simposio lettori copertina

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mercoledì 30 gennaio 2019

RECENSIONE: JOAN LINDSAY - PICNIC A HANGING ROCK


Sinossi:
Hanging Rock, la roccia vulcanica che sorge isolata e improvvisa nella macchia australiana a nord di Melbourne, fu davvero teatro, nel 1900, dell'evento narrato in questo libro: la scomparsa mai spiegata di due fanciulle e una matura insegnante di college seguita dalla immediata rovina di tante esistenze a quelle vite collegate (o, usando la stessa cifra del racconto: la vendetta della pietra nera su chi credeva di forzarne la potenza e il mistero). Ma darne una lettura simbolica - pur nella molteplicità di simboli, che nelle pagine si offrono e si ritraggono -, dei rapporti segreti e numinosi tra il genere umano e la Madre terra, è fare qualcosa che forse Joan Lindsay non si proponeva. «Se Picnic a Hanging Rock sia realtà o fantasia, i lettori dovranno deciderlo per proprio conto. Poiché quel fatidico picnic ebbe luogo nel 1900 e tutti i personaggi che compaiono nel libro sono morti da molto tempo, la cosa pare non abbia importanza» scrive l'autrice, accennando alla forte intenzione di consegnare alla memoria, non tanto un fatto straordinario, denso di significati, ma un mito. Cioè a dire un evento originario, vivente e da vivere al di là del tempo, presente come modello e ammonizione. E in effetti, ciò che fu di Miranda, bella come un cigno, di Marion, della signorina Greta McCraw e di tutte le persone connesse aIl'Appleyard College possiede del mito l'incanto semplice e autosufficiente. Di uno dei rarissimi miti moderni, venuto inevitabilmente dall'ultima terra che l'uomo ha diviso con le viventi forze primordiali.

Commento:
Se avessi cominciato a leggere questo libro saltando la quarta di copertina probabilmente avrei pensato:"Woow" che bel thriller" e "ma che fantasia fervida ha l'autrice!". Invece l'ho letta – prima e dopo aver finito il libro – e posso dirvi che lo stupore rimane come anche la bravura dell'autrice che, anzi, è accresciuta se si pensa che, checché ne scrivano gli editori, a tutt'oggi non vi sono fonti univoche sul fatto che l'evento narrato sia realmente accaduto. Ed il bello di questo libro, la sua particolarità e il suo valore, è proprio questo: l'autrice voleva raccontarci qui un mito moderno, uno scenario plausibile ed i suoi reali o possibili sviluppi. Ciò che rende memorabile questo libro non è la trama, pure resa interessante e avvincente dall'ambientazione e dalla crescente tensione narrativa, ma l'intravedere collegamenti, trame retrostanti, intrecci e concatenazioni di eventi che costruiscono un disegno inquietante perché, appunto, possibile. Il fatto da cui partire è questo: il 14 febbraio del 1900, il giorno di San Valentino, venti ragazze di un esclusivo collegio australiano e le loro insegnanti fanno una gita ad Hanging rock, una suggestiva conformazione rocciosa della zona. Non si sa come, ma due ragazze e un'insegnante scompaiono, non faranno più ritorno dal picnic. Da qui comincia una serie di eventi – alcuni strettamente collegati ed altri apparentemente staccati da questo evento primario – che in pochi mesi cambieranno la vita di molte persone coinvolte. L'autrice in queste pagine ci racconta cose, mette in relazione eventi, e riesce – fatto per me quasi miracoloso – a non farci soffermare sul fatto che siano reali  o inventati, a farci accettare come insoluto un caso che non sappiamo nemmeno con certezza se sia mai esistito, a farci andar bene il fatto che non tutto sia spiegato, chiarito, delineato. Tutta la razionalità qui è assorbita, fagocitata dalla fascinazione della storia, dalle sue possibili interpretazioni, dalle sfumature occulte che la pervadono. E per assurdo ci si lascia distogliere dal destino delle scomparse e travolgere dagli eventi, sempre più pressanti, sempre più angoscianti. Un libro bellissimo, dall'atmosfera opprimente e rarefatta, dal ritmo non incalzante ma comunque implacabile. Pagine scritte benissimo, con una prosa studiata per non brillare, ma per lasciare la ribalta alla trama. Un libro che, per le suggestioni che mi ha creato, mi ha ricordato "il giardino delle vergini suicide" di Eugenides, "La donna in bianco" di Collins e perfino "Il castello di Otranto" di Walpole. Assolutamente da leggere.

Opera recensita: "Picnic a Hanging rock" di Joan Lindsay
Editore: Sellerio, prima ed. 1967
Genere: mistery
Ambientazione: Australia, 1900
Pagine: 296
Prezzo: 12,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


lunedì 28 gennaio 2019

RECENSIONE: MARIA CRISTINA MASELLI - SIGISMONDO E ISOTTA. UNA STORIA D'AMORE


Sinossi:
È il 1437 quando per la prima volta Isotta degli Atti posa lo sguardo su Sigismondo Pandolfo Malatesta. Lui, ventenne, è il turbolento e ambizioso signore di Rimini e di Fano, lei, una bambina di soli cinque anni, figlia di un piccolo nobile della zona. Isotta cresce nel mito di Sigismondo e grazie alla carica del padre, consigliere economico del signore di Rimini, ha la possibilità di rivederlo. Dopo sette anni dal primo incontro comincia a nascere in loro un sentimento fortissimo. Ma Sigismondo è sposato con Polissena Sforza, e Isotta è stata cresciuta per essere moglie e non amante. Questo il conflitto che renderà tortuoso il percorso di due anime complementari, lei nella perenne ricerca di conferme, lui disposto a dimostrarle i propri sentimenti attraverso l'arte, la parola e l'idea. Quando, dopo la morte di Polissena Sforza, la ragion di Stato sembra volere una nuova nobile moglie accanto a Sigismondo, anche le ultime certezze dei due innamorati paiono vacillare. Inoltre, la vita e lo stesso ruolo del signore di Rimini sono ostacolati da intrighi, avidità, inganni, legami di sangue e di morte, a cui si aggiunge l'odio dei suoi due più acerrimi e potenti nemici: Federico da Montefeltro e papa Pio II, che usa lo splendore umanista del Tempio Malatestiano per condannare il signore di Rimini.
Sarà proprio nel momento più difficile della vita di Sigismondo - abbandonato anche dai più fedeli alleati - che l'amore incondizionato e gratuito di Isotta si rivelerà salvifico e porterà a cambiare il destino delle loro vite.

Commento:
Un'ode accorata e spassionata all'amore che supera il tempo, gli ostacoli, gli intrighi, i dubbi: questo libro non potrebbe essere più simile alla storia che racconta, difficilmente sarebbe stato possibile raggiungere un livello più alto di compenetrazione tra le pagine, l'evocatività delle parole, la maestria della scrittura e l'amore grande e imperituro che i due protagonisti hanno vissuto e vogliono tramandarci. Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, e Isotta Degli Atti all'apparenza non avrebbero potuto essere più lontani e diversi: così forte, sicuro e spavaldo lui e così leggiadra, incerta, ingenua lei. Eppure è bastato poco, appena una carezza innocente, a far sì che due volontà intrepide si incontrassero e non si separassero più. Non fu facile per il grande condottiero signore di Rimini affermare il suo amore per la giovane Isotta, graziosa ma di più basso lignaggio; non fu facile per questi due amanti superare matrimoni, inimicizie, maldicenze, remore morali… ma proprio quando tutto sembrava perduto, l'amore fu per loro l'unica ancora cui aggrapparsi per resistere all'invidia, all'avidità, ai giochi di potere. Una storia vera, questa, che arriva a noi nei secoli attraverso l'arte e la bellezza per ricordarci che c'è sempre una speranza, quali che siano le sorprese che la vita ci riserva. "Sigismondo e Isotta" è un romanzo bellissimo che unisce magistralmente storia, amore e arte per raccontarci una storia stupenda, coinvolgente e commovente con protagonisti e luoghi indimenticabili. Una lettura appassionante che consiglio, un corposo romanzo in cui perdersi e dal quale diventerà difficile staccarsi.


