi del secondo libro della serie di indagini con protagonista Lincoln Rhyme, l’istrionico criminalista tetraplegico che abbiamo già incontrato ne “il collezionista di ossa”. Questo secondo thriller è simile al precedente, ma un po’ più lento e tecnico: oltre a renderci edotti su ogni tipo di prova ed attrezzatura scientifica usata da Rhyme e dalla sua equipe, Deaver qui si sofferma spesso e per lungo tempo sul mondo dell’aviazione. Lunghe e dettagliate sono le descrizioni dei voli, degli aerei, delle loro parti meccaniche e reazioni chimiche. Questo estremo tecnicismo può risultare, a volte, un po’ pesante e portare ad un calo dell’attenzione del lettore che in alcuni punti del libro viene distratto dall’azione del killer e dalle indagini per molto tempo. Anche il personaggio del killer, dello scheletro che balla, è trattato in modo un po’ troppo sommario, forse per colpa del colpo di scena che darà una svolta netta più o meno a tre quarti del libro. L’idea del diversivo, del cambio repentino del punto di attenzione, è riuscitissima sul piano tattico, della trama, ma purtroppo ha come contraccolpo la la troppa poca cura nel delineare la psicologia del killer.
Per il resto la struttura è grossomodo quella del primo romanzo, con gli stessi personaggi principali ai quali ci siamo ormai affezionati. Ed è proprio questa la parte, a mio parere, pregevole del libro: il fatto che sia più lento rispetto al collezionista di ossa ci permette di analizzare più a fondo la già tracciata psicologia di ognuno dei personaggi che in questo romanzo subiscono un’evoluzione ed un assestamento. In particolare Rhyme ed Amelia Sachs, la sua preziosa aiutante ed amica, stanno consolidando il loro rapporto che fatica a trovare una dimensione chiara fino alla fine del libro. Amelia è brillante, intelligentissima e molto, molto valida ed è testarda quasi quanto Rhyme: è per questo che i due hanno un’intesa così perfetta sul lavoro ed anche gli stessi problemi di autostima nella vita privata. Ma alla fine, parlando e chiarendosi si può trovare un’intesa anche sul piano personale, se solo si trova il coraggio di superare le proprie incertezze e le proprie paure.
Nel complesso direi che anche questo libro ha superato la prova e Lincoln e Amelia mi sono, ormai, sempre più cari!

 

Opera recensita: “Lo scheletro che balla” di Jeffery Deaver

Editore: Sonzogno, 1999

Genere: thriller
Ambientazione: New York
Pagine: 413

Consigliato: sì

lunedì 23 maggio 2016

RECENSIONE: MARIAPIA VELADIANO - LA VITA ACCANTO


Sinossi:

Rebecca è nata irreparabilmente brutta. Sua madre l'ha rifiutata dopo il parto, suo padre è un inetto. A prendersi cura di lei, la zia Erminia, il cui affetto però nasconde qualcosa di terribile, e la tata Maddalena, affettuosa e piangente. Ma Rebecca ha mani bellissime e talento per il piano. Grazie all'anziana signora De Lellis, Rebecca recupera un rapporto con la complessa figura della madre, scoprendo i meccanismi perversi della sua famiglia. E nella musica trova un suo modo singolare di riscatto, una vita forse possibile. La Veladiano racconta senza sconti l'ipocrisia, l'intolleranza, la crudeltà della natura, la prevaricazione degli uomini sulle donne, l'incapacità di accettare e di accettarsi, la potenza delle passioni e del talento.

 

Il libro di cui vi parlo oggi è bello, ma difficile. Questa è una storia che non piace, una storia che non si vorrebbe ascoltare… proprio come gli abitanti di Vicenza non vorrebbero vedere Rebecca. E non solo i cittadini comuni, ma anche la famiglia, i compagni di scuola e i loro genitori non vogliono guardare in faccia la dura, durissima realtà con cui Rebecca convive. Perché lei è nata con “la tara”, è nata brutta, bruttissima! Sin dalla sua nascita la madre si è chiusa in se stessa, oppressa dal senso di colpa e dall’impotenza di fare qualunque cosa per quella figlia deforme, persino di darle l’amore di cui ha bisogno. Rebecca è costretta ad uscire quando tutta la città si ritira in casa, è costretta a subire le angherie dei compagni di scuola, si fanno riunioni segrete per impedirle di frequentarla quella scuola, al pari di tutti gli altri bambini.
Ma Rebecca ha degli alleati: la tata Maddalena, saggia e devota, che la adora e la protegge;Lucilla, la sua unica amica che sin dal primo giorno di scuola le apre il suo mondo, la sua casa ed il suo cuore; e poi la maestra Albertina che combatte strenuamente perché questa bambina venga trattata come gli altri; e il premuroso ed elegante maestro De Lellis che la indottrina verso quell’arte che le salverà la vita. Ma il più grande alleato di Rebecca sono le sue mani, mani magiche, in grado di scivolare sui tasti di un pianoforte eseguendo, sperimentando, creando e soprattutto suonando il grande dolore che Rebecca ha nel cuore.
Un romanzo forte, diretto e struggente dove Maria Pia Veladiano ci racconta quanto può far male l’incomunicabilità: Rebecca non comunica con la famiglia e con la scuola; sua madre non parla con nessuno, neanche con il marito, lasciandosi pian piano decadere del tutto; la signora De Lellis è creduta pazza perché si rifiuta di conformarsi all’immagine che il mondo vorrebbe di lei… Tutto questo è raccontato senza paura, senza pregiudizi e senza sconti, con uno stile diretto e spiazzante. Confesso che avevo cominciato a leggere questo libro più di un anno fa, ma avevo dovuto interrompere la lettura quasi subito: Rebecca mi respingeva, o forse ero io a mettere un muro tra lei e me, tra la sua storia e la mia… poi, un bel giorno di pochi mesi fa, ho deciso di riaprirlo ed ho abbattuto quel muro… e menomale che l’ho fatto!
Lettura difficile, ma consigliata!

 

Opera recensita: “La vita accanto” di MariaPia Veladiano

Editore: Einaudi, stile libero big, 2011

Genere: narrativa italiana
Ambientazione: Vicenza
Pagine: 172

Consigliato: sì.

