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lunedì 19 settembre 2016

RECENSIONE: MICHELA MURGIA - ACCABADORA


Sinossi:

Premio Campiello 2010. Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.

 

Breve, intenso ed appassionante. In poco più di 160 pagine Michela Murgia ci racconta tradizioni millenarie che sono parte di una comunità, di un popolo, ma che scavando non troppo a fondo, potremmo ritrovare anche nel nostro passato prossimo. Sono le tradizioni legate alla vita, al suo inizio, ma soprattutto alla sua fine; sono storie fatte di scialli neri, dolore e conforto, di saperi antichi e credenze popolari ancora sorprendentemente vive. Siamo a Soreni, piccolo paese della Sardegna, nel secondo dopoguerra. Qui vivono Maria Listru e Tzia Bonaria Urrai. Maria è la quarta figlia della vedova Anna Teresa Listru che considera la bimba un errore dopo tre cose giuste, una bocca in più da sfamare. Bonaria, invece, è una vedova senza figli che è ben lieta di prendere con sé quella ragazzina che ha sorpreso a rubare delle ciliegie in un negozio e che nonostante il gesto si mostra serena ed innocente. Maria, abituata a non essere considerata altro che la quarta o l’ultima, fa presto ad affezionarsi all’austera Tzia Bonaria che dimostra di badare a lei, tiene moltissimo alla sua istruzione e la considera il suo primo pensiero. Maria pensa che Bonaria faccia la sarta e questo è vero di giorno, ma di notte, a volte, qualcuno bussa alla porta e la donna esce in tutta fretta senza dare spiegazioni. Maria non sa che Bonaria è l’Accabadora, l’ultima madre, colei che aiuta chi, allo stremo della sofferenza, vuole andarsene da questo mondo senza dolore. Non è un’assassina priva di scrupoli, ma una donna provata dalla vita che, a suo modo, aiuta gli altri e fa ciò che deve essere fatto. Tutti a Soreni sanno chi è e cosa fa ed il suo passaggio suscita timore e rispetto. Donna di poche parole, ma di molto sapere, Bonaria trasmette tutto ciò che sa alla sua fille anima tranne il suo compito segreto e quando, per un tragico caso del destino, la ragazza lo scopre fra le due donne si apre una frattura apparente che sa di tradimento e di cose non dette. Maria parte per il continente, ma poi torna per ripagare, nel momento del bisogno, il suo debito di riconoscenza a quella donna che non ha mai chiamato mamma, ma che lo è molto più di chi l’ha generata. La storia di Maria e di Bonaria può sembrare lontana ed incredibile, ma non lo è per niente: qualcuno potrebbe pensare che queste credenze popolari siano morte e sepolte nel passato, invece vivono nel retaggio culturale dei piccoli comuni italiani in cui ci si conosce tutti, in cui l’informazione che conta si fa  al bar o sulla soglia delle case al crepuscolo.

I temi chiave di questo romanzo sono la maternità, la fiducia e la scelta. Come si legge in apertura del libro, Maria è figlia di due madri, di due donne, della povertà dell’una e della sterilità dell’altra. Ma si può essere figlia di due madri? Ed è più degna, in fin dei conti, di essere chiamata mamma colei che ci ha messi al mondo per poi abbandonarci al nostro destino, salvo poi richiamarci a sé nel momento del bisogno rivendicando un diritto di nascita misto ad orgoglio e possessività? O colei il cui ventre è sterile, ma che ci accoglie, veglia il nostro sonno nel buio, ci nutre ed educa? E poi c’è l’altro grande interrogativo, quello che riguarda la scelta: può l’uomo scegliere quando e come porre fine alla sua vita? Può l’uomo sostituirsi a Dio stabilendo quando far cessare la sofferenza? Fino a che punto è umano soffrire?

Michela Murgia ci racconta questa storia affascinante con uno stile fluido e con una scrittura insieme intimista ed evocativa: intimista perché indaga con tatto e delicatezza i sentimenti ed i fragili equilibri privati di una comunità; evocativa perché con parole scelte con cura descrive abilmente sensazioni, odori, suoni, rendendoli visibili a chi legge. Tutto ciò rende questo libro un piccolo album dei ricordi da custodire con cura, perché nulla vada dimenticato o perso nella frenesia dell’oggi. Lettura consigliatissima.

 

Opera recensita: “Accabadora” di Michela Murgia

Editore: Einaudi, supercoralli, 2009

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Sardegna, Torino

Pagine: 166

Prezzo: 18€ (cartaceo), 6,99€ (ebook)

Consigliato: sì.

 

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