Opera recensita: "Sigismondo e Isotta. Una storia d'amore" di Maria Cristina Maselli
Editore: Piemme, 2018
Genere: romanzo storico
Ambientazione: Rimini, 1437-1474
Pagine: 612
Prezzo: 20,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


domenica 27 gennaio 2019

RECENSIONE: MARCO PAOLINI - AUSMERZEN. VITE INDEGNE DI ESSERE VISSUTE


Sinossi:
Dopo lo spettacolo "Ausmerzen", anche per rispondere alle domande che lo spettacolo stesso aveva creato, Marco Paolini si è immerso per un anno nella scrittura, rielaborando e tessendo in narrazione una mole enorme di dati, alcuni dei quali - tra i più sconvolgenti - quasi sconosciuti. L'interrogazione su eugenetica, scienza ed etica, e sulle politiche del potere si fonde nel racconto. Un narratore appassionato, pieno di sdegno e pudore, e non privo di humour, ci consegna così un libro di feroce potenza, destinato a diventare necessario. Per tutti. Con uno scritto di Mario Paolini.

Commento:
Dopo aver visto su youtube, un paio d'anni fa, l'omonimo spettacolo realizzato sempre da Paolini ed andato in onda su Lasette, mi era rimasta la voglia di leggere il libro, di approfondire.
Come dice Paolini, questa è roba che fa male, ci vuole uno sforzo per rimetterci mano. Perché lo sappiamo che ci fu uno sterminio, che ci furono i campi di sterminio, che ci morirono milioni di persone. Ma qui si parla di persone considerate difettose, cui non fu data né una prima né una seconda possibilità, di vite indegne di essere vissute, di coloro che morirono prima degli zingari, degli ebrei, degli omosessuali, degli antinazisti, e continuarono a morire dopo, dopo la liberazione, dopo che tutto il resto era finito. Action T4 si chiamava il progetto pensato per eliminarli (Ausmerzen vuol dire appunto questo): oggi se ne parla poco e in ambienti settoriali e specifici. Perché? Perché fa male anche solo pensarci. Fa male pensare che qualcuno (molti) ritenesse che non vi fosse una sola ragione per lasciare in vita disabili – bambini e adulti – per la maggior parte tedeschi, che tutti – anche i civili, i normali cittadini – sapessero, che ad occuparsene furono tedeschi (non necessariamente nazisti) tra cui infermiere, medici, suore! Eppure è successo, una barbarie nella barbarie, insensata ed atroce. E ci sono i rapporti, i documenti che dimostrano che sì, chi c'era sapeva cosa accadeva. Tutto trova fondamento nelle ricerche di eugenetica di Galton e Bell, non in Germania, ma in America. Alla Germania non l'esclusiva, ma la palma d'oro per l'applicazione e la diffusione delle idee di annientamento delle vite indegne di essere vissute, con i suoi centri all'avanguardia, la sua medicina di eccellenza, i suoi psichiatri iperprogressisti, il libricino di un medico e un giudice e quell'altro libro, quello scritto da un futuro dittatore, che sembrava tanto lo "sfogo impotente di gente che abbaia ma non morde in un momento in cui le cose vanno male". Sappiamo tutti come finì.
C'è la crisi, c'è poco per tutti, allora perché dividere quel poco anche con chi costa e non produce? Con il "mangiatore inutile", il cieco, il sordo, il pazzo, lo storpio, lo psicopatico? Così, nel 1933 in Germania venne promulgata la legge per la sterilizzazione di coloro che furono definiti "geneticamente inaccettabili" e dopo il 39 si passa dalla sterilizzazione all'eliminazione. E un bel giorno il tuo medico di famiglia bussa alla tua porta e ti dice che c'è la possibilità di un trattamento innovativo per tuo figlio disabile; tu firmi l'imprescindibile consenso, tuo figlio parte e tu pensi: "avrò fatto la scelta giusta?". Dopo un po' ti arriva una lettera dall'ospedale che ti comunica un trasferimento improvviso, ordinato dal commissario del Reich e che l'ospedale non sa dove sia stato mandato tuo figlio. O magari nella lettera ti comunicano che tuo figlio è morto per cause naturali e che, data la gravità della sua patologia la morte è da considerarsi una liberazione. Indichi, signora, a quale cimitero inviare l'urna con le ceneri. Trecentomila vite bruciate così. E no, non ci sono giustificazioni che tengano. Parole d'ordine: efficacia e segretezza; la macchina è ben oleata, funziona tutto a meraviglia. Tutti conosciamo Auschwitz, Bukenvald, Birkenau, ma quanti conoscono Arteim, Grafenet, Adamar, Caffbeuren, Brandemburg? Eppure furono questi i centri di uccisione teatro di questi omicidi di massa: macelli travestiti da cliniche in cui si sperimentarono, prima del grande utilizzo, camere a gas e forni crematori.
Il libro di Paolini non vuole – e non può – essere una trattazione esaustiva della questione, né si può dire che sia la pubblicazione più obiettiva su questa storia. Si vuole, qui, cercare di ricostruire come andò, raccontare una storia – una realtà – conosciuta da troppo poche persone. Si legge in un pomeriggio, ma i brividi, il dolore e lo sconquasso che si lascia dietro sono difficili da digerire. E sbaglia chi liquida tutto questo come passato: è qualcosa che ci appartiene, ci passa vicino, è dentro di noi. E serve parlare, leggere, ascoltare, perché ha ragione Primo Levi: è necessario conoscere, perché ciò che è accaduto può accadere ancora.

Opera recensita: "Ausmerzen" di Marco Paolini
Editore: Einaudi, 2012
Genere: saggio
Ambientazione: Germania
Pagine: 176
Prezzo: 12,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


RECENSIONE: ELIE WIESEL - LA NOTTE


Sinossi:
Una testimonianza atroce e pulsante della morte di Dio, nell'anima di un bambino.
"Ciò che affermo è che questa testimonianza, che viene dopo tante altre e che descrive un abominio del quale potremmo credere che nulla ci è ormai sconosciuto, è tuttavia differente, singolare, unica. (...) Il ragazzo che ci racconta qui la sua storia era un eletto di Dio. Non viveva dal risveglio della sua coscienza che per Dio, nutrito di Talmud, desideroso di essere iniziato alla Cabala, consacrato all'Eterno. Abbiamo mai pensato a questa conseguenza di un orrore meno visibile, meno impressionante di altri abomini, ma tuttavia la peggiore di tutte per noi che possediamo la fede: la morte di Dio in quell'anima di bambino che scopre tutto a un tratto il male assoluto?" (dalla Prefazione di F. Mauriac).

Commento:
Non ci credevano Elie e la sua famiglia credente, non ci credevano nella sua cittadina della Transilvania, non credevano che la deportazione e il genocidio di tante persone, un tale abominio, potesse succedere. Non credevano che potesse accadere in Europa, in una società civilizzata, non credevano che, soprattutto, potesse succedere sotto gli occhi di Dio. Li avevano avvertiti, ma non ascoltarono… perciò quando accadde a loro non erano preparati.
Elie aveva quindici anni quando entrò per la prima volta in un campo di concentramento. Non era preparato al fumo nero e all'olezzo di carne bruciata che era lì ad accoglierlo; non era preparato ad essere separato dalla madre e dalla sorella; non era preparato – lui che tanto amava Dio e studiava il Talmud ed osservava i precetti e pregava e testimoniava l'amore di Dio – a vedere consumata la sua fede dall'orrore del campo. E ben presto l'unico obiettivo, da Aushwitz a Buna a Bukenvald, divenne sopravvivere e non perdere suo padre, non allontanarsi mai da lui, non lasciarsi separare dall'unica persona che gli era rimasta.
Ma il campo, per quanto tu ti opponga, ti cambia dentro, cambia le tue priorità, ti svuota anche dell'anima. Resta solo il corpo che ti porti dietro come un peso. Restano solo le tue membra, il freddo, l'orrore. Non c'è più neanche un Dio cui rendere grazie o a cui chiedere aiuto. Abbiamo letto ed ascoltato tante testimonianze di sopravvissuti all'Olocausto… questa, però, viene da un adolescente cui sono stati strappati i resti di un'infanzia, cui è stato imposto di diventare uomo di colpo, cui è stata strappata persino l'anima d'uomo. Non lo credevano possibile… invece è accaduto ed è accaduto a loro.