 

domenica 22 maggio 2016

RECENSIONE: GIUSEPPE AYALA - CHI HA PAURA MUORE OGNI GIORNO

Sinossi:
Nell'estate del 1992 due esplosioni di enorme potenza annientarono la vita di tre magistrati - Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino - e di otto giovani che li scortavano. Fu un colpo terribile per l'Italia e per chi considerava i giudici del pool antimafia gli eroi di una stagione di straordinario successo nella lotta a Cosa nostra. A Giuseppe Ayala quelle esplosioni strapparono tre amici carissimi, lasciando lo struggente ricordo di dieci anni di vita insieme e un rabbioso, mai sopito rimpianto. Ora, a distanza da quei tragici eventi, Ayala ha deciso di raccontare la sua verità su Falcone e Borsellino, ricordandone il fondamentale contributo alla lotta alla mafia e le attualissime riflessioni sulla Sicilia, Cosa nostra, la giustizia e la politica, ma anche la loro travolgente ironia, la gioia di vivere, le passioni civili e private. La storia di quegli anni, delle vittorie e dei fallimenti, dell'impegno di pochi e delle speranze deluse di molti, riporta al centro dell'attenzione la tremenda capacità di sopravvivenza della Piovra, che si nutre dei silenzi, delle complicità, delle disattenzioni e delle colpe di una Sicilia e di un'Italia che non sono, forse, abbastanza cambiate da allora.

 

Alla vigilia del ventiquattresimo anniversario della strage di Capaci in cui persero la vita il Giudice Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta, vi presento questo libro-testimonianza scritto dal giudice Ayala, loro amico e collaboratore nel pool antimafia di Palermo. Non si tratta di una pubblicazione recentissima, il libro è uscito nel 2007 per Mondadori, ma penso che si tratti di una lettura imprescindibile per ciascuno di noi.

Nell’analizzare questo libro non mi sono chiesta se mi piacesse o meno, non potevo farlo. Perché? Perché si tratta di una testimonianza di vita vera e della vita vera non si può dire “mi piace” o “non mi piace”. Ma c’è di più: qui siamo di fronte alla storia d’Italia, alla storia della nostra società, del nostro tempo, narrata da chi l’ha vissuta sulla propria pelle.

Quella raccontata dal giudice Giuseppe Ayala è una vicenda che ha riguardato lui in prima persona, ma che tocca tutti noi da vicino; è la storia di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, dello stesso Ayala e di tanti altri cittadini onesti che hanno servito lo Stato italiano in prima linea, donando anni di duro lavoro perché noi tutti, non solo Palermo e la Sicilia, potessimo vivere in una società più pulita, non inquinata dal puzzo del marciume e della disonestà. A distanza di quasi vent’anni il giudice Ayala scrive queste memorie e le consegna a noi perché possiamo riflettere su ciò che è stato, imparare dai comportamenti errati e far sì che il sacrificio di tante vite non sia stato vano. Lo so, sembrano frasi fatte, retoriche, già sentite, ma non mi vengono in mente altre parole per descrivere ciò che mi hanno trasmesso queste pagine. Siamo abituati a sentir parlare di Falcone e Borsellino come di personaggi quasi mitologici, inarrivabili, lontani da noi. Ayala, invece, ci presenta degli esseri umani in grado di ridere, di apprezzare un buon Wisky e una bella nuotata e soprattutto di sdrammatizzare sempre, con una battuta, anche nei momenti più duri. Falcone, Borsellino e tutte le altre vittime della mafia non erano creature aliene, extraterrestri, ma cittadini come noi e il loro operato deve essere esempio e guida nelle nostre scelte quotidiane: l’abnegazione per il lavoro, il senso del dovere, la tenacia nel perseguire un obiettivo, la coerenza nelle scelte, la capacità di ingoiare i bocconi più amari… sono tutti valori che, con un po’ di buona volontà, tutti possiamo fare nostri ed applicare nella vita quotidiana.

In 210 pagine il giudice Ayala ci racconta uno spaccato significativo della Sicilia e dell’Italia del ventennio 1970-1990 e lo fa con la passione e la competenza di chi quegli anni li ha vissuti davvero a pieno; Ayala non si risparmia nel descrivere la situazione interna alla magistratura siciliana e nazionale, le invidie, i giochi di potere, le mille scorrettezze; si scaglia contro il CSM, lo Stato, la politica corrotta ed è appassionante leggere le sue analisi puntuali e precise.

Leggendo questo libro non può non tornarmi in mente un altro volume uscito un anno fa, “Noi, gli uomini di Falcone”, scritto dal capitano Angiolo Pellegrini, a capo della sezione anticrimine della polizia di Palermo proprio in quegli anni e mi viene voglia di rileggerlo per confrontare le analisi degli stessi avvenimenti alla luce di quanto ho appena letto di Ayala. Penso che entrambi i volumi, quello più tecnico di Pellegrini e questo più appassionato di Ayala, gettino una luce più chiara e terrena dei fatti accaduti a Palermo ed in Italia in quel lungo e triste periodo della nostra storia.

 

Opera recensita: “chi ha paura muore ogni giorno” di Giuseppe Ayala

Editore: Mondadori 2007

Genere: saggistica/biografia
Ambientazione: Sicilia
Pagine: 210

Consigliato: sì

Consigli correlati:

Libri: A. Pellegrini, “Noi, gli uomini di Falcone”.

 

venerdì 20 maggio 2016

RECENSIONE: VALERIO MIELI - DIECI INVERNI


Sinossi:

Camilla, diciottenne appena arrivata dal paese per studiare letteratura russa, nota tra la folla un ragazzo. Anche lui porta con sé una valigia, anche lui è appena arrivato. I due iniziano a guardarsi: lei è timida e finge di leggere un libro, Silvestro invece è sfacciato e nasconde la sua inesperienza dietro un’ingenua spavalderia. E quando il vaporetto attracca, decide di seguire Camilla per le calli nebbiose di un’isola della laguna. Così comincia un’avventura lunga dieci anni, che porterà i due ragazzi dalla Venezia quotidiana degli studenti fino alla straniante frenesia di Mosca, con i suoi teatri e le enormi strade trafficate. Camilla e Silvestro vivranno altre storie d’amore, si scriveranno, saranno coinquilini nella stessa casetta, ospiti a un matrimonio nella campagna russa e poi ancora passanti distratti nell’affollato mercato di Rialto. Saranno di volta in volta nemici, amici, conoscenti, innamorati, vicini o distanti. Dieci inverni è una storia d’amore, o meglio il prologo di una storia d’amore, raccontata a due voci: ogni inverno è una finestra aperta a curiosare nella vita di due persone che non si perdono mai del tutto e intanto crescono, segnate dal difficile e splendido ingresso nell’età adulta.

