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giovedì 26 dicembre 2019

RECENSIONE: GEORGES SIMENON - LETTERA AL MIO GIUDICE


Sinossi:
«Vorrei tanto che un uomo, un uomo solo mi capisse. E desidererei che quell’uomo fosse lei». Così si rivolge il narratore, all’inizio di questo romanzo, al suo giudice – e insieme a ogni lettore. La storia che segue è una storia di amore e di morte, carica d’intensità, esaltazione e angoscia. È la storia di un uomo che si sente trascinato a uccidere una donna perché la ama troppo. Lo sfondo: stazioni gocciolanti di pioggia, bar, piccoli alberghi della provincia. Agente provocatore: il caso, che fa apparire una ragazza minuta, pallida, arrampicata su alti tacchi, nella vita di un medico, uomo «senza ombra», la cui esistenza, così normale, si avvicina sempre più al confine con l’inesistenza. E quella donna è l’ombra stessa, qualcosa di oscuro e lancinante al di là di ogni ragione, che conduce tranquillamente alla morte. Queste le ultime parole della confessione: «Siamo arrivati fin dove abbiamo potuto. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo. Abbiamo voluto l’amore nella sua totalità. Addio, signor giudice».

Commento:
Ho letto Lettera al mio giudice nell'arco di un pomeriggio, ma sono certa che qualcosa di queste pagine mi resterà in mente per sempre: è un libro sconvolgente per lucidità, stile, fluidità, eleganza. Simenon ha saputo dar voce ad un uomo, un medico di provincia, un innamorato, un frustrato, un assassino con una perizia da maestro. La lucidità con cui il dottor Charles Alavoine scrive al suo giudice dal carcere in cui è chiuso dopo la condanna per omicidio è folgorante: egli non gli scrive per discolparsi, no, tanto più che si era già dichiarato colpevole a suo tempo. Egli non scrive per scusarsi, invocare una pena più leggera… tutt'altro: di una sola cosa egli non è soddisfatto, un solo verdetto egli non accetta, quello di essere considerato in uno stato psichico di ridotta lucidità. Non vuole che si pensi che abbia agito in preda ad un raptus, non vuole che si creda che quando ha ucciso Martine, l'unica donna che abbia mai veramente amato, egli fosse in preda alla follia, che non comprendesse ciò che faceva… non vuole che si dica che era pazzo. No, egli vuole che il giudice capisca, che colui in cui ha visto un barlume di interesse durante l'istruttoria, che colui che davvero ha cercato di comprendere le sue ragioni, che colui con cui ha pensato di essere in un certo qual modo in sintonia, che lui comprendesse cosa l'aveva portato ad un amore così grande. Vuole, Charles, che il giudice capisca che lui sì, ha agito con glaciale, assoluta premeditazione e che sì, c'era una ragione più che valida per uccidere… l'amore. Per amore di Martine lui doveva ucciderla. E fidatevi, se prese così, senza contesto, queste parole vi sembrano folli, assurde, senza logica, a fine lettura non potrete non trovarvi d'accordo con lui. Quest'uomo non chiede pietà, ma la suscita; non chiede assoluzione, ma, ascoltate le sue parole,  chi non gliela darebbe? Ho trovato questa lettera di un'angoscia, sincerità, lucida follia, prostrazione come di rado ne ho viste o lette altrove. Mi ha commosso. Mi sento, perciò, oltre a consigliare la lettura di questo libro, di definirlo senza remore un capolavoro.

Opera recensita: "Lettera al mio giudice" di Georges Simenon
Editore: Adelphi, prima ed. originale 1946
Genere: letteratura francese
Ambientazione: Francia
Pagine: 206
Prezzo: 16,00 €
Consigliato: sì
Voto personale: 10.


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