simposio lettori copertina

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sabato 30 maggio 2020

RECENSIONE: ELIZABETH BUCHAN - IL MUSEO DELLE PROMESSE INFRANTE


Sinossi:
Esiste un museo, a Parigi, dove le persone non fanno la fila per ammirare i capolavori dell’arte. Dove non sono custoditi né quadri né statue. Un museo creato per conservare emozioni. Ogni oggetto in mostra, infatti, è il simbolo di un amore perduto, di una fiducia svanita. Un cimelio donato da chi vorrebbe liberarsi dei rimorsi e andare avanti. Come la stessa curatrice, Laure, che ha creato il Museo delle Promesse Infrante per conservare il suo ricordo più doloroso: quello della notte in cui ha dovuto dire addio al suo vero amore. Quando Laure lascia la Francia e arriva a Praga, nell’estate del 1986, ha l’impressione di essere stata catapultata in un mondo in cui i colori sono meno vivaci, le voci meno squillanti, le risate meno sincere. Laure lo capisce a poco a poco dagli sguardi spaventati della gente, dalle frasi lasciate in sospeso: questo è un Paese che ha dimenticato cosa sia la libertà. Eppure ci sono persone che ancora non si rassegnano. Come Tomas. Laure lo incontra per caso, a uno spettacolo di burattini. Ed è un colpo di fulmine. Per lui, Laure è pronta a mentire, lottare, tradire. Ma ancora non sa di cosa è capace il regime, né fin dove dovrà spingersi per avere salva la vita. Laure si è pentita amaramente della scelta che ha dovuto compiere tanti anni prima ed è convinta che non avrà mai l’occasione per aggiustare le cose. Eppure ben presto scoprirà che il Museo delle Promesse Infrante non è un luogo cristallizzato nel passato. È un luogo che guarda al futuro, in cui le storie circolano e spiccano il volo verso mete inaspettate. A volte raggiungono luoghi lontanissimi, ricucendo i fili strappati del destino. E a volte possono perfino giungere alle orecchie di un uomo cui non importa nulla degli sbagli e dei rimpianti, ma che aspetta solo un indizio per ritrovare il suo amore perduto…

Commento:
Ci sono luoghi in cui, una volta entrati, potremmo perderci ritrovandoci: sono luoghi in cui non ci stancheremmo mai di stare, in cui il tempo e lo spazio si fondono, le dimensioni si confondono, i ricordi trionfano. È così che immagino il Museo delle promesse infrante, come lo dipinge per noi Elizabeth Buchan: un luogo in cui provare a venire a patti con un dolore, provare a tirar fuori il rancore o il rimpianto e tentare a fatica di andare avanti. Perché le promesse infrante, sia che ad infrangerle siamo stati noi o che abbiamo subito la delusione, sono ferite che tardano a rimarginarsi, sono tarli che possono corrodere l'anima. Lo sa bene Laure, la curatrice di questo singolare museo di Parigi, Laure che l'ha infranta una promessa e da allora non è più riuscita a liberarsi del dolore che lei stessa ha provocato. Oggi chi Laure è una donna molto diversa dalla giovane ragazza alla pari che nell'86 lavorava a Praga, presso la famiglia di un importante collaboratore dello Stato, è molto diversa dalla ribelle straniera e scarmigliata che si innamorò, ricambiata, dell'affascinante Tomas, giovane cantante di un gruppo rock, là dove i gruppi rock erano proibiti e considerati sovversivi. Sovversivo era persino parlare in inglese, la lingua madre di Laure, in quella città dai colori detonalizzati; sovversivo era possedere una barretta di cioccolato, era esprimere dissenso, dire certe cose a voce troppo alta… ma Laure non sapeva nulla, al suo arrivo in città, non sapeva nulla di cosa significasse vivere sotto un regime totalitario. Non immaginava certo, Laura, quali potessero essere le conseguenze della ribellione, lei che, per metà inglese e per metà francese, veniva dall'Occidente civilizzato in cui tutti avevano pari diritti, pari dignità e la possibilità di pensare autonomamente. Lo imparò, Laure, lo imparò a sue spese in quell'estate dell'86 e non lo dimenticò più, come non dimenticò mai l'uomo che le conquistò il cuore.
Il museo delle promesse infrante racconta questa storia, lo fa partendo in sordina, sembra quasi un libro anonimo, senza pretese: aprendolo non sappiamo niente di ciò che ci svelerà, un po' come Laure che al suo arrivo a Praga, abituata ai colori dell'occidente, vede solo grigio, ma guardando meglio ne distingue toni, sfumature e, anche se sono ben nascosti, individua tutti  i colori della libertà. Una lettura che personalmente non mi ha convinta fino in fondo, ma che consiglio perché ogni storia che racconta il dissenso e che cerca di gettare luce su pagine di storia di cui si parla poco va consigliata.

