Sinossi:
L'amore è più di quel che vedono gli occhi.
Will, pur essendo cieco dalla nascita, decide di frequentare
un liceo pubblico, vincendo i timori della madre iperprotettiva. Inizia così
un'esilarante
tragicommedia: in mensa si siede sulle gambe di un compagno,
una ragazza ha una crisi di nervi convinta che lui la stia fissando... Per
riparare, Will
si offrirà di aiutarla a scrivere un articolo su una mostra
di Van Gogh: impresa difficilissima, perché a Will mancano totalmente il
concetto di prospettiva,
di colore, e Cecil deve spiegargli ciò che vede evitando
qualsiasi metafora visiva.
Quando a Will viene offerta la possibilità di affrontare
un'operazione sperimentale che potrebbe ridargli la vista, il padre, medico,
cerca di dissuaderlo
perché i casi di successo sono rarissimi e le ricadute
psicologiche spesso pesantissime. Ma Will decide di rischiare e le conseguenze,
seppur inaspettate
e difficili da superare, gli rivoluzioneranno
meravigliosamente la vita.
Commento:
Ecco. Questo è il classico libro apparentemente semplice, ma
in realtà complessissimo da analizzare. E’ semplice nella storia, lineare e
tutto sommato abbastanza prevedibile; è semplice nel linguaggio che si adatta
al protagonista-narratore adolescente; non è semplice, invece, per il tema
trattato, la cecità e l’amore, e per le tante sfaccettature che porta con sé.
Will è un sedicenne non vedente che si trasferisce in una
scuola pubblica, entrando così per la prima volta in contatto con il mondo dei
normovedenti, un mondo completamente diverso dagli ambienti protetti della
famiglia e della scuola per ciechi cui è stato abituato finora. Will deve
quindi affrontare le difficoltà che astrattamente affronta chiunque si
inserisca in un ambiente totalmente nuovo e sconosciuto e, soprattutto, già
affiatato: l’atteggiamento scostante o impacciato o perplesso o incredulo o
stupefatto degli altri, nonché le proprie personali perplessità o incertezze.
Will poi si trova in una fase della vita, l’adolescenza, in cui per natura ci
si sente più insicuri e si dà un gran peso a ciò che gli altri pensano/vedono
di noi. Il mix di tutte queste variabili lo fa apparire insicuro, a tratti
lamentoso, a volte troppo irritabile e fondamentalmente concentrato su se
stesso, ma in realtà Will, anche se non ne è consapevole, racchiude in sé tutte
le normali caratteristiche di un adolescente medio, a prescindere che sia
cieco, sordo, anoressico/bulimico, omosessuale, musulmano o magrebino (sono
esempi, tanto per capirci). Infatti, come ogni adolescente medio, ha conflitti
con i genitori, ha difficoltà ad entrare in un gruppo, sente i primi bollori
del corpo e vive i primi travagli amorosi. Tutto peggiora quando a Will viene
prospettata la possibilità di sottoporsi ad un complicato intervento che
potrebbe ridargli la vista, ma potrebbe anche non funzionare. In definitiva
abbiamo qui un ragazzo normalissimo, con problemi normalissimi, che è
sottoposto ad un’ulteriore prova che, a prescindere da come andrà, gli
insegnerà tanto su di sé e su chi lo circonda.
Detto questo, alcune considerazioni personali: pur essendo
non vedente, quindi conoscendo gran parte delle problematiche riscontrate da
Will, quello che dirò si riferisce alla mia esperienza ed al mio sentire
personale che certamente differisce da quello di molti altri ciechi per le
ragioni più disparate. Ho trovato Will troppo, troppo, troppo concentrato su se
stesso e sulla propria cecità; l’idea dell’autore di fargli incontrare il mondo
a sedici anni, dopo aver vissuto per tanto tempo nell’ambiente protetto della
scuola per ciechi, poi, è comprensibile ma discutibile: personalmente credo che
l’approccio sia avvenuto troppo tardi, forse per un bambino sarebbe stato più
facile e naturale adattarsi e specularmente lo sarebbe stato anche per gli
altri compagni; l’adolescenza è già difficile di suo, non avrei messo sulle
spalle virtuali di questo ragazzo tutti questi carichi, sarebbe bastato
l’intervento. Senza contare che il distacco in un’età precedente avrebbe reso
più sicura anche la madre, davvero troooppo protettiva, ai limiti
dell’assillante. Ho trovato carino il personaggio di Cecil, anche se forse
conteneva un potenziale non sfruttato al meglio.
Detto questo – e tornando a soffermarci sul libro – credo
che sia stato un tentativo riuscito di parlare di cecità, amore, adolescenza
senza scadere nel pietismo o buonismo che proprio non ci piace. Il libro, come
dicevo, è scritto in un linguaggio semplice, ma si avverte la profonda ricerca
fatta dall’autore; è pregevole allo scopo la bibliografia riportata a fine
libro. Non è mai facile affrontare temi come questo e direi che, tutto sommato,
Josh Sundquist ci è riuscito senza fare troppi danni e risultando anche
divertente qualche volta. Già questo è un gran merito.
Consiglio questo libro? Beh, direi di sì, sia a chi è
vedente perché certamente scoprirà qualcosa che non sa, sia a chi non vede
perché fa sempre bene confrontarsi con esperienze diverse dalla nostra, anche
se si tratta di storie inventate.
Opera recensita: “Insegnami a vedere l’alba” di Josh
Sundquist
Editore: Giunti, 2017
Genere: narrativa straniera
Ambientazione: Stati Uniti
Pagine: 264
Prezzo: 13,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 7.
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