Opera recensita: "La notte" di Elie Wiesel
Editore: Giuntina, prima ed. 1958
Genere: autobiografia, testimonianza
Ambientazione: Transilvania, Germania, 1944-1945
Pagine: 112
Prezzo: 10,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


sabato 26 gennaio 2019

RECENSIONE: AMOS OZ - UNA STORIA DI AMORE E DI TENEBRA


Sinossi:
Amore e tenebra sono due delle forze che agiscono in questo libro, un'autobiografia in forma di romanzo, un'opera letteraria che comprende le origini della famiglia di Oz, la storia della sua infanzia e giovinezza a Gerusalemme e poi nel kibbutz di Hulda, l'esistenza tragica dei suoi genitori, e una descrizione epica della Gerusalemme di quegli anni, di Tel Aviv che ne è il contrasto, della vita in kibbutz, negli anni trenta, quaranta e cinquanta. La narrazione si muove avanti e indietro nel tempo, ricostruendo in 120 anni di storia familiare una saga che vede protagonisti quattro generazioni di sognatori, uomini d'affari falliti e poeti egocentrici, riformatori del mondo, impenitenti donnaioli e pecore nere.

Commento:
Questa è, tecnicamente, un'autobiografia: racconta la vita di Amos Oz e la storia della sua famiglia. Definirla "autobiografia", però, sarebbe a dir poco riduttivo: Una storia d'amore e di tenebra è romanzo storico, saga familiare, saggio, ricettacolo di conoscenza e riflessioni profonde che da sole varrebbero le oltre seicento pagine di racconto. Un intero libro pieno di ricordi d'infanzia, memoria storica e familiare, racconto di una città – Gerusalemme -, di un popolo – quello ebreo -, splendente e pieno di contraddizioni. In queste pagine non troviamo solo l'Amos Oz bambino, figlio di genitori non ricchi ma traboccanti di cultura; troviamo qui la storia umana e sociale di un popolo che ha dovuto adattarsi e reinventarsi senza mai perdere la propria fierezza ed identità. E troviamo qui le radici di un conflitto, quello fra Israele e Palestina, fra ebrei ed arabi, nato una notte del 1947 – quando fu decisa la nascita dello stato ebraico – ed arrivato fino ad oggi con la sua scia di morti, insensatezze e incomprensioni.
Questo non è un libro facile perché non è lineare: ogni informazione va assemblata alle precedenti e tenuta da parte per un quadro complessivo che arriverà pian piano. Non è un libro che si fa leggere senza difficoltà, ma regala perle di rara bellezza e permette di capire qualcosa in più di una pagina triste e controversa della storia del Novecento, di questa terra promessa e da tanti conquistata, di popoli orgogliosi e gloriosi e di persone umili e grandi. Da leggere, nonostante la mole.

Opera recensita: "Una storia di amore e di tenebra" di Amos Oz
Editore: Feltrinelli, prima ed. 2003
Genere: autobiografia
Ambientazione: Israele
Pagine: 627
Prezzo: 15,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


domenica 20 gennaio 2019

RECENSIONE: DANYA KUKAFKA - GIRL IN SNOW


Sinossi:
Un parco giochi qualsiasi in una cittadina qualsiasi. La neve è caduta avvolgendo tutto in un silenzio ovattato: le case, le strade, i giochi, il corpo senza vita di Lucinda Hayes. Le indagini a Broomsville rivoltano pietre: sotto la superficie immacolata di una piccola comunità si nasconde un brulicare di segreti e bugie destinati a venire alla luce. Per Cameron, sensibile e bizzarro, Lucinda era la luce del sole. Per Jade era la ragazza perfetta che, forse suo malgrado, le aveva portato via tutto. Per Russ è un penoso caso da risolvere al più presto. Ma Russ è legato a Cameron, e questo non fa che offuscare il suo giudizio. Ciascuno ha le sue ragioni per voler scoprire la verità. Che non può essere una sola.

Commento:
Ecco qui un libro che potenzialmente avrebbe potuto essere un buon thriller corale, ma che ne è un pallido, goffo tentativo: per intenderci, l'idea di base era buona (la vicenda viene raccontata dal punto di vista dei vari protagonisti in un'alternanza ciclica), ma la finalizzazione lo è meno. Lucinda, la classica ragazza perfetta, acclamata, odiata, invidiata, amata, viene ritrovata morta nel parco vicino alla scuola. Il racconto si snoda tra le incerte indagini della polizia - che balbetta fra ricordi del passato e presente tutt'altro che roseo – e i compagni di scuola della ragazza morta, le amiche, i corteggiatori e chi, pur amandola d'un amore profondo e morboso, deve solo accontentarsi di osservarla. Gli elementi per un buon thriller ci sarebbero, ma manca quasi totalmente la tensione narrativa: possibile che su oltre trecento pagine non mi sia mai, mai venuta la voglia di capire chi è l'assassino di Lucinda? Possibile che anche quando il colpevole è stato scoperto io non abbia provato altro che un tenue stupore? Possibile che l'unica cosa degna di un minimo interesse era il racconto di Jade, disadattata e sola? Questo thriller manca di nervo, è lento, piatto, monocorde nonostante le tante voci dei personaggi… no, mi dispiace, ma non lo consiglio.


Opera recensita: "Girl in snow" di Danya Kukafka
Editore: Bompiani, 2017
Genere: thriller
Ambientazione: Stati Uniti
Pagine: 336
Prezzo: 18,00 €
Consigliato: no
Voto personale: 5.


venerdì 18 gennaio 2019

RECENSIONE: J. D. SALINGER - IL GIOVANE HOLDEN


Sinossi:
Sono passati cinquant'anni da quando è stato scritto, ma continuiamo a vederlo, Holden Caufield, con quell'aria scocciata, insofferente alle ipocrisie e al conformismo, lui e la sua "infanzia schifa" e le "cose da matti che gli sono capitate sotto Natale", dal giorno in cui lasciò l'Istituto Pencey con una bocciatura in tasca e nessuna voglia di farlo sapere ai suoi. La trama è tutta qui, narrata da quella voce spiccia e senza fronzoli. Ma sono i suoi pensieri, il suo umore rabbioso, ad andare in scena. Perché è arrabbiato Holden? Poiché non lo si sa con precisione, ciascuno vi ha letto la propria rabbia, ha assunto il protagonista a "exemplum vitae", e ciò ne ha decretato l'immenso successo che dura tuttora. È fuor di dubbio, infatti, che Salinger abbia sconvolto il corso della letteratura contemporanea influenzando l'immaginario collettivo e stilistico del Novecento, diventando un autore imprescindibile per la comprensione del nostro tempo. Holden come lo conosciamo noi non potrebbe scrollarsi di dosso i suoi "e tutto quanto", "e compagnia bella", "e quel che segue" per tradurre sempre e soltanto l'espressione "and all". Né chi lo ha letto potrebbe pensarlo denudato del suo slang fatto di "una cosa da lasciarti secco" o "la vecchia Phoebe". Uno dei libri del Novecento che tanto ha ancora da dire negli anni Duemila.

Commento:
Eccoci qui… un altro libro cult che a me non è piaciuto. Sì, perché, mio malgrado, il racconto che il sedicenne Holden ci fa dei due giorni intercorrenti tra la visita al professor Spencer e il momento in cui è al parco con Foebe non mi è piaciuto. E non mi sono piaciuti neppure i tanti riferimenti al suo passato, alla sua "infanzia schifa", ai genitori, alla scuola, ai coetanei, alle ragazze… non mi è piaciuto il modo in cui Holden affronta – o non affronta – la vita, la quotidianità… eppure la trama, il messaggio, il perché di questo libro è tutto qui, nella rabbia atavica e disfattista di Holden e nel male di vivere che gli attanaglia l'esistenza. E non è che non avesse modelli positivi, non è che fosse stupido o emarginato… i guai di questo ragazzo sperduto e confuso gli venivano proprio dal suo atteggiamento, dalle sue paturnie, dal suo rapporto travagliato con gli altri, dal suo approccio negativo verso il mondo. Quelli che a Holden sembrano drammi insormontabili sono in realtà ostacoli che ciascuno di noi incontra e affronta ogni giorno. Ed arrivo a capire che Salinger volesse esagerare il comune sentire degli adolescenti, che forse intendesse proprio aprire gli occhi agli adulti sui comportamenti apparentemente strani o masochistici degli adolescenti che in realtà costituiscono campanelli d'allarme contro l'insofferenza e l'abbattimento. Ma non accetto che in questo libro, che pure ha raggiunto il suo scopo se è rimasto agli onori della gloria per sessant'anni, non ci sia una forma di redenzione, un riscatto di questo ragazzo che vada oltre i discorsi e i consigli degli adulti. Poi, letterariamente, è fuor di dubbio che Holden sia un Personaggio di tutto rispetto, con tutti i suoi modi di dire, con la sua sgangherata moralità e la sua scala di affetti e valori che forse è l'unica cosa che lo tiene aggrappato alla vita. Però, sebbene non possa non consigliarlo aprioristicamente e mi renda conto del suo valore intrinseco, non è una lettura che mi ha soddisfatto e che ripeterò.

