Sinossi:
"Ognuno muore
solo" (uscito nel 1947) è una rielaborazione letteraria dell'inchiesta
della Gestapo che portò alla decapitazione due coniugi berlinesi di mezz'età.
Una spietata caccia all'uomo, con tanto di bandierine sulle carte, guidata da investigatori
tanto tecnicamente capaci quanto irrazionalmente mossi da un fanatismo
assurdamente sproporzionato agli scopi. E probabilmente le ragioni dell'oblio e
della riscoperta stanno appunto nel fatto che è un romanzo sulla resistenza. Un
romanzo sulla resistenza e sulla disperazione. Contrastante, quindi, con il
luogo comune di un Hitler che non conobbe oppositori tra la gente ordinaria,
unita nella colpa collettiva. Fallada racconta di poveri eroi. Anna e Otto
Quangel, lui caporeparto lei casalinga, come tutti i loro pari soli e
addormentati e poco prima ancora abbagliati dal Fiihrer, conoscono un risveglio
dopo la notizia della morte del figlio al fronte, e cominciano a riempire
alcuni caseggiati della loro Berlino con cartoline vergate in modo incerto di
appelli ingenui di ribellione. Lo fanno per comportarsi con decenza fino alla
fine, ben sapendo che morranno e sicuri che nel vicino incontreranno più
facilmente il delatore. L'autore li illumina, scorgendo in loro una specie di
coscienza della nazione, rappresentata dai tanti volti intorno, espressioni di
un popolo spaccato in due, chi opprime e chi è sepolto nella sua paura.
Commento:
Ognuno muore solo non è
solo un romanzo molto bello e profondo. Ognuno muore solo è un romanzo
importante, perché è l'espressione della resistenza interna, della coscienza e
della disobbedienza civile, quel senso di giustizia che si oppone alla violenza
con la protesta tacita, ma inarrestabile.
Una mattina del 1940, una
mattina uguale alle altre, in un anonimo condominio di Berlino, la postina Eva
Cluge porta una lettera. È una lettera scritta a macchina e questo – lei lo sa –
non è buon segno: la famiglia cui è destinata apprenderà presto della morte di qualcuno
che è al fronte. Poco dopo, in un appartamento di quel medesimo condominio, l'avaro,
burbero, retto capo officina Otto Quangel porgerà la lettera alla moglie, la
tranquilla signora Anna, che apprendendo della morte dell'unico figlio, non scoppierà
in pianti disperati, non cederà all'ira o al dolore scomposto: dirà solo poche
frasi, una delle quali rivolta al marito. "Tu e il tuo Fuhrer!". Ebbene,
sentirsi rivolgere quell'accusa dalla moglie è, per Otto Quangel, uno smacco,
un'ingiustizia intollerabile: lui non è iscritto al partito, vuole
assolutamente tenersi lontano dalla politica, il più lontano possibile. E lo sa
anche lui che il figlio non voleva andare in guerra, lo sa pure lui che avrebbe
preferito perdere una mano piuttosto che andare al fronte, ma è arrivata la
convocazione ed ha dovuto andare. E comunque, qualunque cosa abbia deciso Otto
Quangel, l'ha decisa insieme alla moglie, perciò proprio non ci sta che lei
definisca Hitler il "suo Fuhrer". Non ci sta, Otto Quangel, che
proprio lui che non vuol saperne niente di politica, debba perdere suo figlio,
ucciso in una guerra che lui non ha voluto, ma che il Fuhrer ha voluto. Pian
piano si instilla in Otto la necessità di fare qualcosa, di non restare
indifferente come prima… perché suo figlio è morto, l'ha ucciso il Fuhrer, e
più niente è uguale a prima. Ma Otto e Anna Quangel non sono persone potenti né
violente, la loro sarà un'azione pacifica, che aprirà gli occhi alla gente, che
agiterà le menti obnubilate dal fanatismo nazista. Un sabotaggio silenzioso di
chi si oppone, come può, con tenacia, ad un regime. Scrivere cartoline e
distribuirle per tutta la città. Questa sarà la lotta pervicace e silenziosa
dei Quangel, di quegli operai umili e consapevoli del loro ruolo in società,
eppure profondamente consci di dover, in qualche modo, contribuire alla lotta.
L'effetto delle cartoline, però, non sarà esattamente quello sperato da
Quangel.
Sin dal primo rigo di
questo romanzo, con una maestria non comune, Hans Fallada ci introduce in una casa,
in un condominio, un quartiere, una città di rara vividezza; egli dipinge per
noi personaggi così realistici da essere perfetti nella loro imperfezione,
meschinità, bontà d'animo, credulità, furbizia, ingordigia, crudeltà… sono
rappresentati, qui, tutti i sentimenti umani, dal più alto al più infimo.
Ognuno muore solo è un atto di resistenza interna perché scritto da un tedesco
fra i tedeschi, con personaggi tedeschi che si oppongono al regime tedesco. Gli
ebrei, i comunisti, tutti i perseguitati dal nazismo hanno qui un ruolo
importante, ma comunque marginale, paritario nella loro comprimarietà. Qui va
in scena lo spettacolo della grettezza, crudeltà, abiezione di pochi, calato
nell'ordinarietà di un Paese in guerra. Se è accaduto ciò che è accaduto, la
responsabilità è di tutti, nessuno escluso : è di chi non ha impedito, non ha denunciato, si è reso delatore, si è approfittato, ha marciato, si è voltato dall'altra parte, non ha capito, ascoltato, visto, non ha voluto farlo. Nessuno escluso.
Capita spesso, quando si parla dell'Olocausto, di chiedersi cosa sapessero o facessero i tedeschi. Ecco una risposta. Un libro meraviglioso, da leggere assolutamente.
Opera Recensita:
"Ognuno muore solo" di Hans Fallada
Editore: vari (Einaudi,
Sellerio), ed. originale 1947
Genere: letteratura
tedesca
Ambientazione: Germania
Pagine: 590 (ed. Einaudi)
Consigliato: sì
Voto personale: 10
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