 

Qualche tempo fa, nel mio periodo universitario in cui ho visto molti film, mi è capitato di vederne uno intitolato Dieci inverni. Ricordo che era bello, mi piacque, ma mi resi conto che mi stavo perdendo qualcosa dato che non potevo leggere i sottotitoli delle conversazioni in russo. Scoprendo che il film era tratto da un libro pensai che forse quello sarebbe stato più agevole da capire e infatti è stato così.
Eccomi, dunque, a parlarvi di dieci inverni, romanzo di esordio dello scrittore Valerio Mieli che è anche regista dellomonimo film. E un romanzo piacevole e scorrevole e nonostante copra un arco di tempo di dieci anni si legge in poche ore.
E la storia di Camilla e Silvestro, due ragazzi che, nel giorno del loro trasferimento a Venezia per luniversità, si incontrano casualmente su un vaporetto e da quel momento non riusciranno a lasciarsi per i successivi dieci anni. In realtà detta così sembrerebbe la classica favola damore alla e vissero tutti felici e contenti, ma no. Camilla e Silvestro si incontrano, si inseguono, si evitano, si odiano e si consolano senza che tra loro ci sia mai nulla che farebbe pensare allamore. O almeno non allamore come comunemente lo immaginiamo perché in effetti, a pensarci bene, il continuo evitarsi, fraintendersi, cercarsi inconsciamente, non riuscire a smettere di pensare allaltro seppur raramente,  non può forse essere ricondotto, in qualche modo, allamore? I due protagonisti vivono le loro vite diverse, divisi tra Venezia e Mosca, vivono altre relazioni, hanno altri interessi, chi il teatro, chi le lumache, ma alla fine si incontrano inevitabilmente ogni inverno. E forse questa storia dà ragione a chi diceva che chi se ne va non lo fa mai per davvero a meno che non siamo noi a volerlo Mi è piaciuto questo libro? Sì, anche se mi ha lasciato un retrogusto dolceamaro, proprio la stessa sensazione che mi aveva lasciato il film. Ve li consiglio entrambi, tanto più che il film ha un cast di tutto rispetto con Isabella Ragonese, Michele Riondino e il tema musicale principale di Vinicio Capossela.
E una lettura breve, ma che fa riflettere.

 

Opera recensita: Dieci inverni di Valerio Mieli

Editore: Rizzoli, 2009

Genere: narrativa italiana
Ambientazione: Venezia, Russia
Pagine: 210

Consigliato: sì

Consigli correlati:

Film: dieci inverni, 2009, pluripremiato, con regia di Mieli, protagonisti Ragonese e Riondino

Consiglio musicale: Parla piano di Vinicio Capossela.

 

giovedì 19 maggio 2016

RECENSIONE: CLARA SANCHEZ - LA MERAVIGLIA DEGLI ANNI IMPERFETTI


Sinossi:

La luna illumina d'argento la stanza. Fran ha sedici anni e vuole fuggire da quelle mura, da sua madre che non si è mai occupata di lui. Nel piccolo sobborgo di Madrid in cui è cresciuto passa le sue giornate con l'amico Eduardo e sua sorella Tania, di cui è perdutamente innamorato. I due ragazzi non potrebbero essere più diversi da lui. Figli di una famiglia benestante, frequentano le scuole e gli ambienti più esclusivi. Eppure Fran sente che dietro quell'apparenza dorata si nasconde qualcosa. Quando Tania sposa all'improvviso un uomo dal passato oscuro, i dubbi si trasformano in certezze. Eduardo comincia a lavorare per il cognato e tutto cambia. È sempre più solitario e nulla sembra interessargli. Fran ha bisogno di sapere come stanno veramente le cose. Ma la risposta non è mai stata così lontana. Perché Eduardo gli consegna una chiave misteriosa da custodire chiedendogli di non parlarne con nessuno. E pochi giorni dopo scompare. Da quel momento Fran ha un solo obiettivo: deve sapere cosa è successo. Deve scoprire cosa apre quella chiave. Il suo amico si è fidato di lui. La ricerca lo porta a svelare segreti inaspettati. Lo porta su una strada in cui è sempre più difficile trovare tracce di Eduardo. Perché ci sono indizi che devono rimanere celati e a volte il silenzio dice molto di più di tante parole.
Clara Sánchez è un'autrice da un milione e mezzo di copie vendute in Italia. Nel suo paese è l'unica ad aver vinto i tre più importanti premi letterari: Alfaguara, Nadal e Planeta. Con il suo primo libro, Il profumo delle foglie di limone, è da anni in classifica. I lettori e la stampa più prestigiosa la adorano. La meraviglia degli anni imperfetti è un romanzo sulla forza e il coraggio di un ragazzo che scopre come tutto intorno a lui stia cambiando.
Crescere vuol dire anche accettare che non esistono verità assolute, che la vita mette sempre davanti all'imprevisto. Ma non bisogna mai perdere la voglia di sapere, di scoprire, di domandare. Anche se può far paura.

 

 
Fin dal primo post su questo blog vi ho promesso onestà e chiarezza. E’ per questo motivo che non analizzo solo i libri che mi piacciono, ma provo a recensire tutto ciò che leggo, indistintamente.
Perciò stasera mi ritrovo qui a parlarvi di un libro che proprio non mi è piaciuto: si tratta de “La meraviglia degli anni imperfetti”, l’ultimo attesissimo romanzo di Clara Sanchez.
Premetto che questo è solo il mio personalissimo giudizio, magari a qualcun altro questo libro potrà suscitare grandi emozioni… emozioni che io proprio non ho trovato! Se dovessi definirlo direi che questo romanzo è grigio… grigio come il cielo in una giornata di pioggia. E’ assolutamente piatto e noioso, non succede praticamente nulla per 220 di 224 pagine… Anche laddove ci sarebbero degli spunti di azione, di cambiamento nella storia, tutto risulta affogato in una pozzanghera di parole vuote. Anche i rari flashback finiscono per perdersi nella monotonia del racconto e si finisce per leggere senza entusiasmo.
I personaggi, poi, sono poco definiti e contribuiscono a rendere il tutto molto nebuloso; lo stesso protagonista, Fran, risulta apatico sia nel vivere che nel descrivere le proprie sensazioni, emozioni, pensieri. L’amico scompare e lui dimostra un grado di preoccupazione pari a 0, la sua ricerca si limita ad andare a curiosare nell’appartamento del mal capitato dove, dopo qualche tentativo, incontra casualmente la ragazza dell’amico. Anche in questo caso non dimostra affatto nervi saldi: prima afferma con assoluta certezza “non la toccherò mai” e un attimo dopo vorrebbe letteralmente mangiarsela… La stessa apatia la dimostra davanti alle continue stranezze della madre o alla sorte tragica toccata al suo vicino di casa… no, proprio non ci siamo!
Per quanto mi riguarda non lo consiglio e non è un libro che ricorderò!

 
Opera recensita: “la meraviglia degli anni imperfetti” di Clara Sanchez

Editore: Garzanti (narratori moderni) 2016

Genere: narrativa spagnola
Ambientazione: Spagna
Pagine: 224

Consigliato: no.

