Sinossi:
Seymour Levov è alto, biondo e atletico. Malgrado sia di
origine ebraica al liceo lo chiamano "lo Svedese". Negli anni '50
sposa miss New Jersey, avviandosi
ad una vita di lavoro nella fabbrica del padre. Nella sua
splendida villa cresce Merry, la figlia cagionevole e balbuziente. Finché
arriva il giorno in
cui le contraddizioni del paese raggiungono la soglia del
suo rifugio, devastandola. La guerra del Vietnam è al culmine. Merry sta
terminando la scuola
e ha l'obiettivo di "portare la guerra in casa".
Letteralmente.
Commento:
Lo scrittore Nathan Zuckerman, dopo una rimpatriata tardiva
tra ex compagni di liceo ormai attempati, decide di mettere per iscritto parte
della vita del suo idolo di allora, Seymour Levov, comunemente conosciuto come “Lo
svedese”. E’ lui il vero protagonista di questa storia, non la figlia Merry, balbuziente
e latitante, non la bella e minuta moglie Dawn che ha dismesso i panni di Miss
New Jersey per allevare vacche, ma lui, lo svedese che di svedese ha solo i
tratti del volto, il guantaio che ama il suo lavoro e sa tutto della pelle, il
padre controllato ed amorevole, l’uomo di origini ebree che ha sposato una
cattolica. Da bambino, da adolescente e poi anche da adulto, Seymour eccelle in
tutto ciò che fa, nello sport, nella conduzione dell’azienda di guanti che
eredita dal padre, nel matrimonio con la moglie Dawn, nel rapporto con la
figlia Merry. Ma quando quest’ultima diventa adolescente qualcosa cambia
radicalmente nella vita di Merry, dello svedese ed in quella di un’intera
nazione. Merry, infatti, è destinata a far molto parlare di sé e lo svedese, l’uomo
controllato che sa sempre cosa fare, non riuscirà più a sopportare le
conseguenze di questo cambiamento.
Questo libro è valso a Philip Roth il premio Pulitzer per la
narrativa ed è considerato da molti un capolavoro della letteratura americana;
se fossi una giornalista o un’opinionista prezzolata dovrei osannarlo e farne
lodi sperticate, ma per fortuna sono solo una persona a cui piace leggere,
quindi racconterò solo la mia esperienza di lettura.
Roth mi incuriosiva da tempo ed ho voluto cominciare a
leggerlo proprio da uno dei suoi libri più famosi. Sin da subito, però, la sua
scrittura sembrava respingermi, è stato come se le parole, le frasi mi
sfuggissero nonostante l’estrema concentrazione. Non ho voluto allontanarmi dal
libro, nonostante mi invitasse a farlo ad ogni frase, e sono stata premiata:
superate le prime 70/90 pagine, quando si comincia a parlare della vita di
Levov ed in particolare quando entra in scena Merry il ritmo cambia
sensibilmente e, senza rendersene conto, ci si ritrova in una storia
completamente diversa che cattura ed appassiona. Ma le sorprese, purtroppo non
sono finite: in sostanza il libro alterna pagine di adrenalina e ritmo a pagine
di pura noia e frustrazione per chi legge. Anche la scrittura cambia
sensibilmente passando da incalzante a piatta, ostile e quasi respingente. Il
prodigio, però, è che non si tratta di compartimenti stagni: la narrazione è
così omogenea da spiazzare e le diverse anime di questo libro si compenetrano
perfettamente. Sarà forse questa la bravura di Roth?
In definitiva… personalmente mi sento di consigliare questo
libro, ma con qualche cautela perché di certo non si tratta di una lettura
scorrevole ed agevole, anzi è ostica e talvolta pesante. Però alla fine, quando
lo chiuderete, sarete soddisfatti perché sentirete di aver letto un buon libro,
o almeno questo è ciò che è successo a me.
Opera recensita: “Pastorale americana” di Philip Roth
Editore: Einaudi, prima ed. 1997
Genere: narrativa americana
Ambientazione: Stati Uniti, anni 60
Pagine: 425 (ed. Einaudi 2005)
Prezzo: 14,00 € (ed. Einaudi 2005)
Consigliato: sì/no.
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