Sinossi:
India dei giorni nostri. Lei è
una scrittrice, una poetessa, una giovane attivista dal passato tormentoso e il
cuore spezzato. Lui è un docente universitario, un ex guerrigliero maoista, un
uomo che, parlando della rivoluzione, sembra più intenso di qualsiasi poesia,
più commovente di qualsiasi bellezza. Si conoscono, si innamorano, decidono in
fretta di sposarsi. La coppia si trasferisce in una lontana città costiera
dell’India, senza vincoli né programmi, pronta a un salto nel vuoto che li
vedrà protagonisti insieme. Lì, dietro le porte ben chiuse di una villetta
circondata da un giardino selvaggio, il marito perfetto cambia volto,
trasformandosi poco a poco in un carceriere e in un carnefice. La limitazione
delle libertà della moglie – vestiti, trucco, capelli; e poi: mail, telefonate,
fino al divieto di scrivere – traccia l’inizio di una spirale di violenza e
sopraffazione che vedrà la donna sempre più sola e terrorizzata, abbandonata
anche dalla famiglia di origine. Finché lei stessa non deciderà di reagire
riprendendo in mano il controllo della propria storia.
Lucido, toccante e poetico, il
romanzo di Meena Kandasamy è un pugno allo stomaco. Non solo perché porta in
scena, passo dopo passo, la lenta discesa agli inferi della violenza domestica,
scardinandone i meccanismi di manipolazione, di ricatto emotivo e pressione
sociale, accompagnando il lettore nelle stanze solitarie dell’abuso attraverso
le pieghe del linguaggio e le armi delle tecniche narrative.
Commento:
Questa è una storia vera, però con
controversie legali ancora in corso, e in special modo in Paesi come l'India
che conservano retaggi maschiocentrici, forse non conviene dire che lo sia
completamente, perciò diremo che è un romanzo ispirato a una storia vera. La
storia di una donna libera, moderna, disinibita, colta. Una donna che ha conosciuto
tanti uomini, che si è innamorata veramente una volta sola dell'uomo sbagliato,
un politico, e che ne ha sposato un altro, un rivoluzionario, innamorata
dell'idea di amare un compagno comunista e delle cose che sembrava condividere
con lui. Non sapeva, non credeva, questa donna emancipata, questa scrittrice,
poetessa e traduttrice con followers ed estimatori internazionali, che il comunismo
le sarebbe entrato in casa, nel letto, tentando di strapparle l'anima e poi la vita.
Non sapeva, questa donna che incidentalmente chiameremo Meena, che avrebbe
cominciato a cedere, ad accettare le limitazioni della propria libertà
personale già alla seconda settimana di matrimonio con la disattivazione del
proprio account facebook con conseguente tracollo della sua immagine
professionale; non sapeva che sarebbe stata definita stupida femminista piccolo
borghese, puttana, troia, prostituta e volgarità di questo tenore, non sapeva
che non avrebbe ricevuto l'aiuto di nessuno, neanche dei suoi genitori, non sapeva
che sarebbe diventata un'attrice di una parte preparata per lei, che avrebbe
abbandonato i suoi vestiti e accessori alla moda per indossarne altri anonimi e
sformati. Non sapeva che sarebbe stata picchiata con ogni oggetto disponibile,
dalla cintura di pelle al cavo di alimentazione del suo Mac, che con un clic
avrebbe visto cancellate tutte le sue 25.600 mail e poi cambiata la password
per impedirle di recuperarle. Non sapeva che a farle tutto questo sarebbe stato
suo marito, un guerrigliero, uno stimato professore universitario, e che per
fare ammenda verso se stesso avrebbe detto, un giorno:"Ogni volta che ti
picchio il compagno Lenin piange". L'assurdità di questa frase rende in
modo chiaro e agghiacciante la portata di quello che Meena Kandasamy, la
scrittrice, traduttrice, poetessa indiana Meena Kandasamy, ci racconta sul suo
primo matrimonio dal quale, per fortuna, è riuscita a fuggire. Per fuggire ha dovuto
toccare il fondo, rischiare la vita, usare l'astuzia, affilare le armi, tornare
a combattere. Quattro mesi e otto giorni è durato quel matrimonio, i più lunghi
della sua vita. E pensare che sarebbe bastato poco, pochissimo, perché non
sopravvivesse per raccontarcelo. La sua è una storia che scivola verso di noi
senza sensazionalismi, sentimentalismi, colpi di scena voluti e studiati a
tavolino, e forse è proprio questo che la rende ancora più autentica, forte
agghiacciante. Ogni volta che ti picchio è un libro che deve essere letto da
chi non vuole sapere, tenta di ignorare o peggio, ridimensionare o giustificare
certe realtà. Deve sapere, chi vorrebbe compiere questa mistificazione su
questioni che non lo toccano direttamente, che il marito di Meena non appariva
come un bruto e che lei era solo una donna normale, colta, emancipata, moderna…
una donna, un essere umano, punto e basta. E magari il suo modo di raccontare
questa storia apparirà freddo, quasi distaccato, ma è l'unico disponibile. E probabilmente
leggere farà male, ma è necessario.
Opera recensita: "Ogni
volta che ti picchio" di Meena Kandasamy
Editore: E/O, 2020
Genere: narrativa straniera
Ambientazione: India
Pagine: 240
Prezzo: 17,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.
Meena Kandasamy (1984) è un’attivista, poetessa, scrittrice e traduttrice indiana. Ogni volta che ti picchio è il racconto del suo primo matrimonio con un uomo da cui ha subito violenze fisiche e psicologiche. Ha pubblicato due raccolte di poesie, Touch e Ms Militancy. Nel 2015 il suo romanzo d’esordio The Gipsy Goddess è stato nominato per il Dylan Thomas Prize e il DSC Prize. Vive e lavora tra Londra e Chennai. Esercita la sua attività politica anche online, soprattutto su Twitter dove ha un seguito di oltre 100.000 follower.
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