Opera recensita: "Il giovane Holden" di J. D. Salinger
Editore: Einaudi, prima ed. 1951
Genere: narrativa americana
Ambientazione: Stati Uniti
Pagine: 248
Prezzo: 12,00 €
Consigliato: sì/no
Voto personale: 6.


mercoledì 16 gennaio 2019

RECENSIONE: PRIMO LEVI - SE QUESTO è UN UOMO


Sinossi:
Primo Levi, reduce da Auschwitz, pubblicò "Se questo è un uomo" nel 1947. Einaudi lo accolse nel 1958 nei "Saggi" e da allora viene continuamente ristampato ed è stato tradotto in tutto il mondo. Testimonianza sconvolgente sull'inferno dei Lager, libro della dignità e dell'abiezione dell'uomo di fronte allo sterminio di massa, "Se questo è un uomo" è un capolavoro letterario di una misura, di una compostezza già classiche. È un'analisi fondamentale della composizione e della storia del Lager, ovvero dell'umiliazione, dell'offesa, della degradazione dell'uomo, prima ancora della sua soppressione nello sterminio.

Commento:
Che sia per conoscenza diretta, approfondimento e interesse personale, conoscenza scolastica, parziale o approssimativa o per semplice sentito dire, tutti sappiamo (o crediamo di sapere) cos'è stato l'Olocausto. Tutti, di certo, abbiamo sentito parlare di Primo Levi, il chimico torinese che fu deportato nel lager della Buna perché ebreo, e del suo libro più famoso, "Se questo è un uomo". Ebbene, c'è qualcosa di particolare, di intrinseco e sfuggente che rende quest'opera diversa e in qualche modo superiore rispetto alle tante testimonianze letterarie su quella pagina della storia: riflettendoci attentamente, sono arrivata a pensare che la sua particolarità sia da rinvenirsi nell'atteggiamento con cui Levi racconta le atrocità e la barbarie del campo. E', come lo definisce lo stesso autore nella postfazione scritta nel 1976, "l'atteggiamento pacato e sobrio del testimone": Levi qui non si erge mai a giudice di quanto accadde; non si trova mai in questo scritto una parola d'odio contro i tedeschi; tutto viene analizzato, ricordato e descritto quasi con distacco, con qualcosa di simile all'assuefazione di chi si è abituato a vedere ogni giorno le scene descritte. L'unico obiettivo qui è raccontare, testimoniare al mondo ciò che si è visto e vissuto, obiettivo che sarà forse uno dei pochi appigli che permetteranno a Levi e ad altri come lui di sopravvivere per ritornare. L'altro appiglio, come ci rivela l'autore, fu quello di vedere sempre in se stessi e nell'altro un uomo, non una cosa o una bestia, ma un essere umano. Sgomenta, ancora, una volta di più,  la lucidità con cui Levi imprime i suoi ricordi in queste pagine, nonostante raccontino cose già lette, atrocità conosciute eppure difficili da digerire.
E' forse proprio questa sobrietà a rendere questo libro quanto di più vicino a ciò che oggi usiamo definire "capolavoro letterario". Di sicuro, capolavoro o no, "Se questo è un uomo" è un'opera pregevole che ciascuno di noi dovrebbe leggere e rileggere, ancor più che per il contenuto, per il modo pacato e insieme tagliente con cui è stata scritta. Difficile, per me, staccarmi da queste pagine.

Opera recensita: "Se questo è un uomo" di Primo Levi
Editore: Einaudi, ed. originale 1947
Genere: autobiografia
Ambientazione: Polonia, 1943-1945
Pagine: 209
Prezzo: 10,50 €
Consigliato: sì
Voto personale: 10.


martedì 15 gennaio 2019

RECENSIONE: INGE SARGENT - IL TRAMONTO BIRMANO


Sinossi:
Al principio del gennaio 1954, il piroscafo Warwickshire risaliva il fiume alla volta di Rangoon. «Chissà cosa succede» disse Inge al marito, sorpresa dallo spettacolo. «Sulla nave deve esserci qualche personalità». Imbarazzato, Sao rispose: «Ho una cosa da dirti, cara, quella gente è venuta qui per noi»
Inge Sargent scrive un’autobiografia che celebra la forza dell’amore e l’impegno politico.     
L’ultima principessa dello Stato shan di Hsipaw accompagna il lettore in Birmania con i suoi occhi di giovane austriaca cresciuta durante il nazismo e profondamente innamorata di un giovane straniero, l’ingegnere minerario Sao Kya Seng. Si erano incontrati negli Stati Uniti, dove entrambi studiavano e dove si sposeranno. È all’approdo del piroscafo a Rangoon con un popolo in festa che Inge scopre che Sao Kya Seng è un principe regnante. Inge è impreparata a tutto ma è curiosa, coraggiosa, forte d’animo. Come Aung San Suu Kyi, è una donna che attraversa più mondi e costruisce un ponte tra la nostra cultura e l’Asia. A Hsipaw, alla prova di un mondo ancora feudale, i due giovani si rivelano per quello che sono: innovatori radicali, sostenuti dalla forza degli ideali e di un grande sentimento. Per attuare la rivoluzione sociale necessaria a passare da feudalesimo a democrazia si dedicheranno totalmente al miglioramento della vita del loro popolo. Finché il sogno di cambiamento non viene interrotto dal colpo di stato militare del 1962 che porterà la Birmania a chiudersi al resto del mondo per cinquant’anni. Quel giorno il principe scompare e insieme tutta la loro vita, il loro progetto sociale.

Commento:
Una biografia sobria e insieme accorata che, attraverso i ricordi, le sofferenze e le parole di una donna che l'ha vissuta, ci fa conoscere una pagina drammatica della storia della Birmania.
La Birmania è, di per sé, un Paese che conosciamo poco, lontano da noi e dal nostro modo di vivere e non esattamente una meta del nostro turismo d'assalto… Da bravi occidentali, spesso abituati ad interessarci solo di ciò che ci capita sotto il naso, abbiamo saputo qualcosa della sua storia politica solo qualche anno fa, quando le vicende della premio Nobel Aun San Suoucy l'hanno portata alla ribalta. Questo libro è un ottimo modo per approfondire e cercare di capire cosa è davvero successo in questo Paese così multietnico e variegato, troppo spesso messo volutamente in ombra da Paesi con maggiore spessore politico-economico e dai suoi stessi governanti che per decenni hanno agito indisturbati eludendo volentieri gli occhi del mondo. La storia che ci racconta Inge Sargent è inaccettabile eppure assolutamente vera e, purtroppo, credibile: e noi oggi possiamo solo chiederci come può un uomo, un politico, un bravo governante sparire nel nulla senza che di lui si abbiano notizie certe? Eppure è possibile, eppure è accaduto.

