Sinossi:
Oxforshire, Inghilterra. Estate 1956. Figlio di maggiordomo,
e maggiordomo egli stesso, l'anziano Stevens ha trascorso gran parte della sua
vita in una
antica dimora inglese di proprietà di Lord Darlington,
gentiluomo che egli ha servito con devozione per trent'anni. Con altrettanta
fedeltà egli si accinge
ora a entrare al servizio del nuovo proprietario di quella
dimora, l'americano Mr. Farraday, desideroso di acquisire, assieme ed
attraverso la casa, anche
quanto di antico, per storie e tradizione, a essa si
accompagni. Ed è su invito del nuovo padrone che Stevens intraprende, per la
prima volta nella sua
vita, un viaggio in automobile nella circostante campagna
inglese. Questo viaggio si risolverà in un inquietante viaggio dentro se
stessi.
Commento:
Kazuo Ishiguro ha ricevuto il premio Nobel per la
letteratura proprio nel 2017 e quest’importante riconoscimento gli è stato
conferito soprattutto grazie ai suoi romanzi. Questo, in particolare, è forse
il suo libro più famoso ed è da molti etichettato come “capolavoro”.
Personalmente, tuttavia, non l’ho trovato così eccelso, sebbene riconosca che
sia un buon libro.
Il protagonista, incaricato anche di narrare la storia in
prima persona, è Stevens, anziano maggiordomo di un’eminente dimora inglese
che, per la prima volta nella sua vita, intraprende un viaggio di piacere e, in
parte, anche di lavoro. Stevens ha dedicato la sua vita al lavoro, non è
esistito altro per lui che la fedeltà al padrone, il rispetto del protocollo e
di un alto concetto di dignità imposta dalla sua professione; Stevens ha
affidato le sue scelte e anche le sue non scelte al giudizio e alle necessità
del suo padrone, impedendosi quasi di provare alcuna emozione o curiosità,
anche quando sarebbe stato più che umano provarne. Questo, e Stevens se ne
renderà conto a fine libro, gli ha impedito di vivere una vita sua, gli ha
impedito di manifestare affetto, collera, commozione, reale amicizia nei
confronti di chiunque, anche di una donna che lo amava. Ora, a distanza di
tempo, Stevens coglie l’occasione di questo viaggio per rivederla e, dice lui,
per sentire se sta bene ed ha voglia di tornare a lavorare a Darlington Hall
che difetta di personale: giammai l’irreprensibile Stevens si sarebbe, infatti,
concesso il piacere di una vacanza o avrebbe ammesso con se stesso di andarla a
trovare per il puro desiderio di vederla. Ed è proprio questa donna, in fin dei
conti, la persona più ragionevole e viva del romanzo.
Ciò che colpisce inevitabilmente in queste pagine è il
registro linguistico: il linguaggio è volutamente alto, ampolloso, con costrutti
mai banali o volgari. Giacché è Stevens a parlare per tutto il tempo, il
linguaggio trasmette perfettamente il tipo di immagine che l’autore vuole darci
di lui e diventa parte del personaggio. Il viaggio, poi, è l’altra costante di
questo libro: non è solo viaggio fisico attraverso la campagna inglese, ma è
soprattutto viaggio interiore nei ricordi di Stevens, negli anni che
precedettero la seconda guerra mondiale, nelle implicazioni storiche delle
macchinazioni poste in essere da Lord Darlington, padrone di Stevens, per il
bene e la pace dell’Europa.
Un libro senza dubbio scritto ottimamente, con personaggi
che rimangono impressi, ma che tuttavia non mi ha coinvolto emotivamente e del
quale so già che conserverò ricordi vaghi. Ecco perché lo consiglio, ma con
qualche remora.
Opera recensita: “Quel che resta del giorno” di Kazuo
Ishiguro
Editore: Einaudi, prima ed. 1989
Genere: narrativa straniera
Ambientazione: Inghilterra
Pagine: 296
Prezzo: 11,00 €
Consigliato: sì/no
Voto personale: 7.