Opera recensita: "Il museo delle promesse infrante" di Elizabeth Buchan
Editore: Casa editrice Nord, 2020
Genere: narrativa straniera
Ambientazione: Francia-Repubblica Ceca-Berlino
Pagine: 396
Prezzo: 18,60 €
Consigliato: sì
Voto personale: 7,5
Colonna sonora sperimentata: Rebirth di Finesse (in loop).

domenica 2 settembre 2018

RECENSIONE: MILAN KUNDERA - IL VALZER DEGLI ADDII


Sinossi:
In una cittadina termale dal fascino démodé, otto personaggi si stringono sull’onda di un valzer sempre più vorticoso: una graziosa infermiera; un ginecologo dai molti talenti; un ricco americano (insieme santo e dongiovanni); un trombettista famoso; un ex prigioniero politico, vittima delle purghe, e prossimo a lasciare il suo paese... Un «sogno di una notte di mezza estate». Un «vaudeville nero». Le domande più serie vengono poste con una leggerezza blasfema che ci fa capire come il mondo moderno ci abbia sottratto anche il diritto alla tragedia.
«C.S.: Lei non ha parlato quasi per nulla del Valzer degli addii.
M.K.: Eppure è il romanzo che in un certo senso mi è più caro. Come Amori ridicoli, l’ho scritto con più divertimento, con più piacere degli altri. In un altro stato d’animo. Anche molto più in fretta.
C.S.: Ha solo cinque parti.
M.K.: Si fonda su un archetipo formale del tutto diverso da quello degli altri miei romanzi. È assolutamente omogeneo, senza digressioni, composto di una sola materia, raccontato con lo stesso tempo, è molto teatrale, stilizzato, basato sulla forma del vaudeville. In Amori ridicoli, si può leggere il racconto Il simposio, il cui titolo è un’allusione parodistica al Simposio di Platone. Lunghe discussioni sull’amore. Ebbene, questo Simposio è composto in tutto e per tutto come Il valzer degli addii: vaudeville in cinque atti» (Milan Kundera, L’arte del romanzo).

Commento:
Libro scritto in modo volutamente semplice e quasi scarno, esteriormente privo della profondità e della complessità che caratterizzava "L'insostenibile leggerezza dell'essere", "Il valzer degli addii" è un libro singolare. Racchiude in sé molti rimandi ad altri autori ed opere, vi troviamo infatti qualcosa di Shakespeare, un chiaro riferimento a "Delitto e castigo" ed io ci ho intravisto anche qualcosa del "Processo" di kafchiana memoria. Tutto questo rende questo libro un'occasione preziosa di riflessione su vari temi, paternità e maternità, la loro accettazione e le implicazioni dei ragionamenti dei protagonisti; le considerazioni sfuggenti sull'amore e sulla sua potenza letale; l'apparente leggerezza con cui vengono prese certe decisioni; la potenza di un fraintendimento, l'omicidio e il suicidio… riflessioni nascoste tra le pieghe di un ragionamento apparentemente folle, nella cornice di una località termale che vede intrecciarsi storie e legami degni di un "Sogno d'una notte di mezza estate".
Un libro che mi è piaciuto, ma al quale darò volutamente un voto intermedio che mi darà la spinta per rileggerlo e rifletterci ancora. Kundera è sempre bravissimo ad instillare neanche tanto sottilmente spunti degni di nota su problemi e situazioni che quotidianamente potremmo ritrovare nella nostra vita, come se volesse incitarci a riflettere per essere pronti a prendere posizione, nell'eventualità che ce ne sia bisogno.


Opera recensita: "Il valzer degli addii" di Milan Kundera
Editore: Adelphi, prima ed. 1973
Genere: narrativa internazionale
Ambientazione: Repubblica Ceca
Pagine: 246
Prezzo: 11,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 7,5.