 

mercoledì 18 maggio 2016

RECENSIONE: CRISTINA CABONI - IL SENTIERO DEI PROFUMI


Sinossi:

ELENA NON SI FIDA DI NESSUNO. HA PERSO OGNI CERTEZZA E NON CREDE PIù NELL'AMORE. SOLO QUANDO CREA I SUOI PROFUMI RIESCE AD ALLONTANARE TUTTE LE INSICUREZZE. SOLO AVVOLTA DALLE ESSENZE DEI FIORI, DEI LEGNI E DELLE SPEZIE SA COME SCONFIGGERE LE SUE PAURE. I PROFUMI SONO IL SUO SENTIERO VERSO IL CUORE DELLE PERSONE. PARLANO DEI PENSIERI PIù PROFONDI, DELLE SPERANZE PIù NASCOSTE: L'IRIS REGALA FIDUCIA, LA MIMOSA DONA LA FELICITà, LA VANIGLIA PROTEGGE, LA GINESTRA AIUTA A NON DARSI PER VINTI MAI. ED ELENA DA SEMPRE HA IMPARATO A ESSERE FORTE. DAL GIORNO IN CUI LA MADRE SE N'è ANDATA VIA, ABBANDONANDOLA QUANDO ERA SOLO UNA RAGAZZINA IN CERCA DI AFFETTO E CAREZZE. DA ALLORA HA POTUTO CONTARE SOLO SU Sé STESSA. DA ALLORA HA CHIUSO LE PORTE DELLE SUE EMOZIONI. ADESSO CHE HA VENTISEI ANNI IL DESTINO CONTINUA A METTERLA ALLA PROVA, MA IL SUO DONO SPECIALE LE INDICA LA STRADA DA SEGUIRE. UNA STRADA CHE LA PORTA A PARIGI IN UNA DELLE MAGGIORI BOTTEGHE DELLA CITTà, DOVE LE FRAGRANZE SI PREPARANO ANCORA SECONDO L'ANTICA ARTE DEI PROFUMIERI. LE SUE CREAZIONI IN POCO TEMPO CONQUISTANO TUTTI. ELENA HA UN MODO UNICO DI CAPIRE ED ESAUDIRE I DESIDERI: è IN GRADO DI REALIZZARE IL PROFUMO GIUSTO PER RICONQUISTARE UN AMORE PERDUTO, PER SUPERARE LA TIMIDEZZA, PER RITROVARE LA SERENITà. MA NON è ANCORA RIUSCITA A CREARE L'ESSENZA PER FARE PACE CON IL SUO PASSATO, PER AVERE IL CORAGGIO DI PERDONARE. C'è UN'UNICA PERSONA CHE HA LA CHIAVE PER ENTRARE NELLE PIEGHE DELLA SUA ANIMA E GUARIRE LE SUE FERITE: CAIL. Cail che conosce la fragilità di un fiore e sa come proteggerlo e amarlo. Perché anche il seme più acerbo, quando il sole arriva a riscaldarlo, trova la forza di sbocciare.
Il sentiero dei profumi è un debutto italiano che è già un fenomeno editoriale internazionale. Conteso in patria dagli editori, è stato venduto in tutta Europa. Cristina Caboni è un'autrice che conquista ed emoziona, che commuove e stupisce. E lo fa con una storia indimenticabile sulle insicurezze dell'animo umano e sul coraggio per affrontarle. Sulle cicatrici del passato che solo l'amore più profondo può rimarginare.

Bello, bello bello! Questo libro è una fiaba profumata, una storia sospesa tra antico e moderno, tra i profumi standardizzati dell’industria moderna e quelli personalissimi, che sanno di altri tempi.
Con grande maestria, Cristina Caboni, in questo romanzo d’esordio, ci conduce in punta di piedi in un mondo delicato, che si regge su un equilibrio in continuo mutamento, come l’essenza di un profumo: un soffio di vento potrebbe cambiare tutto. Ed è così che impariamo a conoscere Elena Rossini, la protagonista di questa bella storia. Elena è insicura, indecisa, ma anche testarda; discende da una famiglia di profumiere fiorentine, tutte impegnate a cercare la “ricetta” del profumo perfetto. Per tanto tempo Elena ha rinnegato il suo talento, ma la vita ha un sentiero già tracciato per ognuno di noi e quello di Elena è riconoscere, analizzare, creare il profumo. La storia si sviluppa tra Firenze e Parigi, due città di per sé magiche che danno proprio l’impressione di vivere tra presente e passato. Tutto parte dal momento in cui Elena scopre di essere stata tradita dal suo ex. Per risollevarle il morale la sua migliore amica le offre un alloggio e un lavoro a Parigi proprio come profumiera. Da qui comincerà per Elena un periodo difficile, come ce ne sono nella vita di ognuno di noi, fatto di alti e bassi, di montagne da scalare, di armi da affilare, ma anche di momenti belli, di sentimenti da coltivare, da trattare con cura perché sono fragili come petali di rosa.
Se leggiamo questo libro con gli occhi disillusi di chi vive nel nostro tempo, la fiaba di Elena potrà anche sembrare troppo bella per essere vera… ma in fin dei conti i libri sono fatti anche per farci sperare. Quindi… cosa ci impedisce di sognare un po’? Grazie a Cristina Caboni per questa bella fiaba moderna! E presto vi parlerò anche del suo ultimo romanzo, “La custode del miele e delle api” che si preannuncia altrettanto emozionante!

 

 
Opera recensita: “il sentiero dei profumi” di Cristina Caboni

Editore: Garzanti (Narratori moderni), 2014

Genere: narrativa italiana
Ambientazione: Firenze, Parigi
Pagine: 400

Consigliato: sìììì!

 

martedì 17 maggio 2016

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - IL COLLEZIONISTA DI OSSA


Sinossi (da Wikipedia):

Il detective della polizia scientifica di New York Lincoln Rhyme, specializzato in medicina legale, un tempo era il miglior criminologo del paese, nonché autore di numerosi testi importanti del settore. Un giorno però un incidente sul lavoro lo costringe per sempre a letto, avendo perso l'uso di braccia e gambe. Amelia Sachs, una poliziotta intelligente e capace, è alla vigilia del suo trasferimento a un nuovo settore: la sua ultima chiamata di pattuglia la porta a scoprire un cadavere orribilmente mutilato. Sulla scena del crimine Rhyme nota qualcosa che suscita la sua attenzione. Ha inizio una stretta collaborazione tra Amelia e Lincoln che li porterà sulle tracce di uno spietato serial-killer.

