Sinossi:
Fonti ufficiose affermano che nella Germania dell'Est gli
informatori al servizio della Stasi, la potente polizia segreta, fossero una
persona ogni sei
abitanti e nel dopo-1989, all'apertura degli archivi, con
grande sorpresa si è scoperto quante famiglie allevassero al proprio interno
informatori incaricati
di riferire allo stato i pensieri e le aspirazioni dei
propri familiari. In un libro scritto con una suggestiva tonalità narrativa,
Anna Funder ci riconduce
in quell'esperienza, ascoltando sia ex funzionari
governativi e informatori, sia persone che hanno avuto la vita spezzata da una
repressione immotivata.
13 agosto 1961. Venne tracciata una linea, venne eretto un
muro che divideva la città di Berlino in due parti e la Germania in due Stati
tra loro opposti per principi, abitudini, consumi, possibilità.
9 novembre 1989. Quel muro viene abbattuto e si pone fine ad
un regime, quello comunista, che per 28 anni ha governato sulla Germania
orientale (DDR) professando democrazia. La realtà, però, è ben diversa: per
quasi trent’anni i cittadini dell’Est subirono privazioni, umiliazioni,
ingiustizie di ogni tipo. In ogni famiglia, in ogni palazzo, per strada, in Chiesa
gli informatori della Stasi, la polizia del regime, erano pronti a riferire
qualunque cosa su chiunque, dai gusti musicali alle relazioni extraconiugali.
Chiunque poteva essere un informatore e chiunque poteva essere il nemico: un
sistema, quello della DDR, basato sulla diffidenza che induce ognuno a
diffidare di chi gli passa accanto.
Sette anni dopo, la giornalista australiana Anna Funder
cerca di capire chi era e come agiva la Stasi, ascoltando le storie di chi ne
subì la persecuzione e di chi, invece, faceva parte del sistema lavorandovi attivamente.
Questo libro, il cui titolo originale ben più eloquente è “Stasiland”, è il
risultato di quella ricerca, un racconto a metà tra il reportage e il romanzo,
che mette in luce alcuni aspetti tragici e paradossali della vita in Germania
orientale tra il 1960 e il 1990.
Questo libro non ha l’obiettività di un saggio, poiché parte
dall’idea preconcetta dell’autrice che il regime della DDR fosse sbagliato e da
condannare, idea che si può condividere o non condividere. Tuttavia il libro ha
l’innegabile pregio di raccontare, dalla viva voce dei protagonisti, storie di
vita quotidiana di chi ha vissuto sulla propria pelle le implicazioni pratiche
e gli effetti diretti di quel regime che noi, dall’alto della nostra cultura aposteriori,
fatta di teoria e libri di storia, potremmo considerare apprezzabile o
disprezzabile a seconda delle inclinazioni personali.
Anna Funder ci racconta la sua esperienza di donna e
giornalista occidentale che entra in contatto con vittime della Stasi, persone
che hanno visto morire i loro cari senza poter sapere in che modo sono morti,
che hanno dovuto fare scelte riguardanti la propria vita sotto la pressione di
altri, che si sono viste rifiutare un lavoro per il quale avevano i requisiti
solo perché qualcun altro aveva stabilito che erano “DDR negative”… e poi c’è l’altra
faccia della medaglia: ci sono loro che nella Stasi ci lavoravano e ci
credevano, persone cresciute nell’ideale di un socialismo giusto, che considerano
umano ciò che per il pensiero occidentale e moderno sarebbe disumano. Nostalgici,
rancorosi, uomini così abituati al potere e tanto poco avvezzi ad essere
contraddetti da non dare alcuna importanza alla verità.
Con il pathos di chi è estraneo ad un mondo, ma cerca di
capirlo e scoprirne le dinamiche interne, Anna Funder ci fornisce una testimonianza
oltremodo interessante di un periodo storico di cui si parla poco, ma che è
giusto conoscere. A me questo libro ha trasmesso la curiosità di approfondire
ancora, di cercare altre storie, altri spunti di riflessione su questo tema.
Inoltre c’è un messaggio che, a mio parere, l’autrice vuole lasciarci: la DDR è
nata nel 1949, a distanza di pochi anni dalla Seconda guerra mondiale e dalle
barbarie del nazismo. Quello socialista avrebbe dovuto essere un regime
diverso, molto lontano dal precedente, ma ha raggiunto una deriva altrettanto
estrema e brutale. Ho letto, in questo libro, frasi di nostalgici della DDR che
ho sentito pronunciare dagli anziani del mio paese con riferimento al fascismo…
E ciò cosa significa? Significa che non importa il colore della bandiera: l’ambizione
e l’avidità di potere presente in tutti i regimi totalitari porta ad estremizzazioni
drammatiche, alla privazione della libertà, a vedere il nemico ovunque, anche
in quel popolo che si dovrebbe proteggere e tutelare.
In definitiva, per quanto mi riguarda, questa è stata una
lettura davvero apprezzabile che consiglio a chi voglia iniziare a documentarsi
su questo tema.
Opera recensita: “C’era una volta la DDR” di Anna Funder
Editore: Feltrinelli, 2005
Genere: romanzo-reportage
Ambientazione: Germania, ex DDR
Pagine: 250
Prezzo: 15,00 €
Consigliato: sì.
Nessun commento:
Posta un commento