Opera recensita: "Il tramonto birmano" di Inge Sargent
Editore: Add editore, 2016
Genere: biografia
Ambientazione: Birmania, anni Cinquanta e Sessanta
Pagine: 288
Prezzo: 18,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


lunedì 14 gennaio 2019

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - IL VALZER DELL'IMPICCATO


Sinossi:
Un uomo viene prelevato con la forza a pochi isolati da Central Park e caricato su un’automobile. Unica testimone una bambina, unico indizio un cappio abbandonato sul marciapiede, realizzato con una corda per strumenti musicali. Lincoln Rhyme e Amelia Sachs avrebbero altro a cui pensare, visto che stanno per sposarsi e partire per la luna di miele, ma c’è una vita da salvare. La squadra si mette subito al lavoro e in poche ore lo sconosciuto sequestratore ha un profilo: per il Compositore, così lo ha battezzato Rhyme, la tortura delle vittime è lo spartito di una macabra melodia. La caccia all’uomo ha inizio, una ricerca serrata che da un vecchio capannone di New York conduce il criminologo e la detective fin nei vicoli di Napoli, nei cunicoli che solcano il sottosuolo della città, a stretto contatto con gli investigatori italiani, tra scontri di competenze, collaborazioni clandestine e indagini scientifiche sempre più sofisticate. Il tempo stringe, e lo stesso cappio che Rhyme e Sachs hanno trovato sulla scena del crimine ora deve fermare la mano di un killer spietato e inafferrabile. Ci sono tutti gli ingredienti del miglior Jeffery Deaver: ritmo, azione, paesaggi inusuali. Il valzer dell’impiccato mostra tutto l’affetto che il suo autore nutre per i lettori italiani e per il nostro Paese e consegna al pubblico degli appassionati un nuovo capitolo sorprendente e imperdibile della saga di Lincoln Rhyme, il criminologo più famoso del thriller internazionale.

Commento:
Chi è l'uomo che, da New York a Napoli, rapisce le sue vittime e poi registra un video in cui sembra impiccarle mentre suona un valzer? Sappiamo che conosce e ama la musica, ma perché agisce? Come sceglie le sue vittime? Scoprirlo sarà il compito di un gruppo assortito di inquirenti italiani e dei nostri ben noti amici Rhyme e Sachs, che dovranno destreggiarsi tra un'ambientazione semi-sconosciuta e comunque inconsueta, sgambetti e musi duri di chi vede usurpato il proprio territorio, rallentamenti e depistaggi in puro stile Deaver. Leggendo questo thriller si ha ancora una volta la percezione, come sempre accade con quest'autore, che nulla è mai come sembra. Ciò che mi piace nei thriller di Deaver è proprio questo: tutto si sa, tutto alla fine si scopre, anche il dettaglio più insignificante, anche dopo molte pagine. E intanto la tensione narrativa è altissima, qui attenuata dall'ambientazione più che suggestiva: Napoli, la sua gente, le sue bellezze e la sua cucina. Un altro ottimo thriller di colui che ormai è diventato il mio autore preferito, che stavolta tocca temi straordinariamente attuali come l'immigrazione, il terrorismo, il fondamentalismo islamico e - perché no? – chi cerca di marciarci su. Ovvio che lo consiglio, non prima, però, di aver letto tutti gli altri della serie.


Opera recensita: "Il valzer dell'impiccato" di Jeffery Deaver
Editore: Rizzoli, 2017
Genere: thriller
Ambientazione: New York-Napoli
Pagine: 512
Prezzo: 22,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


domenica 13 gennaio 2019

RECENSIONE: TRACY CHEVALIER - LA VERGINE AZZURRA


Sinossi:
XVI secolo, Francia: Isabelle du Moulin è una splendida ragazza dai capelli color rame, chiamata da tutti nel villaggio con lo stesso nome della statuetta della Vergine che il duca de l'Aigle ha portato un giorno in paese: la Rossa. Dall'arrivo di Monsieur Marcel, coi suoi sermoni contro la Vergine, quel nome è diventato un tormento. Non è più un affettuoso nomignolo ma il nome di una strega, il sinonimo stesso di una malvagia creatura in un villaggio accecato dal fanatismo della Riforma. Quando resta incinta del giovane Tournier, a Isabelle non resta altro che abbracciare, dopo le persecuzioni seguite al Massacro di San Bartolomeo, fino in fondo la sorte dei Tournier: l'emigrazione nel villaggio svizzero di Moutier e un destino sconvolgente e inaspettato...

Commento:
Siamo in Francia, nel XVI secolo. La guerra fra fazioni religiose imperversa sanguinosa e violenta e non riguarda solo lo scontro fra dottrine, ma spacca i paesi, le comunità parrocchiali, le famiglie. E' il caso dei Tournier, calvinisti ferventi, che per via del matrimonio di uno dei figli, accolgono in famiglia Isabelle, cattolica e devota della Vergine della quale porta lo stesso colore di capelli: proprio per i suoi capelli la donna è soprannominata La rossa e viene temuta ed emarginata sia per il suo credo che per le sventure di cui potrebbe essere portatrice. L'imminente arrivo dei cattolici porta i Tournier a fuggire in Svizzera, ma ben presto Isabelle capisce che il suo fardello non è rimasto nel luogo di partenza, ma anzi è destinato a tramandarsi. Quattrocento anni dopo una giovane ostetrica americana, Ella Turner segue il marito giunto in Francia per lavoro e si mette in testa di approfondire le sue origini francesi, tanto più che da quando è in Francia uno strano sogno la perseguita… un sogno che ha a che fare con lei e con una Vergine azzurra…
Che dire? Questo libro avrebbe avuto tutte le potenzialità per essere un buon romanzo storico, però a mio parere non lo è. Sarà che si tratta di un'opera prima e che l'autrice avrebbe affinato la tecnica nei suoi successivi romanzi, ben migliori di questo, ma in definitiva a me "La Vergine azzurra" è sembrato prevedibile, poco credibile, superficiale. Poi l'ambientazione, alcune parti della storia e le vicende che fanno da sfondo lo rendono comunque gradevole da leggere, ma da qui a consigliarlo senza riserve ce n'è strada da fare. Perciò… per me è carino, appena passabile, niente di più: consigliato con molta cautela e poche aspettative.


Opera recensita: "La Vergine azzurra" di Tracy Chevalier
Editore: Neri Pozza
Genere: romanzo storico
Ambientazione: Francia-Svizzera, XVI secolo-giorni nostri
Pagine: 317
Prezzo: 17,00 €
Consigliato: sì/no
Voto personale: 6.


sabato 12 gennaio 2019

RECENSIONE: MARIA DUEñAS - LA NOTTE HA CAMBIATO RUMORE


Sinossi:
Un tradimento e due guerre distruggono il suo passato, una nuova identità segreta la proietterà nel suo futuro: Sira Quiroga è una giovane sarta nella Madrid del 1935 quando si innamora di un carismatico impresario e, prima dello scoppio della Guerra Civile, lascia la Spagna per trasferirsi con lui a Tangeri. Rimasta presto sola e piena di debiti, si sposta a Tetuàn e con l'aiuto di qualche oscuro personaggio riesce ad aprire un atelier di alta moda, che diventa presto il punto di riferimento delle signore più ricche e influenti del Protettorato spagnolo. Tra queste Rosalinda Fox, un'affascinante donna inglese, amante del ministro degli Esteri del regime franchista. Per Sira è l'inizio di una doppia vita, come sarta e come spia al servizio del governo britannico. E così, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, accetterà di spingersi sotto falsa identità fino a Lisbona, per cercare di scoprire un segreto di vitale importanza...

Commento:
A metà tra romanzo storico e spy-story, questa lunga storia ambientata tra gli anni che precedono la guerra civile spagnola e la fine della seconda guerra mondiale appassiona e coinvolge. E' un racconto di guerra, d'amore, di sopravvivenza, di adattamento, tutto intessuto al femminile: è Sira, la protagonista, a raccontarci la sua storia tra il sogno d'amore che la spinge a lasciare avventatamente Madrid e il suo lavoro da sarta, la delusione e il terrore di ritrovarsi da sola e senza più nulla in Marocco, una terra straniera che imparerà ad amare, il ritorno a Madrid e la puntata a Lisbona sotto altre spoglie e per un altro incarico ben più pericoloso. Il collante di tutto questo è proprio la sua abilità come sarta che la metterà in contatto con persone di tutte le nazionalità e la renderà custode di informazioni cruciali in un periodo in cui un'informazione può salvare vite o provocarne la perdita. "La notte ha cambiato rumore", titolo a mio parere più suggestivo ma meno calzante dell'originale "il destino fra le cuciture", è un lungo romanzo che, sebbene non abbia fraternizzato con nessuno dei personaggi in particolare, ha finito per coinvolgermi al punto che alla fine non avrei voluto staccarmene. Molto interessanti i risvolti storici, ma soprattutto quelli culturali ai quali il romanzo apre. In definitiva, è stata una lettura gradevole ed a tratti appassionante che consiglio a chi ama le atmosfere esotiche, i romanzi al femminile, senza rinunciare al contenuto.