 

 Avete presente la sensazione che si prova di fronte a qualcosa di estremamente bello? Si vorrebbe dire tanto, ma non si riescono a trovare le parole. Ecco, mi capita proprio questo quando termino la lettura di un BEL libro… anche oggi che ho appena finito di leggere “il collezionista di ossa” di Jeffery Deaver provo esattamente questa sensazione.
Lo so, sembra banale, ma posso solo dirvi che questo libro è bellissimo: appassionante, mozzafiato, ricco di colpi di scena dall’inizio alla fine. Stile incalzante, dettagli curati al massimo e studiati con intelligenza e competenza. Personaggi ben delineati e ben caratterizzati… e tanto, tanto brivido! La sinossi che ho pubblicato sopra non rende piena giustizia al libro: siamo a Manattan, alla vigilia di un’importante conferenza delle nazioni unite. Amelia Sax è al suo ultimo giorno di pattuglia, dopo di che finalmente si trasferirà agli affari pubblici. Una chiamata, una mano insanguinata spunta dalla terra sotto ad un binario ferroviario…
Lincoln Rhyme è a casa sua con Tom, il suo assistente, sta aspettando il dottor Berger, il medico che lo aiuterà a morire… finalmente… non ne può più di una vita senza sensazioni, senza potersi nemmeno grattare il naso o andare in bagno autonomamente… ma invece del medico arriva Lon Sellitto, un vecchio amico della polizia, con un nuovo caso, un bel kasino in realtà, e vuole per forza che ad occuparsene sia lui, Rhyme… Da qui parte una infinita serie di aggressioni, ferite, indizi, prove, scene del crimine che non lasciano il tempo di annoiarsi!
Questo è un Thriller con la T maiuscola, al cardiopalma… ma al di là delle vicende dell’assassino, il collezionista di ossa, non si può non affezionarsi ai protagonisti, Lincoln e Amelia ed a tutti gli altri membri della polizia: ho finito per provare simpatia anche per Sellitto, Cuper e gli altri oltre all’empatia per Rhyme e Sax! Avevo visto, diversi anni fa, il film tratto da questo libro e ricordo che mi era piaciuto molto. I protagonisti erano due tipi sconosciuti a caso, mi pare che si chiamino Denzel Washington e Angelina Jolie. Mentre leggevo mi sembrava di avere nelle orecchie la voce di Francesco Pannofino (che doppiava Rhyme) anche a distanza di tanto tempo: lo so è assurdo! Ma non è finita qui: ho scoperto che questo è solo il primo di 11 volumi della serie di indagini di Lincoln Rhyme!!! Inutile dire che prima o poi li leggerò tutti! Ah, inutile dire anche che il libro mi è piaciuto più del film! Leggetelo se volete un bel po’ di emozioni!

 

Opera recensita: “il collezionista di ossa” di Jeffery Deaver

Editore: Sonzogno, Milano, 1998

Genere: Thriller
Ambientazione: New York
Pagine: 446

Consigliato: sì

Consigli correlati:

Libri: tutti i successivi della serie

Film: “il collezionista di ossa” 1999 con D. Washington e A. Jolie.

 

domenica 15 maggio 2016

RECENSIONE: RICHARD C. MORAIS - AMORE, CUCINA E CURRY


Sinossi:

HASSAN HAJI, SECONDOGENITO DI SEI FIGLI, è NATO SOPRA IL RISTORANTE DI SUO NONNO, IN NAPEAN SEA ROAD A BOMBAY, VENT'ANNI PRIMA CHE FOSSE RIBATTEZZATA MUMBAI. ED è CRESCIUTO GUARDANDO LA FIGURA ESILE DI SUA NONNA CHE SFRECCIAVA A PIEDI NUDI SUL PAVIMENTO DI TERRA BATTUTA DELLA CUCINA, PASSAVA SVELTA LE FETTINE DI MELANZANA NELLA FARINA DI CECI, DAVA UNO SCAPPELLOTTO AL CUOCO, GLI ALLUNGAVA UN CROCCANTE DI MANDORLE E RIMPROVERAVA A GRAN VOCE LA ZIA. TUTTO NEL GIRO DI POCHI SECONDI. E HA CAPITO INFINE COME VA IL MONDO OSSERVANDO SUO PADRE, IL GRANDE ABBAS, GIRARE TUTTO IL GIORNO PER IL SUO LOCALE A BOMBAY COME UN PRODUTTORE DI BOLLYWOOD, GRIDANDO ORDINI, MOLLANDO SCAPPELLOTTI SULLA TESTA DEGLI SCIATTI CAMERIERI E ACCOGLIENDO COL SORRISO SULLE LABBRA GLI OSPITI. NATURALE CHE QUANDO L'INTERA FAMIGLIA HAJI SI TRASFERISCE, DOPO LA TRAGICA SCOMPARSA DELLA MADRE DI HASSAN, PRIMA A LONDRA E POI A LUMIèRE, NEL CUORE DELLA FRANCIA, SIA PROPRIO LUI, HASSAN, A PRENDERE IL POSTO DELLA NONNA AMMI AI FORNELLI DELLA MAISON MUMBAI, IL RISTORANTE APERTO A VILLA DUFOUR DAL GRANDE ABBAS. UN LOCALE MAGNIFICO PER GLI HAJI, CON UN'IMPONENTE INSEGNA A GRANDI LETTERE DORATE SU UNO SFONDO VERDE ISLAM, E LA MUSICA TRADIZIONALE INDOSTANA CHE RIECHEGGIA DAGLI ALTOPARLANTI DI FORTUNA CHE ZIO MAYUR HA MONTATO IN GIARDINO. PECCATO CHE ABBIA DI FRONTE UN ALBERGO A DIVERSE STELLE, LE SAULE PLEUREUR, LA CUI PROPRIETARIA, UNA CERTA MADAME MALLORY, SIA ANDATA A PROTESTARE DAL SINDACO PER LA PRESENZA DI UN BISTRò INDIANO.

