Sinossi:
Due famiglie legate a doppio filo, quelle di Joxian e del
Txato, cresciuti entrambi nello stesso paesino alle porte di San Sebastián,
vicini di casa, inseparabili
nelle serate all’osteria e nelle domeniche in bicicletta. E
anche le loro mogli, Miren e Bittori, erano legate da una solida amicizia, così
come i loro
figli, compagni di giochi e di studi tra gli anni Settanta e
Ottanta. Ma poi un evento tragico ha scavato un cratere nelle loro vite,
spezzate per sempre
in un prima e un dopo: il Txato, con la sua impresa di
trasporti, è stato preso di mira dall’ETA, e dopo una serie di messaggi
intimidatori a cui ha testardamente
rifiutato di piegarsi, è caduto vittima di un attentato...
Bittori se n’è andata, non riuscendo più a vivere nel posto in cui le hanno
ammazzato il marito,
il posto in cui la sua presenza non è più gradita, perché le
vittime danno fastidio. Anche a quelli che un tempo si proclamavano amici.
Anche a quei vicini
di casa che sono forse i genitori, il fratello, la sorella
di un assassino. Passano gli anni, ma Bittori non rinuncia a pretendere la
verità e a farsi
chiedere perdono, a cercare la via verso una riconciliazione
necessaria non solo per lei, ma per tutte le persone coinvolte.
Commento:
Questo libro non è facile da leggere. Non lo è per tanti
motivi: bisogna superare le difficoltà legate ai tanti termini in Euskera, la
lingua diffusa nel Paìs Vasco; bisogna abituarsi allo stile particolarissimo di
Aramburu, diretto, spigoloso, “smozzicato” ma funzionale per calarsi nella
storia; bisogna mettere in conto le oltre seicento pagine che, credetemi, sono
tante se si ha a che fare con una vera e propria guerra di nervi e di
proiettili. Se si supera tutto questo, però, si sarà premiati e si conoscerà un
ottimo esempio di letteratura moderna, un romanzo duro, uno spaccato di realtà
difficile da immaginare che Aramburu tratteggia con estrema schiettezza e
lucidità. Quella raccontata in “Patria” è la storia di una terra che per tanto
tempo è stata intrisa del sangue dei suoi abitanti, di un popolo – quello basco
– che ha esacerbato l’idea di indipendenza innescando, per mano dell’Eta, un vero e proprio conflitto armato. Un
conflitto fisico, ideologico e mentale che non si combatteva su un campo di
battaglia, bensì per le strade, nei bar, nelle case, nei volti e nei cuori
della gente. Se si veniva presi di mira dall’Eta, da un giorno all’altro si
diventava indigesti, fastidiosi, bersagli dell’odio, della diffidenza, della
vigliaccheria di chi non ha coraggio di dire “No, non mi sta bene, quell’uomo è
mio amico”. E così muoiono amicizie di decenni, si sgretola la fama di un uomo
buono, si impedisce ai figli di parlarsi, si tagliano di netto tutti i più
comuni rapporti di cortesia e questo può uccidere prima e più di un proiettile
sparato da un ragazzo del paese in un giorno di pioggia. E chiedere perdono,
poi, diventa difficile, specie se si è testardi, orgogliosi e mal disposti ad
ammettere di aver sbagliato, di essersi lasciati deviare da un’idea.
Stupende, emergono in queste pagine, le figure femminili: le
madri e le figlie, apparentemente forti, ma in realtà fragili, portatrici di
idee travolgenti e totalizzanti, giuste o sbagliate che siano.
Un romanzo stupendo, con personaggi che grazie all’ottima
caratterizzazione di Aramburu impariamo a conoscere con tutti i loro difetti.
Un libro che parla di amicizia, ideali, guerra, amore. Una lettura non facile,
ma decisamente meritevole.
Opera recensita: “Patria” di Fernando Aramburu
Editore: Guanda, 2017
Genere: narrativa internazionale
Ambientazione: Spagna, Paìs Vasco
Pagine: 640
Prezzo: 19,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.
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