Opera recensita: "La notte ha cambiato rumore" di Maria Dueñas
Editore: Mondadori, 2010
Genere: romanzo storico
Ambientazione: Spagna, Marocco, Portogallo
Pagine: 660
Prezzo: 20,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8,5.


giovedì 10 gennaio 2019

RECENSIONE: MICHAIL BULGAKOV - CUORE DI CANE


Sinossi:
Storia di un bizzarro esperimento scientifico, che innesta su un cane randagio moscovita l'ipofisi di un uomo, il racconto denso di avventure ironiche e grottesche di un animale che scopre il mondo con la sensibilità di un essere umano. "Cuore di cane" fu scritto nel 1925, rimase inedito per decenni perché sequestrato dalla polizia segreta sovietica, venne ritrovato negli archivi del KGB dopo la morte dell'autore e finalmente pubblicato conquistò quindi l'apprezzamento dei lettori di tutto il mondo.

Commento:
Difficile classificare, incasellare, valutare questo brillante racconto di Bulgakov: oserei dire che è un precursore della fantascienza, ma probabilmente una specie di preveggente. Questo racconto, infatti, può essere grossomodo diviso in due parti: una prima, in cui le vicende vengono viste dal protagonista, un cane povero ma onesto che tutti chiamano Pallino; una seconda, in cui il racconto si sviluppa tra annotazioni dei medici e narrazione esterna ed impersonale. Il risultato è esilarante, grottesco, stupendo: è la storia di Pallino che, con la lusinga del cibo di cui è ghiotto, viene condotto nello studio medico di un eminente professore che sta sperimentando il ringiovanimento attraverso l'inserimento dell'ipofisi umana in un cervello animale. Il povero Pallino, dopo essere stato messo all'ingrasso per giorni, viene sottoposto all'esperimento. Il risultato è inaspettato per tutti. Un racconto breve, ma illuminante che consiglio caldamente. Avevo già intuito una mia personale predilezione per Bulgakov tra gli autori russi leggendo "Il maestro e Margherita", ma qui ne ho avuto la conferma: bravo Tolstoj, bravissimo Dostohewskij, interessante Puskin, ma Bulgakov è a dir poco geniale!


Opera recensita: "Cuore di cane" di Michail Bulgakov
Editore: Bur-Mondadori-Einaudi, scritto nel 1925
Genere: fantascienza, letteratura russa
Ambientazione: Russia
Pagine: 169 (Ed. Bur 2007)
Prezzo: 8,00 € (Ed. Bur 2007)
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


mercoledì 9 gennaio 2019

RECENSIONE: PAOLO RUMIZ - A PIEDI


Sinossi:
Un mattino di settembre presi il sacco e uscii di casa senza voltarmi indietro. La mia meta stava a sud, un sud così perfettamente astronomico che sarebbe bastata la bussola a raggiungerlo. Era la punta meridionale dell’Istria, un promontorio magnifico sui mari ruggenti di Bora, regina dei venti d’inverno, e di Maestrale, che è il più glorioso dei venti d’estate. Una scogliera talmente ideale che è stata battezzata ‘Capo Promontore’ (Premantura in lingua croata). Un luogo che tutti i lupi di mare sanno riconoscere traversando l’Adriatico.”
 Sette giorni per arrivare da Trieste a Promontore raccontati ai giovani lettori letteralmente passo dopo passo da un camminatore d’eccezione: Paolo Rumiz. Una narrazione che apre finestre su molti temi: le frontiere da attraversare, i confini che cambiano, la guerra dei Balcani, gli animali selvatici che si incontrano, l’orientamento con le stelle, le mappe.
Ma soprattutto una riflessione sull’importanza di camminare: esercizio che abbiamo dimenticato, sostituendo sempre più spesso i viaggi virtuali a quelli reali.
A piedi è una guida precisa da seguire, una lettura straordinaria che diventa occasione di approfondimento e un testo che può ispirare altri viaggi e altri itinerari.

Commento:
Qualche mese fa, leggendo "Appia", diario di un altro viaggio, ho imparato ad apprezzare i racconti di viaggio di Paolo Rumiz ed ho scoperto che mi piace il suo modo di descrivere, riflettere, intendere il viaggio. Così ho deciso di approfondire la conoscenza di quest'autore con questo "A piedi" che più che un diario di viaggio è proprio una guida al viaggio ed alla bellezza del camminare. "Il cammino ti pulisce", ci dice Rumiz riprendendo un detto di chi vive lungo il Camino di Santiago, e ce lo dimostra, Rumiz, questo detto: il viaggio, l'andare, fa svanire il magone, i brutti pensieri, le nuvole nere che ottundono la mente; camminare vuol dire ricominciare a guardarsi intorno, ascoltare il silenzio, parlare con gli sconosciuti che, alla fine della conversazione, non lo saranno più… è ritrovarsi e trovare la propria naturale dimensione nel mondo. Paolo Rumiz stavolta ci racconta tutto questo percorrendo le strade che dalla porta di casa sua a Trieste arrivano a Premontore, in Croazia. Un viaggio compiuto nell'arco di sette giorni, senza regole o obiettivi, ma solo obbedendo ai segnali del corpo ed alla voglia di andare. Lo consiglio e sicuramente leggerò altro di quest'autore.
  
Opera recensita: "A piedi" di Paolo Rumiz
Editore: Feltrinelli, 2012
Genere: narrativa di viaggio
Ambientazione: Istria (Trieste, Slovenia, Croazia)
Pagine: 128
Prezzo: 12,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


martedì 8 gennaio 2019

RECENSIONE: STEFANO LAZZARI - L'UOMO CHE AMAVA LE DONNE E ALTRI RACCONTI


Sinossi:
In questa raccolta di racconti si mescolano storie noir, avventure, distopie, biografie romanzate, e altri generi. Vi aspettano incursioni nelle esistenze di un detective, una neurobiologa, l’operatore di un call center, un ballerino, un aspirante pittore e un chitarrista. Subito dopo conoscerete un nostromo e tre momenti che gli hanno cambiato la vita. Chiudono la raccolta un nuovo incontro, la lettera di un amante, e la storia di una donna straordinariamente coraggiosa. A legare questi racconti è l’essere umano, con i suoi sogni, le sue pulsioni, le sue contraddizioni.

Commento:
Beh, lo dirò così, con una frase banale, ma quantomai appropriata: questo libro mi è piaciuto molto. Il che non era scontato, visto che non amo particolarmente le raccolte di racconti; tuttavia questa mi ha catturata sin dalle prime pagine. Sarà stato lo stile fluido, il linguaggio variegato ed evocativo, l'intrico di suoni, colori, ambientazioni, immagini capaci di creare suggestioni. Sarà stata la varietà delle storie, alcune avventurose, altre oniriche, altre ancora nostalgiche… o forse saranno stati i temi, a volte attuali (la difficoltà delle relazioni, il lavoro che non c'è), altre vintage ma hevergreen (la guerra, i ricordi, la difficoltà di sopravvivere, gli anni Sessanta e Settanta), altre non reali ma verosimili (furti che riescono, distopie fin troppo, drammaticamente, realistiche). O saranno state le scelte di fronte alle quali si sono spesso trovati i protagonisti, non sempre condivisibili, ma spesso l'unica possibilità realmente percorribile. Sta di fatto che, come ho detto all'inizio, questo libro mi è piaciuto molto, forse proprio perché parla di noi, di uomini e donne a volte reali e a volte inventati, ma sempre realistici o che magari avremmo voluto esistessero sul serio, vittime, carnefici, sognatori, amanti, gente che lotta ogni giorno con se stessa e con il mondo… un po' come, in effetti, facciamo tutti, ognuno a suo modo. Il racconto preferito? Difficile dirlo, perché non c'è stato un racconto che non mi sia piaciuto. Però il racconto che in assoluto mi ha toccato di più è stato "Il processo", uno dei "racconti dal mare", ambientato in un paese che riconosco, con il suo amore per il mare, l'arte della pesca e del sopravvivere arrangiandosi anche in tempi difficili, con i racconti di guerra e i ricordi tante volte ascoltati, con i padri taciturni che trovano sempre una soluzione, con gli amici di una vita, le notti insonni piene di problemi da condividere, il pane fresco e la Peroni ghiacciata presa al bar di Speranzina. Sono racconti che lasciano qualcosa, questi, che in qualche caso emozionano pure, come nella lettera che ciascuna donna forse vorrebbe ricevere – anche senza biglietti per Cipro – o come nel caso della storia di Pilar che fa rabbia e al contempo scalda il cuore perché dà forza. Quindi sì, se non si fosse capito, ve lo consiglio questo libro: leggetelo tutto d'un fiato come ho fatto io, oppure leggetelo ognitanto… male non vi farà, bene quasi certamente sì.