 
L’estate è alle porte e tra poco scatterà la caccia ai libri da portare sotto l’ombrellone, ma noi siamo previdenti e cominciamo ad organizzarci sin d’ora!
Per esempio, se vi piacciono i romanzi non molto impegnativi, che scorrono via tranquilli strappando qualche risata e qualche spunto di emozione, potreste leggere questo “Amore, cucina e curry”, dove il cibo la fa da padrone.
Il libro racconta la storia di Hassan Agi, un bambino nato e cresciuto nella cucina del ristorante di famiglia all’estrema periferia di Bombay, sotto gli occhi di un padre eccentrico, di una super nonna e della ricca Malabar Hill, luogo simbolo di un’India in rapido ed inesorabile cambiamento. Dall’India la famiglia Agi si trasferisce prima a Londra, poi a Lumière, un paesino del Giura francese. Qui gli Agi cercano finalmente di superare il grave lutto che hanno subito in India e di ambientarsi in un luogo sconosciuto facendo ciò che sanno fare meglio: cucinare. Ma non tutti gli abitanti di Lumière sono disposti a sopportare un rumoroso ristorante indiano che disturba la quiete, il decoro e le consolidate abitudini del paese. La ricca e famosa chef Madame Mallory darà parecchio filo da torcere ad Hassan ed alla sua famiglia. Tuttavia questa anziana donna sarà una figura fondamentale nella formazione professionale di Hassan che, grazie ai suoi consigli, diventerà un grande chef.
Lo so, detta così la storia sembra un po’ contraddittoria, ma in effetti lo è: questo libro è pieno di contraddizioni. I quartieri di Bombay a cavallo dei quali sorge il ristorante degli Agi sono quanto di più contrastante possa esistere; la bianca tranquillità di Lumière contrasta con il colorato caos del Maison Mumbay, le origini asiatiche di Hassan contrastano con lo stereotipo dello chef simbolo dell’alta cucina francese… ma il libro, a parer mio, è bello proprio per questo. Chi ha detto che due realtà apparentemente molto diverse fra loro non possano convivere completandosi e migliorandosi a vicenda?
Vi dirò che all’inizio il libro può sembrare un po’ statico e noioso, ma via via che si conoscono meglio i personaggi ci si appassiona alle loro storie e si cerca di capirne i comportamenti. In definitiva, non si tratta certamente di un libro trascendentale o di un capolavoro della letteratura, ma di sicuro è una lettura piacevole e non impegnativa. E poi ha quel respiro multiculturale che a me piace tanto!

 
Opera recensita: “amore, cucina e curry” di Richard C. Morais

Editore: Neri Pozza (Le tavole d’oro) 2014

Genere: narrativa internazionale
Ambientazione: Bombay, Londra, Lumière, Parigi
Pagine: 288

Consigliato: direi di sì, ma per lettura non impegnativa

Consigli correlati:

Libri sullo stesso stile: “Profumo di spezie proibite” di Priya Basil.

 

sabato 14 maggio 2016

RECENSIONE: HERMANN HESSE - SIDDHARTA


Sinossi:

Chi è Siddhartha? È uno che cerca, e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita. Passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità,

dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perché ciò che

va cercato è il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti cangianti. E alla fine quel tutto, la ruota delle apparenze, rifluirà dietro il

perfetto sorriso di Siddhartha, che ripete il «costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso

di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l’aveva visto centinaia di volte con venerazione».

 

 

Questo libro è stato pubblicato per la prima volta nel 1922, ma credo di non sbagliare nel definirlo un libro senza tempo.

In questo capolavoro Hermann Hesse narra, con chiarezza, semplicità e poesia, la vita di Siddharta, il giovane figlio di un bramino che, guidato dalla sua infinita sete di conoscenza, lascia la casa del padre per unirsi agli asceti Samana. Un bel giorno Siddharta accompagna l’amico fidato Govinda a sentire la spiegazione della dottrina del Buddha Gotama direttamente dalla calma e gentile voce del Maestro. Govinda decide di unirsi ai monaci adepti del Sublime, mentre Siddharta prosegue il suo cammino, il suo pellegrinaggio alla ricerca della libertà. Questo cammino lo conduce tra le braccia di Kamala, gli dona infinite ricchezze ed un indicibile tedio, finchè un giorno Siddharta non torna nel bosco da cui era partito, alla ricerca di se stesso e della sua anima.

Questo è un romanzo breve, ma intensissimo: si legge in un pomeriggio, ma se accompagnato dalla giusta riflessione, può lasciare insegnamenti validi per la vita. Ed il sapiente Hesse ci racconta questa storia da osservatore esterno, quasi come se stesse raccontando una fiaba, una leggenda tramandata da generazioni eppure presente e viva davanti ai suoi occhi. Scrive con il rispetto ed il distacco reverenziale con cui si parla dei grandi uomini, degli illuminati, dei “Perfetti”.

Se non l’avete ancora fatto, investite tre ore del vostro tempo per leggere questo capolavoro che obbliga alla riflessione… non ve ne pentirete.

 

Opera recensita: “Siddharta” di Hermann Hesse

Editore: Adelphi (1922 prima ed.)

Genere: letteratura tedesca

Pagine: 180

Consigliato: sì

 

venerdì 13 maggio 2016

RECENSIONE: PAULA HAWKINS - LA RAGAZZA DEL TRENO


Sinossi:
La vita di Rachel non è di quelle che vorresti spiare. Vive sola, non ha amici, e ogni mattina prende lo stesso treno, che la porta dalla periferia di Londra al suo grigio lavoro in città. Quel viaggio sempre uguale è il momento preferito della sua giornata. Seduta accanto al finestrino, può osservare, non vista, le case e le strade che scorrono fuori e, quando il treno si ferma puntualmente a uno stop, può spiare una coppia, un uomo e una donna senza nome che ogni mattina fanno colazione in veranda. Un appuntamento cui Rachel, nella sua solitudine, si è affezionata. Li osserva, immagina le loro vite, ha perfino dato loro un nome: per lei, sono Jess e Jason, la coppia perfetta dalla vita perfetta. Non come la sua.
Ma una mattina Rachel, su quella veranda, vede qualcosa che non dovrebbe vedere. E da quel momento per lei cambia tutto. La rassicurante invenzione di Jess e Jason si sgretola, e la sua stessa vita diventerà inestricabilmente legata a quella della coppia. Ma che cos’ha visto davvero Rachel?
Nelle mani sapienti di Paula Hawkins, il lettore viene travolto da una serie di bugie, verità, colpi di scena e ribaltamenti della trama che rendono questo romanzo un thriller da leggere compulsivamente, con un finale ineguagliabile. Decisamente il debutto dell’anno, ai vertici di tutte le classifiche".

