Sinossi:
Ruth e Lucille non hanno mai
visto Fingerbone, la cittadina del Midwest che ha dato i natali alla loro mamma
Helen, né le acque fonde e cupe del lago intorno a cui sorge. Ma quel lago, che
in passato è stato teatro di un tragico e spettacolare disastro ferroviario,
divenendo luogo di eterno riposo per molti abitanti della zona, pretende un
grande tributo dalle loro giovani vite. Lo esige il giorno in cui Helen decide
di riconsegnare le bambine alle loro origini e, dopo aver affrontato il lungo
viaggio da Seattle, le deposita sul portico della casa avita con un pacco di
biscotti da sgranocchiare per ingannare l’attesa; quindi, senza una parola di
commiato né una riga di spiegazioni, risale in macchina e va a gettarsi nel
lago. La cura delle due orfane e dei loro cuori attoniti passa da quel momento
nelle mani di parenti sconosciuti, mani ora tenere ed efficienti, ora timide e
inette, fino alle lunghe mani ossute della sorella minore di Helen, Sylvie,
mani nude e perennemente screpolate, mani che sanno carezzare ma non
trattenere. Sylvie porta scarpette leggere in pieno inverno e una banconota da
venti dollari spillata sotto il bavero del cappotto. Ama la luce e la natura,
fa lunghe passeggiate senza orari, prepara pasti frugali e non particolarmente
nutrienti. Dei cani ha la paura tipica dei vagabondi. Ruth e Lucille, cosí
esperte di perdite e abbandoni, sanno di non poter fare affidamento sul suo
restare: «Sylvie assomigliava a nostra madre, e inoltre si toglieva di rado il
cappotto e ogni storia che raccontava aveva a che fare con un treno o con una
stazione degli autobus». La stessa casa di famiglia, il nucleo originario cui
Sylvie ha accettato di tornare per amore delle nipoti, con la sua gestione va
rapidamente in rovina: una moltitudine di gatti e sporcizia, infiniti giornali
e lattine vuote, un accumulo erroneamente scambiato per l’essenza di ogni cura
domestica. Di fronte al modello aereo e sradicato della zia, le due sorelle,
fino a quel momento una sola anima scagliata nel mondo, devono interrogarsi sul
senso dell’appartenenza e del ritorno, venire a patti con la solitudine, e
scegliere la loro idea – reale, metaforica e universale – di casa. Questi temi,
dunque, variamente e luminosamente esplorati nella piú recente trilogia – Gilead, Casa e Lila – sono già al
centro del romanzo che alla sua pubblicazione negli Stati Uniti, nel 1980, ha
immediatamente consacrato Marilynne Robinson alla grande letteratura del mondo
e, grazie alla sua sola dirompenza, ha saputo conservarle quella posizione per
i quasi venticinque anni che l’hanno separato dalla successiva prova narrativa.
Commento:
Primo romanzo di Marilynne Robinson, pubblicato per la prima
volta nel 1980, Le cure domestiche è un libro complesso, lento, in cui emerge
dirompente il disagio. Vi è disagio, disorientamento, difficoltà di adattamento
in Ruth e Lucille, due bambine alla soglia dell'adolescenza che d'improvviso si
ritrovano sballottate dalla loro casa a Seattle nella vecchia casa della nonna.
La loro madre, Helen, un bel giorno le ha lasciate lì senza spiegare niente a
nessuno ed è andata a suicidarsi nel lago nei pressi di Fingerbone, la sua
cittadina natia. Disagio è ciò che provano le ragazzine davanti alla miriade di
sconosciuti che pretendono di prendersi cura di loro… disagio è ciò che provano
davanti alla loro zia, Silvie, un'anima errante abituata ad essere sempre in
viaggio con poco o nulla, a spostarsi sui treni e gli autobus, a conoscere gente
che alle ragazze sembra balorda… eppure, nonostante la sua stramberia, è
rimasta solo lei ad occuparsi di loro e lo fa anche, ma in modo strano, inconsueto,
non convenzionale. Mentre Ruth, che ci racconta questa storia in prima persona,
si abitua alla zia e riesce anche a cogliere somiglianze caratteriali con lei,
non si può dire lo stesso della sorella minore, Lucille. Quando il modo strano
che ha Silvie di prendersi cura delle ragazze viene notato in paese, la situazione
precipita e appare chiaro che le cose, in qualche modo, dovranno cambiare.
Le cure domestiche è un libro singolare, enigmatico, che
parla della desolazione, arretratezza culturale ed isolamento della provincia
americana; in questa storia inoltre si trovano tutti gli argomenti che Marilynne
Robinson affronterà nei suoi libri successivi: la famiglia e l'importanza di
non infrangerla, la religione, l'abbandono, la perdita, la solitudine. Per
quanto i temi siano – almeno sulla carta – interessanti, la storia risulta però
piatta, quasi senza cambiamenti significativi se non nel finale. In termini di
gusto personale, dirò che mi rendo conto che si tratta oggettivamente di un
buon libro, ma che personalmente non è riuscito a coinvolgermi, a delineare i
contorni della situazione, ed ecco spiegato il perché di una valutazione intermedia.
Però lo consiglio, foss'anche solo per il fatto che Marilynne Robinson è
un'autrice poco conosciuta e che, a detta di molti, ha scritto ottime cose tra
cui questa… a me è piaciuto discretamente, chissà che a qualcun altro piaccia
molto!
Opera recensita: "Le cure domestiche" di Marilynne
Robinson
Editore: Einaudi, prima ed. originale 1980
Genere: narrativa americana
Ambientazione: Stati Uniti
Pagine: 208
Prezzo: 18,50 €
Consigliato: sì
Voto personale: 7.
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