Opera recensita: "L'uomo che amava le donne e altri racconti" di Stefano Lazzari
Editore: Amazon, 2018
Genere: raccolta di racconti
Ambientazione: mondo
Pagine: 203
Prezzo: 8,99 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


lunedì 7 gennaio 2019

RECENSIONE: DANIEL GLATTAUER - LE HO MAI RACCONTATO DEL VENTO DEL NORD?


Sinossi:
Un'email all'indirizzo sbagliato e tra due perfetti sconosciuti scatta la scintilla. Come in una favola moderna, dopo aver superato l'impaccio iniziale, tra Emmi Rothner - 34 anni, sposa e madre irreprensibile dei due figli del marito - e Leo Leike - psicolinguista reduce dall'ennesimo fallimento sentimentale - si instaura un'amicizia giocosa, segnata dalla complicità e da stoccate di ironia reciproca, e destinata ben presto a evolvere in un sentimento ben più potente, che rischia di travolgere entrambi. Romanzo d'amore epistolare dell'era Internet, "Le ho mai raccontato del vento del Nord" descrive la nascita di un legame intenso, di una relazione che coppia non è, ma lo diventa virtualmente. Un rapporto di questo tipo potrà mai sopravvivere a un vero incontro?

Commento:
Emmi deve disdire l'abbonamento alla rivista locale Like. Manda una, due, tre mail ma l'abbonamento non viene disdetto. Le giunge in risposta, però, una mail da un certo Leo Leike che le fa capire di aver sempre sbagliato indirizzo. Da qui comincia questa corrispondenza digitale che dapprima è un piacevole passatempo, una scaramuccia per sorridere un po', poi diventa un'isola felice dalle preoccupazioni personali e familiari, poi diventa altro… fino a trasformarsi in un amore non più solo virtuale, ma mentale, emozionale, ossessivo e totalizzante. Emmi e Leo si sfiorano, ma non si incontrano realmente, eppure il loro legame sembra indistruttibile e destinato a durare. Ma Emmi è sposata e Leo esce da una relazione tormentata. Come potrà evolversi il loro rapporto così singolare? Il finale è più che mai incerto.
Più volte, mentre leggevo questo libro, mi sono chiesta: "Ma è possibile? Sarebbe possibile arrivare a questo punto?". Ho fatto fatica a darmi una risposta scevra dal coinvolgimento delle pagine, ma in fin dei conti sì, credo che si possa effettivamente arrivare ad un livello di coinvolgimento mentale verso una persona che non si è mai incontrata tale da portarci ad estraniarci da noi stessi e dal mondo intorno. Può una mail ricevuta per errore cambiarci la vita? Ognuno, a seconda del personale modo di sentire, si darà la risposta che crede… io ritengo di sì. Questa storia comincia con un piglio ironico, a tratti divertente, quasi comico; prosegue in una dimensione emozionale intensa, romantica, sensuale; termina, per quanto mi riguarda, con un senso di angoscia e di distruzione pregnanti. Non so dire se questo romanzo mi sia piaciuto, all'inizio sì, ma poi c'è stato qualcosa che ad un certo punto mi ha disturbato. Lo consiglio, comunque, perché permette di confrontarsi con una realtà plausibile, con una storia verosimile che un giorno potrebbe capitare a noi. Ho letto che esiste un seguito di questo libro… francamente, al momento, non so dire se lo leggerò.


Opera recensita: "Le ho mai raccontato del vento del Nord?" di Daniel Glattauer
Editore: Feltrinelli, 2010
Genere: romanzo epistolare
Ambientazione: non definita, presumibilmente Austria
Pagine: 192
Prezzo: 16,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 8.


domenica 6 gennaio 2019

RECENSIONE: JOHANNA SPYRI - HEIDI


Sinossi:
Heidi ha cinque anni e un'energia immensa. Vive con il nonno sulle montagne svizzere e passa il suo tempo in armonia con la natura, portando le capre al pascolo con l'amico Peter. Quando compie otto anni però viene obbligata a trasferirsi in città, per imparare a leggere e scrivere e diventare la «dama di compagnia» di Klara, figlia debole di salute di una ricca famiglia di Francoforte. Per lei, cresciuta in libertà, i palazzi, il cielo grigio e le tavole a cui bisogna sedere composti sono una prigione da cui scappare il piú in fretta possibile. Con Heidi Johanna Spyri ha creato un personaggio senza tempo, e ancora oggi il mondo visto attraverso lo stupore della piccola regina delle montagne riesce a brillare di dolcezza.

Commento:
Beh, avevo voglia di una lettura semplice, ma non banale, che riempisse di calore questo pomeriggio freddo. Così, prendendo ispirazione dalla visione del film proiettato ieri in Tv, ho pensato di leggere "Heidi", il romanzo che ha dato vita ad uno dei cartoni animati più belli della mia infanzia e credo di tutti i tempi.
Scelta azzeccata: il romanzo mi ha trasmesso le stesse sensazioni forti che provavo da piccola, la gioia nel vedere la felicità di Heidi spensierata per i monti, la tristezza nel vederla trattata ingiustamente dalla signorina Rottermeyer, la contentezza per l'amicizia di Peter e Clara, il cambiamento del nonno che tutti consideravano burbero ma che in realtà ha un cuore buono. Il romanzo è scritto in linguaggio semplice ed efficace, adatto a bambini ed adulti. Non è assolutamente una lettura impegnativa, ma chi l'ha detto che dobbiamo sempre leggere cose impegnate? Ognitanto fa bene anche staccare la spina ed immergersi in una bella storia a lieto fine, piena di valori semplici, antichi e da non dimenticare. La mia votazione così alta è ovvia: un libro che, attraverso la sua trasposizione ha fatto sognare tutti noi e che mantiene intatto il suo fascino a distanza di secoli non può che meritare il massimo!


Opera recensita: "Heidi" di Johanna Spyri
Editore: Einaudi, prima ed. originale: fine Ottocento
Genere: letteratura per ragazzi
Ambientazione: Svizzera-Germania
Pagine: 272
Prezzo: 10,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 10.


RECENSIONE: LARS KEPLER - LAZARUS


Sinossi:
La polizia di Oslo indaga sull’omicidio di un ladro di cadaveri: nel suo appartamento sono stati ritrovati i resti di corpi a diversi stadi di decomposizione, compreso il cranio della moglie del commissario della polizia criminale svedese Joona Linna. La tomba della donna, morta di cancro qualche anno prima e sepolta in Finlandia, è stata profanata. Le cose si complicano quando a Rostock, in Germania, viene scoperto il cadavere di uno stupratore: nel suo telefono compare il numero di Joona Linna. Due giorni prima di essere ucciso l’uomo ha chiamato il commissario, che ora da Stoccolma giunge sulla scena del crimine per partecipare alle indagini. Il tratto che accomuna entrambe le vittime dall’oscuro passato – il profanatore di Oslo, lo stupratore di Rostock – è la presenza di segni di flagellazione sulla schiena: la firma di Jurek Walter, il peggior serial killer della storia europea. Ma non è possibile, perché Jurek Walter è morto da tempo. Saga Bauer, commissario dei Servizi segreti svedesi e grande amica di Joona, gli ha sparato tre colpi al petto al termine di un lungo inseguimento. Il corpo è finito in mare, ma in seguito la perizia medico-legale ha confermato tutto. Il DNA non mente. E un serial killer non può tornare in vita come Lazzaro. Ma il dubbio si è ormai insinuato nella mente di Joona Linna, mentre cresce vertiginosamente il numero delle vittime marchiate con la stessa, identica firma.