Non tutti i giorni sono uguali, si sa: ci sono giornate sì e giornate no… non si può sempre essere allegri, frizzanti, positivi, ma comunque ogni giorno va vissuto fino in fondo e condotto alla sua fine naturale con dignità.
Beh, lo stesso vale per i libri: non tutti i libri ci piacciono, alcuni proprio ci risultano indigesti e ci chiediamo perché mai li abbiamo cominciati… eppure sarebbe fin troppo facile lasciarli lì, incompiuti… io, per esempio, non ci riesco: quando comincio un libro che non mi piace devo portarlo, prima o dopo, fino alla conclusione altrimenti sento un peso sulla coscienza! Ma perché tutta questa premessa? Solo per dirvi che il libro di cui vi parlo oggi, “la ragazza del treno” di Paula Hawkins, ha costituito un duro attacco alla mia forza di volontà! Appena è uscito non vedevo l’ora di leggerlo, complice la campagna pubblicitaria allettante che lo annunciava come il caso editoriale del 2015. In effetti in Inghilterra e negli Stati Uniti questo libro ha scalato le classifiche vendendo milioni di copie in poche settimane. Quando l’ho avuto fra le mani e con le migliori aspettative mi sono apprestata a leggerlo… beh, le cose sono cambiate! Ho fatto una fatica assurda a finirlo, ho dovuto sforzarmi per arrivare alla fine proprio con la curiosità di capire che cosa ci avessero visto gli altri, cosa di così bello li avesse portati a definirlo “caso editoriale”! E in effetti, a pensarci bene, è proprio un caso editoriale: come può un libro così brutto, pesante, noioso arrivare in vetta alle classifiche? Complimenti al marketing!
Ma veniamo a qualcosa di più concreto rispetto al mio, modestissimo, giudizio… Di cosa parla questo “thriller”? Di una ragazza, anzi una donna, Rachel, che ogni mattina prende il treno per raggiungere Londra da un paesino in periferia dove vive, momentaneamente ospite di un’amica. Rachel va a Londra per lavorare, o meglio questo è ciò che vuol far credere alla sua amica, all’ex marito, alla madre, a se stessa. Dal finestrino del treno Rachel vede sempre lo stesso paesaggio, le stesse case, la stessa coppia che fa colazione in veranda. Rachel non conosce quelle persone, ma crea una sorta di vita immaginaria per quella coppia che le sta così simpatica e che arbitrariamente chiama Jess e Jason. Ma un bel giorno la vita immaginaria costruita da Rachel si dissolve e la realtà pian piano si svela ai suoi occhi perennemente annebbiati dai fumi dell’alcool. Sì perché Rachel beve, beve molto, al punto da non ricordare le azioni che compie, al punto da confondere la realtà con l’immaginazione. Un giorno, però, mentre cerca ossessivamente di ricordare cosa ha fatto alcune sere prima, la realtà le si svela come per magia e così ricorda, collega gli elementi di quel fatidico sabato sera in una stazione della metro, ricostruisce il puzzle della sua vita e trova il colpevole di un omicidio. Questa, a grandi linee, è la storia narrata in questo libro… è una storia squallida, grigia, fumosa come i fumi dell’alcool che annebbia la mente di Rachel dalle 8 del mattino alle 10 di sera; è una storia di degrado, di insoddisfazioni, sensi di colpa e recriminazioni, di vite allo sbando, complicate, come in effetti ce ne sono tante… ma in questo libro manca la positività, manca una possibilità di redenzione e la trama finisce per essere troppo assurda per essere realistica.
Leggendo ci si sente quasi pervadere da quella grigia apatia mista a rassegnazione che caratterizza irrimediabilmente le giornate della protagonista; inoltre il suo brusco risveglio, nelle ultime pagine del libro, risulta paradossalmente finto, poco plausibile. Ecco perché non mi è piaciuto questo “la ragazza del treno”, ecco perché proprio non mi sento di consigliarlo, anche se a quanto pare vado controcorrente. Tanta attesa prima di leggerlo, tante aspettative e poi… deludente! Sicuramente non vedrò il film tratto da questo libro, in uscita entro il 2016!.

 
Opera recensita: “la ragazza del treno” di Paula Hawkins

Editore: Piemme, 2015

Genere: narrativa internazionale
Ambientazione: Londra
Pagine: 306

Consigliato: no.

giovedì 12 maggio 2016

RECENSIONE: ERICH EMMANUEL SCHMITT - LA GIOSTRA DEL PIACERE


Sinossi:

Place d’Arezzo a Bruxelles ospita misteriosamente da decenni pappagalli di ogni specie. Si dice che molto tempo fa un console brasiliano abbia liberato i suoi volatili che hanno così occupato il parco nella piazza, riproducendosi e popolando il posto con i loro colori sgargianti e le loro voci evocative. Attorno a questa piazza vivono vari personaggi che ricevono un giorno la stessa lettera autografa: “Questo biglietto solo per dirti che ti amo. Firmato: tu sai chi”. Un messaggio d’amore, apparentemente innocuo, le cui conseguenze a catena però sconvolgeranno la vita degli abitanti della piazza, mischiandoli in un groviglio di eventi tragici o comici sempre più sorprendenti. Perché queste persone, ognuna con la sua storia, la sua vita sessuale, i suoi segreti, sono o diverranno molto più legate tra loro che non per il semplice fatto di vivere nello stesso luogo.

 


Se mi chiedessero di scegliere un aggettivo per descrivere il romanzo di cui vi parlo oggi, sceglierei “sorprendente”. Perché?
Perché dal primo all’ultimo capitolo questo romanzo erotico-enciclopedico non ha smesso un attimo di stupirmi, di sorprendermi per la maestria dell’autore nel raccontare le storie dei suoi tanti e diversi personaggi. Ma come al solito mi lascio prendere dalle emozioni: andiamo con ordine.

Immaginate una piazza piena di pappagalli e cocorite coloratissimi e rumorosissimi. No, non siamo a Rio dejaneiro! Questa è una bella e ricca piazza di Bruxelles, chiamata Place D’arezzo, in onore del monaco che inventò il nostro sistema di note musicali. Immaginate che questa piazza sia una grande giostra: voi, fermi in un punto esterno, la guardate girare incessantemente e davanti a voi sfilano gli occupanti; immaginate poi di avere accanto una vocina che vi racconta nel dettaglio tutte le loro storie, le loro variegate abitudini sessuali, i loro amori, le pulsioni, i timori: c’è l’economista malato di sesso, la signora di mezza età che pensa di non avere più speranze, il giardiniere belloccio, la quindicenne che si crede trentenne e via così in uno scenario caleidoscopico come i colori dei volatili che abitano la piazza. Ad ogni giro della giostra il racconto sui vari personaggi diventa più approfondito, il quadro assume tratti più definiti, il puzzle si completa.

Vi figurate la scena? Bene! E’ proprio questa la sensazione che si ha leggendo questo romanzo scritto in modo magistrale! Tutto parte da un biglietto anonimo che gli abitanti di Place d’Arezzo ricevono in momenti diversi. Ovviamente anche le singole reazioni sono molto diverse tra loro perché il biglietto arriva in case, negozi, storie, vite diverse. Ciò che questa strana busta color canarino scatena è, come dicevo all’inizio, sorprendente. Tutti, chi più chi meno, cercano di capire chi sia il mittente del misterioso biglietto e più l’indagine avanza più ci si addentra nelle vite dei personaggi; quanto più si va avanti con la ricerca tanto più dall’eros ci si avvicina all’amore. E alla fine le singole esistenze saranno legate tra loro non solo per il fatto di abitare tutte nella stessa eccentrica piazza.

