Sinossi:
Jonathan ha 31 anni nel
2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una
febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di
notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue. Aspetta un mese, due,
cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di
autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere
all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il
test dell’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo,
quasi è sollevato. A partire dal d-day che ha cambiato la sua vita con una
diagnosi definitiva, l’autore ci accompagna indietro nel tempo, all’origine
della sua storia, nella periferia in cui è cresciuto, Rozzano – o Rozzangeles
–, il Bronx del Sud (di Milano), la terra di origine dei rapper, di Fedez e di
Mahmood, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per
lavori da poveri, dei tamarri, dei delinquenti, della gente seguita dagli
assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si
parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano. Dai cui confini nessuno
esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche
furto e nel peggiore dei casi si muore. Figlio di genitori ragazzini che presto
si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di
salvezza e di riscatto, dalla predestinazione della periferia, dalla balbuzie,
da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e
che lo rendono diverso. Un libro spiazzante, sincero e brutale, che costringerà
le nostre emozioni a un coming out nei confronti della storia eccezionale di un
ragazzo come tanti. Un esordio letterario atteso e potente.
Commento:
Sono una lettrice. Di
più, sono una blogger. Nel recensire i libri, da tempo ormai ho (o dovrei aver)
imparato a non far debordare le emozioni personali. Stavolta, però, non ci
riesco, non posso farlo, non posso recensire questo libro. Perché? Perché prima
che lettrice, blogger, consigliera all'occorrenza, sono una persona, sono
Rossella… e questo libro ha parlato direttamente a me. No, non è retorica e ve
lo dimostro.
"L’HIV è una mia
caratteristica reale, incontrovertibile. Una delle tante. Un metro e
settantanove, occhi marroni, capelli (pochi) castani, molti peli sul corpo,
piede numero 43, balbuzie, ernia inguinale – forse sparita da sola (i medici
dicevano: impossibile, bisogna operare) –, canino inferiore sinistro spinto in
avanti dal dente del giudizio (mi storta la bocca), setto nasale un po’
sporgente da un lato, miope, lievemente intollerante all’alcol (quando bevo più
di un bicchiere mi riempio di macchie), sieropositivo.
E allora?
Condizione corporea,
oggettiva. Non decisa, scelta, voluta: il virus in realtà non dice niente di
me, non dice niente di chi ce l’ha. Sempre lo stesso, uguale per tutti. Semmai
conta il modo in cui chi ce l’ha assume su di sé la sua diagnosi, lo stile con
cui sceglie o riesce ad attraversarla. Ci avete mai pensato? Ve ne frega
davvero qualcosa?
Ho deciso di essere un
sieropositivo che si lascia individuare, che racconta più che lasciarvi
immaginare.
La precisione è l’arma
di cui mi sono munito.
La compagnia degli
altri, la soluzione che ho scelto."
Prendete questa
citazione, sostituite Hiv con Cecità, sieropositivo con non vedente, le
caratteristiche fisiche di Jonathan con le mie e il risultato sarò io: stesso
pensiero - la cecità non mi definisce, è solo una delle caratteristiche che mi
compongono –, stessa arma – la precisione – stesso atteggiamento – rassicurare gli
altri e affrontare tutto di petto -, stessa soluzione – la compagnia degli
altri. Raccontare invece che glissare, parlare, informare invece che suscitare
pietismo e compassione. E no, nessun eroismo, ma semplice normalità.
In Febbre Jonathan Bazzi
racconta la sua storia, in modo diretto, catartico, liberatorio. Ci racconta di
quella febbricola che da gennaio 2016 ha cambiato prima le sue giornate, poi la
sua vita; ci racconta dell'ansia prima della diagnosi, della serenità una volta
ottenuto il responso, del successivo crollo mentale e quindi fisico, della
ripresa data dalla nuova consapevolezza di sé. Ma non solo, Jonathan Bazzi ci
racconta la sua vita, il luogo dov'è cresciuto, i problemi familiari, il Sud
che non è Sud, ricostruito nell'interland milanese (e anche qui per me sono
state stilettate continue), poi la scuola, l'adolescenza, le esperienze
sessuali, il bisogno di primeggiare per essere qualcosa, per essere degno di
attenzione, per essere amato… Non si diventa ciò che si è così, da un momento
all'altro. Lo si diventa giorno dopo giorno, fallimento dopo fallimento,
vittoria dopo vittoria. L'importante, però, è sapersi accettare, prendersi le
misure, liberarsi dall'oppressione del giudizio altrui ed imparare ad amarsi.
Impossibile non essere
toccati dal linguaggio diretto, dalla schiettezza, dalla sincerità di Jonathan
che, davvero, sembra parlare proprio a chi lo legge. Impossibile non ritrovare
qualcosa di sé in queste pagine, fosse anche un dettaglio, una parola,
un'esperienza…
L'ho scritto all'inizio,
non posso recensire questo libro con obiettività… posso solo consigliarvelo,
spassionatamente. E mi scuserà, Jonathan, se sono stata tanto presuntuosamente
autoreferenziale, ma io ci ho ritrovato una parte consistente di me… e voi?
Opera recensita: "Febbre"
di Jonathan Bazzi
Editore: Fandango, 2019
Genere: autobiografico,
narrativa italiana
Ambientazione: Milano-Rozzano
(MI)
Pagine: 328
Prezzo: 18,50 €
Consigliato: sì
Voto personale: 10
Colonna sonora
sperimentata: Bryan Heno.
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