Commento:
"Ristabilire l'ordine": era questo l'obiettivo del serial killer Jurek Walter, un uomo geniale e diabolico con una spiccata propensione alla menzogna, alla sopraffazione, alla violenza, all'indagine nelle tenebre degli altri. Ma Jurek Walter è morto. Lo dicono tutti, ma Joona Linna, il commissario che per anni gli ha dato la caccia sacrificando la vita sua e dei suoi cari, non ne è più così sicuro. Troppe morti sospette sembrano ricollegarsi a lui, troppi cadaveri portano i segni del suo passaggio… c'è di sicuro un complice, ma Jurek è davvero stato ucciso? O sarà forse riuscito a sopravvivere con l'ennesima astuzia? Joona cerca di proteggere la figlia fuori dalla Svezia, ma chi rimane a combattere Walter sarà altrettanto pronto a non cadere nei suoi maligni sotterfugi? Quasi seicento pagine di tensione narrativa a livelli vertiginosi rendono questo sesto caso della fortunata saga di Joona Linna perfettamente all'altezza delle aspettative. Nulla è scontato, non c'è lieto fine qui e non c'è fine alla violenza e alla sofferenza. Chi legge Lars Kepler ed ha letto i precedenti thriller già lo sa e se è arrivato a questo punto ha accettato l'escalation di crudezza che sembra aumentare ad ogni episodio. E' una discesa agli inferi che non lascia tregua e non fa sconti, per chi vuole davvero guardare la crudeltà senza scandalizzarsi e girare il capo. Consigliato ad appassionati del thriller con la T maiuscola, per stomaci forti.


Opera recensita: "Lazarus" di Lars Kepler
Editore: Longanesi, 2018
Genere: thriller
Ambientazione: Svezia-Olanda
Pagine: 576
Prezzo: 22,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.


venerdì 4 gennaio 2019

RECENSIONE: GIORGIO BASSANI - IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI


Sinossi:
Pochi romanzi italiani del Novecento sono entrati così profondamente nel cuore dei lettori come "Il giardino dei Finzi-Contini", un libro che è riuscito a unire emozioni private e storia pubblica, convogliandole verso un assoluto coinvolgimento narrativo. Un narratore senza nome ci guida fra i suoi ricordi d'infanzia, nei suoi primi incontri con i figli dei Finzi-Contini, Alberto e Micòl, suoi coetanei resi irraggiungibili da un profondo divario sociale. Ma le leggi razziali, che calano sull'Italia come un nubifragio improvviso, avvicinano i tre giovani rendendo i loro incontri, col crescere dell'età, sempre più frequenti. Teatro di questi incontri, spesso e volentieri, è il vasto, magnifico giardino di casa Finzi-Contini, un luogo che si imbeve di sogni, attese e delusioni. Il protagonista, giorno dopo giorno, si trova sempre più coinvolto in un sentimento di tenero, contrastato amore per Micòl. Ma ormai la storia sta precipitando e un destino infausto sembra aprirsi come un baratro sotto i piedi della famiglia Finzi-Contini.

Commento:
"Il giardino dei Finzi-Contini" è un classico della letteratura italiana e, al di là dei giudizi personali, se lo è i motivi ci saranno. Io credo che sia senza dubbio un libro da leggere perché affronta in un modo diverso ed oserei dire inedito le leggi raziali in Italia. In particolare, ciò che mi ha colpito nella storia è stato il continuo senso di non detto, di implicito che pervade ogni conversazione; anche quando si affronta il tema della politica e della situazione degli ebrei che sta rapidamente cambiando, quasi tutti sembrano minimizzare, non rendersi davvero conto di quanto sta accadendo. Tuttavia il punto centrale del romanzo rimane la storia dell'aristocratica e benestante famiglia ebrea dei Finzi-Contini, e in special modo dei figli Micol e Alberto, raccontata da un narratore senza nome, ebreo anche lui, molto legato alla famiglia. Le vicende dei protagonisti si intrecciano con la situazione globale ed il romanzo finisce per darci uno spaccato singolare e significativo della Ferrara e dell'Italia di quegli anni incerti.
Passando allo stile, dirò che, soprattutto all'inizio, ho fatto molta fatica ad appassionarmi alla storia, sempre per via di questo senso di tortuosità voluta, di non detto che apre al sospetto, oltre che per una difficoltà nella formulazione dei periodi, lunghi e spesso inframmezzati da discorso indiretto. Tutto, in questo libro, mi è parso coperto da uno schermo di vetro, "vedere ma non toccare", quasi a voler rendere più complicata la comprensione e la percezione della realtà. Soprattutto all'inizio, perciò, ho avvertito un forte senso di disagio durante la lettura e anche nel finale, sebbene ormai avessi le idee chiare sulla storia, mi è rimasto il dubbio su quale fosse il fine ultimo, il messaggio altro (se c'è) dell'autore. Ad ogni modomi sento comunque di consigliare la lettura di questo libro, per i motivi che ho esposto all'inizio: è un classico, un pezzo della nostra letteratura che dobbiamo conoscere. Vi sono pagine, come il dialogo finale tra il protagonista e il padre, che valgono da sole l'intera lettura.


Opera recensita: "Il giardino dei Finzi-Contini" di Giorgio Bassani
Editore: Feltrinelli, prima ed. 1962
Genere: classico, autobiografico
Ambientazione: Ferrara, 1929-1939
Pagine: 224
Prezzo: 9,50 €
Consigliato: sì
Voto personale: 7,5.


mercoledì 2 gennaio 2019

RECENSIONE: TIZIANO TERZANI - LA FINE è IL MIO INIZIO


Sinossi:
Tiziano Terzani, sapendo di essere arrivato alla fine del suo percorso, parla al figlio Folco di cos’è stata la sua vita e di cos’è la vita: «Se hai capito qualcosa la vuoi lasciare lì in un pacchetto», dice. Così, all’Orsigna, sotto un albero a due passi dalla gompa, la sua casetta in stile tibetano, in uno stato d’animo meraviglioso, racconta di tutta una vita trascorsa a viaggiare per il mondo alla ricerca della verità. E cercando il senso delle tante cose che ha fatto e delle tante persone che è stato, delinea un affresco delle grandi passioni del proprio tempo. Ai giovani in particolare ricorda l’importanza della fantasia, della curiosità per il diverso e il coraggio di una vita libera, vera, in cui riconoscersi. La sua proverbiale risata e la tonalità inimitabile della sua voce, che qui si è cercato di restituire intatte, lasciano trasparire la serenità di chi non lotta più, felice di un’esistenza fortunata, ricca di avventura e amore. Questo libro è un testo unico che racchiude tutti i suoi libri precedenti, ma anche li precede e li supera. «Se mi chiedi alla fine cosa lascio, lascio un libro che forse potrà aiutare qualcuno a vedere il mondo in modo migliore, a godere di più della propria vita, a vederla in un contesto più grande, come quello che io sento così forte.»

Commento:
A sessantasei anni, sapendo che sta per arrivare il momento di "lasciare il corpo", Tiziano Terzani vuole parlare, vuole raccontare al figlio ciò che questi non sa della vita del padre. Questa lunga chiaccherata durata tre mesi è l'occasione per i due di dialogare su temi importantissimi quali, per citarne solo alcuni, la morte, la necessità di essere "altro", di non accontentarsi di una visione parziale del mondo, di non basarsi solo su ciò che ci viene detto ma di "andare a vedere"… e poi si parla di giornalismo, dell'importanza di fare un buon lavoro che sia quello che sentiamo di voler fare, non quello a cui ci costringono le circostanze. E' un libro densissimo questo, come e più di tutti gli altri scritti da Terzani: è il suo lascito alla famiglia e al mondo, forte, intimo, diretto; è la storia di una persona normale che ha avuto il coraggio di essere libero da tutto, anche da se stesso.
Una lettura che mi sento di consigliare a chi non è digiuno della scrittura di Terzani: non credo che si possa affrontare questo libro se non si conosce almeno in parte chi è stato quest'uomo, cosa ha scritto e come la pensava. E', però, un libro da leggere perché non parla solo della vita di Tiziano: parla anche – e soprattutto - della nostra.

Opera recensita: "La fine è il mio inizio" di Tiziano Terzani
Editore: Longanesi, 2006
Genere: autobiografia
Ambientazione: Orsigna-Mondo
Pagine: 480
Prezzo: 22,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 9.