Ma non pensate ad un racconto piatto tipo gazzetta della cronaca locale o sovreccitato come i pettegolezzi di una vecchia comare al bordo della strada! L’autore è lucido, competente, attento a centellinare le informazioni e non mancano i colpi di scena fino all’ultima pagina, ma non voglio svelarvi di più, perché rischierei di rovinarvi la sorpresa. Vi dico solo che questo libro è bellissimo perché analizza con il giusto mix di intelligenza, consapevolezza, ironia, mancanza di pregiudizi, la società europea dei giorni nostri. Tra gli abitanti di Piazza d’Arezzo troveremo sicuramente un amico, un familiare, un conoscente o magari noi stessi, chi può dirlo? Con la scusa di analizzare le abitudini sessuali dei singoli, Schmitt ne scandaglia i comportamenti, le attitudini, i pensieri, i ricordi. E’ un’analisi psicologica intelligente, attenta e mai invadente o volgare. Inutile dire che mi è piaciuto davvero moltissimo e penso che, se dovessi dare un voto, stavolta il massimo sarebbe pienamente meritato. Perché? Perché sia durante la lettura sia alla fine del libro mi è capitato più volte di restare senza parole per la sorpresa e l’emozione.
Bello, lettura caldamente consigliata!

 
Opera recensita: “la giostra del piacere” di E. E. Schmitt

Editore: edizioni e/o (2013)

Genere: narrativa europea
Ambientazione: Bruxelles
Pagine: 720

Consigliato: sììììì!!!

mercoledì 11 maggio 2016

RECENSIONE: FEDOR DOSTOEWSKIJ - IL GIOCATORE


Sinossi:

Divorato da un'insana passione per l'ambigua Polina che sembra non ricambiarlo, il giovane Aleksej si lascia sedurre dal demone del gioco, che lo trascina fatalmente verso una progressiva e inesorabile discesa agli inferi. Per ritrovarsi prigioniero di un mondo oscuro eppure pieno di luci che affascinano e illudono. Un mondo in cui, svanita l'ipocrisia, si rivela tutta la casualità della vita, dove il confine tra fallimento e trionfo lo stabilisce il rimbalzare di una pallina bianca e non c'è spazio per nessuna morale. Una vicenda "scherzosa", come scrive Ginzburg, in cui alla fine non c'è redenzione, ma solo la consapevolezza disillusa e divertita di chi ha accettato le regole del gioco.

 
Oggi mi prendo una bella responsabilità, quella di recensire un’opera di un grande autore russo, il tanto amato da molti e mal digerito da altri, Fedor Dostoewskij.

Di questo autore ho letto altri libri, non ancora i romanzi lunghi, ma finora questo è quello che preferisco: non è breve come il pure bellissimo racconto “le notti bianche”, ma si fa leggere velocemente sia perché la scrittura è incalzante, sia perché le vicende raccontate sono appassionanti.
Il giovane precettore Alexej, intelligente, ma forse un po’ suscettibile, è in vacanza con la famiglia dei suoi alunni presso una località tedesca di fantasia, denominata Roulettenburg. Per fare un piacere alla giovane ed egoista Polina di cui è innamorato, Alexej si avvicina al tavolo da gioco e da quel momento, per un motivo o per l’altro, non riuscirà più a staccarsene. Tra vincite e perdite la storia prosegue con una suspense sempre crescente, fino al culmine, la vincita stratosferica che porterà il precettore alla volta di Parigi al fianco della volubile, sciocca e bella Mademoiselle Blanche.
In questo libro Dostoewskij affronta tanti temi raccontando le diverse vicissitudini umane: parla del pericolo costituito dal gioco d’azzardo, la cui malia travolge il protagonista possedendone l’anima e il corpo, distogliendolo a dirittura dall’amore per Polina; parla dei più disparati comportamenti umani, la doppiezza del francese, la vanità di Blanche, la superbia vaqua del generale… E poi Dostoewskij sfrutta la varietà di personaggi per rimarcare alcune caratteristiche stereotipate dei popoli europei: i francesi, sia Levrier che Mademoiselle Blanche, sono calcolatori ed infingardi, l’inglese è un ricco e scaltro gentleman che sotto la sua imperturbabilità osserva e studia tutto ciò che lo circonda per sfruttare le situazioni a suo vantaggio; e ce n’è anche per i russi, compatrioti dell’autore… insomma, Dostoewskij, famoso per la sua bravura nell’analizzare l’animo umano,  non le manda certo a dire, qui più chiaramente che in altri romanzi.
Inutile dire che questo libro mi è piaciuto molto, l’ho letto in pochissimo tempo e l’ho trovato istruttivo ed a tratti esilarante, soprattutto con la comparsa della nonna! Questo, poi, è un personaggio assolutamente degno di nota: mentre l’allegra comitiva di vacanzieri attende l’arrivo del telegramma con la notizia della sua morte (che consentirebbe al generale ed ai suoi amici di intascare l’eredità), lei sorprende tutti arrivando a Roulettenburg in carne e ossa, sulla sua poltrona portata di peso da servitori e camerieri. Da qui si genera una serie di situazioni di completo delirio, assolutamente esilaranti! Ma non vi svelo di più, dovete leggerlo per forza!
Un’ultima considerazione: ciò che, a parer mio, rende ancor più straordinario questo libro è il fatto che sia stato scritto in circostanze assai anomale. Dostoewskij fu obbligato a scrivere un romanzo e consegnarlo in brevissimo tempo per far fronte alle scadenze contrattuali impostegli da un poco onesto editore. Così, mentre si dedicava alla stesura di “delitto e castigo”, ha dovuto buttar giù questo racconto a dirittura ricorrendo all’aiuto di una stenografa che sarebbe poi diventata la sua seconda moglie. Ciò che mi ha sorpresa, conoscendo queste vicende, è proprio il risultato: questo non sembra a fatto un libro scritto di fretta, tanto è stato ben confezionato! E’ proprio la lucidità delle analisi, il giusto spazio dedicato ad ogni personaggio o considerazione che mi porta a definirlo straordinario!
Beh, vi ho incuriosito? Spero proprio di sì! Buona lettura!

 
Opera recensita: “Il giocatore” di Fedor Dostoewskij

Editore: Einaudi (Prima ed.: 1941, ultima ed. 2015)

Genere: letteratura russa
Ambientazione: Roulettemburg, Parigi
Pagine: 192

Consigliato: sì