Sinossi:
Otto Adolf Eichmann, figlio di Karl Adolf e di Maria
Schefferling, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell'11 maggio
1960, trasportato in
Israele nove giorni dopo e tradotto dinanzi al Tribunale
distrettuale di Gerusalemme l'11 aprile 1961, doveva rispondere di 15
imputazioni. Aveva commesso,
in concorso con altri, crimini contro il popolo ebraico e
numerosi crimini di guerra sotto il regime nazista. L'autrice assiste al
dibattimento in aula
e negli articoli scritti per il "New Yorker",
sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro il caso
Eichmann. Il Male che Eichmann
incarna appare nella Arendt "banale", e perciò
tanto più terribile, perché i suoi servitori sono grigi burocrati.
Commento:
In questo saggio, scritto nel 1963, Hannah Arendt analizza
il processo, tenutosi a Gerusalemme nel 1961, ad Eichmann. Chi fu Eichmann? Non
il peggiore, ma uno dei tanti funzionari nazisti che parteciparono alla
“Soluzione finale” ed allo sterminio degli ebrei. Uno dei tanti, appunto, non
il peggiore: un particolare importante perché lo scopo del libro non è, in
realtà, raccontare la storia di Eichmann perché diversa dalle altre, ma
dimostrare che il male non è qualcosa di grande, impressionante, mostruosamente
alieno, ma che esso è nella vita quotidiana, nella politica, nel mondo del
lavoro, nella giustizia, nelle piccole cose. Il male è mediocre e banale,
perciò è così terribile, specie quando è istituzionalizzato e si insinua nelle
decisioni sulla vita altrui.
All’irrimediabile farsa nella quale si trasforma il
processo, Eichmann appare come uno stupido, un uomo che non sa bene cosa gli
accade intorno, uno che non ricorda, non è in grado di decidere né ha mai
deciso nulla consapevolmente perché non è capace di pensare con la propria
testa. E’ questa l’immagine che passa di un criminale nazista corresponsabile
della morte di milioni di persone, immagine se possibile migliorata dal fatto
che egli tentò, a suo dire, di trovare una soluzione che favorisse gli ebrei
facendoli uscire dal Paese lasciando loro un po’ di terra sotto i piedi. Questo
è giusto un accenno per farvi capire che persona fosse Eichmann. Più in
generale, il racconto della vicenda Eichmann si rivela ben presto un pretesto
che l’autrice usa per parlare diffusamente dell’avvento del nazionalsocialismo,
delle leggi raziali, dell’olocausto, delle soluzioni, dei mille fraintendimenti
e falsi equivoci che portarono allo sterminio. Tutto questo viene descritto con
puntuale minuzia, ma le denunce della Arendt non sono dirette, bisogna leggere
fra le righe per capire bene qual è la sua posizione. Di certo l’autrice non
risparmia nessuno, neanche gli ebrei e il neonato Stato israeliano.
Personalmente ho trovato disturbante la perenne ambiguità
delle pagine, che si dissipa finalmente nell’ultimo capitolo conclusivo. Ho
fatto molta fatica a concludere la lettura, ma credo che oltre ad essere
complesso questo libro sia utile: è complesso per i tanti sottointesi e per la
precisione del racconto con nomi, episodi e fatti; è utile perché incita ad
approfondire l’argomento per comprendere meglio ciò che viene narrato… e, vista
l’importanza del tema, approfondire non può essere altro che un bene.
Opera recensita: “La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme” di Hannah Arendt
Editore: Feltrinelli, prima ed. 1963
Genere: saggistica
Ambientazione: Gerusalemme-Germania
Pagine: 320
Prezzo: 11,00 €
Consigliato: sì.
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